N. 502 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 maggio 1991

                                N. 502
 Ordinanza emessa il 13 maggio 1991  dal  pretore  di  Trani,  sezione
 distaccata  di  Canosa  di Puglia, sul ricorso proposto da Stillavato
 Carmine ed altri, n.q. contro la scuola elementare  "Pietrocola"  del
 circolo di Minervino Murge ed altro
 Istruzione pubblica - Scuola dell'obbligo (elementari) - Insegnamento
    della  religione cattolica - Inserimento nell'orario curricolare -
    Lamentato inserimento di un insegnamento facoltativo  nel  normale
    quadro  orario delle lezioni - Conseguente riduzione delle lezioni
    obbligatorie (due ore settimanali) per tutti,  avvalentisi  e  non
    avvalentisi   dell'insegnamento   di   religione   -  Obbligatoria
    collocazione   dell'insegnamento   della    religione    cattolica
    all'inizio  o  alla  fine  delle  lezioni  -  Omessa  previsione -
    Violazione della garanzia dell'istruzione obbligatoria eguale  per
    tutti,  nonche'  del  principio  della  liberta' di religione c.d.
    sostanziale - Richiamo alla sentenza n. 13/1991.
 (Legge 25 marzo 1985, n. 121, artt. 9 e 5 prot. add. com.).
 (Cost., artt. 2, 3, 19 e 34).
(GU n.33 del 21-8-1991 )
                              IL PRETORE
    Sciogliendo la riserva che precede,
                             O S S E R V A
    Con ricorso depositato il  26  marzo  1991  Stillavato  Carmine  e
 Tancorre  Anna;  D'Angella Rocco e Zingarelli Maria Giuseppa; Forenza
 Francesco e di Claudio Maria; Carrozza Ugo e Palmieri Maria  Domenica
 in  qualita' di genitori esercenti la potesta' sui loro figli minori,
 frequentanti la scuola elementare "Pietrocola" del circolo  didattico
 di  Minervino  Murge,  esponevano di aver dichiarato, nella qualita',
 l'intenzione  di  non  avvalersi  dell'ora  di  religione,  di   aver
 constatato    che,    nell'ambito   dell'organizzazione   scolastica,
 l'insegnamento della religione  cattolica  era  inserito  nell'orario
 "normale"   delle   lezioni   e  che,  quindi,  stante  il  principio
 dell'uguale tempo-scuola di cui  alla  legge  n.  148/90,  tutti  gli
 alunni  erano  privati  di due ore d'insegnamento obbligatorio, tutto
 cio' esposto e  premesso  chiedevano  che  il  pretore  ordinasse  al
 provveditore  agli  studi  di  Bari  ed  al  direttore  della  scuola
 elementare Pietrocola del circolo didattico  di  Minervino  Murge  la
 immediata  cessazione  del  comportamento  antigiuridico,  adempiendo
 all'obbligo d'insegnamento curricolare obbligatorio per  ventiquattro
 ore  settimanali  o  ventisette  settimanali  o  per  tempo  modulare
 settimanale, collocando l'insegnamento della religione cattolica alla
 fine delle lezioni curricolari obbligatorie. Il pretore  con  decreto
 fissava l'udienza di comparizione.
    Instauratosi  il contraddittorio, con memoria depositata il giorno
 8 aprile 1991 si costituiva il Ministero della pubblica istruzione  a
 mezzo  dell'Avvocatura  distrettuale dello Stato eccependo il difetto
 di  giurisdizione  dell'a.g.o.  stante  il  tipo   di   provvedimento
 richiesto   al   pretore,  risolventesi  in  un  aumento  dell'orario
 scolastico ossia nell'imposizione di un facere  alla  p.a.;  eccepiva
 altresi'  il  resistente  Ministero il difetto di contraddittorio per
 l'interesse alla partecipazione al giudizio dei genitori degli alunni
 avvalentisi dell'insegnamento religioso ed, in ultimo, il difetto del
 requisito  dell'urgenza,  mancando  meno  di  due  mesi  al   termine
 dell'anno  scolastico;  nel  merito  sottolineava  l'esistenza di una
 potesta'  discrezionale   dell'amministrazione   relativamente   alla
 determinazione   dell'orario   scolastico  riconosciuta  anche  dalla
 recentissima  decisione  della  Corte  costituzionale   n.   13/1991;
 concludeva   il   resistente   per   il   rigetto  del  ricorso,  per
 inammissibilita' o infondatezza, con vittoria di spese.
    Interrogato  liberamente  il  direttore  didattico  della   scuola
 elementare nonche' uno dei ricorrenti, acquisita varia documentazione
 come  da  ordinanza  resa all'udienza dell'8 aprile 1991, all'udienza
 del 22 aprile 1991, svolta la discussione; il  pretore  si  riservava
 per la decisione.
   Difetto di giurisdizione.
    L'eccezione  di difetto di giurisdizione dell'a.g.o. e' infondata.
 La situazione giuridica soggettiva fatta valere in giudizio, ai  fini
 della  cautela, e' innegabile un diritto soggettivo, lamentandosi dai
 ricorrenti la compressione della liberta' religiosa  (art.  19  della
 Costituzione)   e   del   diritto  alla  istruzione  (art.  34  della
 Costituzione) in conseguenza di un certo assetto organizzativo  della
 scuola.
    Sotto  il  primo  profilo,  quello  della  lesione  della liberta'
 religiosa va ricordato  come  detta  liberta',  innegabilmente,  deve
 qualificarsi come un diritto soggettivo pubblico (cfr. artt. 2, 3, 7,
 8,  19  e 20 della Costituzione) comprendente non solo la liberta' di
 professare questa o quella religione, ma anche di non appartenere  ad
 alcuna  confessione  religiosa (c.d. liberta' negativa) come anche la
 liberta' di essere  e  professarsi  atei  (cfr.  in  proposito  Corte
 costituzionale n. 117/1979).
    Detta  liberta',  fondamentale  poiche'  riconducibile  ai diritti
 inviolabili della persona umana (art. 2 della  Costituzione),  e'  un
 valore  materiale  che  permea di se' la costituzione in tutte le sue
 parti, ivi compresa l'organizzazione statale, che, nel  perseguire  i
 propri fini, di natura pubblica, non puo' violarla ne' comprimerla in
 alcun modo.
    Sotto  il  secondo  profilo il diritto all'istruzione, garantito a
 tutti obbligatoriamente e gratuitamente per almeno  otto  anni  (art.
 34,  secondo comma, della Costituzione) costituisce un diritto-dovere
 civico, azionabile innanzi alla autorita'  giudiziaria  ordinaria  in
 tutti i casi di lesione e/o compressione.
    Un   delicato   punto  d'incontro  fra  le  situazioni  giuridiche
 soggettive azionate si ha riguardando la liberta' religiosa non  solo
 sotto  il  profilo  meramente  formale  ma  anche  sostanziale, quale
 diritto alla libera formazione della  propria  coscienza  in  materia
 religiosa  (artt.  2  e  3  cpv.  della  Costituzione); processo che,
 strumento di elevazione spirituale dell'uomo, si svolge  nelle  varie
 formazioni  sociali  di  cui  egli  e'  partecipe:  la  famiglia,  la
 confessione religiosa alla quale aderisca, la scuola.
    Particolarmente delicata e' la funzione alla quale e' chiamata  ad
 adempiere  la  scuola  dell'obbligo nell'ambito di uno Stato laico ma
 non  indifferente   alla   problematica   religiosa,   funzione   che
 sinteticamente  puo'  indicarsi  in  quella  di  porre l'individuo in
 condizione di scegliere fra i diversi valori religiosi compresenti ed
 evidenti  nell'ordinamento  (cfr.  art. 1 del d.P.R. n. 104/1985: "la
 scuola  statale  non  ha  un  proprio  credo  da  proporre   ne'   un
 agnosticismo  da privilegiare. Essa riconosce il valore della realta'
 religiosa  come  dato  storicamente,   culturalmente   e   moralmente
 incarnato nella realta' sociale di cui il fanciullo ha esperienza ed,
 in  quanto  tale,  la scuola ne fa oggetto d'attenzione nel complesso
 della sua  attivita'  educativa,  avendo  riguardo  per  l'esperienza
 religiosa  che  il  fanciullo viva nel proprio ambito familiare ed in
 modo da maturare sentimenti e comportamenti di rispetto delle diverse
 posizioni in materia di religione e  di  rifiuto  di  ogni  forma  di
 discriminazione";  la  scuola in questo quadro promuove la conoscenza
 degli elementi essenziali per la graduale riflessione  sulla  realta'
 religiosa  nella  sua  espressione  storica,  culturale,  sociale, la
 conoscenza ed il rispetto delle posizioni che le  persone  variamente
 adottano  in  ordine  alla  realta'  religiosa; la consapevolezza dei
 principi in base ai quali viene assicurato nella scuola elementare lo
 svolgimento di specifici programmi  di  religione  nel  rispetto  del
 diritto dei genitori di scegliere se avvalersene o non avvalersene).
    Tali  diritti soggettivi alla liberta' religiosa ed all'istruzione
 i   ricorrenti   assumono   compressi   dalla   collocazione   oraria
 dell'insegnamento  della  religione  cattolica nel quadro del normale
 orario delle lezioni,  chiedendo  al  pretore  che  sia  ordinata  la
 cessazione     del     comportamento     illegittimo    con    ordine
 all'amministrazione di  svolgere  il  normale  orario  scolastico  di
 ventisette  ore  trattando  in  esse le materie curricolari di cui al
 d.P.R. n.  104/1985  e  prevedendo  in  aggiunta  a  tale  orario  lo
 svolgimento dell'insegnamento facoltativo dell'ora di religione per i
 soggetti avvalentisi.
   L'amministrazione  sostiene  che  in  tal  modo  viene richiesto al
 giudice ordinario un'inammissibile condanna ad un facere  della  p.a.
 consistente  nella modificazione in aumento dell'orario scolastico in
 violazione dell'art. 4 della legge n. 2248/1865 all. E.
    L'invocazione di detta norma (che recita: "quando la contestazione
 cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto  dell'autorita'
 amministrativa  i  tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti
 dell'atto stesso  in  relazione  all'oggetto  dedotto  in  giudizio")
 evidenzia   come   non  si  ponga  in  dubbio  la  sussistenza  della
 giurisdizione del pretore ex art. 2 della legge 20 marzo 1865 all.  E
 (in  tal  senso  pret.  Monza 23 marzo 1990 e pret. Torino 5 dicembre
 1989).
    L'amministrazione non contesta che  nella  specie  si  controverta
 attorno  a  diritti civili (con conseguente giurisdizione del giudice
 ordinario)  assumendo  solo  che  sussiste  un  potere  discrezionale
 dell'autorita'  scolastica limitato alla formazione dell'orario delle
 lezioni  ed  e'  esclusa  qualsivoglia  lesione  di  tali  situazioni
 giuridiche  soggettive (cosi' come sancito da Corte costituzionale n.
 13/1991).
    La questione quindi attiene alla fondatezza nel merito dell'azione
 proposta  (sotto  il  profilo  del  fumus  boni  iuris)  e  non  alla
 sussistenza della giurisdizione.
   Difetto di contraddittorio.
    Anche  la  summenzionata eccezione proposta dalla p.a. e' priva di
 pregio.
    Si  assume  dall'amministrazione  che  i  genitori  degli   alunni
 avvalentisi  hanno diritto a partecipare alla causa essendo richiesto
 l'aumento dell'orario in via generalizzata.
    L'eccezione e' ricalcata sull'art. 21 della legge 6 dicembre 1971,
 n. 1034, quasi che il ricorso cautelare si risolva in un'impugnazione
 dell'atto d'adozione dell'orario scolastico.
    Se  cosi'  fosse,  evidentemente,  sussisterebbe  il  difetto   di
 giurisdizione  prima  invocato.  Ma  -  come  s'e'  detto  - non puo'
 dubitarsi che siano  state  fatte  valere  dai  ricorrenti  posizioni
 giuridiche soggettive qualificabili come diritti soggettivi.
    Detti   diritti,   per   la   loro   natura   fondamentale,   sono
 "irriducibili" "non affievolibili" dall'azione amministrativa  (nello
 stesso  senso  cfr.  quanto statuito dalla Corte di cassazione a sez.
 un. per il diritto alla salute con sentenza del 6  ottobre  1979,  n.
 5172).
    Le  attivita' lesive di detti diritti devono considerarsi poste in
 essere in assoluta carenza di potere.
    Ne consegue che, nella specie,  non  e'  in  discussione  l'orario
 scolastico  quale atto amministrativo coinvolgente la generalita' dei
 soggetti  frequentanti  l'istituto  scolastico  ma  la   condotta   -
 prospettata  come  lesiva  di  diritti  fondamentali  - della p.a. in
 relazione alle posizioni dei ricorrenti (e di terzi interessati  solo
 in via riflessa in quanto gli avvalentisi - in via teorica - soffrono
 al  pari dei non avvalentisi della "riduzione" dell'orario scolastico
 destinato  alle  materie  obbligatorie   conseguente   all'inserzione
 dell'insegnamento   facoltativo   nel  normale  quadro  orario  delle
 lezioni).
    Nessun rilievo ha  poi  la  circostanza  che  detta  condotta  sia
 estrinsecata  in atti formali che, in ipotesi lesivi delle liberta' e
 dei diritti fondamentali dell'individuo, regolino anche la  posizione
 di  terzi  (che,  tra  l'altro, nell'impostazione dei ricorrenti sono
 anche essi lesi dall'assetto organizzativo esistente anche se non  se
 ne dolgono).
    Detti  atti,  ove  si  accerti la loro lesivita' nel senso innanzi
 specificato, non potranno escludere l'indagine del giudice  ordinario
 sulla  materiale  condotta della p.a. illecita anche se sostenuta dal
 simulacro di atti formali.
    Non essendo in questione l'atto di adozione dell'orario scolastico
 ma il comportamento, essenzialmente omissivo, della p.a. (per un caso
 analogo cfr.  Cass.  sez.  un.  n.  2999/1989)  consistente  nel  non
 impartire  ventisette ore d'insegnamento scolastico obbligatorio, non
 comprensive dell'insegnamento della religione  cattolica  (in  quanto
 insegnamento facoltativo), non puo' dubitarsi che non si ponga alcuna
 necessita'  d'integrare  il  contraddittorio nei confronti di tutti i
 genitori degli alunni frequentanti l'istituto  scolastico  essendo  i
 medesimi estranei al comportamento denunciato.
    Merito.
    Ritiene  l'amministrazione  -  come  s'e'  rilevato - che sussista
 nella specie il potere  organizzativo  discrezionale  della  p.a.  di
 collocare   l'insegnamento   della  religione  cattolica  nel  quadro
 dell'orario scolastico,  purche'  sia  rispettato  lo  stato  di  non
 obbligo  alla  frequenza  che puo' comprendere tra le altre possibili
 scelte quella  di  allontanarsi  od  assentarsi  dall'edificio  della
 scuola sicche', assicurato lo stato di non obbligo, non sussisterebbe
 lesione   alcuna   di  diritti  inviolabili  dell'uomo  (conf.  Corte
 costituzionale n. 13/1991).
    Detta pronuncia, recentissima, della Corte costituzionale  risolve
 la    problematica   sostenendo   che   "quanto   alla   collocazione
 dell'insegnamento  nell'ordinario  orario   delle   lezioni   nessuna
 violazione  dell'art.  2  della  Costituzione  e' ravvisabile. Questa
 Corte  ha  gia'  sottolineato  nella   sentenza   n.   203/1989   che
 l'insegnamento  della  religione cattolica sara' impartito nel quadro
 delle finalita' della scuola vale a dire  con  modalita'  compatibili
 con le altre discipline scolastiche".
    A  seguito  di  detta  pronuncia  il Ministero con cir. 18 gennaio
 1991, n. 9, ha chiarito che "resta confermata la  piena  legittimita'
 della   collocazione   dell'insegnamento  della  religione  cattolica
 nell'orario delle lezioni, con la conseguenza che, nella formulazione
 del  quadro-orario,  l'insegnamento  sia  collocato  anche   in   ore
 intercalari  cosi'  come  e'  per le altre discipline scolastiche, in
 relazione ai criteri di buon andamento  della  scuola  che  implicano
 l'ottimale  distribuzione  delle  diverse discipline sotto il profilo
 didattico e la migliore utilizzazione del personale docente".
    Il  Ministero   con   la   circolare   dinanzi   citata   conferma
 un'interpretazione  della  revisione madamense del concordato, quanto
 all'ora di religione, sostenuta sin dalla circ. ministeriale  n.  302
 del  29  ottobre  1986  a  tenore  della  quale  l'insegnamento della
 religione cattolica deve trovare collocazione  all'interno  o  meglio
 nel quadro dell'orario scolastico obbligatorio.
    Divenuta  ormai  insostenibile l'obbligatorieta' dell'insegnamento
 (a seguito di Corte costituzionale n. 203/1989) e  la  necessita'  di
 svolgimento   d'attivita'  alternative  in  istituto  o  comunque  di
 permanenza  nella  scuola  (cfr.  Corte  costituzionale  n.  13/1991)
 permane,   alla  stregua  della  prassi  amministrativa  vivente,  la
 inserzione dell'ora di religione nel quadro orario delle lezioni, con
 piena  equiparazione  dell'insegnamento  in  questione   agli   altri
 insegnamenti previsti dai programmi della scuola statale.
    Tanto  -  nell'ottica  della p.a. - si fonda sul menzionato potere
 discrezionale dell'amministrazione di autorganizzarsi,  disciplinando
 l'orario  scolastico, potere che e' riconosciuto dal tenore letterale
 dell'accordo madamense.
    L'art. 9 della legge n. 121/1985 dispone: "La Repubblica  italiana
 continuera'  ad  assicurare, nel quadro delle finalita' della scuola,
 l'insegnamento della religione cattolica" e la norma di cui  all'art.
 5,  lettera  b),  n.  2,  del protocollo addizionale prevede che: "le
 modalita' d'organizzazione di tale insegnamento  anche  in  relazione
 alla  collocazione  nel quadro degli orari delle lezioni" saranno de-
 terminate da successive intese fra Stato e Chiesa cattolica.
    Come e' noto con d.P.R. n. 751/1985 e' stata data esecuzione  alla
 intesa  c.d. Falcucci-Poletti che, all'art. 2, recita: "il diritto di
 scegliere  se  avvalersi  o  non  avvalersi  dell'insegnamento  della
 religione   cattolica   non   deve   determinare   alcuna   forma  di
 discriminazione, neppure in relazione ai criteri  per  la  formazione
 delle  classi, alla durata dell'orario scolastico giornaliero ed alla
 collocazione   di   detto   insegnamento   nel  quadro  orario  delle
 lezioni"......... "la collocazione di tali lezioni e' effettuata  dal
 capo di istituto, sulla base delle proposte del collegio dei docenti,
 secondo  il  normale  criterio di equilibrata distribuzione delle di-
 verse discipline nella giornata e nella settimana, nell'ambito  della
 scuola    ed    in    ciascuna    classe"........    "nelle    scuole
 elementari........ sono organizzate specifiche ed autonome  attivita'
 d'insegnamento   della   religione   cattolica"..   ..   ..  "a  tale
 insegnamento sono assegnate complessivamente due ore nell'arco  della
 settimana".
    L'attuale  assetto  organizzativo della scuola quindi - cosi' come
 realizzato dalla p.a. (cfr. circ. n. 9/1991) -  prevede  e  legittima
 l'inserzione   di   un  insegnamento  facoltativo  anche  nell'orario
 d'obbligo della scuola elementare che,  ex  art.  7  della  legge  n.
 148/1990,  e' pari a ventisette ore settimanali, elevabili fino ad un
 massimo  di  trenta  ore  in  relazione  alla  graduale   attivazione
 dell'insegnamento di una lingua straniera.
    L'inserzione   dell'insegnamento   facoltativo   della   religione
 cattolica nell'orario curricolare normale (par a ventisette  ore)  e'
 stata   operata  dal  direttore  didattico  della  scuola  elementare
 "Pietrocola"  di  Minervino  Murge  per   cui   e'   processo   (cfr.
 interrogatorio libero del direttore didattico Giannini Antonio).
    Tale  scelta  e' conforme alle direttive della citata circolare n.
 9/1991 del Ministero della pubblica istruzione.
    Anche la giurisprudenza amministrativa,  la  piu'  sensibile  alla
 tematica  della  liberta' religiosa, ha considerato il problema della
 collocazione dell'insegnamento della religione cattolica  nel  quadro
 orario  delle  lezioni,  una  volta assicurata la non obbligatorieta'
 degli  insegnamenti  alternativi  offerti  dallo  stato  "di  rilievo
 secondario e giuridicamente privo di consistenza" (cfr. letteralmente
 t.a.r. Lazio sezione terza, sent. 30 marzo 1990, n. 617).
    Tuttavia  il tema necessita una nuova meditazione, con riferimento
 alla situazione dei frequentanti la scuola elementare.
    Infatti, stante il  principio  dell'uguale  tempo-scuola  (art.  7
 della   legge   n.   148/1990)  e  l'obbligatorieta'  dell'istruzione
 inferiore  (art.  34  della  Costituzione,  art.  1  della  legge  n.
 148/1990) l'assetto scolastico dato dalla amministrazione "riduce gli
 spazi  normalmente  riservati  agli insegnamenti curricolari" (in tal
 senso gia' ord. pret. Firenze 4 maggio 1990).
    Se una norma prevede un tempo scuola obbligatorio non si puo' ins-
 erire all'interno di quel tempo scuola uno stato  di  non  obbligo  e
 poiche'  tutta l'istruzione elementare, per il tempo legislativamente
 previsto, non puo' che essere obbligatoria, l'istruzione  facoltativa
 non puo' che essere prevista in aggiunta.
    Tuttavia  il diritto amministrativo vivente e la prassi della p.a.
 sono orientate diversamente,  ammettendosi  un  potere  discrezionale
 suscettibile  di incidere - per quanto appresso si dira' - su diritti
 e liberta' fondamentali.
    La Corte costituzionale - come gia' ricordato - nella recentissima
 sentenza n. 13/1991 ha ritenuto che  il  potere  organizzativo  della
 p.a.  in  tema  di  collocazione  dell'insegnamento  della  religione
 cattolica nell'orario scolastico non leda i diritti inviolabili della
 persona umana. Se sussistesse tale  potere  discrezionale  nel  senso
 anzidetto anche nella scuola elementare, ad avviso del giudicante, la
 normativa  si esporrebbe a quattro censure di incostituzionalita' non
 manifestamente infondata.
    1)  Non  puo'  ritenersi  manifestamente  infondata   infatti   la
 questione,  non nuova, attinente al contrasto con gli artt. 2, 3 e 19
 della Costituzione per il danno che  da  tale  assetto  organizzativo
 deriva   al   minore   nello   sviluppo  della  propria  personalita'
 nell'ambito della scuola  elementare.  Detto  contrasto  si  ipotizza
 rispetto  alle  norme  dell'art. 9 della legge 9 luglio n. 121/1985 e
 dell'art. 5 del protocollo addizionale ove non prevedono,  quantomeno
 per    la    scuola    elementare,   la   obbligatoria   collocazione
 dell'insegnamento della religione cattolica all'inizio od  alla  fine
 delle  lezioni  (non  a  caso  raccomandata da circ. 129/1986 e circ.
 316/1987 del Ministero della p.i.) e consentono  la  collocazione  in
 ore  intercalari, cosi' costringendo i minori non avvalentisi che non
 vogliono permanere nell'istituto  scolastico  ad  un  anti-pedagogico
 temporaneo   allontanamento   e   successivo   rientro   e   rendendo
 obiettivamente e praticamente  difficoltosa  per  le  famiglie  degli
 anzidetti   minori  l'alternativa  dell'allontanamento  dall'edificio
 scolastico del minore, determinando in sostanza un ostacolo di  fatto
 allo stato di non obbligo.
    2)  Del  pari  non  puo'  ritenersi  manifestamente  infondata  la
 questione relativa al contrasto di dette norme con  l'art.  34  della
 Costituzione  perche'  l'inserzione  di detto insegnamento nel quadro
 dell'orario  normale  delle  lezioni  priva  i  non  avvalentisi  che
 decidano   di   allontanarsi  dall'edificio  scolastico  di  due  ore
 dell'insegnamento obbligatorio (stabilito per tutti in  ventisette  o
 piu'  ore  settimanali  -  fino  a  trenta  -  dall'art.  7, legge n.
 148/1990) senza fornire loro alternative (che contrasterebbero con lo
 stato di non obbligo).
    Non ignora il  pretore  che  la  Corte  costituzionale  (sent.  n.
 203/1989)  ha,  di  recente,  in  obiter dictum, confermato che anche
 l'accordo di  modifica  del  18  febbraio  1984,  gode  di  copertura
 costituzionale  ex  art.  7  della  Costituzione  dovendosi,  quindi,
 intendere limitato il sindacato di costituzionalita' al contrasto con
 i principi supremi dell'ordinamento.
    Al di la' della questione relativa alla natura della norma di  cui
 all'art.  7  della  Costituzione  ritenuta  dagli  stessi relatori di
 maggioranza in seno alla costituente norma sulla produzione giuridica
 o sulle fonti, questione che avrebbe potuto condurre anche in passato
 ad approdi differenti, che  se  storicamente  non  maturi,  circa  la
 ampiezza  del  sindacato  di  costituzionalita' ammissibile nei patti
 lateranensi, puo' fondatamente dubitarsi - con parte  della  dottrina
 ecclesiastica  che  la  "copertura  costituzionale" dell'art. 7 della
 Costituzione si estenda con valenza identica al  passato  all'accordo
 madamense.
    L'art.  7  della  Costituzione  impone  la  procedura di revisione
 costituzionale per la  modificazione  delle  norme  pattizie,  quando
 queste  siano  decise  unilateralmente  dallo  Stato; non prevede una
 forza di resistenza passiva delle norme pattizie rispetto alle  norme
 costituzionali,  ne'  una possibilita' di deroga delle norme pattizie
 alle norme costituzionali (quasi che le norme  suddette  siano  norme
 supercostituzionali).
    E   poiche'   non   e'   stato  costituzionalizzato  il  principio
 concordatario  (fu  respinta  la  formula,  proposta  dai  comunisti,
 secondo cui "i rapporti tra Stato e Chiesa cattolica sono regolati in
 termini concordatari") puo', non senza ragione, sostenersi che l'art.
 7  fu  previsto per evitare che, nel delicato momento del costituirsi
 del nuovo Stato democratico, una  semplice  maggioranza  parlamentare
 imponesse  il superamento dei patti e della "pace religiosa" che essi
 avevano consentito.
    Fonte "atipica" - si  sostiene  -  e'  la  legge  n.  810/1929  di
 esecuzione  dei  patti  lateranensi  non  la legge ordinaria che, nel
 quadro storicamente mutato dello Stato democratico ormai consolidato,
 ha recepito il nuovo accordo di revisione  del  Concordato,  attuando
 quelle  "modificazioni"  che,  gia'  previste  dai costituenti, hanno
 consentito di adeguare le relazioni tra Stato e  Chiesa  ai  principi
 sanciti  dalla  Costituzione,  da  un parte, e alle dichiarazioni del
 Concilio  ecumenico  Vaticano  II,  dall'altra  (e  vedasi  preambolo
 dell'accordo  madamense).  Ci si spinge sino all'affermazione, invero
 opinabile, che la norma di cui all'art. 7 non ha previsto  una  forza
 di  resistenza  passiva  degli  accordi di modifica rispetto a future
 leggi ordinarie d'unilaterale modifica.
    Si dubita  inoltre  della  possibilita'  di  ricondurre  la  nuova
 disciplina  all'art.  7,  secondo  comma, della Costituzione cosi' da
 assicurare  alla  legge   di   esecuzione   la   medesima   posizione
 privilegiata,   nella   gerarchia   delle  fonti,  riconosciuta  alla
 disciplina concordataria.
    La qualificazione dell'accordo in termini  di  "modificazioni  del
 concordato"  contrasterebbe  -  in  tale  prospettiva - con il tenore
 dell'art. 13 n. 1, dell'accordo per il  quale  "le  disposizioni  del
 concordato........ non riprodotte nel presente atto sono abrogate".
    S'e'  quindi  sostenuto  che  il  nuovo  accordo sia integralmente
 sostitutivo della disciplina precedente e quindi  sottratto  all'area
 di operativita' dell'art. 7, secondo comma, della Costituzione.
    La  valenza  sostitutiva  dell'accordo,  inteso  come radicalmente
 innovatore, e' stata poi sottolineata - s'e'  notato  dalla  dottrina
 ecclesiasticistica - dalle dichiarazioni del Presidente del Consiglio
 in  carica  all'epoca  esaltanti  la  valenza  riformatrice del nuovo
 patto. Tale impostazione equiparerebbe il nuovo  accordo  alla  legge
 ordinaria (di cui all'art. 8 della Costituzione) che recepisce intese
 con le confessioni religiose.
    Orbene  ritiene  il pretore che, anche volendo affermare la natura
 modificativa del patto del  1984  (espressamente  sottolineata  dalle
 parti  al  fine  di garantire alla legge di esecuzione l'efficacia di
 legge rinforzata), e volendo condividere la  tesi  secondo  la  quale
 detto  accordo e' - al pari dei Patti Lateranensi sui quali ha inciso
 -  dotato  di  forza  di  resistenza  passiva  alle  leggi  ordinarie
 d'unilaterale   modifica   od   abrogazione   (al   fine  di  evitare
 inadempienze internazionali), non si puo' ritenere  tuttavia  che  la
 "copertura  costituzionale"  si  spinga  sino  al punto di consentire
 deroghe a norme  costituzionali  con  il  solo  limite  dei  principi
 supremi dell'ordinamento.
    Rispetto  al contenuto delle norme costituzionali il nuovo accordo
 non puo' porsi in deroga  poiche',  sin  nella  sua  formulazione,  i
 redattori  si  sono ispirati ai "principi sanciti nella Costituzione"
 della Repubblica italiana (cfr.  preambolo).  Puo'  quindi  ritenersi
 "archiviata"  l'impostazione  della  "copertura costituzionale" quale
 primato  delle norme di derivazione concordataria rispetto alle norme
 ed  ai  principi  (che  non  siano  "supremi")   della   Costituzione
 repubblicana.
    S'e'  parlato  in  proposito di un'originale forma di Stato laico-
 sociale - voluta conforme al dettato costituzionale - emergente dalla
 legislazione ecclesiastica, e cio' non e' senza conseguenze sul  tipo
 di  copertura costituzionale da assicurare al nuovo patto tra Stato e
 Chiesa.
    Ma v'e' di piu': infatti se di fronte al nuovo patto ed al  regime
 di  collaborazione  bilateralita'  e  delegificazione introdotto come
 metodo ispiratore dei rapporti tra le parti  contraenti,  si  dovesse
 tener  ferma  la  tesi che le norme pattizie sono sindacabili solo se
 contrastanti con i principi supremi dell'ordinamento, si  darebbe  un
 "mandato   in   bianco   al  legislatore  per  introdurre  qualunque,
 imprevedibile deroga alla Costituzione purche' con il consenso  della
 Santa Sede".
    Ne'  si dica che sotto il regime dei patti del 1929 si dava questa
 possibilita':  infatti  i  patti  del  1929  erano  ben  presenti  al
 costituente  mentre  il  contenuto  delle  modifiche dei patti non e'
 prevedibile.
    A   garantire   la   resistenza   dei   patti    e'    sufficiente
 l'immodificabilita'  dei  medesimi  dal legislatore ordinario, non e'
 necessario ritenere che essi possano derogare a norme costituzionali.
    Ne  consegue   un   possibile   ampliamento   del   sindacato   di
 costituzionalita' sull'accordo del 1984.
    Tanto   consente  di  ritenere  non  manifestamente  infondata  la
 questione relativa al contrasto delle norme denunziate (artt. 9 e  5,
 lett.  b),  del protocollo) con l'art. 34 della Costituzione che, pur
 non  contenendo  un  principio  supremo,  tuttavia  con  la  garanzia
 dell'istruzione  obbligatoria  uguale  per tutti pone un fondamentale
 diritto sociale, dello Stato laico e democratico che ha  espresso  il
 nuovo accordo di Villa Madama.
    3)  Viene  in  rilievo altresi' il contrasto "con gli artt. 3 e 34
 della Costituzione" ed il principio di uguaglianza poiche', di fronte
 alla  "riduzione"  della  normale  attivita'  didattica  per  effetto
 dell'inserzione    dell'insegnamento    della   religione   cattolica
 nell'orario "normale", i non avvalentisi che scelgono di allontanarsi
 dall'edificio scolastico vengono ad effettuare un orario inferiore di
 lezioni, minore  di  quello  previsto  dall'art.  7  della  legge  n.
 148/1990,  con  discriminazione  rispetto alla durata dell'orario per
 gli avvalentisi ed i non avvalentisi che svolgono attivita'  alterna-
 tive.
    4)  Viene,  in ultimo, in rilievo il contrasto con l'art. 19 della
 Costituzione, quale espressione  della  liberta'  di  religione  c.d.
 sostanziale,  poiche'  l'inserzione dell'insegnamento della religione
 cattolica nell'orario ordinario, parificando  detta  disciplina  alle
 altre  in  una  scuola come quella elementare ove l'insegnamento, pur
 essendo affidato a  piu'  insegnanti  secondo  il  modello  c.d.  per
 "moduli"  viene  impartito  unitariamente (art. 5 legge n. 148/1990),
 contraddice la finalita' perseguita dal  sistema  scolastico  di  uno
 Stato improntato al principio di laicita' di promuovere il diritto di
 liberta'  di  scelta fra i valori religiosi formando una sensibilita'
 ed una coscienza consapevole della problematica  religiosa,  evitando
 l'insegnamento di una specifica religione come materia ordinaria, sia
 pure  facoltativa,  mantenendo  autonomo  e specifico (e non diffuso)
 l'insegnamento del credo confessionale  che  non  potra'  che  essere
 previsto  in  aggiunta al normale orario delle lezioni, ed all'inizio
 ed alla fine delle medesime.
    In punto di rilevanza, il pretore osserva che il presente giudizio
 non puo' essere definito senza prima aver risolto la questione  della
 legittimita' costituzionale delle norme concordatarie che legittimano
 l'assetto  organizzativo  denunciato  dai  ricorrenti come lesivo dei
 diritti.
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale e sospende il giudizio in corso;
    Ordina  che  la  cancelleria  notifichi  la  presente ordinanza di
 trasmissione degli atti al Presidente del Consiglio dei  Ministri  ed
 ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Canosa di Puglia, addi' 13 maggio 1991
                         Il pretore: MONTEDORO

 91C0950