N. 494 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 dicembre 1990- 9 luglio 1991
N. 494 Ordinanza emessa il 10 dicembre 1990 (pervenuta alla Corte costituzionale il 9 luglio 1991) dalla commissione tributaria di primo grado di Alessandria sui ricorsi riuniti proposti da Contorno Saverio, n.q. contro ufficio Iva di Alessandria Imposta sul valore aggiunto (I.V.A.) - Contribuenti in regime forfettario - Accertamento induttivo dei ricavi operato dall'ufficio I.V.A. sulla base di presunzioni relative alle dimensioni o ubicazione dei locali, beni strumentali impiegati, numero, qualita' e retribuzione degli addetti, acquisti o consumi di energia, assicurazioni stipulate, nonche' altri elementi che potranno essere indicati dal Ministro delle finanze - Assenza nei dati menzionati dei requisiti di gravita', precisione e concordanza richiesti dalla legge per le presunzioni - Incidenza sui principi di eguaglianza e di capacita' contributiva, nonche' sui diritti al lavoro e alla difesa in giudizio - Riferimento alle sentenze della Corte costituzionale nn. 103 e 109/1967, 99/1968, 200/1976 e 42/1980. (Legge 7 febbraio 1985, n. 17, art. 2, ventinovesimo comma). (Cost., artt. 3, 4, 24 e 53).(GU n.33 del 21-8-1991 )
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO Ha emesso la seguente decisione sul ricorso prodotto da Contorno Saverio quale socio amministratore della soc. d.f. Contorno e Salamone con sede in Casale M. esercente l'attivita' di parrucchiere per uomo avverso tre avvisi di rettifica dell'ufficio I.V.A. di Alessandria; Letti gli atti; Sentiti il rappresentante del ricorrente e dell'ufficio; Udito il relatore avv. Giovanni Nanni; RITENUTO IN FATTO In data 24 agosto 1989 l'ufficio I.V.A. di Alessandria notificava alla s.d.f. Contorno e Salamone tre avvisi di rettifica relativi all'attivita' svolta negli anni 1985, 1986 e 1987 contestando l'omessa annotazione sul prescritto registro dei corrispettivi ricavi conseguiti negli anni sopra indicati per il seguente ammontare: anno 1985: imponibile L. 43.341.000 - I.V.A. L. 7.801.000; anno 1986: imponibile L. 43.252.000 - I.V.A. L. 7.785.000; anno 1987: imponibile L. 37.247.000 - I.V.A. L. 6.704.000. Avverso i predetti avvisi il sig. Contorno Saverio presentava tempestivi ricorsi adducendo che i criteri usati dall'ufficio I.V.A. nel determinare i ricavi, disattendendo le scritture contabili, non trovano nessuna base sicura e aderente all'attivita' reale. Sia le ore lavorative che i prezzi delle prestazioni sono presunzioni basate su presunzioni. Con successiva istanza 15 gennaio 1990 chiedeva l'urgente fissazione della discussione dei ricorsi trovandosi in gravissime difficolta' economiche da non poter far fronte al pagamento del terzo delle imposte iscritte a ruolo. L'ufficio I.V.A., su invito di questa commissione produceva la copia del processo verbale 13 giugno 1985 tenuto a base dei provvedimenti impugnati; nelle sue deduzioni insisteva sulla legittimita' del suo operato scaturito e previsto dall'art. 2, ventinovesimo comma della legge 7 febbraio 1985, n. 17 e concludeva con la richiesta di rigetto dei ricorsi. In sede di discussione il rappresentante del ricorrente sollevava la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, ventinovesimo comma, della citata legge n. 17/1985 in contrasto con l'art. 53 della Costituzione. O S S E R V A Anche prescindendo dall'eccezione piuttosto generica del ricorrente, il disposto dell'art. 2, ventinovesimo comma, legge n. 17/1985, sul quale si basa l'accertamento induttivo operato dall'ufficio I.V.A. appare incongruo, illogico e viziato da illegittimita' costituzionale. Tale norma autorizza infatti gli uffici a desumere i ricavi dei contribuenti in regime forfettario anche da uno solo dei seguenti dati (o "fatti indice"): dimensioni o ubicazione dei locali, beni strumentali impiegati, numero, qualita' e retribuzione degli addetti, acquisti........ consumi di energia ecc., assicurazioni stipulate, nonche' altri elementi che potranno essere indicati dal Ministero delle finanze. E' prima facie evidente che tali dati non consentono l'accertamento dei ricavi e dei corrispettivi, tanto piu' se separatamente considerati come la legge prevede "uno o piu'". Per fare alcuni esempi, l'"ubicazione dei locali destinati all'esercizio" dell'impresa o della professione non vale a dimostrare una determinata entrata, variabile da caso a caso indipendentemente dalla sede. Altrettanto dicasi dei "beni strumentali impiegati", che da soli non valgono ad assicurare un guadagno certo; del "numero dei dipendenti", che talora puo' costituire piu' un onere che un indice di prosperita' aziendale; dei consumi energetici, relativi piu' che altro alla collocazione territoriale ed esposizione alla luce dei locali dell'impresa artigiana ecc. Trattasi di dati astratti, inidonei alla determinazione dei ricavi dei singoli contribuenti: prescindono infatti dalla peculiare situazione economica di ciascuna impresa e non tengono conto delle differenze tra imprenditori piu' o meno capaci "avviati" e tra i diversi Comuni, centro e periferia, ecc. La legge consente altresi' al Ministro di introdurre ulteriori elementi indiziari, ampliando ancora la possibilita' di sostituire un'astratta predeterminazione alla valutazione obbiettiva del caso di specie. Cio' comporta anzitutto uno stravolgimento dell'istituto della presunzione. La disposizione in esame pare potersi inquadrare tra le "presunzioni semplici" (art. 2729 c.c.) dato che la ricostruzione dei ricavi e dei corrispettivi non consegue direttamente dalla legge, ma e' demandata ad organi amministrativi: ma in tal caso sono prima facie esclusi i requisiti di gravita', precisione e concordanza richiesti dalla legge. E' pacifico che "ai fini dell'accertamento induttivo le presunzioni debbano essere suffragate dai requisiti di gravita' precisione e concordanza", come concordemente ritenuto dalle commissioni tributarie. Insegna altresi' il supremo collegio che "il fatto ignoto deve rappresentare l'univoca conseguenza logica di de- terminate e certe premesse e non gia' il risultato di una dedeuzione che.. .. .. lascia sopravvivere l'ipotizzabilita' di conclusione di- verse od opposte" (Cass. n. 3448/1973). La presunzione in esame, invece: non e' grave, perche' fondata su elementi che non costituiscono sufficiente motivo per disattendere la contabilita' e ricostruire i ricavi; non e' precisa, non essendo fondata su indizi univoci; non e' concordante, potendo derivare da un unico dato non raccordato ad altri. I ricavi cosi' determinati non sono quelli reali ma il frutto di una mera congettura, perdipiu' generalizzata, senza alcun riscontro con la situazione concreta. Se poi, come sostiene l'ufficio, si trattasse di presunzione legale, ancora piu' manifesta ne sarebbe l'incongruenza, dato che: a) i dati noti non sono in rapporto di causalita' con il fatto che si vorrebbe provare: i ricavi non sono infatti conseguenza necessaria dei c.d. "fatti indice" e neppure conseguenza probabile dei medesimi (id quod plerumque accidit); b) la legge anziche' trarre direttamente le conseguenze da un determinato e concreto fatto per risalire a quello ignorato, demanda ad un organo amministrativo di desumere i ricavi di un contribuente sulla base di generiche circostanze che, per di piu', un altro organo amministrativo (il Ministro) puo' liberamente accrescere; c) questa stessa Corte costituzionale ha precisato che "le presunzioni in materia fiscale per potere essere considerate in armonia con il principio della capacita' contributiva (art. 53 Cost.) debbano essere confortate da elementi concretamente positivi che le giustifichino razionalmente" (Corte costituzionale, sent. 28 luglio 1976, n. 200). Nella motivazione di altra sentenza (26 marzo 1980) leggesi testualmente: "Questa Corte ha piu' volte chiarito (sent. 103 e 109/1967; 99/1968; 200/76) che le presunzioni tributarie debbono fondarsi su indici concretamente rivelatori di ricchezza, ovvero su fatti reali........ affinche' l'imposizione non abbia una base fittizia". La norma in esame invece consente, "indipendentemente da quanto stabilito, nell'art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 e negli articoli 54 e 55 del d.P.R. 26 ottobre 1972" - (quindi anche se non risultino "infedelta' nelle dichiarazioni o mancata emissione di fatture": in altre parole anche se la contabilita' appaia regolare - di determinare induttivamente i ricavi del contribuente in base ad elementi del tutto estrinseci e di per se' insignificanti. Quanto precede e' reso evidente dall'applicazione della legge operata dall'ufficio I.V.A. di Alessandria: invocato uno solo dei presupposti di cui all'art. 2, ventinovesimo comma, e' stato effettuato un calcolo generale per un'intera categoria (nella specie i parrucchieri) che e' poi stato applicato ai singoli contribuenti prescindendo dall'effettiva situazione di ciascuno di essi. Non solo ma, scelto uno dei presupposti, non ne sono stati presi in considerazione altri; con la conseguenza che un parrucchiere, purche' abbia tot dipendenti, otterrebbe identici ricavi, secondo i calcoli dell'ufficio, cosi' nelle vie centrali come in periferia; cosi' nel capoluogo come in uno sperduto villaggio; tanto se gestisce una "bottega" di lusso, con scelta clientela, quanto se ha il piu' modesto esercizio. Nessuna considerazione per l'avviamento, per l'abilita', per l'eta' dell'artigiano, per l'attrezzatura piu' o meno completa, per il genere di clientela ecc. Si sostituisce dunque alla prova presuntiva cosi' come disciplinata dal diritto, un amplissimo potere discrezionale che - come gia' notava Alessandro Manzoni - "e' cosa pericolosa", essendo sinonimo di un "vocabolo di tristo suono: l'arbitrio". In linea di fatto si consente agli Uffici di determinare i ricavi ad libitum, senza alcun riscontro con la situazione concreta propria di ogni artigiano, consentendo di trarre da un singolo dato - senza cercare conferma in altri - conseguenze indimostrate. Si e' dunque in presenza - direbbe sempre Manzoni - "di una tremenda petizione di principio, perche' si da per supposto cio' che va esaminato". Non si da infatti rilievo alle risultanze contabili ne' si fa riferimento all'effettivo reddito del contribuente, ma si ricostruisce il presunto ricavo, con calcolo aprioristico riferito ad un intera categoria. Anche se tale calcolo (di per se' opinabile) fosse "mediamente" accettabile, resterebbe ingiustificata l'applicazione ai singoli di un dato statistico: se uno ricava quattro e l'altro due, il dato medio (tre) non vale per il primo, ne' per il secondo. Sotto un profilo piu' strettamente giuridico la norma in esame e' in contrasto con il dettato costituzionale. 1. - Viola anzitutto l'art. 53, primo comma della Costituzione. Le considerazioni sin qui svolte evidenziano che la "capacita' contributiva", da base concreta per determinare l'imposizione fiscale, diviene un elemento artificiosamente costituito a priori, in dispregio della lettera e della ratio della norma costituzionale. Questa richiede infatti, per l'imposizione di un tributo un fatto espressivo di concreta "capacita'" e non una ricostruzione di ricavi eseguita, per un'intera categoria, senza tener conto delle condizioni soggettive ed oggettive variabili di caso in caso. La giurisprudenza costituzionale ha piu' volte sottolineato "l'esigenza di garantire che ogni prelievo tributario abbia causa giustificatrice in indici........ dai quali sia razionalmente deducibile l'idoneita' soggettiva dell'obbligazione d'imposta (Sent. 200/1976)". 2. - Anche il principio della "progressivita'" (art. 53 cpv. Cost.) viene stravolto, in quanto applicando i parametri generali adottati dall'ufficio I.V.A. risultano tassate in misura uguale - a parita' di personale - sia le botteghe piu' avviate che quelle in crisi. Inoltre le ditte che non dichiarano la cifra astrattamente calcolata per l'intera categoria vengono ritenute colpevoli di non aver annotato la differenza tra l'importo risultante sul registro dei corrispettivi e quello generale calcolato dall'ufficio: cosicche' contribuenti che hanno percepito uno scarso utile vengono gravati, in assenza di accertate irregolarita', da una maggiore differenza di imposta e da fortissime pene pecuniarie. Cio' in contrasto con principio affermato da questa stessa Corte, secondo cui "la produzione dei redditi e' un fatto economico legato a determinate condizioni oggettive e soggettive di natura variabile". 3. - E' altresi' violato l'art. 24, primo e secondo comma della Costituzione, data l'estrema difficolta' di fornire una prova contraria (negativa) di fronte a una presunzione appoggiata a dati estrinseci e generici. Se un accertamento induttivo scatta, ad esempio, in base all'indicazione della sede dell'impresa - che non costituisce un in- dice certo, ma che di per se' non puo' essere smentito - il contribuente viene di fatto privato del diritto di difesa costituzionalmente riconosciuto. La Giurisprudenza Costituzionale e' pacifica nel senso che il diritto di agire per la tutela dei propri diritti o interessi legittimi, non puo' essere resa a tal punto difficile da pregiudicare completamente la domanda di giustizia. Dottrina e giurisprudenza affermano altresi' che "l'art. 24 della Costituzione sancisce un diritto alla prova quale indispensabile accessorio al diretto di difesa.. .. .. ed anche al diritto di azione". Nel caso in esame l'ancorare il ricavo ad un dato generico, come tale inoppugnabile, ma irrilevante per le singole situazioni, vanifica ogni possibilita' di prova. La norma contrasta dunque con l'art. 24 nonche' con l'art. 113 cpv. della Costituzione. 4. - La disposizione in esame discrimina i lavoratori autonomi - e in ispecie gli artigiani - in contrasto con l'art. 3, comma primo della Costituzione che sancisce l'uguaglianza di tutti i cittadini "senza distinzione di........ condizioni personali". L'accertamento induttivo senza tener conto delle risultanze delle scritture contabili e quindi disattendendole a priori rende particolarmente gravosa la situazione di alcuni contribuenti non solo rispetto a tutti gli altri cittadini ma anche nei confronti di coloro che possono tenere altra specie di contabilita'. Sussistono dunque "l'arbitrarieta' e l'irrazionalita' della norma" che giustificano il controllo di legittimita' ex art. 3 della Costituzione (sentenze nn. 144/1973; 96 e 151 del 1982). Ne' dicasi che cio' e' giustificato di "pericoli conseguenti all'introduzione del regime forfettario": tale regime e' stato introdotto dalla legge ed e' quindi perfettamente lecito: non si puo' punire qui jure suo utitur. 5. - Si potrebbe profilare un dubbio di illegittimita' costituzionale anche rispetto all'art. 4 della Costituzione che riconosce il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo tale diritto, mentre la norma in esame costringe coloro che non possono conseguire i ricavi indiscriminatamente ritenuti per un'intera categoria ad abbandonare l'attivita' o a subire imposte non dovute e gravi sanzioni. Cio' e' tanto piu' grave nei confronti degli artigiani, disponendo l'art. 45 cpv. della Costituzione che la legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell'artigianato.
P. Q. M. Visti gli articoli 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara d'ufficio non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, ventinovesimo comma, della legge n. 17/1985 per contrasto con gli articoli 3 primo comma, 4, 24, primo e secondo comma, 53, primo e secondo comma, della Costituzione della Repubblica; Sospende gli atti del giudizio ed ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Alessandria, addi' 10 dicembre 1990 Il presidente: ORGERO Il relatore: NANNI 91C0919