N. 310 SENTENZA 19 giugno - 5 luglio 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Elezioni  -  Cause  di  ineleggibilita'  alla  carica  di  sindaco  -
 Ineleggibilita'  delle  persone  che   abbiano   riportato   condanna
 superiore  a  sei  mesi, anche se condizionalmente sospesa, per reato
 commesso  nella  qualita'  di  pubblico   ufficiale   -   Prospettata
 disparita'   di   trattamento  rispetto  ad  altre  cariche  elettive
 (deputato e senatore) per le quali e'  prevista  l'eleggibilita'  nel
 caso di condanna a pena sospesa - Incidenza sul diritto di elettorato
 passivo  -  Esclusione,  in  considerazione  della non comparabilita'
 delle cariche elettive poste  a  raffronto  -  Non  fondatezza  della
 questione.
 
 (D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 6, ultimo cpv.).
 
 (Cost., artt. 3 e 51).
 
(GU n.28 del 17-7-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Ettore GALLO;
 Giudici: dott. Aldo CORASANITI, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
    SPAGNOLI,   prof.   Francesco   Paolo   CASAVOLA,   prof.  Antonio
    BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.  Mauro  FERRI,  prof.
    Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato GRANATA, prof.
    Giuliano VASSALLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  6,  ultimo
 capoverso, del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi
 per  la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni
 comunali), promosso con  ordinanza  emessa  l'11  dicembre  1990  dal
 Tribunale  di  Como  sul  ricorso  in  materia elettorale proposto da
 Charrey Franco per l'annullamento della delibera 19 luglio  1990  del
 Consiglio  comunale  di  Campione  d'Italia,  iscritta  al n. 111 del
 registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica, n. 10, prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visto  l'atto  di costituzione di Charrey Franco nonche' l'atto di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 4 giugno 1991 il Giudice  relatore
 Mauro Ferri;
    Udito  l'Avvocato  dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del
 Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    Con delibera del 19 luglio 1990 il Consiglio comunale di  Campione
 d'Italia,  preso atto dell'avvenuta decadenza di Charrey Franco dalla
 carica di sindaco a seguito di condanna penale irrevocabile alla pena
 di otto mesi di reclusione per il delitto di falso ideologico in atto
 pubblico con il beneficio della sospensione condizionale  della  pena
 (condanna  da  ultimo confermata con sentenza del 3 aprile 1990 della
 Corte di cassazione), eleggeva un nuovo Sindaco.
    Il Charrey impugnava la delibera consiliare innanzi  al  Tribunale
 di  Como chiedendone l'annullamento per non essersi verificata alcuna
 decadenza  dalla   carica   di   Sindaco;   in   subordine   eccepiva
 l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  271 del T.U. della legge
 comunale e provinciale del 1934, come sostituito  dall'art.  4  della
 legge  1  giugno  1977 n. 286, nonche' dell'art. 6, ultimo capoverso,
 del d.P.R. 16 maggio 1960 n. 570 per violazione degli artt.  3  e  51
 Cost. (nonche' anche dell'art. 97 Cost.).
    Si  costituiva  la  Prefettura  di  Como  sostenendo,  nel merito,
 l'infondatezza della questione di costituzionalita'.
    Il  Tribunale  di  Como,  con  ordinanza  dell'11  dicembre  1990,
 sollevava   questione   incidentale  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 6, ultimo capoverso, del d.P.R. 16 maggio 1960 n.  570,  in
 relazione agli artt. 3 e 51 della Costituzione.
    Osservava  il  Tribunale, in ordine alla rilevanza della questione
 di costituzionalita', quanto segue:
      a) L'art. 6, ultimo capoverso, del d.P.R. 16 maggio 1960 n.  570
 (secondo cui non puo' essere nominato sindaco chi ha subito condanna,
 per  qualsiasi  reato commesso nella qualita' di pubblico ufficiale o
 con  abuso  di  ufficio,  ad  una  pena  restrittiva  della  liberta'
 personale superiore a sei mesi) e' ancora in vigore.
   Non  puo'  giovare  al  ricorrente  il disposto dell'art. 64, primo
 comma, lettera c), della legge  8  giugno  1990  n.  142  (sul  nuovo
 ordinamento  delle  autonomie locali), che - nell'abrogare l'art. 271
 sopra cit. - non ha pero'  travolto  l'art.  6  cit.,  anche  perche'
 l'art.   31   della   medesima  legge  riserva  ad  altro  intervento
 legislativo la materia relativa alle elezione dei  consigli  comunali
 (e   provinciali)  e  allo  status  dei  componenti.  Ne'  rileva  il
 successivo art. 40  che  riguarda  solo  i  poteri  discrezionali  di
 rimozione   e  sospensione  degli  amministratori  locali  attribuiti
 all'Autorita' centrale.
      b) La decadenza di diritto dalla carica di Sindaco  opera  anche
 in caso di sospensione condizionale della pena.
    Vero  e'  che  l'art.  166  c.p., nel nuovo testo introdotto dalla
 legge 7 febbraio 1990 n. 19 estende  gli  effetti  della  sospensione
 condizionale  della  pena alle pene accessorie; ma la decadenza dalla
 carica di Sindaco non costituisce pena accessoria sia perche'  l'art.
 6  cit.  non  la qualifica tale, sia perche' l'istituto si atteggia a
 requisito negativo, per coloro che siano  chiamati  a  far  parte  di
 organi  elettivi,  affinche'  sia  tutelato  il  normale  e  corretto
 svolgimento  del  rapporto  elettorale.  Ove  anche  poi   fosse   da
 qualificare  come  effetto penale della condanna non sarebbe comunque
 estensibile per analogia il disposto dell'art. 166 del codice penale,
 considerato che il secondo comma di tale norma, nello  stabilire  che
 la  condanna a pena sospesa non puo' costituire in alcun caso, di per
 se' sola, motivo d'impedimento all'accesso a posti di lavoro pubblici
 e privati, ha fatto  salvi  "i  casi  specificamente  previsti  dalla
 legge".  D'altra  parte  la  posizione  di  chi  aspiri ad un impiego
 pubblico o privato e' diversa da quella di chi aspiri ad  una  carica
 elettiva,  essendo  previsto  solo  nel  primo  caso  un procedimento
 disciplinare  all'esito  del  quale  poter   infliggere   la   misura
 sanzionatoria massima.
    Il  giudice  a  quo  osservava  poi  in  ordine alla non manifesta
 infondatezza della questione di costituzionalita':
      vi e' un'ingiustificata disparita' di trattamento (art. 3  della
 Costituzione)  ed un'irragionevole limitazione del diritto di accesso
 alle cariche elettive (art. 51 della Costituzione).
    Per effetto della citata legge n. 19 del 1990  chi  e'  condannato
 per  un  reato  che  comporta  l'applicazione  della  pena accessoria
 dell'interdizione dai pubblici uffici, nel caso  di  concessione  del
 beneficio  della sospensione condizionale della pena, conserva (oltre
 all'elettorato attivo, anche)  l'elettorato  passivo  e  quindi  puo'
 accedere  a  tutte  le cariche elettive dello Stato e a (quasi) tutte
 quelle degli enti locali. Peraltro la legge 22 maggio  1980  n.  193,
 abrogando  il n. 7 dell'art. 2 del T.U. delle leggi recanti norme per
 la disciplina dell'elettorato attivo e per la tenuta e  la  revisione
 delle liste elettorali (d.P.R. n. 223 del 1967), che escludeva per un
 periodo di cinque anni la capacita' elettorale dei condannati per una
 serie  di  delitti,  tra  i  quali il falso, ha soppresso la causa di
 perdita del diritto elettorale  attivo  (e  passivo)  che  discendeva
 dalla condanna in quanto tale.
    Pertanto,  mentre  prima  della  legge  n.  19 del 1990 non poteva
 configurarsi alcuna disparita' di trattamento, perche'  per  tutti  i
 condannati per reati comportanti l'applicazione della pena accessoria
 dell'interdizione dai pubblici uffici, ancorche' fosse stato concesso
 il  beneficio  della sospensione condizionale della pena, veniva meno
 l'elettorato e l'eleggibilita', dopo  l'entrata  in  vigore  di  tale
 legge,  tutti  coloro che godono della sospensione condizionale della
 pena non perdono in generale l'elettorato passivo (oltre che  attivo)
 e  quindi  possono  accedere  alle piu' elevate cariche, quale ad es.
 quella di Presidente della Giunta regionale;  rimane  pero'  preclusa
 soltanto la possibilita' di essere nominati alla carica di sindaco e,
 in  caso  di  precedente nomina, si verifica la decadenza di diritto,
 con conseguente irragionevole disparita' di trattamento  che  non  si
 giustifica con la diversa natura di tale carica.
    2.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato,  concludendo  per
 l'infondatezza della questione sulla base dei seguenti rilievi:
      a)  La  circostanza  che  la  vigente  normativa  prescriva piu'
 rigorosi requisiti per l'accesso alla carica di  sindaco,  e  per  la
 permanenza  in  essa, rispetto ad altre cariche elettive non comporta
 alcuna illegittima disparita' di trattamento.
    Cio' in considerazione della  natura  e  del  carattere  peculiare
 della  carica  stessa  cui  fanno  capo  rilevantissime  funzioni (ad
 esempio  come  ufficiale  di  governo  con  potere  di  adozione   di
 provvedimenti  contingibili ed urgenti in materia di sanita', igiene,
 edilizia e polizia locale). D'altra parte l'art. 15  legge  19  marzo
 1990  n.  55  (che  ha  dettato disposizioni per la prevenzione della
 delinquenza  di  tipo  mafioso)  ha  previsto  consimili  ipotesi  di
 ineleggibilita',  sospensione  e  decadenza  anche  dalle  cariche di
 presidente della giunta regionale e di assessore regionale.
      b) Non sussiste neppure la violazione dell'art.  51  Cost.,  che
 riserva  alla legge la determinazione dei requisiti di volta in volta
 necessari  per  l'ammissione  a  pubbliche  cariche  elettive;   tali
 requisiti  possono  anche  essere  negativi, quale quello (diretto ad
 assicurare  la  trasparenza  e  la  correttezza  dell'attivita'   del
 sindaco)  di  non  essere  incorso  in  una  sentenza irrevocabile di
 condanna per particolari tipi di reati.
    3. - Con ordinanza pronunciata nell'udienza  del  4  giugno  1991,
 questa   Corte   dichiarava   inammissibile,   per   tardivita',   la
 costituzione in giudizio della parte privata Charrey.
                         Considerato in diritto
    1. - Il Tribunale di Como ha sollevato questione  di  legittimita'
 costituzionale,  in  relazione  agli artt. 3 e 51 della Costituzione,
 dell'art. 6, ultimo capoverso, del d.P.R. 16  maggio  1960,  n.  570.
 Tale  norma  stabilisce  che  non puo' essere nominato sindaco chi ha
 riportato condanna superiore a sei  mesi  per  reato  commesso  nella
 qualita' di pubblico ufficiale o con abuso d'ufficio, e non inferiore
 a un anno per qualsiasi altro delitto.
    Secondo  la  prospettazione  del tribunale remittente, la norma si
 porrebbe  in  contrasto  con  l'art.   3   della   Costituzione   per
 ingiustificata  disparita'  di  trattamento rispetto ad altre cariche
 pubbliche  elettive  quali  quelle  di  deputato   o   senatore,   di
 consigliere  regionale,  provinciale  o  comunale: infatti in seguito
 all'art. 4 della legge 7 febbraio 1990,  n.  19,  che  ha  sostituito
 l'art.  166 del codice penale, la sospensione condizionale della pena
 si  estende  anche  alle  pene  accessorie  con  la conseguenza che i
 condannati per delitti che  comportano  l'interdizione  dai  pubblici
 uffici,  se  beneficiano  della  sospensione  condizionale, rimangono
 eleggibili alle cariche anzidette e, in linea generale,  a  qualsiasi
 altra  carica  pubblica; tuttavia in forza della norma censurata, che
 si configura come legge speciale, sono ineleggibili  alla  carica  di
 sindaco  e, se la condanna definitiva interviene successivamente alla
 elezione, incorrono nella decadenza ope legis dalla carica medesima.
    La irrazionalita' e  il  carattere  ingiustamente  discriminatorio
 della  norma  anzidetta  -  sempre  ad  avviso  del  giudice  a quo -
 concreterebbe anche una violazione dell'art. 51, primo  comma,  della
 Costituzione.
    2. - La questione non e' fondata.
    L'art. 6 del d.P.R. n. 570 del 1960 stabilisce che non puo' essere
 nominato   sindaco   chi   si   trova  in  una  serie  di  condizioni
 successivamente elencate, l'ultima delle quali consiste, come  si  e'
 detto,  nell'avere  riportato  condanna  per qualsiasi reato commesso
 nella qualita' di pubblico ufficiale o con  abuso  d'ufficio  ad  una
 pena  restrittiva  della  liberta'  personale  superiore  a sei mesi,
 ovvero per qualsiasi altro delitto, alla pena  della  reclusione  non
 inferiore ad un anno.
    Chi  si  trova  in  siffatta  condizione  viene pertanto ad essere
 colpito  da  una  vera  e  propria  incapacita'  legale  ad  assumere
 l'ufficio  di  sindaco,  incapacita'  che cessa soltanto in seguito a
 riabilitazione. Trattasi evidentemente di una legge speciale  che  si
 riferisce  ad una carica pubblica che e' si' elettiva, ma elettiva di
 secondo grado,  disciplinata  quindi  in  modo  distinto  e  autonomo
 rispetto  ai requisiti prescritti per la eleggibilita' alle Assemblee
 primarie cui si accede per elezione diretta, siano esse la Camera dei
 deputati e il Senato, ovvero  i  Consigli  regionali,  provinciali  e
 comunali.
    Tale  normativa  concernente  il sindaco risale molto indietro nel
 tempo, e, almeno per quanto riguarda l'ultimo capoverso dell'art.  6,
 e'   la   riproduzione   pressoche'  letterale  di  precedenti  testi
 legislativi. La si trova infatti nell'ultimo capoverso dell'art.  146
 del  Testo Unico approvato con regio decreto 4 febbraio 1915, n. 148,
 punto d'arrivo dell'elaborazione legislativa dello Stato liberale  in
 materia  di  comuni  e  province. Ma anche il Testo Unico della legge
 comunale e provinciale approvato con regio decreto 3  marzo  1934  n.
 383,  in  pieno  ventennio  fascista,  riproduce  all'art. 46, ultimo
 capoverso, n. 11 la medesima disposizione, naturalmente  riferita  al
 Podesta'  o  al Vice Podesta', che pure erano nominati dall'autorita'
 governativa (ministro dell'interno  o  prefetto),  di  guisa  che  si
 sarebbe  anche  potuto ritenere superfluo stabilire per legge in tali
 casi il divieto di nomina.
    Caduto   il   regime   autoritario,   il    decreto    legislativo
 luogotenenziale  7  gennaio  1946, n. 1, disponendo la ricostituzione
 delle  amministrazioni  comunali  su   base   elettiva,   ripristino'
 sostanzialmente,  nell'art. 7, l'art. 146 del Testo Unico del 1915. E
 identica norma e' rimasta nell'art. 6 del Testo Unico  approvato  (in
 seguito  a  delega  legislativa conferita dall'art. 21 della legge 24
 febbraio 1951, n. 84) con d.P.R. 5 aprile 1951,  n.  203,  riprodotto
 infine  in  identico tenore nell'art. 6 del Testo Unico approvato con
 d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570. Vale la pena poi di  sottolineare  che
 la  legge 23 aprile 1981, n. 154 che ha disciplinato organicamente la
 normativa  concernente  l'eleggibilita'  a   consigliere   regionale,
 provinciale, comunale e circoscrizionale, abrogando esplicitamente le
 disposizioni  precedenti,  nulla  ha  innovato per quanto riguarda le
 norme  sopraricordate  che  attengono  specificamente  ai   requisiti
 richiesti per essere eletto sindaco.
    3.  - Resta percio' confermato il carattere assolutamente speciale
 della normativa  anzidetta  che  costituisce  eccezione  alla  regola
 generale,  valida ugualmente in linea di principio per le elezioni di
 secondo grado, per cui chi e' elettore e' anche eleggibile.
    La  ragione  di  tale  speciale  disciplina  va  ricercata   nelle
 caratteristiche  particolari  che  contraddistinguono  la  carica  di
 sindaco.
    Infatti al sindaco sono attribuite, insieme  alle  importantissime
 funzioni propriamente attinenti alle competenze del comune quale ente
 di  autonomia  locale  (art.  36  della  legge  8 giugno 1990 n. 142:
 "ordinamento  delle  autonomie  locali"),   ulteriori   funzioni   di
 competenza statale, nell'esercizio delle quali il sindaco agisce come
 ufficiale    del    governo:    tali   funzioni   gia'   preesistenti
 nell'ordinamento dello Stato liberale (vedi il citato Testo Unico  n.
 148  del  1915)  sono  oggi  regolate dall'art. 38 della legge n. 142
 citata. Per apprezzare appieno l'importanza e la delicatezza di dette
 attribuzioni bastera' ricordare, fra quelle elencate nel citato  art.
 38,  la  disposizione  del  secondo comma concernente i provvedimenti
 contingibili e urgenti in materia di sanita' ed  igiene,  edilizia  e
 polizia  locale.  Ma  oltre  a  queste  vanno  menzionate le funzioni
 attribuite al sindaco da leggi speciali in  ordine  alla  tenuta  dei
 registri  di  stato  civile  e  di  popolazione,  agli adempimenti in
 materia elettorale, di leva militare e di statistica, in  materia  di
 pubblica  sicurezza e di polizia giudiziaria, ed altre menzionate nel
 predetto art. 38. Trattasi, come osserva l'Avvocatura dello Stato, di
 poteri che incidono direttamente sullo svolgimento delle attivita'  e
 sugli  interessi  primari  della comunita' locale. Ne deriva come non
 sia configurabile, sotto il profilo della disparita' di  trattamento,
 il  raffronto con altre cariche pubbliche elettive anche al piu' alto
 livello politico, per  le  quali  il  legislatore  si  e'  in  genere
 attenuto  al  principio secondo cui, salvo il requisito dell'eta' nel
 caso del Parlamento, l'elettorato passivo coincide  con  l'elettorato
 attivo.
    Per   le   medesime   considerazioni   attinenti   all'importanza,
 delicatezza e peculiarita' dei poteri  attribuiti  e  delle  funzioni
 esercitate  non  puo' nemmeno tacciarsi di irragionevolezza la scelta
 operata  dal  legislatore  di   mantenere   la   rigorosa   normativa
 preesistente  in  ordine  ai requisiti per l'eleggibilita' a sindaco,
 nonostante sia stata effettuata  direttamente  o  indirettamente  una
 revisione  "liberalizzatrice"  in  materia  di  godimento del diritto
 all'elettorato attivo, e  conseguentemente  anche  passivo  (vedi  in
 proposito  la legge 22 maggio 1980 n. 193 che ha abrogato il numero 7
 del primo comma dell'art. 2 del Testo Unico delle leggi recanti norme
 per la disciplina dell'elettorato attivo,  approvato  con  d.P.R.  20
 marzo  1967  n. 223 e la legge 7 febbraio 1990 n. 19, gia' ricordata,
 che con l'art. 4 ha sostituito l'art. 166 del codice penale).
    Si  deve  pertanto  concludere  che  nella  norma  in esame non e'
 ravvisabile alcuna violazione dell'art. 3 della Costituzione.
    4.  -  Quanto  al  secondo  profilo  prospettato   dal   tribunale
 remittente,   vale  a  dire  l'incostituzionalita'  della  norma  per
 contrasto con l'art. 51  della  Costituzione,  le  argomentazioni  in
 precedenza svolte valgono ad escluderne la fondatezza.
    Invero,   una  volta  riconosciuto  che  le  limitazioni  speciali
 previste per escludere l'eleggibilita' a sindaco  di  chiunque  abbia
 riportato condanne per determinati reati a determinate pene detentive
 non   costituiscono  una  ingiustificata  disparita'  di  trattamento
 rispetto  ad  altre  cariche  elettive  non  comparabili,  ne'   sono
 caratterizzate  da  irragionevolezza,  ne  consegue  che  le predette
 limitazioni non contraddicono nemmeno l'art. 51  della  Costituzione.
 E'  infatti insegnamento costante di questa Corte che, fermo restando
 essere l'eleggibilita' la regola e l'ineleggibilita' l'eccezione,  la
 legge  che  determina  i  requisiti necessari, sia in positivo che in
 negativo,  non  e'   censurabile   sul   piano   della   legittimita'
 costituzionale,  purche' le cause di ineleggibilita' in rapporto alle
 diverse cariche rispondano a motivi di  pubblico  interesse  e  siano
 contenute  in  limiti  razionali: non puo' dirsi sicuramente che tali
 canoni non siano stati rispettati dalla norma in esame.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  6,  ultimo  capoverso,  del  d.P.R.  16 maggio 1960 n. 570
 (Testo Unico delle leggi per la  composizione  e  la  elezione  degli
 organi delle Amministrazioni comunali) sollevata, in riferimento agli
 artt.   3  e  51  della  Costituzione,  dal  Tribunale  di  Como  con
 l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 19 giugno 1991.
                         Il Presidente: GALLO
                          Il redattore: FERRI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 5 luglio 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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