N. 566 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 febbraio 1991

                                N. 566
 Ordinanza emessa il 13 febbraio 1991 (pervenuta alla Corte
    costituzionale il 2 settembre 1991) dal  tribunale  amministrativo
    regionale  per la Sardegna sul ricorso proposto dalla provincia di
    Cagliari contro Co.Re.Co. in Cagliari ed altra.
 Regione Sardegna - Organi di controllo degli enti locali (nella
    specie: Co.Re.Co.) - Prevista decadenza dell'organo  di  controllo
    non rinnovato entro il termine di sessanta giorni dalla scadenza -
    Conseguente  limitazione,  con legge regionale, della operativita'
    della prorogatio degli organi di controllo - Lamentata  violazione
    delle    norme   statutarie   prevedenti,   come   necessaria   ed
    indefettibile, l'attivita' degli organi di controllo.
 Impiego pubblico - Accesso ai pubblici uffici - Reclutamento del
    personale  pubblico  delle  qualifiche  inferiori  -  Requisiti  -
    Necessita'  della  iscrizione  nelle  liste  di  disoccupazione  -
    Conseguente esclusione di coloro che sono gia' occupati e pertanto
    professionalmente  piu'  meritevoli  -  Prospettata violazione del
    principio di buon andamento della pubblica amministrazione.
 (Legge regione Sardegna 23 ottobre 1978, n. 62, art. 9, primo comma,
    modificato dalla legge regione Sardegna 26  gennaio  1989,  n.  6,
    art.  1;  legge 28 febbraio 1987, n. 56, art. 16, modificato dalla
    legge 20  maggio  1988,  n.  96,  artt.  4-bis,  4-ter,  4-quater,
    4-quinquies e 4-sexies).
 (Statuto regione Sardegna, art. 46; Cost., n. 97).
(GU n.36 del 11-9-1991 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n.  531/90
 proposto dalla provincia di Cagliari in  persona  del  presidente  in
 carica  rappresentata e difesa dall'avv. Giovanni Cossu presso il cui
 studio in Cagliari, via Vidal  n.  15  e'  elettivamente  domiciliata
 contro  il  comitato  regionale  di  controllo  sugli atti degli enti
 locali  in  Cagliari,  in  persona  del  presidente  in  carica   non
 costituitosi  in  giudizio  e  la  regione autonoma della Sardegna in
 persona del presidente della giunta in carica rappresentata e  difesa
 dall'avv.  Graziano  Campus  e  dal  dott.  proc. Gian Piero Contu ed
 elettivamente domiciliata in Cagliari,  viale  Trento  n.  69  presso
 l'ufficio  legale dell'ente per l'annullamento dell'ordinanza assunta
 dal Co.Re.Co. in data 16 febbraio 1990, prot. 307/6, che annullava la
 deliberazione della giunta provinciale di  Cagliari  n.  243  del  23
 gennaio    1990    riguardante    la   revisione   del   riequilibrio
 dell'anzianita' pregressa di cui all'art. 41  del  d.P.R.  25  giugno
 1983, n. 347;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio della regione sarda;
    Viste  le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
 difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Nominato relatore per la pubblica udienza del 13 febbraio 1991  il
 consigliere Silvio Ignazio Silvestri;
    Uditi  l'avv.  Giovanni  Cossu  per  la  ricorrente e gli avvocati
 Graziano Campus e Gian Piero Contu per l'amministrazione resistente;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    La giunta provinciale di Cagliari con deliberazione n. 243 del  23
 gennaio  1990,  provvedeva  ad  estendere  al  proprio  personale  la
 sentenza del Consiglio di  Stato,  sezione  quarta,  n.  924  del  21
 dicembre  1989 che da' una interpretazione dell'art. 41 del d.P.R. 25
 giugno 1983, n. 347, piu' favorevole ai dipendenti  sul  riequilibrio
 dell'anzianita'  pregressa  da calcolarsi in dodicesimi e non piu' in
 ventiquattresimi.
    La provincia di Cagliari aveva gia' deliberato in tale  senso  con
 deliberazione  g.p.  n. 1872 del 31 maggio 1988 in applicazione della
 sentenza del t.a.r. Puglie, sezione di Bari, n. 1241/86, ma il Coreco
 aveva annullato tale atto con provvedimento prot. n.  1472/6  del  23
 giugno  1988.  Contro  tale  ultimo  atto la provincia aveva proposto
 tempestivo ricorso giurisdizionale nanti questo tribunale.
    A  seguito  della sentenza del Consiglio di Stato di cui sopra, la
 provincia riteneva di dover dare  applicazione  al  detto  giudicato,
 eppertanto,  deliberava  di estendere la decisione interpretativa del
 supremo Collegio ai propri dipendenti con atto della g.p. n. 243/90.
    Il  Coreco,  col  provvedimento  in  epigrafe,  ha  annullato   la
 deliberazione  di  cui  sopra per violazione dell'art. 17 del d.-l. 2
 marzo 1989, n. 65, convertito nella legge 26 aprile 1989, n. 155,  in
 quanto   tale   norma   prevede   che  il  calcolo  del  riequilibrio
 dell'anzianita' di cui  all'art.  41  del  d.P.R.  n.  347/1983  deve
 operarsi   dividendo  il  valore  della  classe  e/o  scatto  per  il
 coefficiente 24.
    Avverso tale atto la provincia ha dedotto i seguenti motivi:
      1) violazione e  falsa  applicazione  dell'art.  9  della  legge
 regionale sarda 23 ottobre 1978, n. 62.
    Illegittimita' derivata dell'atto di controllo.
    Per  il  funzionamento  del  Coreco, istituito con legge regionale
 sarda 23 agosto 1985, n. 20, e la sua durata in  carica  valgono,  ai
 sensi  dell'art.  1  della legge appena citata, le disposizioni della
 legge n. 62/1978. L'art. 9 della legge  regionale  sarda  n.  62/1978
 stabilisce  che  "I comitati scadono con l'insediamento del consiglio
 regionale e due anni  e  mezzo  dopo  tale  data;  essi  decadono  il
 sessantesimo  giorno  delle  predette scadenza; entro tale termine il
 consiglio regionale deve provvedere alla loro ricostituzione".
    Il consiglio regionale, rinnovatosi dopo le  elezioni  del  giugno
 1989,  ha  provveduto  all'elezione  dei  componenti  dei comitati e,
 quindi, anche del Co.Re.Co. ma  i  relativi  organi  non  sono  stati
 insediati  in  quanto  non e' stato emanato il decreto del presidente
 della giunta ai sensi dell'art. 3.
    Alla luce di tali elementi sarebbe  illegittimo  il  funzionamento
 dei  comitati  nella precedente composizione in quanto essi, ai sensi
 della disposizione  invocata,  sarebbero  decaduti,  eppertanto,  non
 potrebbero   svolgere   alcuna   attivita'.   Il   provvedimento   di
 annullamento sarebbe, pertanto, illegittimo in quanto posto in essere
 da un organo ormai decaduto;
      2)   violazione   dei   principi   generali   in   materia    di
 interpretazione. Violazione del principio generale dell'affidamento e
 dell'irretroattivita'  della  legge  con  conseguente  illegittimita'
 costituzionale dell'art. 17 del d.-l. n. 65/1989.
    Nel  merito  dell'impugnato  provvedimento  viene   sollevata   la
 questione  di illegittimita' costituzionale dell'art. 17 del d.-l. n.
 65/1989 per due ordini di motivi:
       a) ove la norma  venisse  considerata  come  un'interpretazione
 autentica  dell'art.  41  del  d.P.R.  n.  347/1983  si  avrebbe  una
 situazione contraria ai principi generali dell'ordinamento in  quanto
 mediante  un  atto  avente forza di legge viene interpretato un altro
 atto (il  d.P.R.  n.  347/1983)  che  ha  valore  di  atto  normativo
 secondario.
    L'illegittimita'  sarebbe  ancor  piu' evidente per la particolare
 caratteristica  del  d.P.R.  in  parola  in  quanto  esso  ha  natura
 approvativa  di  accordi  nazionali intervenuti fra la rappresentanza
 pubblica e i sindacati di categoria come e' disciplinato dall'art.  8
 della legge 29 marzo 1983, n. 93. Tale legge (art. 1) e' un principio
 fondamentale  ai  sensi dell'art. 117 della Costituzione e stabilisce
 (all'art. 3) che il regime retributivo del personale e'  disciplinato
 in  base  ai  procedimenti ivi previsti. Un'interpretazione autentica
 proveniente  da un atto di Governo (seppur successivamente convertito
 in legge) verrebbe a modificare unilateralmente l'accordo.
    Pertanto, l'intervento legislativo verrebbe a vulnerare,  in  modo
 costituzionalmente   illegittimo,   l'intero  quadro  di  riferimento
 dell'organizzazione dei rapporti economici fra pubblici dipendenti  e
 pubblica amministrazione;
       b)  ove invece si dovesse ritenere che l'art. 17 del d.-l.  in-
 troduce una modificazione o integrazione dell'art. 41 del  d.P.R.  n.
 347/1983,  esso  violerebbe  il principio generale di affidamento del
 nostro ordinamento.
    Infatti una volta stabilita una intesa mediante  gli  accordi,  le
 eventuali     controversie     applicative     sarebbero    demandate
 all'interpretazione dei giudici competenti.
    Tale quadro istituzionale non potrebbe venire modificato con  atto
 normativo   che   vanificherebbe,   nella  sostanza,  il  contenzioso
 esistente;
      3) illegittimita'  costituzionale  dell'art.  17  del  d.-l.  n.
 65/1989 per violazione degli articoli 24 e 113 della Costituzione.
    La  norma  in esame, modificando l'art. 41 del d.P.R. n. 347/1983,
 verrebbe a privare il dipendente e in  questo  caso  anche  l'attuale
 ricorrente    dei    normali   strumenti   giurisdizionali   previsti
 dall'attuale  ordinamento.  Nella  sostanza,   quindi,   con   l'atto
 legislativo  verrebbe modificato il quadro di riferimento vanificando
 l'attuale contenzioso atto.
    In tal modo si introdurrebbe una norma che viene a  privare  della
 tutela   giurisdizionale   violando   gli   artt.   24  e  113  della
 Costituzione.
    L'amministrazione  regionale  si   e'   costituita   in   giudizio
 sostenendo  che,  in  base  ai  principi  generali  dell'ordinamento,
 l'organo di controllo continuerebbe comunque a funzionare  in  regime
 di  prorogatio  finche'  non  sia  insediato il nuovo organo. Ha pure
 controdedotto alle eccezioni di incostituzionalita'  prospettate  nel
 ricorso.
    Con   una  successiva  memoria  la  provincia  ha  richiamato  una
 pronuncia del t.a.r. Sicilia che ha qualificato l'art. 17  del  d.-l.
 n.  65/1989  come  una norma interpretativa con efficacia retroattiva
 dell'art. 41 del d.P.R. n.  347/1983  eppertanto,  ove  il  tribunale
 ritenesse  fondato  tale  precedente  giurisprudenziale,  ha eccepito
 l'illegittimita' costituzionale della norma sotto i seguenti profili:
      4) violazione dei principi generali della legge 29  marzo  1983,
 n. 93 ed in particolare degli artt. 1, 2, 3 e 4. Violazione dell'art.
 67   della  Costituzione.  Violazione  degli  artt.  5  e  128  della
 Costituzione  e  dell'art.  8  della  legge  n.  93/1983.  Violazione
 dell'art. 3 della Costituzione.
    La   legge  quadro  sul  pubblico  impiego,  le  cui  disposizioni
 costituiscono  principi  fondamentali  di  riforma  economico-sociale
 della  Repubblica  ai  sensi  dell'art.  1  della  legge  stessa,  ha
 stabilito, agli artt. 2 e 3, le materie che sono regolate con legge e
 quelle in base ad accordi.
    Le questioni retributive dei pubblici dipendenti  sono,  ai  sensi
 del  punto  1 dell'art. 3, demandate ad accordi che vengono stipulati
 tra una  delegazione  pubblica  e  una  delegazione  sindacale.  Tali
 accordi,  secondo  quanto  prevedono  gli  articoli 6 e seguenti sono
 recepiti, previa deliberazione del  Consiglio  dei  Ministri,  in  un
 decreto del Presidente della Repubblica.
    Pertanto,  secondo  l'amministrazione  ricorrente,  la sede per la
 definizione  del  trattamento  economico  dei   pubblici   dipendenti
 dovrebbe   trovare,  per  un  principio  ormai  recepito  nel  nostro
 ordinamento e confermato dalla pronuncia della  Corte  costituzionale
 22  dicembre  1988,  n.  1127,  la  sua  naturale  fonte  nel  d.P.R.
 sottraendo la sua disponibilita' a successivi interventi di carattere
 legislativo.
    In base al sistema generale creato con  la  legge  quadro  sarebbe
 dunque  necessario  un  esplicito  atto legislativo che, abrogando la
 disposizione generale contenuta in tale legge, riporti la materia nel
 campo di disciplina della legge.
    L'amministrazione provinciale evidenzia che, ai sensi dell'art.  8
 della  legge  n.  93/1983,  l'accordo  e'  stato  posto  in essere, a
 salvaguardia del principio di autonomia riconosciuto agli Enti locali
 dagli  artt.  5  e  128  della  Costituzione,  con  l'intervento  dei
 rappresentanti  dei  comuni  e  delle  province.  Alla  luce  di tali
 principi l'intervento del legislatore, con una norma  frammentaria  e
 di   carattere   "interpretativo"   verrebbe  a  vulnerare  non  solo
 l'autonomia degli enti locali, ma sopratutto il quadro  generale  che
 la   legge   n.   93/1983   ha   voluto   dare,   con   una  omogenea
 regolamentazione,  della  disciplina  in  applicazione  dei  principi
 discendenti dall'art. 97 della Costituzione.
    Rilevando,  inoltre,  il  lungo tempo trascorso tra l'emazione del
 d.P.R. n. 347/1983 e quella della norma che pretende di  dettarne  la
 corretta interpretazione, l'amministrazione provinciale sostiene che,
 in  tal  modo,  ove  si  dovesse  ritenere  legittimo  un  intervento
 settoriale o circoscritto, come  nel  caso  di  specie,  bisognerebbe
 concludere  che  i principi generali della legge n. 93/1983 sarebbero
 continuamente rimessi in  discussione  e  sostanzialmente  vanificati
 mancando qualsiasi certezza nella materia.
    Il   consentire   la  "disapplicazione"  della  legge  quadro  con
 interventi settoriali senza una razionale giustificazione  violerebbe
 anche  l'art.  3 della Costituzione, in relazione alle situazioni che
 medito tempore si sono consolidate tenuto anche conto del  fatto  che
 il  Consiglio  di  Stato,  sezione  quarta, 21 dicembre 1989, n. 924,
 aveva  dato  un'interpretazione  della  norma  in  senso  esattamente
 opposto  a  quello  di cui all'art. 17 del d.-l. n. 65/1989 pe cui un
 certo numero di dipendenti avrebbe goduto di un trattamento economico
 piu' favorevole;
      5) violazione dei principi generale sull'interpretazione  ed  in
 modo particolare sull'interpretazione autentica.
    La  natura  particolare del d.P.R. in questione (recepimento di un
 accordo sindacale) non consentirebbe, secondo la provincia, che possa
 essere oggetto di un'interpretazione autentica in quanto essa sarebbe
 consentita  solo  allo  stesso  organo  da  cui  proviene  la   norma
 interpretata, ovvero all'organo equiparato.
    Percio',  data  la  particolare  complessita' del procedimento per
 l'emanazione del  d.P.R.  n.  347/1983,  non  sarebbe  consentito  un
 intervento  unilaterale  su  un  atto  per  la  cui  emanazione hanno
 concorso piu' parti.
    Quanto sopra farebbe ritenere errato attribuire  all'art.  17  del
 d.-l.  n.  65/1989  natura di norma d'interpretazione autentica anche
 perche'  mancherebbe   nella   disposizione   qualsiasi   riferimento
 specifico di un tale intento del legislatore. In tal modo la norma in
 esame  avrebbe  semplicemente  una  natura modificativa o sostitutiva
 dell'art. 41 del d.P.R. n. 347/1983 eppertanto, stante la sua  stessa
 dizione,  con  una  validita'  successiva  alla sua entrata in vigore
 senza alcun effetto retroattivo.
    Ove si dovesse ritenere una sua efficacia  retroattiva  l'art.  17
 del d.-l. n. 65/1989 sarebbe costituzionalmente illegittimo per:
      6)  violazione  del  principio di affidamento e violazione degli
 artt. 3, 24 e 113 della Costituzione.
    Una norma che sostituisce una  disposizione  nata  da  un  accordo
 sindacale  modificherebbe  in  modo arbitrario un quadro generale dei
 rapporti fra l'amministrazione  e  i  pubblici  dipendenti,  per  cui
 risulterebbe  violato l'art. 3 della Costituzione venendo a vulnerare
 la regolamentazione dei rapporti fra i dipendenti degli enti locali e
 le  relative  amministrazioni  creando  una  situazione   di   palese
 disparita'  di  trattamento  fra  quanti,  anteriormente  al d.-l. n.
 65/1989, hanno goduto di un riequilibrio dell'anzianita'  di  maggior
 favore e coloro i quali per l'esistenza del vario contenzioso in atto
 non ne hanno potuto godere.
    Tale  situazione  violerebbe  anche  gli  artt.  24  e  113  della
 Costituzione.   Infatti,   mediante   l'arbitrario   intervento   del
 legislatore l'amministrazione ricorrente verrebbe privata dei normali
 strumenti   di   tutela  giurisdizionale  contro  qualsiasi  atto  di
 normazione secondaria.
    Una volta recepito l'accordo con il d.P.R. n.  347/1983  eventuali
 questioni  interpretative  avrebbero  dovuto trovare la loro naturale
 sede davanti al giudice amministrativo.
    All'udienza pubblica del 13 febbraio 1991  i  patrocinatori  delle
 parti hanno insistito nelle rispettive pretese ed il ricorso e' stato
 spedito in decisione.
                             D I R I T T O
    L'amministrazione  provinciale di Cagliari ha impugnato l'atto del
 Co.Re.Co.  che  annullava  la  deliberazione  giuntale  relativa   al
 riequilibrio  dell'anzianita'  pregressa dei propri dipendenti di cui
 all'art. 41 del d.P.R. 25 giugno 1983, n. 347.
    L'organo di controllo  ha  ritenuto  illegittimo  l'operato  della
 Giunta  per violazione dell'art. 17 del d.-l. 2 marzo 1989, n. 65, il
 quale prevede  espressamente  che  il  calcolo  del  riequilibrio  di
 anzianita'  di  cui  all'art. 41 del d.P.R. n. 347/1983 deve operarsi
 dividendo il valore della classe o scatto per il coefficiente 24.
    In relazione al citato art.  17  l'amministrazione  ricorrente  ha
 sollevato diverse questioni di legittimita' costituzionale.
    Occorre  puntualizzare  che  l'art. 41 del d.P.R. n. 347/1983, pur
 non prevedendo esplicitamente la  suddivisione  in  ventiquattresimi,
 correttamente  applicato,  conduce  al  medesimo  risultato,  talche'
 l'art. 17 va considerato interpretativo  della  disciplina  derivante
 dall'accordo approvato col d.P.R. n. 347/1983.
    Ed  infatti,  l'art. 41 in questione ha lo scopo di determinare il
 valore  economico  da  attribuire  al  servizio  prestato   da   ogni
 dipendente sino al 31 dicembre 1982.
    In  particolare,  il  terzo  comma determina i valori economici di
 riferimento per le singole qualifiche funzionali  da  utilizzare  per
 l'operazione di riequilibrio dell'anzianita'.
    Il  quarto comma indica i criteri da eseguire per individuare tale
 importo che, decurtato del 7% secondo quanto dispone il quinto comma,
 definisce compiutamente e definitivamente il salario  individuale  di
 anzianita'.
    Il sesto comma garantisce comunque il diritto all'importo maturato
 per  anzianita'  in  godimento  al  31  dicembre  1982,  qualora esso
 risultasse superiore al salario individuale di anzianita' determinato
 ai sensi del precedente quarto comma.
    Analizzando il quarto comma dell'art. 41,  esso,  alla  lett.  a),
 indica i criteri di valutazione del servizio prestato nella qualifica
 in  cui il dipendente e' stato inquadrato al 1º gennaio 1983, e nella
 lett. b), richiama, ai fini della valutazione del  servizio  prestato
 nelle  qualifiche inferiori, il sistema previsto nel precedente punto
 a).
    Tale  disposizione  prevede,   dunque,   il   seguente   criterio:
 "valutazione  in  mesi,  in termini di classi o scatti, degli anni di
 effettivo servizio, maturati fino al 31 dicembre 1982 nella qualifica
 nella quale il dipendente viene inquadrato al 1º gennaio 1983".
    Opportunamente e' prevista la determinazione del servizio prestato
 da ciascun dipendente mediante la trasposizione da  anni  3  mesi  in
 modo da conteggiare agevolmente anche il periodo inferiore all'anno.
    La  valutazione  del  servizio  va  fatta  "in termini di scatti o
 classi" percio' occorre verificare il numero di classi o  scatti  che
 rientrano nel periodo di servizio considerato.
    La norma si riferisce alla progressione economica di cui al d.P.R.
 7  novembre  1980,  n.  810,  che prevede uno sviluppo in otto classi
 stipendiali dell'8% conseguibili ciascuna ogni due anni  di  servizio
 e,  oltre  il sedicesimo anno, in scatti del 2,5% anch'essi a cadenza
 biennale.
    Pertanto, per determinare quanti scatti o classi  (o  frazioni  di
 essi)  vanno  computati  sui valori economici di riferimento relativi
 alle singole qualifiche funzionali, cosi'  come  indicate  nel  terzo
 comma  dell'art.  41,  una  volta scomposto il periodo di servizio in
 mesi, si dovra' calcolare quanti scatti o classi si sono maturati  in
 tale  periodo  e,  poiche'  cio'  si  verifica  ogni  due anni, sara'
 sufficiente dividere il numero dei mesi di servizio  complessivo  per
 ventiquattro  che rappresenta il numero di mesi contenuto nel periodo
 di due anni.
    Per completezza e' opportuno precisare che non  puo'  condividersi
 l'unica  pronuncia del Consiglio di Stato secondo cui la suddivisione
 va fatta per dodici anziche' per  ventiquattro  (sezione  quarta,  21
 dicembre 1989, n. 924).
    Infatti  (a  parte la singolarita' che tale sentenza non da' conto
 del d.-l. 2 marzo 1989, n. 65), l'unica argomentazione consiste nella
 considerazione che il criterio della suddivisione in ventiquattresimi
 non trova conforto nella lettera della norma di  legge.  Gia'  si  e'
 visto  che  questo  criterio  non  e'  altro  che la trasposizione in
 termini matematici della regola dettata dalla disposizione  dell'art.
 41 percio' la mancata previsione esplicita del numero divisore e' del
 tutto  irrilevante,  una  volta  che  si  sia individuato il corretto
 meccanismo di applicazione della norma, cosi' come appunto  ha  fatto
 il collegio.
    Le  argomentazioni  sin  qui  esposte  sono rafforzate anche dalla
 posizione assunta  dalla  Corte  costituzionale  che,  pronunciandosi
 sull'interpretazione  di  una legge della regione Puglia ha affermato
 che il d.-l. n. 65/1989 ha esplicitato ed  applicato  ragionevolmente
 quanto  previsto  al  riguardo  dall'art.  37 dalla legge regionale 9
 maggio 1984, n. 26, avente contenuto  pressoche'  identico  a  quello
 dell'art.  41  del  d.P.R.  n. 347/1983 (v. Corte costituzionale 3-15
 maggio 1990, n. 240).
    In  definitiva   risulta   confermato   il   carattere   meramente
 interpretativo  dell'art. 17 del d.-l. n. 65/1989 il cui contenuto e'
 sostanzialmente identico all'art. 41  del  d.P.R.  n.  347/1983,  che
 peraltro richiama espressamente.
    Da  tale  considerazioni  puo'  allora ritenersi che la violazione
 dell'art. 17 del d.-l. n.  65/1989  individuata  dal  Co.Re.Co.  deve
 essere valutata anche con riferimento all'art. 41 da esso citato. Con
 la  conseguenza  ulteriore  che  la  deliberazione  giuntale e' stata
 annullata per violazione dell'art. 17 del d.-l. n. 65/1989  ed  anche
 dell'art. 41 del d.P.R. n. 347/1983.
    Tutto  cio'  conduce  all'assoluta  irrilevanza delle questioni di
 illegittimita' costituzionale prospettate riguardo al decreto  legge.
 Infatti,  quand'anche  l'autorita'  preposta  giungesse  a  ritenerle
 fondate, rimarrebbe comunque il testo dell'accordo la cui  violazione
 e'   stata,   sia  pure  indirettamente,  richiamata  dall'organo  di
 controllo.
    Violazione che, come si  e'  visto  nell'individuare  la  corretta
 interpretazione  dell'art.  41,  risulta  accertata, conformemente al
 disposto dell'art. 17 del decreto legge (v. comunque t.a.r.  Palermo,
 sezione  seconda, 18 aprile 1990, n. 199, che ha ritenuto il d.-l. n.
 65/1989 non contrastante con alcun principio costituzionale).
    Occorre allora esaminare  la  censura  con  cui  l'amministrazione
 ricorrente  sostiene  che  il  Comitato  di  controllo,  alla data di
 adozione del provvedimento impugnato, sarebbe gia' decaduto ai  sensi
 dell'art.  9,  primo comma, della legge regionale 23 ottobre 1978, n.
 62 (modificato dall'art. 1 della legge regionale 26 gennaio 1989,  n.
 6)  essendo decorsi oltre sessanta giorni dall'insediamento del nuovo
 consiglio regionale, avvenuto l'8 agosto 1989.
    Al riguardo il collegio ritiene di dover confermare quanto  deciso
 in  altra  sentenza  sulla  medesima  questione (v. t.a.r. Sardegna 9
 gennaio 1991, n. 1) e che di seguito si  riporta.  La  lettura  della
 predetta   disposizione   suggerita  dall'amministrazione  ricorrente
 appare conforme alla sua formulazione letterale.
    Ed invero la norma medesima chiaramente distingue il momento della
 scadenza degli organi di controllo,  collegato  all'insediamento  del
 consiglio  regionale,  da  quello  della  decadenza,  che  interviene
 sessanta giorni dopo.
    In tale contesto, la determinazione  del  momento  della  scadenza
 degli   organi   predetti   non   ha  altro  significato  che  quello
 dell'indicazione del momento nel quale il consiglio regionale puo', o
 meglio deve, procedere alla sua ricostituzione, fermo restando che  i
 comitati continuano ad esercitare le proprie attribuzioni.
    In tal modo peraltro la fase del passaggio dei poteri dai comitati
 scaduti  a quelli ricostituiti risulta adeguatamente disciplinata con
 la previsione della sola scadenza.
    Deve  quindi essere individuato il significato della previsione di
 una  successiva  fase,  comportante  la  decadenza  degli  organi  di
 controllo.
    Ritiene  il  collegio  che  tale  disciplina non possa avere altro
 significato oltre quello della determinazione  della  durata  massima
 del  procedimento  di  ricostituzione  dei comitati; decorso il quale
 quelli gia' in carica non possono comunque continuare ad operare.
    Diversamente opinando invece la predetta comminatoria di decadenza
 non avrebbe alcun significato.
    Ma se cio' e' vero, in forza di tale disciplina puo' accadere  che
 la  funzione  di  controllo  non  venga  esercitata  per  periodi  di
 lunghezza imprevedibile.
    E'  ben  dubbia  la  conformita'  di  tale  normativa  al  dettato
 dell'art.  46  dello  statuto speciale della Sardegna, che in armonia
 con la analoga  prescrizione  contenuta  nell'art.  130  della  Carta
 costituzionale,  configura  l'anzidetta  funzione  come necessaria ed
 indefettibile con conseguente automatica applicabilita'  agli  organi
 che la esercitano del principio della prorogatio.
    Il legislatore regionale limitando l'operativita' della prorogatio
 per  gli organi di controllo ad un periodo massimo di sessanta giorni
 esplicitamente prevede  un'ipotesi  nella  quale  l'intera  attivita'
 degli  enti  locali,  qualunque ne sia il contenuto, potrebbe restare
 per  periodi  di  tempo  indeterminati  sottratta  al  controllo   di
 legittimita' previsto dalla citata norma statutaria.
    Potrebbe invero osservarsi che l'art. 46 citato demanda alla legge
 regionale  la disciplina di modi e limiti di esercizio della funzione
 in parola da cio' facendo conseguire che rientra appunto nella  sfera
 di  discrezionalita'  spettante  al  legislatore  porre  a  raffronto
 l'esigenza di assicurare il controllo sugli atti  degli  enti  locali
 con  quella  di  evitare  che  detta  funzione venga esercitata dalle
 stesse persone per un periodo eccessivamente  lungo  senza  riscontro
 per il loro operato.
    Ma  a  tale  osservazione  potrebbe rispondersi che se l'esercizio
 della funzione e' necessario, la suddetta sfera trova di  conseguenza
 il  proprio  limite  laddove  si  renda eventuale la sottoposizione a
 controllo degli atti in ipotesi nelle quale la stessa legge regionale
 ne ha riconfermato la necessita'.
    In  base   alle   suesposte   considerazioni   la   questione   di
 costituzionalita'  dell'art.  9, primo comma della legge regionale 23
 ottobre 1978, n. 62, modificato dall'art. 1 della legge regionale  26
 gennaio  1989,  n.  6,  deve  essere  dichiarata  non  manifestamente
 infondata.
    Atteso  che  la  definizione  del  presente  giudizio   non   puo'
 prescindere  dall'applicazione  della  predetta  norma,  si  appalesa
 necessaria la sua sospensione con la rimessione degli atti alla Corte
 costituzionale.
                               P. Q. M.
    Visti gli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1
 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ritiene  non  manifestamente  infondate   e   rilevanti   per   la
 definizione   delal   controversia   la   quesione   di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 9, primo comma,  della  legge  regionale  23
 ottobre  1978,  n.  62,  modificato  dall'art.  1  legge regionale 26
 gennaio 1989, n. 6, nella parte in cui  dispone  la  decadenza  degli
 organi  di  controllo  non  rinnovati  entro  sessanta  giorni  dalla
 scadenza per contrasto con l'art. 46  dello  statuto  speciale  della
 Sardegna  e  la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 16
 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, modificato  dagli  artt.  4-bis,
 ter,  quater,  quinquies  e sexies della legge 20 maggio 1988, n. 96,
 per contrasto con l'art. 97, primo e terzo comma, della Costituzione;
    Sospesa ogni pronunzia in rito nel merito e  sulle  spese  dispone
 quindi la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina  che  la  presente  ordinanza  sia  notificata a cura della
 segreteria alle parti in  causa,  al  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri  ed  al  presidente  della giunta regionale della Sardegna e
 comunicata al Presidente del Senato, al Presidente della  Camera  dei
 deputati ed al presidente del consiglio regionale della Sardegna.
    Cosi'  deciso  in Cagliari, in camera di consiglio, il 13 febbraio
 1991.
                         Il presidente: SASSU
    Il consigliere: ATZENI
                                   Il consigliere estensore: SILVESTRI
    Depositata in segreteria oggi 10 giugno 1991.
                  Il segretario: (firma illeggibile)

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