N. 470 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 febbraio 1991

                                  N. 470
 Ordinanza emessa il 6 febbraio 1991 dal tribunale militare di Padova
         nel procedimento penale a carico di Girotto Giovanni
 Reati militari - Mancanza alla chiamata - Punibilita' anche se la
    omessa  presentazione  sia dovuta all'erronea convinzione da parte
    dell'imputato, determinata da errate comunicazioni  dell'autorita'
    militare, di non essere tenuto a presentarsi ma di dover attendere
    l'esito  del concorso per il centoquarantesimo corso di a.u.c. per
    il quale aveva presentato domanda - Prevista inescusabilita' della
    ignoranza di norme concernenti i doveri  dello  stato  militare  -
    Contrasto  con  il  principio affermato dalla Corte costituzionale
    (sentenza n. 364/1988) secondo il quale l'ignoranza inevitabile ha
    efficacia scriminante - Ingiustificata disparita'  di  trattamento
    con  incidenza  sui diritti di liberta' e sui principi democratici
    cui risulta ispirato l'ordinamento delle Forze armate.
 (C.P.M.P., artt. 39, in relazione al c.p., art. 5).
 (Cost., artt. 2, 3, 13, 25, 27 e 52).
(GU n.28 del 17-7-1991 )
                         IL TRIBUNALE MILITARE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nella  causa  contro  Girotto
 Giovanni,  nato  il 3 agosto 1969 ad Anguillara Veneta (Padova), atto
 di nascita n. 53/I/A, residente ad Anguillara Veneta in via Bonomi n.
 18, celibe, incensurato, studente; recluta nella  scuola  artiglieria
 di  Bracciano (Roma), ora s.ten in servizio presso la scuola militare
 di paracadutismo di Pisa, libero imputato di mancanza  alla  chiamata
 (art. 151, primo comma, del c.p.m.p.) perche', chiamato alle armi per
 adempiere  il  servizio di ferma con cartolina precetto notificatagli
 il 6 aprile 1990 ed assegnato alla scuola militare  di  paracadutismo
 di  Pisa,  ove  doveva  presentarsi  in  data  21 aprile 1990, non si
 presentava sotto tale data al suddetto reparto senza  giusto  motivo,
 ne' lo faceva nei cinque giorni successivi, presentandosi poi solo in
 data 23 maggio 1990 al distretto militare di Padova.
                            FATTO E DIRITTO
    Il  sottotenente  Girotto  Giovanni  nell'odierno  dibattimento ha
 dichiarato  di  non  essersi  presentato  alla  scuola  militare   di
 paracadutismo  di  Pisa  il  21  aprile  1990, come prescrittogli con
 cartolina-precetto (f.5), e di essersi invece presentato solamente il
 23 maggio, a causa di erronea conoscenza della normativa militare.
    Il 5 aprile gli era stata effettivamente  notificato  il  precetto
 personale  che  gli stabiliva come data di assunzione del servizio il
 21 aprile. Ma un paio di giorni dopo gli era giunta una comunicazione
 (f.7) del distretto militare di Padova, con la quale lo si  informava
 che  era risultato "idoneo ma non ammesso per ragioni di graduatoria"
 al 139º corso a.u.c.  (allievo  ufficiale  di  complemento);  che,  a
 seguito  di  domanda da presentarsi entro il 18 aprile, sarebbe stato
 incluso, senza bisogno di ulteriori accertamenti, tra  i  concorrenti
 per  la  partecipazione  al  140º  corso  a.u.c.;  che,  infine,  era
 interessato alla chiamata con il 3º scaglione 1990 con  l'obbligo  di
 intraprendere  il  servizio  il  21  aprile. Il 10 aprile aveva fatto
 pervenire la detta domanda al distretto militare di Padova e  si  era
 poi recato presso quel comando per informarsi sul rapporto tra questa
 sua  istanza  e  l'obbligo  di  presentarsi  al reparto di Pisa il 21
 aprile. Nell'occasione, gli era stato detto  di  rimanere  presso  la
 propria residenza in attesa dell'esito del concorso per il 140º corso
 a.u.c.  Il  23  maggio,  a  seguito di specifica convocazione, si era
 presentato  al  ten.  col.  De  Fazio  Adamo,  preposto   all'ufficio
 reclutamento del distretto militare, che gli aveva chiesto le ragioni
 della sua mancata presentazione il 21 aprile al reparto di Pisa. Dopo
 che  aveva  esposto  la  sua  convinzione di dover rimanere in attesa
 dell'esito del concorso per il 140º corso a.u.c., l'ufficiale l'aveva
 bene informato circa il suo obbligo militare, e  particolarmente  nel
 senso  che,  per  la  vigente  normativa,  solo  una prima domanda di
 partecipazione al corso a.u.c., ma non anche  una  seconda,  sospende
 l'obbligo  di  rispondere  alla  normale  chiamata  alle  armi.  Cio'
 appreso, subito intraprendeva il  viaggio  per  Pisa,  dove  assumeva
 servizio nella stessa giornata del 23 maggio.
    Il  ten.  col.  De  Fazio,  esaminato  in  qualita'  di  teste, ha
 confermato  la  circostanza  del  colloquio  del  23  maggio  e   che
 nell'occasione   il   Girotto  aveva  effettivamente  detto  di  aver
 ritenuto, per informazioni assunte in  precedenza  presso  lo  stesso
 distretto  militare,  di  dover  attendere  nella  propria  residenza
 l'esito della seconda istanza per la partecipazione al corso  a.u.c.,
 senza essere immediatamente obbligato a presentarsi alle armi.
    Il  pubblico ministero, osservando che l'errore in cui e' in corso
 l'imputato e' irrilevante a norma dell'art. 39 c.p.m.p.,  ha  chiesto
 la condanna.
    La difesa ha concluso con la richiesta di assoluzione per mancanza
 di  dolo,  e in subordine ha eccepito l'illegittimita' costituzionale
 dello stesso art.  39,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  27  della
 Costituzione.
    Questo  tribunale,  per  poter giungere ad una sicura conclusione,
 dovrebbe esaminare anche il teste Napolione Alessandro gia'  indicato
 nella  lista  testimoniale  del  pubblico  ministero  ma non comparso
 nell'odierno dibattimento, il quale verrebbe  a  riferire  sul  primo
 colloquio  avvenuto  con il Girotto nei locali del distretto militare
 di   Padova.   E   questo   completamento  dell'indagine,  in  merito
 all'erronea  informazione  che  nell'occasione  sarebbe  stata  data,
 potrebbe  riuscire  veramente  utile,  dal momento che il testo della
 succitata comunicazione pure proveniente dal  distretto  militare  di
 Padova  presenta,  sul problema del rapporto tra una nuova domanda di
 ammissione al corso a.u.c. e l'obbligo di rispondere  alla  chiamata,
 un'innegabile  oscurita'  che il "comunque sia" contenuto nell'ultimo
 capoverso non riesce a superare.  D'altronde,  a  favore  della  tesi
 dell'errore  sta  anche  la  circostanza  che il Girotto non ha posto
 alcun ritardo alla presentazione al reparto di Pisa dopo che il  ten.
 col.  De  Fazio gli aveva compiutamente chiarito il contenuto del suo
 obbligo militare.
    Tuttavia, prima di disporre il nuovo mezzo di prova (art. 507  del
 c.p.p.),  preliminarmente  si  deve  stabilire  quale  sia  la natura
 dell'errore prospettato dall'imputato con le sue dichiarazioni, e  se
 esso  veramente  rientri  tra  i  dati  di  rilievo nell'accertamento
 dell'elemento soggettivo del reato.
    Secondo le surriferite discolpe, l'omessa presentazione alle  armi
 in data 21 aprile 1990 e' stata determinata dall'erronea convinzione,
 a sua volta cagionata da erronee comunicazioni dell'autorita', di non
 essere  tenuto  a  presentarsi immediatamente alle armi, e percio' da
 ignoranza della vigente normativa secondo cui solo una prima  domanda
 di  ammissione ad un corso a.u.c., ma non anche una seconda, sospende
 l'obbligo di rispondere alla normale chiamata  alle  armi;  normativa
 che, secondo quanto comunemente si afferma in giurisprudenza per casi
 analoghi,  vale ad integrare non gia' il fatto costitutivo del reato,
 bensi' il precetto penale dell'art. 151 del c.p.m.p.
    L'art. 39 del c.p.m.p., per cui "Il militare non puo'  invocare  a
 propria scusa l'ignoranza dei doveri inerenti al suo stato militare",
 vale  ad escludere ogni rilievo all'ignoranza di norme del genere, la
 quale invece sarebbe attualmente ammessa  a  norma  dell'art.  5  del
 c.p.,  come  modificato con la sentenza della Corte costituzionale n.
 364/1988,  alle  condizioni  nella  medesima  precisate.  Del  resto,
 proprio  al  disposto  dell'art. 39, che non riguarda piu' (a seguito
 della sentenza n. 325/1989 della Corte costituzionale) i  "doveri  in
 concreto",  ma solamente i "doveri in astratto" si e' sempre riferita
 la giurisprudenza per negare in radice ogni  possibile  rilievo  alla
 non   conoscenza   della   normativa   riguardante   l'obbligo  della
 presentazione alle armi, e piu' in generale di ogni norma legislativa
 o  regolamentare  o  subregolamentare  che  configuri  con  un  certo
 contenuto un dovere dello stato militare.
   Pertanto,  nonostante  l'imputato nell'esercizio del suo diritto di
 difesa si sia discolpato allegando  di  non  conoscere  che  era  suo
 dovere  presentarsi immediatamente alle armi, sulla base dell'art. 39
 non si puo' in alcun modo prendere in esame le varie  risultanze  sul
 punto,  e  nemmeno  eventualmente  chiedersi  se  si  sia trattato di
 ignoranza inevitabile, secondo i criteri enunciati nella gia'  citata
 sentenza  della  Corte costituzionale n. 364/1988. Tanto meno sarebbe
 consentito disporre ex art. 507 del c.p.p. la citazione di  Napolione
 Alessandro, altro testimone dei contatti tra l'imputato e l'autorita'
 militare.
    In  definitiva,  ancora  una  volta questo tribunale dovrebbe dare
 applicazione,  gia'  in  questa  fase,  all'art.  39,  che,  come  ha
 prospettato  in numerose precedenti ordinanza, considera in contrasto
 con principi della Costituzione.
    A  seguito  della  citata  sentenza  della Corte costituzionale n.
 325/1989, che ha dichiarato (peraltro con il blando  strumento  della
 decisione  interpretiva  di  rigetto)  la rilevanza in tema di doveri
 dello stato militare di ogni  errore  riconducibile  alla  previsione
 dell'art. 47 del c.p., il problema dell'incostituzionalita' dell'art.
 39  si  pone  attualmente solo in riferimento all'art. 5 del c.p. Del
 resto, proprio sotto questo profilo nel presente  giudizio  viene  in
 considerazione la speciale norma penale militare.
    Non  si  vede,  anzitutto,  quali  valide  giustificazioni possano
 prospettarsi a sostegno dell'attuale disciplina,  che,  mentre  ormai
 prevede  l'accennata  eccezione al principio dell'inescusabilita' del
 caso di ignoranza della legge penale e  della  legge  extrapenale  in
 genere che ad essa dia integrazione, ancora contempla un'inderogabile
 ed intransigente inescusabilita' quando si tratti di norma fondante i
 doveri  militari,  e  che nel contempo, come nella specie, alla legge
 penale dia integrazione. La diversita' di trattamento,  che  opera  a
 danno  del  militare,  di  certo non potrebbe trovare giustificazione
 nella   considerazione   che   con    l'art.    39    il    principio
 dell'inescusabilita' viene a riguardare una normativa che, per essere
 quella  del proprio stato militare, comunque non puo' essere ignorata
 incolpevolmente. Questa considerazione puo' forse applicarsi a status
 personali e professionali acquisiti per libera scelta e il piu' delle
 volte dopo lunga e specifica preparazione, ma non alla situazione del
 militare che tale qualita' assume automaticamente per il sol fatto di
 essere chiamato alle armi, e senza che sia necessaria una  preventiva
 istruzione  e  nemmeno,  come e' avvenuto per il Girotto, l'effettiva
 presentazione alle armi (art. 3, primo comma, n. 2, del c.p.m.p.).
    Ma, anche recependo l'istanza di una maggiore severita' in  quanto
 attiene  alla  conoscenza  dei  doveri  del  proprio  stato,  non  si
 comprende  come  in  questo  modo   si   debba   pervenire   ad   una
 giustificazione  della  norma  dell'art.  39 e di eventuali altre del
 genere. Non essendo infatti possibile escludere che anche  in  questo
 campo  abbiano  a  verificarsi  situazioni  di ignoranza incolpevole,
 l'esigenza  di  un  maggior  rigore  puo'  comportare  solamente   un
 corrispondente     piu'    rigoroso    criterio    di    accertamento
 dell'inevitabilita' dell'ignoranza, ma non una deroga alla norma  che
 all'ignoranza inevitabile conferisce rilievo scusante.
    Di  recente  si  e' sostenuto che sarebbe la "fondamentalita'" dei
 doveri dello stato militare a giustificare l'inescusabilita' di  ogni
 errore  e  difetto di conoscenza al riguardo. L'argomentazione, se si
 vuole riferire ai contenuti di siffatti doveri, non muove da corrette
 premesse,  in  quanto  i  doveri  dello  stato  militare   richiamati
 dall'art.  39  non  sono  cosi'  generici da sconfinare nell'eticita'
 (difendere la Patria, prestare servizio militare, essere fedeli  alla
 Repubblica,  ubbidire  ai  superiori,  ecc.) e da non potersi nemmeno
 concepire un'ignoranza in merito, bensi', come anche nella specie  si
 e' visto, specifici al punto da assumere contenuto sulla base di pos-
 itive ed articolate norme legislative e regolamentari.
    Se,  invece,  ci  si riferisce alla fondamentalita' dei valori che
 con   l'imposizione   di   tali   doveri   si   intendono   tutelare,
 l'argomentazioneappare   senz'altro   degna   delle   concezioni  del
 Legislatore del 1941 (il quale per l'appunto con l'art. 39  intendeva
 offrire  al  giudice  lo  strumento  per  condannare  anche in deroga
 all'art.  47  del  c.p.  pur  in difetto dell'elemento soggettivo del
 reato), ma non piu' ammissibile alla luce della Costituzione.
    Si e', dunque, innanzitutto in  presenza  di  una  violazione  del
 principio   di   uguaglianza  (art.  3  della  Costituzione).  Ma  e'
 altrettanto evidente che, come a suo tempo l'art. 5 del  c.p.,  cosi'
 l'art.  39  del  c.p.m.p.,  che  consente  l'affermazione  di  penale
 responsabilita'  sulla  base  di  un  dolo  in  parte   fittiziamente
 determinato  ed  anche  quando  non  sia  stato trasgredito il dovere
 strumentale di prendere conoscenza dei doveri dello  stato  militare,
 non  puo'  non  apparire in contraddizione anche con l'art. 27, primo
 comma, e, come taluno mette  in  rilievo,  con  lo  stesso  art.  25,
 secondo  comma,  della  Costituzione,  in  ragione  di un particolare
 corollario del principio di legalita', che  riafferma  quella  stessa
 esigenza che sta alla base del principio dell'art. 27, primo comma.
    Il  militare,  per l'intensita' dei suoi doveri politici (articoli
 52, primo e secondo comma, e 54, secondo comma  della  Costituzione),
 appare  intensamente  collegato  all'ordinamento  giuridico  ed  alle
 istituzioni, piu' di quanto non avvenga per il  cittadino  qualsiasi.
 Ma  cio' non puo' legittimare una responsabilita' penale sui generis,
 quale ora si configura per la vigenza dell'art. 39 del c.p.m.p. Anzi,
 non v'e' dubbio che  nemmeno  sotto  questo  profilo  possano  subire
 particolari deroghe i suoi fondamentali diritti di liberta' (articoli
 2  e  13  della Costituzione), del resto posti alla base dello stesso
 ordinamento militare (art. 52, terzo comma, della Costituzione).
    In definitiva, ancora una volta questo  tribunale  deve  sollevare
 questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 39 del c.p.m.p.,
 in riferimento all'art. 5 del c.p., in relazione agli articoli 2,  3,
 13,  25  secondo  comma,  27,  primo  comma  e 52, terzo comma, della
 Costituzione.
                                P. Q. M.
    Letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara non manifestamente infondata e rilevante la questione  di
 legittimita'  dell'art.  39  del c.p.m.p. in relazione all'art. 5 del
 c.p. in riferimento agli articoli 2, 3, 13, 25,  secondo  comma,  27,
 primo comma e 52, terzo comma, della Costituzione;
    Dispone  la  sospensione  del procedimento e la trasmissione degli
 atti alla Corte costituzionale;
    Dispone che l'ordinanza sia notificata alle Parti e al  Presidente
 del  Consiglio  dei  Ministri e comunicata ai Presidenti dei due rami
 del Parlamento.
      Padova, addi' 6 febbraio 1991
                    Il presidente estensore: ROSIN
                                Il collaboratore di cancelleria: DARIO
 91C0872