N. 484 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 marzo 1991

                                N. 484
     Ordinanza emessa il 9 marzo 1991 dal giudice per le indagini
            preliminari presso il tribunale per i minorenni
     di Catania nel procedimento di sorveglianza nei confronti di
                           Bonaccorsi Pietro
 Processo penale - Procedimento a carico di minorenne - Custodia
    cautelare  richiesta  "in via esclusiva" dal p.m.m. - Possibilita'
    per il giudice di disporla o di rimettere in liberta' l'imputato -
    Impossibilita' di applicare al minore una  misura  piu'  idonea  -
    Irragionevole egual trattamento di situazioni diverse - Violazione
    dell'obbligo    di    corretta   motivazione   dei   provvedimenti
    giurisdizionali - Lesione del principio di soggezione del  giudice
    alla  sola legge - Limitazione della liberta' personale del minore
    disposta con provvedimento  motivato  in  modo  contraddittorio  o
    apparente  -  Lesione di principi della legge delega - Limitazione
    del potere giurisdizionale dell'organo giudicante.
 (D.Lgs. 14 gennaio 1991, n. 12, art. 12).
 (Cost., artt. 3, 13, 70, 76, 101, 102 e 111; legge 16 febbraio 1987,
    n. 81, artt. 2, n. 59, e 7).
(GU n.28 del 17-7-1991 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Esaminata  la  richiesta  del  p.m.  in  data  5  marzo  1991   di
 applicazione  della  misura della custodia cautelare nei confronti di
 Bonaccorsi Pietro, nato a Catania il  21  maggio  1973,  residente  a
 Catania, in via Castagnola n. 14, scala N;
                             O S S E R V A
    Il Bonaccorsi risulta indagato per i seguenti reati, che sarebbero
 stati commessi il 5 febbraio 1991:
       a) porto illegale, in concorso con i maggiorenni Messina Santo,
 Scuderi  Pasquale  e  Saia  Daniele,  di  una pistola semiautomatica,
 calibro 9 corto, con matricola abrasa e munizionata;
       b)  porto  di  arma  clandestina,  in  concorso  come  sub  A),
 dovendosi  cosi'  ritenere la predetta pistola, ai sensi dell'art. 23
 della legge n. 110/1975;
       c) ricettazione, in concorso come sub  A),  della  Fiat  Ritmo,
 originariamente  targata  CT-617114  (cui  era stata apposta la targa
 CT-521471),   di   provenienza   illecita,   perche'   sottratta   al
 proprietario, Moschetto Antonio;
       d)  furto pluriaggrvato ai sensi dei numeri 5 e 7 dell'art. 625
 del c.d., in concorso come sub A), della targa  CT-521471,  sottratta
 all'autovettura Fiat Ritmo di proprieta' di Licciardello Salvatore.
    Gli  indizi  di  colpevolezza  esposti  dal  p.m.  appaiono gravi;
 invero, il Bonaccorsi fu trovato dai cc. operanti a casa del Messina,
 con capo e mani escoriati e vistose tracce  di  erba  e  terra  sugli
 indumenti;  in seguito all'inseguimento, la Fiat Ritmo degli indagati
 si era capovolta e mentre due degli occupanti fuggivano,  i  militari
 riuscivano  ad arrestare solo il Saia; i due fuggitivi e' da ritenere
 debbano identificarsi nello Scuderi (bloccato, avviate le  primissime
 ricerche)  e  nel  Bonaccorsi,  che trovo' rifugio (con le tracce sul
 proprio  corpo  dell'incidente  appena   prima   occorsogli)   presso
 l'abitazione  del Messina, che abitante nello stesso condominio dello
 Scuderi (a casa del quale i militari s'erano prontamente  recati  per
 perquisizione),  aveva  avuto  appena il tempo di lasciare davanti al
 portone di ingresso la Fiat 126 (ancora col motore caldo e lo  stereo
 acceso)  con la quale seguiva la Ritmo dei suoli complici; l'arma, fu
 rinvenuta celata nel tettuccio della Ritmo.
    La  personalita'  del  Bonaccorsi  (ormai  prossimo  alla maggiore
 eta'),  il  quale  annovera  numerosi  precedenti  giudiziali  e   le
 modalita'  del  fatto  (assai  grave  in  se',  ma  che  appare  come
 propedeutico ad una intrapresa malavitosa di notevole pericolosita' -
 nella Fiat sono stati rinvenuti due cappucci di lana, il cui uso  per
 travisamento  e'  notorio  -),  inducono  questo  giudice  a valutare
 sussistente il concreto pericolo delineato dalla  let.  c)  dell'art.
 274, del c.p.p. e prospettato dal p.m.
    L'art.  23 del d.P.R. n. 448/1988, cosi' come sostituito dall'art.
 42 del d.lgs. n. 12/1991, consentirebbe custodia cautelare a riguardo
 del fatto indicato sub D) e non anche di quello sub A), come ritenuto
 dal p.m., poiche' trattandosi del porto di una sola arma non  ricorre
 l'ipotesi   di  cui  alla  let.  g)  dell'art.  380,  secondo  comma,
 richiamata dall'art. 23 citato e d'altronde la pena  nel  massimo  si
 colloca  al  di sotto del limite generale posto da quest'ultima norma
 per la irrogabilita' della custodia cautelare.
    Tuttavia ritiene questo  giudice,  confermando  orientamento  gia'
 espresso  (ord.  del 19 febbraio 1991 nel proc. n. 171/1991 reg. n.r.
 p.m.), che la nuova formulazione del citato art. 23 non puo'  trovare
 applicazione  riguardo  a  fatti  accaduti prima della sua entrata in
 vigore (trentesimo giorno successivo alla avvenuta pubblicazione - 16
 gennaio 1991 - nella Gazzetta Ufficiale.
    Il reiterarsi di  richiesta  da  parte  dell'accusa,  impone,  pur
 breve,  sunteggiamento  delle ragioni di tale opinare (in buona parte
 ritenute implicite nell'altra occasione).
    1. - Il cd. principio tempus  regit  actum  -  che  non  ha  alcun
 fondamento costituzionale -, al contrario di quanto possa apparire ad
 una  osservazione  non adeguatamente penetrante, non contrasta con la
 disposizione di cui all'art. 11 delle preleggi, la quale  dispone  la
 generale  regola  di  civilta'  che  la  norma  (salvo  le  eccezioni
 consentite)  debba  disporre  per  l'avvenire,  ma  ne  e',  di  esso
 principio,  esplicitazione:  l'atto  che  si  compie oggi e' regolato
 dalle leggi di  oggi.  Cio'  implica,  alcune  volte,  che  un  fatto
 avvenuto  ieri,  ove  si  abbia  necessita' di compiere un atto o una
 serie di atti funzionalmente collegati (processo)  venga  "trattato",
 quanto  a procedura con le norme vigenti (com'e' ovvio che sia). Cio'
 non significa,  come  erroneamente  puo'  semplificarsi,  che  questo
 effetto - indiretto, quasi casuale - per misteriosa sua forza interna
 sussuma  a  principio  generale  che  tutto  travolge, ineluttabile e
 inarrestabile, pur  in  presenza  di  segni  normativi  opposti,  che
 proprio per il fatto di esistere ne comportano contenimento.
    2.  -  Proprio  a risolvere tali conflitti (quindi, ben possibili)
 sono volte le c.d. norme transitorie (cosi' fino alle ultime  di  cui
 agli artt. 241 e segg. del d.lgs. n. 271/1989, che hanno accompagnato
 il  nuovo  codice  di  procedura  penale)  o espresse disposizioni di
 legge, inserite in nuove norme processuali (si veda ad es. l'art.  11
 della   legge   n.   152/1975).   Nel  silenzio,  il  limite  ad  una
 interpretazione retroattiva (nel senso che s'e' detto) si rinviene  a
 riguardo  di  quegli  effetti  della  legge  del tempo dell'atto, che
 esorbitano   la   mera   predisposizione   delle   nuove    modalita'
 procedimentali,  finendo  con l'incidere sui diritti sostantivi. Cio'
 e' notissimo in dottrina (e' una idea radicata e  antica  che  risale
 all'ottocento,  giungendo per i migliori autori, fino agli studi piu'
 recenti).
    3.  -  La  questione,  a  ben  vedere,  e' assai diversa da quella
 affrontata dalla corte costituzionale con  sentenza  n.  15/1982.  In
 quella  ipotesi fu sollevata questione di costituzionalita' dell'art.
 11 del d.-l. 15 dicembre 1979, n. 625, convertito, con modificazioni,
 nella legge 6 febbraio 1980, n. 15, il quale  dichiarava  applicabile
 l'aumento  dei  termini massimi della custodia preventiva, introdotto
 per taluni  delitti  dall'art.  10  stesso  decreto-legge,  anche  ai
 procedimenti  in  corso  alla  data di entrata in vigore del decreto-
 legge.
    In sostanza, si trattava di vagliare la legittimita' di norma  che
 espressamente   dava   efficacia   retroattiva   ad  un  aggravamento
 "quantitativo" di regime cautelare,  gia'  previsto  per  determinati
 fatti.
    Pur  non  condividensosi,  nel  complesso, le argomentazioni della
 Corte, la quale  per  ragioni  di  politica  criminale  ("l'emergenza
 terrorismo") non valorizzo' la natura non solo extraprocessuale delle
 misure  cautelari  -  cosi'  smentendo sua stessa giurispredenza (nn.
 17/1974 e 1/1980), della Cassazione (almeno fino al  1974),  radicata
 opinione  dottrinaria,  solidi  appigli  ai  lavori preparatori della
 Costituzione e la stessa relazione al re sulle norme di attuazione  e
 transitorie  del codice di procedura penale abrogato -, il richiamo a
 detta pronuncia non e' pertinente. Nel caso in esame non si tratta di
 dubitare della costituzionalita' di una norma; nel qual caso una sola
 via  avrebbe  questo  giudice:  quella  di  sollevare  questione   di
 costituzionalita'.   Ma,   di   vedere   se,   oggi,  il  p.m.  possa
 legittimamente richiedere l'applicazione della misura cautelare  piu'
 restrittiva  che  un  ordinamento civile possa prevedere (la custodia
 cautelare) per un fatto, commesso in un tempo nel quale  l'erogazione
 di una simile misura non era consentita.
    4.  -  Cioe', si tratta di sciogliere uno di quei conflitti di cui
 si e' accennato sub 2).
    Ritiene questo giudice che  non  possa  negarsi  la  natura  anche
 extraprocessuale  delle  misure  cautelari,  specie  a riguardo della
 ipotesi di cui alla lett. c)  dell'art.  273  del  c.p.p.  Ne'  possa
 negarsi  la  estrema afflittivita' della custodia cautelare (specie a
 riguardo di un minorenne,  per  il  quale  e'  cautela  assolutamente
 residuale); di talche' chi si ponga, in illecito, non solo deve poter
 conoscere  la  sanzione (pur in astratto) che lo aspetta, ma anche la
 misura cautelare (pur in astratto) che gli e' applicabile.
    Ora, mentre  un  aggravamento  solo  "quantitativo"  della  misura
 cautelare,  pur  arrecandogli pregiudizio incide sull'"impoderabilia"
 della durata, la previsione del carcere (perche' di questo si tratta)
 in attesa di giudizio, e' fatto qualitativamente del  tutto  diverso,
 conoscendo la possibilita' del quale si sarebbe anche potuto astenere
 dal delinquere.
    In   conclusione,   in   assenza  di  norma  transitoria  ad  hoc,
 l'applicazione  della  legge  del  tempo   dell'atto   trova   limite
 invalicabile,  a  riguardo  dei suoi effetti sostantivi, nell'art. 2,
 terzo comma, del c.p., 13, secondo comma, e 25, secondo comma,  della
 Costituzione:
       a)  la  misura  cautelare  vien  computata  in  pena espiata e,
 pertanto, ha chiara natura penale e, comunque, afflittiva -  art.  2,
 terzo comma, del c.p. -;
       b)  non  appare  logico  ammettere  restrizioni  alla  liberta'
 personale con modalita' non consentite al tempo del fatto - art.  13,
 secondo comma, della Costituzione -;
       c)  sarebbe  facile  eludere  il  principio  nullum crimen sine
 proevia  lege,  intraducendosi  nell'ordinamento,  ad   es.,   misure
 cautelari  estreme,  per fatti blandamente puniti, delle quali poi si
 chiederebbe, magari dopo mesi (conservandosi gelosamente  la  segreta
 minaccia)  la  irrogazione  ora  per allora - art. 25, secondo comma,
 della Costituzione -.
    Le svolte  ragioni  implicano  il  rigetto  della  chiesta  misura
 cautelare avanzata in via esclusiva, poiche' inammissibile.
    La  formulazione  attuale  dell'art.  291  del c.p.p., impedisce a
 questo giudice di far applicazione della misura del  collocamento  in
 comunita',  che,  invece,  per quanto gia' svolto si appalesa cautela
 processuale necessaria, adeguata e proporzionale.
    Detta formulazione (introdotta dall'art. 12 del d.lgs. n. 12/1991)
 nella parte in cui impedisce al giudice di applicare misura cautelare
 meno grave, ove il p.m. ha richiesto  in  via  esclusiva  determinata
 misura,   suscita   dubbi  di  costituzionalita'  non  manifestamente
 infondati.
    Invero, il primo comma-  bis,  dell'art.  291  del  c.p.p.  impone
 l'irriducibile  dilemma  di  adeguarsi  alla vincolante richiesta del
 p.m., ledendo il diritto di liberta del  sottoposto  ad  indagini,  o
 rigettare  tout  court  ogni  cautela processuale, ledendo il diritto
 dello Stato di gingere a giusta decisione in ordine alla colpevolezza
 (art. 274, let. a), o a eseguire la  eventuale  condanna  (art.  274,
 let. b), o mettendo in pericolo l'interesse della collettivita' a non
 essere nuovamente aggredita dall'indagato durante il tempo occorrente
 per il processo (art. 274, let. c).
    Questione  di costituzionalita' sul punto risulta esser gia' stata
 sollevata da questo tribunale per i minorenni, in funzione di giudice
 del riesame (ord. del  28  febbraio  1991),  con  argomenti  che  qui
 integralmente   si  condividono,  pur  apparendo  alcuno  d'essi  non
 rilevante nella fattispecie e pertanto non richiamabile.
    Poiche', come s'e' detto, si appalesa necessario far  applicazione
 di una misura cautelare diversa da quella richiesta per via esclusiva
 dal  p.m.  (che  e'  inammissibile)  e  la norma indicata vieta detta
 applicazione in maniera tassativa, di talche' non si  possa  decidere
 prima  di  verificare  la  costituzionalita'  della  detta  norma, la
 questione e' rilevante.
   Ne' puo' trovare applicazione la  formulazione  dell'art.  291  del
 c.p.p.,  ante  riforma  operata  dal  d.lgs.  14 gennaio 1991, n. 12,
 dovendo  farsi  applicazione  della  norma  oggi  vigente,  cui   non
 contrastata  alcun segno normativo che ne riduca vigenza solo a fatti
 accaduti dopo la sua entrata in vigore (come al contrario s'e'  detto
 per  quelle  disposizioni  che,  pur  strumentali,  producono effetti
 sostantivi).
     A) Contrasto con  l'art.  3,  primo  comma,  della  Costituzione,
 poiche'  la  richiesta  vincolante del p.m. costringe il giudice, ove
 non  possa  (come  nella   specie)   o   non   ritenga   adeguato   e
 approporzionato  per  applicazione  della misura proposta dal p.m., a
 negare l'erogazione di altra  misura  meno  grave,  che  pur  ritiene
 necessaria: cosicche', situazioni anche profondamente diverse (quella
 di  colui il quale abbisogna di misura e quella di colui il quale non
 ne   abbisogna   affatto)   finiscono   irragionevolmente  per  avere
 trattamento uniforme in violazione del principio di eguaglianza.
     B) Contrasto con l'art. 3, primo comma, della Costituzione, sotto
 il profilo della irragionevolezza "in quanto  costringe  il  giudice,
 nei  casi  come quello che e' oggetto di esame, o ad applicare misura
 non consentita, o a non applicarne  nessuna,  nonostante  l'accertata
 necessita';  e in quanto gli toglie, in ogni caso, la possibilita' di
 potere applicare misura ammissibile, necessaria e congrua".
     C) Contrasto con l'art. 111, primo comma, della Costituzione.  La
 denunciata  norma  elude  l'obbligo  di motivazione dei provvedimenti
 giurisdizionali: "laddove una motivazione effettiva essa norma  rende
 impossibile,  in casi come quello in esame. Se infatti il motivare e'
 render percettibile il rapporto  tra  la  voluntas  e  la  ratio,  il
 giudice, obbligato ad adottare un provvedimento diverso da quello che
 una  corretta  deduzione  gli  suggerisce,  puo' esporre, non gia' le
 ragioni per cui vale ma quelle per le queli non  dovrebbe  valere;  e
 insomma  non puo' che illustrare l'irragionevolezza della violazione,
 alla quale,  coactis  accede.  Null'altro  egli  puo'  enunciare  che
 giustifichi  la  statuizione se non il mero fatto della richiesta del
 p.m. e della norma, che lo ha spogliato della possibilita' di  essere
 della richiesta stessa, giudice". Ne', a proposito della norma che ci
 occupa  puo'  valere  l'osservazione  che si coglie nella sentenza n.
 313/1990  della  Corte  costituzionale  a  proposito  dell'art.  444,
 secondo  comma, del c.p.p. Quest'ultima norma, infatti, lascia un pur
 modesto  spazio,  nel  quale  ha  senso  motivare  (in  ordine   alla
 qualificazione  giuridica del fatto e alla sussistenza e ponderazione
 delle  circostanze),  anche  al  di  la'  dell'intervento  "creativo"
 operato dalla Corte costituzionale con la predetta sentenza.
     D)  Contrasto  con l'art. 101, secondo comma, della Costituzione.
 Semipiena e' la giurisdizione esercitata dal giudice, ove il p.m. gli
 faccia vincolante richiesta cautelare. Il giudice viene  assoggettato
 non  alla  legge,  ma  alla  determinazione,  che  puo'  esser  anche
 immotivata, del p.m. Anche a questo  proposito  gli  argomenti  spesi
 dalla  Corte  costituzionale  nella  sentenza  n.  313/1990  non sono
 risolutivi. Non e' certo qui' in gioco il principio dispositivo,  pur
 temperato,  che accede al nuovo processo penale, caratterizzato dalla
 particolare valorizzazione delle parti, le quali patteggiano  pena  o
 rito. Vi e', invece, attribuzione di un vincolante potere di chiedere
 determinata misura cautelare in capo al p.m., niente affatto connesso
 ad  un  patteggiamento,  di  fronte al quale al giudice non resta che
 aderire  immotivatamente  o   dissentire   rigettando   tout   court.
 Cosicche',  poiche'  il  giudice  viene  privato  di  un  suo  potere
 caratterizzante,  non  in  virtu'  di  una  situazione  rigorosamente
 predeterminata  dalla  legge, ma a cagione di un discrezionale potere
 attribuito al p.m., riemergono in pieno le considerazioni in  passato
 svolte dalla Corte costituzionale (n. 8/1962) in simili casi.
     E)  Contrasto  con  l'art. 13, secondo comma, della Costituzione.
 Ove nel caso di  specie,  per  salvaguardare  le  esigenze  cautelari
 (sussistenti)   il  giudice  accedesse  alla  richiesta  di  custodia
 cautelare  avanzata  dal  p.m.,   dovrebbe   farlo   immotivatamente,
 (rectius: con motivazione contradditoria o apparente).
     F) Contrasto col comb. disp. degli artt. 7 e 2, n. 59 della legge
 16  febbraio  1987,  n.  81,  in  relazione agli artt. 70 e 76, della
 Costituzione.
    La  seconda  previsione  di  cui al n. 59 dell'art. 2 della legge-
 delega di cui detto, impone all'esecutivo di emanare  norme  delegate
 le  quali  individuino  "il  potere-dovere  del  p.m.  di richiedere,
 presentando al giudice gli elementi su cui si fonda la sua richiesta,
 e del giudice di disporre, con provvedimento motivato, le  misure  di
 coercizione personale ( ...... )".
    La norma introdotta con il d.lgs. n. 12/1991 ha ecceduto la delega
 poiche':
      1)  ha  introdotto richiesta vincolante niente affatto preveduta
 dalla pur puntuale previsione della legge-delega;
      2) ha attribuito al p.m. il potere di immotivatamente richiedere
 una determinata misura in via esclusiva;
      3) per le ragioni gia' chiarite il giudice non  ha  possibilita'
 di svolgere alcuna effettiva motivazione.
     G)  Contrasto con l'art. 102, prima comma, della Costituzione. La
 novella  censurata  espropria  il  magistrato   giudicante   (giudice
 ordinario)  della  piena  giurisdizione,  lasciandogli  residuare una
 sorta  di  semipiena  giurisdizione,   sottoposta   alla   vincolante
 richiesta   di   una  parte  (seppur  pubblica).  Ricorre,  pertanto,
 necessita' di sospedere il procedimento - che non puo'  esser  deciso
 sul  punto  della irrogabilita' di misura cautelare diversa da quella
 vincolativamente richiesta dal p.m. - e di rimettere  gli  atti  alla
 Corte costituzionale, per il competente giudizio.
                                P. Q. M.
    Visti  gli artt. 273 e segg., del c.p.p., 19 e segg. del d.P.R. n.
 448/1988;
    Rigetta la misura della custodia cautelare richiesta nei confronti
 di Bonaccorsi Pietro, perche' inammissibile;
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n.  87,  e  l'art.  134
 della Costituzione;
    Dichiara  rilevante per il procedimento in corso (n. 195/1991 reg.
 g.i.p.) concernente l'indagato Bonaccorsi Pietro e non manifestamente
 infondato  il  dubbio  che  solleva  d'ufficio,   di   illegittimita'
 costituzionale  dell'art.  12  del  d.lgs 14 gennaio 1991, n. 12, per
 violazione degli artt. 3, primo comma, 111, primo comma, 101, secondo
 comma, 13, secondo comma, 70 e 76 (in relazione al comb. disp.  degli
 artt.  7 e 2, n. 59 della legge 16 febbraio 1987, n. 81) e 102, primo
 comma, della Costituzione;
    Ordina sospendersi il detto procedimento poer il prosieguo;
    Ordina trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina per cura della cancelleria che la presente ordinanza  venga
 comunicata al p.m., nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri,
 al  Presidente  della Camera dei deputati ed al Presidente del Senato
 della Repubblica.
     Catania, addi' 9 marzo 1991
            Il giudice per le indagini preliminari: GRASSO

 91C0886