N. 502 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 maggio 1991
N. 502 Ordinanza emessa il 13 maggio 1991 dal pretore di Trani, sezione distaccata di Canosa di Puglia, sul ricorso proposto da Stillavato Carmine ed altri, n.q. contro la scuola elementare "Pietrocola" del circolo di Minervino Murge ed altro Istruzione pubblica - Scuola dell'obbligo (elementari) - Insegnamento della religione cattolica - Inserimento nell'orario curricolare - Lamentato inserimento di un insegnamento facoltativo nel normale quadro orario delle lezioni - Conseguente riduzione delle lezioni obbligatorie (due ore settimanali) per tutti, avvalentisi e non avvalentisi dell'insegnamento di religione - Obbligatoria collocazione dell'insegnamento della religione cattolica all'inizio o alla fine delle lezioni - Omessa previsione - Violazione della garanzia dell'istruzione obbligatoria eguale per tutti, nonche' del principio della liberta' di religione c.d. sostanziale - Richiamo alla sentenza n. 13/1991. (Legge 25 marzo 1985, n. 121, artt. 9 e 5 prot. add. com.). (Cost., artt. 2, 3, 19 e 34).(GU n.33 del 21-8-1991 )
IL PRETORE Sciogliendo la riserva che precede, O S S E R V A Con ricorso depositato il 26 marzo 1991 Stillavato Carmine e Tancorre Anna; D'Angella Rocco e Zingarelli Maria Giuseppa; Forenza Francesco e di Claudio Maria; Carrozza Ugo e Palmieri Maria Domenica in qualita' di genitori esercenti la potesta' sui loro figli minori, frequentanti la scuola elementare "Pietrocola" del circolo didattico di Minervino Murge, esponevano di aver dichiarato, nella qualita', l'intenzione di non avvalersi dell'ora di religione, di aver constatato che, nell'ambito dell'organizzazione scolastica, l'insegnamento della religione cattolica era inserito nell'orario "normale" delle lezioni e che, quindi, stante il principio dell'uguale tempo-scuola di cui alla legge n. 148/90, tutti gli alunni erano privati di due ore d'insegnamento obbligatorio, tutto cio' esposto e premesso chiedevano che il pretore ordinasse al provveditore agli studi di Bari ed al direttore della scuola elementare Pietrocola del circolo didattico di Minervino Murge la immediata cessazione del comportamento antigiuridico, adempiendo all'obbligo d'insegnamento curricolare obbligatorio per ventiquattro ore settimanali o ventisette settimanali o per tempo modulare settimanale, collocando l'insegnamento della religione cattolica alla fine delle lezioni curricolari obbligatorie. Il pretore con decreto fissava l'udienza di comparizione. Instauratosi il contraddittorio, con memoria depositata il giorno 8 aprile 1991 si costituiva il Ministero della pubblica istruzione a mezzo dell'Avvocatura distrettuale dello Stato eccependo il difetto di giurisdizione dell'a.g.o. stante il tipo di provvedimento richiesto al pretore, risolventesi in un aumento dell'orario scolastico ossia nell'imposizione di un facere alla p.a.; eccepiva altresi' il resistente Ministero il difetto di contraddittorio per l'interesse alla partecipazione al giudizio dei genitori degli alunni avvalentisi dell'insegnamento religioso ed, in ultimo, il difetto del requisito dell'urgenza, mancando meno di due mesi al termine dell'anno scolastico; nel merito sottolineava l'esistenza di una potesta' discrezionale dell'amministrazione relativamente alla determinazione dell'orario scolastico riconosciuta anche dalla recentissima decisione della Corte costituzionale n. 13/1991; concludeva il resistente per il rigetto del ricorso, per inammissibilita' o infondatezza, con vittoria di spese. Interrogato liberamente il direttore didattico della scuola elementare nonche' uno dei ricorrenti, acquisita varia documentazione come da ordinanza resa all'udienza dell'8 aprile 1991, all'udienza del 22 aprile 1991, svolta la discussione; il pretore si riservava per la decisione. Difetto di giurisdizione. L'eccezione di difetto di giurisdizione dell'a.g.o. e' infondata. La situazione giuridica soggettiva fatta valere in giudizio, ai fini della cautela, e' innegabile un diritto soggettivo, lamentandosi dai ricorrenti la compressione della liberta' religiosa (art. 19 della Costituzione) e del diritto alla istruzione (art. 34 della Costituzione) in conseguenza di un certo assetto organizzativo della scuola. Sotto il primo profilo, quello della lesione della liberta' religiosa va ricordato come detta liberta', innegabilmente, deve qualificarsi come un diritto soggettivo pubblico (cfr. artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione) comprendente non solo la liberta' di professare questa o quella religione, ma anche di non appartenere ad alcuna confessione religiosa (c.d. liberta' negativa) come anche la liberta' di essere e professarsi atei (cfr. in proposito Corte costituzionale n. 117/1979). Detta liberta', fondamentale poiche' riconducibile ai diritti inviolabili della persona umana (art. 2 della Costituzione), e' un valore materiale che permea di se' la costituzione in tutte le sue parti, ivi compresa l'organizzazione statale, che, nel perseguire i propri fini, di natura pubblica, non puo' violarla ne' comprimerla in alcun modo. Sotto il secondo profilo il diritto all'istruzione, garantito a tutti obbligatoriamente e gratuitamente per almeno otto anni (art. 34, secondo comma, della Costituzione) costituisce un diritto-dovere civico, azionabile innanzi alla autorita' giudiziaria ordinaria in tutti i casi di lesione e/o compressione. Un delicato punto d'incontro fra le situazioni giuridiche soggettive azionate si ha riguardando la liberta' religiosa non solo sotto il profilo meramente formale ma anche sostanziale, quale diritto alla libera formazione della propria coscienza in materia religiosa (artt. 2 e 3 cpv. della Costituzione); processo che, strumento di elevazione spirituale dell'uomo, si svolge nelle varie formazioni sociali di cui egli e' partecipe: la famiglia, la confessione religiosa alla quale aderisca, la scuola. Particolarmente delicata e' la funzione alla quale e' chiamata ad adempiere la scuola dell'obbligo nell'ambito di uno Stato laico ma non indifferente alla problematica religiosa, funzione che sinteticamente puo' indicarsi in quella di porre l'individuo in condizione di scegliere fra i diversi valori religiosi compresenti ed evidenti nell'ordinamento (cfr. art. 1 del d.P.R. n. 104/1985: "la scuola statale non ha un proprio credo da proporre ne' un agnosticismo da privilegiare. Essa riconosce il valore della realta' religiosa come dato storicamente, culturalmente e moralmente incarnato nella realta' sociale di cui il fanciullo ha esperienza ed, in quanto tale, la scuola ne fa oggetto d'attenzione nel complesso della sua attivita' educativa, avendo riguardo per l'esperienza religiosa che il fanciullo viva nel proprio ambito familiare ed in modo da maturare sentimenti e comportamenti di rispetto delle diverse posizioni in materia di religione e di rifiuto di ogni forma di discriminazione"; la scuola in questo quadro promuove la conoscenza degli elementi essenziali per la graduale riflessione sulla realta' religiosa nella sua espressione storica, culturale, sociale, la conoscenza ed il rispetto delle posizioni che le persone variamente adottano in ordine alla realta' religiosa; la consapevolezza dei principi in base ai quali viene assicurato nella scuola elementare lo svolgimento di specifici programmi di religione nel rispetto del diritto dei genitori di scegliere se avvalersene o non avvalersene). Tali diritti soggettivi alla liberta' religiosa ed all'istruzione i ricorrenti assumono compressi dalla collocazione oraria dell'insegnamento della religione cattolica nel quadro del normale orario delle lezioni, chiedendo al pretore che sia ordinata la cessazione del comportamento illegittimo con ordine all'amministrazione di svolgere il normale orario scolastico di ventisette ore trattando in esse le materie curricolari di cui al d.P.R. n. 104/1985 e prevedendo in aggiunta a tale orario lo svolgimento dell'insegnamento facoltativo dell'ora di religione per i soggetti avvalentisi. L'amministrazione sostiene che in tal modo viene richiesto al giudice ordinario un'inammissibile condanna ad un facere della p.a. consistente nella modificazione in aumento dell'orario scolastico in violazione dell'art. 4 della legge n. 2248/1865 all. E. L'invocazione di detta norma (che recita: "quando la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell'autorita' amministrativa i tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti dell'atto stesso in relazione all'oggetto dedotto in giudizio") evidenzia come non si ponga in dubbio la sussistenza della giurisdizione del pretore ex art. 2 della legge 20 marzo 1865 all. E (in tal senso pret. Monza 23 marzo 1990 e pret. Torino 5 dicembre 1989). L'amministrazione non contesta che nella specie si controverta attorno a diritti civili (con conseguente giurisdizione del giudice ordinario) assumendo solo che sussiste un potere discrezionale dell'autorita' scolastica limitato alla formazione dell'orario delle lezioni ed e' esclusa qualsivoglia lesione di tali situazioni giuridiche soggettive (cosi' come sancito da Corte costituzionale n. 13/1991). La questione quindi attiene alla fondatezza nel merito dell'azione proposta (sotto il profilo del fumus boni iuris) e non alla sussistenza della giurisdizione. Difetto di contraddittorio. Anche la summenzionata eccezione proposta dalla p.a. e' priva di pregio. Si assume dall'amministrazione che i genitori degli alunni avvalentisi hanno diritto a partecipare alla causa essendo richiesto l'aumento dell'orario in via generalizzata. L'eccezione e' ricalcata sull'art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, quasi che il ricorso cautelare si risolva in un'impugnazione dell'atto d'adozione dell'orario scolastico. Se cosi' fosse, evidentemente, sussisterebbe il difetto di giurisdizione prima invocato. Ma - come s'e' detto - non puo' dubitarsi che siano state fatte valere dai ricorrenti posizioni giuridiche soggettive qualificabili come diritti soggettivi. Detti diritti, per la loro natura fondamentale, sono "irriducibili" "non affievolibili" dall'azione amministrativa (nello stesso senso cfr. quanto statuito dalla Corte di cassazione a sez. un. per il diritto alla salute con sentenza del 6 ottobre 1979, n. 5172). Le attivita' lesive di detti diritti devono considerarsi poste in essere in assoluta carenza di potere. Ne consegue che, nella specie, non e' in discussione l'orario scolastico quale atto amministrativo coinvolgente la generalita' dei soggetti frequentanti l'istituto scolastico ma la condotta - prospettata come lesiva di diritti fondamentali - della p.a. in relazione alle posizioni dei ricorrenti (e di terzi interessati solo in via riflessa in quanto gli avvalentisi - in via teorica - soffrono al pari dei non avvalentisi della "riduzione" dell'orario scolastico destinato alle materie obbligatorie conseguente all'inserzione dell'insegnamento facoltativo nel normale quadro orario delle lezioni). Nessun rilievo ha poi la circostanza che detta condotta sia estrinsecata in atti formali che, in ipotesi lesivi delle liberta' e dei diritti fondamentali dell'individuo, regolino anche la posizione di terzi (che, tra l'altro, nell'impostazione dei ricorrenti sono anche essi lesi dall'assetto organizzativo esistente anche se non se ne dolgono). Detti atti, ove si accerti la loro lesivita' nel senso innanzi specificato, non potranno escludere l'indagine del giudice ordinario sulla materiale condotta della p.a. illecita anche se sostenuta dal simulacro di atti formali. Non essendo in questione l'atto di adozione dell'orario scolastico ma il comportamento, essenzialmente omissivo, della p.a. (per un caso analogo cfr. Cass. sez. un. n. 2999/1989) consistente nel non impartire ventisette ore d'insegnamento scolastico obbligatorio, non comprensive dell'insegnamento della religione cattolica (in quanto insegnamento facoltativo), non puo' dubitarsi che non si ponga alcuna necessita' d'integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i genitori degli alunni frequentanti l'istituto scolastico essendo i medesimi estranei al comportamento denunciato. Merito. Ritiene l'amministrazione - come s'e' rilevato - che sussista nella specie il potere organizzativo discrezionale della p.a. di collocare l'insegnamento della religione cattolica nel quadro dell'orario scolastico, purche' sia rispettato lo stato di non obbligo alla frequenza che puo' comprendere tra le altre possibili scelte quella di allontanarsi od assentarsi dall'edificio della scuola sicche', assicurato lo stato di non obbligo, non sussisterebbe lesione alcuna di diritti inviolabili dell'uomo (conf. Corte costituzionale n. 13/1991). Detta pronuncia, recentissima, della Corte costituzionale risolve la problematica sostenendo che "quanto alla collocazione dell'insegnamento nell'ordinario orario delle lezioni nessuna violazione dell'art. 2 della Costituzione e' ravvisabile. Questa Corte ha gia' sottolineato nella sentenza n. 203/1989 che l'insegnamento della religione cattolica sara' impartito nel quadro delle finalita' della scuola vale a dire con modalita' compatibili con le altre discipline scolastiche". A seguito di detta pronuncia il Ministero con cir. 18 gennaio 1991, n. 9, ha chiarito che "resta confermata la piena legittimita' della collocazione dell'insegnamento della religione cattolica nell'orario delle lezioni, con la conseguenza che, nella formulazione del quadro-orario, l'insegnamento sia collocato anche in ore intercalari cosi' come e' per le altre discipline scolastiche, in relazione ai criteri di buon andamento della scuola che implicano l'ottimale distribuzione delle diverse discipline sotto il profilo didattico e la migliore utilizzazione del personale docente". Il Ministero con la circolare dinanzi citata conferma un'interpretazione della revisione madamense del concordato, quanto all'ora di religione, sostenuta sin dalla circ. ministeriale n. 302 del 29 ottobre 1986 a tenore della quale l'insegnamento della religione cattolica deve trovare collocazione all'interno o meglio nel quadro dell'orario scolastico obbligatorio. Divenuta ormai insostenibile l'obbligatorieta' dell'insegnamento (a seguito di Corte costituzionale n. 203/1989) e la necessita' di svolgimento d'attivita' alternative in istituto o comunque di permanenza nella scuola (cfr. Corte costituzionale n. 13/1991) permane, alla stregua della prassi amministrativa vivente, la inserzione dell'ora di religione nel quadro orario delle lezioni, con piena equiparazione dell'insegnamento in questione agli altri insegnamenti previsti dai programmi della scuola statale. Tanto - nell'ottica della p.a. - si fonda sul menzionato potere discrezionale dell'amministrazione di autorganizzarsi, disciplinando l'orario scolastico, potere che e' riconosciuto dal tenore letterale dell'accordo madamense. L'art. 9 della legge n. 121/1985 dispone: "La Repubblica italiana continuera' ad assicurare, nel quadro delle finalita' della scuola, l'insegnamento della religione cattolica" e la norma di cui all'art. 5, lettera b), n. 2, del protocollo addizionale prevede che: "le modalita' d'organizzazione di tale insegnamento anche in relazione alla collocazione nel quadro degli orari delle lezioni" saranno de- terminate da successive intese fra Stato e Chiesa cattolica. Come e' noto con d.P.R. n. 751/1985 e' stata data esecuzione alla intesa c.d. Falcucci-Poletti che, all'art. 2, recita: "il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica non deve determinare alcuna forma di discriminazione, neppure in relazione ai criteri per la formazione delle classi, alla durata dell'orario scolastico giornaliero ed alla collocazione di detto insegnamento nel quadro orario delle lezioni"......... "la collocazione di tali lezioni e' effettuata dal capo di istituto, sulla base delle proposte del collegio dei docenti, secondo il normale criterio di equilibrata distribuzione delle di- verse discipline nella giornata e nella settimana, nell'ambito della scuola ed in ciascuna classe"........ "nelle scuole elementari........ sono organizzate specifiche ed autonome attivita' d'insegnamento della religione cattolica".. .. .. "a tale insegnamento sono assegnate complessivamente due ore nell'arco della settimana". L'attuale assetto organizzativo della scuola quindi - cosi' come realizzato dalla p.a. (cfr. circ. n. 9/1991) - prevede e legittima l'inserzione di un insegnamento facoltativo anche nell'orario d'obbligo della scuola elementare che, ex art. 7 della legge n. 148/1990, e' pari a ventisette ore settimanali, elevabili fino ad un massimo di trenta ore in relazione alla graduale attivazione dell'insegnamento di una lingua straniera. L'inserzione dell'insegnamento facoltativo della religione cattolica nell'orario curricolare normale (par a ventisette ore) e' stata operata dal direttore didattico della scuola elementare "Pietrocola" di Minervino Murge per cui e' processo (cfr. interrogatorio libero del direttore didattico Giannini Antonio). Tale scelta e' conforme alle direttive della citata circolare n. 9/1991 del Ministero della pubblica istruzione. Anche la giurisprudenza amministrativa, la piu' sensibile alla tematica della liberta' religiosa, ha considerato il problema della collocazione dell'insegnamento della religione cattolica nel quadro orario delle lezioni, una volta assicurata la non obbligatorieta' degli insegnamenti alternativi offerti dallo stato "di rilievo secondario e giuridicamente privo di consistenza" (cfr. letteralmente t.a.r. Lazio sezione terza, sent. 30 marzo 1990, n. 617). Tuttavia il tema necessita una nuova meditazione, con riferimento alla situazione dei frequentanti la scuola elementare. Infatti, stante il principio dell'uguale tempo-scuola (art. 7 della legge n. 148/1990) e l'obbligatorieta' dell'istruzione inferiore (art. 34 della Costituzione, art. 1 della legge n. 148/1990) l'assetto scolastico dato dalla amministrazione "riduce gli spazi normalmente riservati agli insegnamenti curricolari" (in tal senso gia' ord. pret. Firenze 4 maggio 1990). Se una norma prevede un tempo scuola obbligatorio non si puo' ins- erire all'interno di quel tempo scuola uno stato di non obbligo e poiche' tutta l'istruzione elementare, per il tempo legislativamente previsto, non puo' che essere obbligatoria, l'istruzione facoltativa non puo' che essere prevista in aggiunta. Tuttavia il diritto amministrativo vivente e la prassi della p.a. sono orientate diversamente, ammettendosi un potere discrezionale suscettibile di incidere - per quanto appresso si dira' - su diritti e liberta' fondamentali. La Corte costituzionale - come gia' ricordato - nella recentissima sentenza n. 13/1991 ha ritenuto che il potere organizzativo della p.a. in tema di collocazione dell'insegnamento della religione cattolica nell'orario scolastico non leda i diritti inviolabili della persona umana. Se sussistesse tale potere discrezionale nel senso anzidetto anche nella scuola elementare, ad avviso del giudicante, la normativa si esporrebbe a quattro censure di incostituzionalita' non manifestamente infondata. 1) Non puo' ritenersi manifestamente infondata infatti la questione, non nuova, attinente al contrasto con gli artt. 2, 3 e 19 della Costituzione per il danno che da tale assetto organizzativo deriva al minore nello sviluppo della propria personalita' nell'ambito della scuola elementare. Detto contrasto si ipotizza rispetto alle norme dell'art. 9 della legge 9 luglio n. 121/1985 e dell'art. 5 del protocollo addizionale ove non prevedono, quantomeno per la scuola elementare, la obbligatoria collocazione dell'insegnamento della religione cattolica all'inizio od alla fine delle lezioni (non a caso raccomandata da circ. 129/1986 e circ. 316/1987 del Ministero della p.i.) e consentono la collocazione in ore intercalari, cosi' costringendo i minori non avvalentisi che non vogliono permanere nell'istituto scolastico ad un anti-pedagogico temporaneo allontanamento e successivo rientro e rendendo obiettivamente e praticamente difficoltosa per le famiglie degli anzidetti minori l'alternativa dell'allontanamento dall'edificio scolastico del minore, determinando in sostanza un ostacolo di fatto allo stato di non obbligo. 2) Del pari non puo' ritenersi manifestamente infondata la questione relativa al contrasto di dette norme con l'art. 34 della Costituzione perche' l'inserzione di detto insegnamento nel quadro dell'orario normale delle lezioni priva i non avvalentisi che decidano di allontanarsi dall'edificio scolastico di due ore dell'insegnamento obbligatorio (stabilito per tutti in ventisette o piu' ore settimanali - fino a trenta - dall'art. 7, legge n. 148/1990) senza fornire loro alternative (che contrasterebbero con lo stato di non obbligo). Non ignora il pretore che la Corte costituzionale (sent. n. 203/1989) ha, di recente, in obiter dictum, confermato che anche l'accordo di modifica del 18 febbraio 1984, gode di copertura costituzionale ex art. 7 della Costituzione dovendosi, quindi, intendere limitato il sindacato di costituzionalita' al contrasto con i principi supremi dell'ordinamento. Al di la' della questione relativa alla natura della norma di cui all'art. 7 della Costituzione ritenuta dagli stessi relatori di maggioranza in seno alla costituente norma sulla produzione giuridica o sulle fonti, questione che avrebbe potuto condurre anche in passato ad approdi differenti, che se storicamente non maturi, circa la ampiezza del sindacato di costituzionalita' ammissibile nei patti lateranensi, puo' fondatamente dubitarsi - con parte della dottrina ecclesiastica che la "copertura costituzionale" dell'art. 7 della Costituzione si estenda con valenza identica al passato all'accordo madamense. L'art. 7 della Costituzione impone la procedura di revisione costituzionale per la modificazione delle norme pattizie, quando queste siano decise unilateralmente dallo Stato; non prevede una forza di resistenza passiva delle norme pattizie rispetto alle norme costituzionali, ne' una possibilita' di deroga delle norme pattizie alle norme costituzionali (quasi che le norme suddette siano norme supercostituzionali). E poiche' non e' stato costituzionalizzato il principio concordatario (fu respinta la formula, proposta dai comunisti, secondo cui "i rapporti tra Stato e Chiesa cattolica sono regolati in termini concordatari") puo', non senza ragione, sostenersi che l'art. 7 fu previsto per evitare che, nel delicato momento del costituirsi del nuovo Stato democratico, una semplice maggioranza parlamentare imponesse il superamento dei patti e della "pace religiosa" che essi avevano consentito. Fonte "atipica" - si sostiene - e' la legge n. 810/1929 di esecuzione dei patti lateranensi non la legge ordinaria che, nel quadro storicamente mutato dello Stato democratico ormai consolidato, ha recepito il nuovo accordo di revisione del Concordato, attuando quelle "modificazioni" che, gia' previste dai costituenti, hanno consentito di adeguare le relazioni tra Stato e Chiesa ai principi sanciti dalla Costituzione, da un parte, e alle dichiarazioni del Concilio ecumenico Vaticano II, dall'altra (e vedasi preambolo dell'accordo madamense). Ci si spinge sino all'affermazione, invero opinabile, che la norma di cui all'art. 7 non ha previsto una forza di resistenza passiva degli accordi di modifica rispetto a future leggi ordinarie d'unilaterale modifica. Si dubita inoltre della possibilita' di ricondurre la nuova disciplina all'art. 7, secondo comma, della Costituzione cosi' da assicurare alla legge di esecuzione la medesima posizione privilegiata, nella gerarchia delle fonti, riconosciuta alla disciplina concordataria. La qualificazione dell'accordo in termini di "modificazioni del concordato" contrasterebbe - in tale prospettiva - con il tenore dell'art. 13 n. 1, dell'accordo per il quale "le disposizioni del concordato........ non riprodotte nel presente atto sono abrogate". S'e' quindi sostenuto che il nuovo accordo sia integralmente sostitutivo della disciplina precedente e quindi sottratto all'area di operativita' dell'art. 7, secondo comma, della Costituzione. La valenza sostitutiva dell'accordo, inteso come radicalmente innovatore, e' stata poi sottolineata - s'e' notato dalla dottrina ecclesiasticistica - dalle dichiarazioni del Presidente del Consiglio in carica all'epoca esaltanti la valenza riformatrice del nuovo patto. Tale impostazione equiparerebbe il nuovo accordo alla legge ordinaria (di cui all'art. 8 della Costituzione) che recepisce intese con le confessioni religiose. Orbene ritiene il pretore che, anche volendo affermare la natura modificativa del patto del 1984 (espressamente sottolineata dalle parti al fine di garantire alla legge di esecuzione l'efficacia di legge rinforzata), e volendo condividere la tesi secondo la quale detto accordo e' - al pari dei Patti Lateranensi sui quali ha inciso - dotato di forza di resistenza passiva alle leggi ordinarie d'unilaterale modifica od abrogazione (al fine di evitare inadempienze internazionali), non si puo' ritenere tuttavia che la "copertura costituzionale" si spinga sino al punto di consentire deroghe a norme costituzionali con il solo limite dei principi supremi dell'ordinamento. Rispetto al contenuto delle norme costituzionali il nuovo accordo non puo' porsi in deroga poiche', sin nella sua formulazione, i redattori si sono ispirati ai "principi sanciti nella Costituzione" della Repubblica italiana (cfr. preambolo). Puo' quindi ritenersi "archiviata" l'impostazione della "copertura costituzionale" quale primato delle norme di derivazione concordataria rispetto alle norme ed ai principi (che non siano "supremi") della Costituzione repubblicana. S'e' parlato in proposito di un'originale forma di Stato laico- sociale - voluta conforme al dettato costituzionale - emergente dalla legislazione ecclesiastica, e cio' non e' senza conseguenze sul tipo di copertura costituzionale da assicurare al nuovo patto tra Stato e Chiesa. Ma v'e' di piu': infatti se di fronte al nuovo patto ed al regime di collaborazione bilateralita' e delegificazione introdotto come metodo ispiratore dei rapporti tra le parti contraenti, si dovesse tener ferma la tesi che le norme pattizie sono sindacabili solo se contrastanti con i principi supremi dell'ordinamento, si darebbe un "mandato in bianco al legislatore per introdurre qualunque, imprevedibile deroga alla Costituzione purche' con il consenso della Santa Sede". Ne' si dica che sotto il regime dei patti del 1929 si dava questa possibilita': infatti i patti del 1929 erano ben presenti al costituente mentre il contenuto delle modifiche dei patti non e' prevedibile. A garantire la resistenza dei patti e' sufficiente l'immodificabilita' dei medesimi dal legislatore ordinario, non e' necessario ritenere che essi possano derogare a norme costituzionali. Ne consegue un possibile ampliamento del sindacato di costituzionalita' sull'accordo del 1984. Tanto consente di ritenere non manifestamente infondata la questione relativa al contrasto delle norme denunziate (artt. 9 e 5, lett. b), del protocollo) con l'art. 34 della Costituzione che, pur non contenendo un principio supremo, tuttavia con la garanzia dell'istruzione obbligatoria uguale per tutti pone un fondamentale diritto sociale, dello Stato laico e democratico che ha espresso il nuovo accordo di Villa Madama. 3) Viene in rilievo altresi' il contrasto "con gli artt. 3 e 34 della Costituzione" ed il principio di uguaglianza poiche', di fronte alla "riduzione" della normale attivita' didattica per effetto dell'inserzione dell'insegnamento della religione cattolica nell'orario "normale", i non avvalentisi che scelgono di allontanarsi dall'edificio scolastico vengono ad effettuare un orario inferiore di lezioni, minore di quello previsto dall'art. 7 della legge n. 148/1990, con discriminazione rispetto alla durata dell'orario per gli avvalentisi ed i non avvalentisi che svolgono attivita' alterna- tive. 4) Viene, in ultimo, in rilievo il contrasto con l'art. 19 della Costituzione, quale espressione della liberta' di religione c.d. sostanziale, poiche' l'inserzione dell'insegnamento della religione cattolica nell'orario ordinario, parificando detta disciplina alle altre in una scuola come quella elementare ove l'insegnamento, pur essendo affidato a piu' insegnanti secondo il modello c.d. per "moduli" viene impartito unitariamente (art. 5 legge n. 148/1990), contraddice la finalita' perseguita dal sistema scolastico di uno Stato improntato al principio di laicita' di promuovere il diritto di liberta' di scelta fra i valori religiosi formando una sensibilita' ed una coscienza consapevole della problematica religiosa, evitando l'insegnamento di una specifica religione come materia ordinaria, sia pure facoltativa, mantenendo autonomo e specifico (e non diffuso) l'insegnamento del credo confessionale che non potra' che essere previsto in aggiunta al normale orario delle lezioni, ed all'inizio ed alla fine delle medesime. In punto di rilevanza, il pretore osserva che il presente giudizio non puo' essere definito senza prima aver risolto la questione della legittimita' costituzionale delle norme concordatarie che legittimano l'assetto organizzativo denunciato dai ricorrenti come lesivo dei diritti.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso; Ordina che la cancelleria notifichi la presente ordinanza di trasmissione degli atti al Presidente del Consiglio dei Ministri ed ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Canosa di Puglia, addi' 13 maggio 1991 Il pretore: MONTEDORO 91C0950