N. 551 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 giugno 1991

                                N. 551
 Ordinanza  emessa  il 18 giugno 1991 dal tribunale militare di Padova
 nel procedimento penale a carico di Urbani Gabriele
 Reati militari - Allontanamento illecito - Reato punibile su
    richiesta del comandante di Corpo - Ritenuta natura sostanziale  e
    non processuale della richiesta - Conseguente antigiuridicita' del
    fatto  in  dipendenza  di  valutazioni  rimesse  al  comandante  -
    Contrasto con il principio  della  riserva  di  legge  in  materia
    penale  -  Prospettata  violazione  dei diritti fondamentali della
    persona con incidenza sullo spirito democratico cui  e'  informato
    l'ordinamento delle Forze armate.
 (C.P.M.P. art. 148, secondo comma, in relazione all'art. 260 stesso
    codice).
 (Cost., artt. 25 e 52).
(GU n.34 del 28-8-1991 )
                         IL TRIBUNALE MILITARE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza nella causa contro Urbani
 Gabriele, nato il 28 marzo 1970 a Terni, atto di nascita n. 450/i.a.,
 ivi residente in via Brodolini Giacomo  n.  2,  celibe,  incensurato;
 soldato  effettivo  nell'8º gruppo artiglieria cam. smv. "Pasubio" in
 Banne (Trieste); libero imputato di diserzione (art. 148,  n.  2  del
 c.p.m.p.) perche', soldato nell'8º gruppo art. cam. smv. "Pasubio" in
 Banne, avviato l'8 febbraio 1991 dal distretto militare di Perugia al
 reparto  di  Banne, senza giusto motivo si presentava in quest'ultimo
 solo il 18 febbraio 1991.
                            FATTO E DIRITTO
    A conclusione del dipartimento, e' risultato che il sodalto Urbani
 Gabriele, pur rimasto assente dal servizio dell'8 al 18 gennaio 1991,
 non ha commesso il reato di discizione contestatogli (nei  primi  5-6
 giorni  egli era affetto da malattia) bensi' quello di allontanamento
 illecito (art. 147, secondo comma, del c.p.m.p.).
    Si tratta di reato che, come ogni altro per il quale sia  prevista
 la  pena  della  reclusione  militare non superiore nel massimo a sei
 mesi, non puo' essere punito  se  non  a  seguito  di  richiesta  del
 comandante  (art.  260, secondo comma, del c.p.m.p.); ma nella specie
 la richiesta e' stata presentata (f. 2).
    La norma  dell'art.  260,  secondo  comma,  e'  stata  piu'  volte
 sottoposta   al   vaglio  della  Corte  costituzionale,  manifestando
 tuttavia  un'inusitata  capacita'  di  resistenza.  Con  ben   cinque
 sentenze  (42/1985,  189/1976,  60/1978,  114/1982  e 397/1987) si e'
 stabilito che essa non viola  il  principio  di  uguaglianza,  ne'  i
 diritti  della  persona, ne' i principi della diretta responsabilita'
 penale del funzionario, della democratica dell'ordinamento  militare,
 dell'imparzialita'        della       pubblica       amministrazione,
 dell'obbligatorieta' dell'azione penale.
    Trovandosi di fronte ad un  reato  punibile  a  richiesta,  questo
 giudice  non  intende  sollevare  ancora  questioni gia' decise dalla
 Corte; ma, sulla base delle considerazioni svolte dal p.m., non  puo'
 esimersi  dal  manifestare  nuovi dubbi di legittimita' che investono
 non tanto la richiesta di procedimento  in  se'  considerata,  quanto
 piuttosto  la  norma  incriminatrice  dell'art. 147 del c.p.m.p., dal
 momento che punisce l'assenza arbitraria, di durata superiore  ad  un
 giorno ed inferiore a cinque, a condizione che questa sia la volonta'
 del  comandante  di Corpo, o di altro "ente superiore" da cui dipende
 il colpevole. La richiesta di procedimento, in altri termini, ha  una
 prevalente  natura  non  processuale,  bensi'  sostanziale, e percio'
 rende dubbia, sotto i profili che saranno esaminati, la  legittimita'
 della norma incriminatrice.
    E'  noto  che  da  tempo  in  dottrina e giurisprudenza si pone il
 problema se la querela, la  richiesta  e  l'istanza  di  procedimento
 siano   condizioni   di   punibilita',   oppure   di   punibilita'  e
 procedibilita', o infine solamente di  procedibilita',  e  che  negli
 ultimi  tempi  si  propende  per  quest'ultima  soluzione.  E  questo
 tribunale non puo' di certo aggiungere nuovi argomenti  di  carattere
 generale  a  quelli,  copiosissimi,  gia' tradizionalmente proposti a
 favore delle varie concezion. Si deve,  tuttavia,  rilevare  come  il
 prevalere   della  tesi  della  condizione  di  procedibilita'  lasci
 piuttosto insoddisfatti, dal momento che  nella  scolorita  categoria
 processuale  i tre cennati istituti vengono ad assimilarsi con quello
 dell'auorizzazione a procedere, e  si  dissolvono  le  differenze  di
 origine  e di funzione di querela istanza e richiesta, e la richiesta
 del comandante di corpo, quando non sia addirittura accomunata ad una
 querela, viene a confondersi con la richiesta del  Ministro,  con  la
 quale probabilmente nulla ha in comune se non il nome.
    Limitando  ogni  considerazione  alla  richiesta  del  comandante,
 l'aspetto sostanziale che non puo' essere sottaciuto, e  che  vale  a
 comprendere l'istituto nel novero delle condizioni di punibilita', e'
 la  circostanza  che  il  titolare  del  potere  di  richiesta e' nel
 contempo titolare del potere disciplinare, di  modo  che  (come  gia'
 avveniva  per  i  c.d.  sostitutivi  disciplinari  anteriormente alla
 vigente codificazione penalmilitare) la presentazione, o meno,  della
 richiesta  al  competente magistrato e' espressione di una scelta del
 comandante in ordine alla sanzione,  se  disciplinare  o  penale,  da
 irrogare per il fatto previsto dalla legge penale militare.
    Questa   concezione  e'  stata  a  volte  messa  in  dubbio  nella
 considerazione che non vi sia affatto, per i reati  punibili  con  la
 reclusione  militare  non  superiore a sei mesi, l'asserita' scelta e
 alternativita' tra la sanzione  penale  e  quella  disciplinare,  dal
 momento che per fatti del genere il comandante da un lato non sarebbe
 tenuto  ad esercitare l'azione disciplinare nel caso in cui non abbia
 inoltrato la richiesta di procedimento,  e  dall'altro  ben  potrebbe
 promuovere  il  procedimento  disciplinare  (che  verrebbe sospeso in
 attesa  del  giudizio  penale)  anche  nel  caso  di  sua  precedente
 presentazione della richiesta di procedimento penale.
    In  realta',  l'alternativa  tra  sanzione disciplinare e sanzione
 penale trae fondamento da una consolidata prassi gia' esistnte  sotto
 la  vigenza della normativa anteriore alla codificazione del 1941; ma
 attualmente sembra trovare riscontro  anche  nelle  disposizioni  del
 d.P.R.  18 luglio 1986, n. 545, (regolamento di disciplina militare),
 che dettano norme per l'esercizio dei poteri attribuiti al comandante
 dagli artt. 13 e 15 della legge 11 luglio 1978,  n.  382,  (norme  di
 principio  sulla disciplina militare). Innanzitutto l'art. 58 settimo
 comma, del testo regolamentare  stabilisce  l'obbligo  dell'esercizio
 dell'azione  disciplinare  nel  caso  di  infrazioni  punibili con la
 consegna di rigore,  categoria  che  comprende  i  reati  in  genere,
 inclusi  quelli punibili con la reclusione militare non superiore nel
 massimo a sei mesi (art. 65, settimo comma e preambolo  dell'allegato
 C)  al  citato  d.P.R.).  Inoltre,  come pure stabiliscono l'art. 65,
 settimo  comma,  ed  il  preambolo  dell'allegato  C)   la   sanzione
 disciplinare  per  i  reati  punibili  con la reclusione militare non
 superiore a sei mesi e' irrogabile solo  quando  il  comandante  "non
 ritenga  di chiedere il procedimento", e percio' esclusivamente quale
 alternativa alla sanzione penale.
    Di  modo  che,  volendo  abbozzare  talune  linee fondamentali del
 potere disciplinare del comandante, risulta che l'azione disciplinare
 puo', o in certi casi deve, essere esercitata per ogni fatto che, non
 rientrando  nella  previsione  di  alcuna  norma   penale   militare,
 costituisca  tuttavia  violazione  dei  doveri  del  servizio o della
 disciplina militare; che l'azione disciplinare e'  invece  sempre  da
 esercitare  per  le  violazioni  dei  doveri medesimi che siano anche
 previste come reato perseguibile d'ufficio, che tra le due  categorie
 estreme  v'e'  una  fascia  intermedia costituita dalle infrazioni ai
 detti doveri che nel contempo integrino la materialita' di  un  reato
 punibile  con  la reclusione militare non superiore nel massimo a sei
 mesi, e che in quest'ultimo caso, in  cui  l'azione  disciplinare  e'
 esperibile  solamente quando non sia stata inoltrata al magistrato la
 richiesta di procedimento, al  comandante  e'  conferito  proprio  il
 potere  di stabilire se per l'infrazione posta in essere dal militare
 sia adeguata la sanzione penale oppure quella disciplinare.
    Del resto, che la richiesta di procedimento operi innanzitutto  in
 un  ambito di diritto sostanziale e' concezione pacificamente accolta
 nella dottrina meno recente anteriore  ed  immediatamente  successiva
 all'ultimo  conflitto  mondiale,  nella quale si afferma che (proprio
 perche' in difetto della  richiesta  il  fatto  e'  privo  di  penale
 rilevanza)  per  il  reato  punibile  a richiesta non v'e' obbligo di
 rapporto giudiziario da parte del comandante, sin quando egli non  si
 sia   eventualmente   indotto  a  chiedere  il  procedimento  penale.
 Quest'idea e' senza difficolta' accolta nella giurisprudenza, nel cui
 ambito, sempre  in  linea  con  la  concezione  sostanzialistica,  si
 rinviene,  quale particolare applicazione del principio, la decisione
 secondo cui non e' punibile come ricettazione l'acquisto  di  oggetti
 provenienti  da  reati  militari  per  il  quale  non puo' procedersi
 poiche' manca la richiesta del comandante del corpo (Cass. sez. terza
 25 ottobre 1954, in foro pen. 1955, 516).
    Rispetto a quest'originario ordine di idee la succesiva  relazione
 della  richiesta  di  procedimento  del novero nelle norme di diritto
 processuale  non  e'  che  un'aastratta  operazione  dottrinaria,  un
 tentativo  di esorcizzazione dell'istituto, che di certo non fa venir
 meno ed anzi rimuove il dato essenziale: che il comandante sceglie il
 tipo di sezione, penale ovvero disciplinare, da irrogare per il fatto
 previsto quale reato.
    Altri elementi confermano che la richiesta  di  procedimento  deve
 considerarsi una condizione di punibilita'; innanzitutto il fatto che
 l'art.  260  sia  collocato  nell'ambito del libro secondo "Dei reati
 militari" e rimanga estraneo al libro terzo "Della  procedura  penale
 militare".
    Ma  ancor  piu'  significativo  e'  che  la disposizione stassa (a
 differenza di quanto avviene per autorizzazione a procedere, querele,
 istanza  e  richiesta  del  Ministro)  non  riguardi  reati  indicati
 singolarmente  o per l'appartenenza ad una determinata categoria, ne'
 i reati in gnenere commessi in determinate circostanze o da  determi-
 nate  persone, bensi' indistintamente tutti i reati militari, nessuno
 escluso, punibili con la reclusione militare nella misura suindicata,
 a  nulla  rilevando  il  bene  giuridico  tutelato,   o   particolari
 qualifiche  del  colpevole,  o  le  circostanze  della realizzazione:
 quest'individuazione dei reati punibili  a  richiesta  esclusivamente
 per  il  tramite della quantita' della pena comunicata per i medesimi
 dalla legge sta a ssegnalare che  ci  si  trova  nel  contesto  della
 punibilita'.  E  la  conclusione si rafforza nella considerazione che
 l'art. 260 si riferisce a tutti indistintamente i piu'  lievi  tra  i
 reati   militari,  ai  fatti  bagattellari  si  direbbe  con  moderna
 terminologia,  rispetto  ai  quali  e'  ragionevole  pensare  che  il
 legislatore,   senza   eccessive   preoccupazioni  dogmatiche,  abbia
 avvertito l'esigenza di evitare  una  penalizzazione  incondizionata.
 Chiarita,  dunque,  la  natura sostanziale del potere del comandante,
 risulta evidente che con quest'istituto si e' delegato  all'autorita'
 militare una decisione che il prinmcipio costituzionale dell'art. 25,
 secondo comma, riserva in modo assoluto alla legge.
    La   rilevanza   inadeguatezza   nei   copnfronti   del  principio
 costituzionale di legalita' non comporta, tuttavia, che debba  essere
 sollevata questione di legittimita' incentrata sulla disposizione che
 prevede  la  richiesta  di  procedimento,  dal momento che con la sua
 caducazione si avrebbe il  risultato,  ancora  in  contrasto  con  il
 principio  costituzionale,  che  la norma incriminatrice acquisirebbe
 un'incondizionata applicabilita',  che  il  legislatore  non  ha  mai
 inteso   disporre.   La   questione  di  legittimita'  deve,  invece,
 appuntarsi sulla norma dell'art. 147 del c.p.m.p.,  perche',  con  il
 suo collegamento all'art. 260, delega al comandante la penalizzazione
 dell'assenza arbitraria di durata superiore ad un giorno ed inferiore
 a  cinque,  e  non  possiede  pertanto  i  requisiti che il principio
 costituzionale richiede per una norma incriminatrice.
    Come ha bene messo in rilievo una dottrina non  recente,  ma  gia'
 sensibile  alle  garanzie  costituzionali, la discrezionalita' insita
 nella richiesta  di  procedimento  per  il  reato  di  allontanamento
 illecito   costituisce,   inoltre  un  camuoflage  di  un'altrettanto
 inammissibile discrezionalita': quella prevista nei codici previgenti
 e nel vigente codice penale militare di guerra (art. 155), per cui il
 militare arbitrariamente assente dal servizio  puo',  sulla  base  di
 "particolari  circostanze"  liberamente  valutabili  dal  comandante,
 essere dallo stesso "dichiarato" disertore o mancante  alla  chiamata
 prima  che l'asenza abbia raggiunto la durata, due giorni, occorrente
 per il perfezionamento del reato (artt. 145, 146 n. 2, 151).
   Pertanto, lo stesso allontanamento illecito  configurato  dall'art.
 147   del   c.p.m.p.   non   e'   che   una   diserzione  (art.  148)
 discrezionalmente  valutata   ed   anticipatamente   dichiarata   dal
 comandante,  in  evidente  spregio  del  principio  costituzionale di
 legalita'. Viene con cio' ribadita  l'illegittimita'  dell'art.  147,
 che  si  rileva  anche  piu'  radicale  di  quanto non lasci supporre
 l'analisi  sin  qui  svolta  sulla  disposizione  dell'art.  260.  La
 richiesta di procedimento riferita al fatto di assenza arbitraria non
 solo non e' una mera condizione di procedibilita', ma anche in quanto
 condizione   sostanziale   di   punibilita'   diviene   la   sommita'
 dell'iceberg     l'aspetto     terminale     ed     emergente      di
 un'incostituzionalita'   che   muove  dal  cuore  stesso  del  reato,
 l'antigiuridicita' valutata e dichiarata  dal  comandante,  piuttosto
 che risultante da una norma di legge.
    Ma,  anche prescindendo dall'ambito dei principi costituzionali in
 materia  penale,  non  e'  meno  evidente   che   la   stessa   norma
 incriminatrice   dell'art.   147,   per  per  quel  suo  collegamento
 all'istituto dell'art. 260, e per il potere di penalizzazione che  ne
 deriva  in  capo  al  comandante  militare,  concorre  a  determinare
 un'illegittima limitazione dei  diritti  fondamentali  della  persona
 (artt.  2 e 13 della Costituzione), che nell'ordinamento militare non
 hanno meno valore  che  nell'ordinamento  generale  (art.  52,  terzo
 comma, della Costituzione).
    Sotto  questo profilo, non si comprende anzi quale senso abbia che
 con la citata legge n. 382/1978 e poi con il d.P.R.  n.  545/1986  si
 limitino  e  si  disciplinino  i poteri che al comandante stettano in
 vista del perseguimento dei compiti d'istituto delle forze  armate  e
 per l'attuazione della normativa disciplinare, qualora poi si dovesse
 ammettere  come  legittimo  che  in capo allo stesso vi sia un potere
 quale quello di penalizzare i  fatti  lesivi  del  servizio  e  della
 disciplina  militre, che la Costituzione riserva in maniera esclusiva
 al legislatore.
    Questo  tribunale,  in  definitiva,  ritiene  di  dover  sollevare
 questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 147 del c.p.m.p.,
 in riferimento all'art. 260 del c.p.m.p., in relazione agli artt.  2,
 13 e 25, secondo comma, e 52, terzo comma della Costituzione.
                               P. Q. M.
    Letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  non manifestamente infondata e rilevante la questione di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  148,  secondo   comma,   del
 c.p.m.p.  in riferimento all'art. 260 del c.p.m.p., in relazione agli
 artt. 25, secondo comma, e 52, ultimo comma, della Costituzione;
    Dispone la sospensione del procedimento in corso e la trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
    Dispone la notificazione dell'ordinanza alla partie al  Presidente
 del  Consiglio  dei Ministri e la comunicazione ai Presidenti dei due
 rami del Parlamento.
      Padova, addi' 18 giugno 1991
                    Il presidente estensore: ROSIN
                                Il collaboratore di cancelleria: DARIO
 91C1019