N. 583 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 luglio 1991
N. 583 Ordinanza emessa il 4 luglio 1991 dal giudice per le indagini preliminari presso la pretura di Vercelli nel procedimento penale a carico di Dean Marina ed altro Processo penale - Procedimento pretorile - Indagini preliminari - Termine: sei mesi - Possibilita' di proroga solo se richiesta prima della scadenza - Inutilizzabilita' degli atti compiuti oltre tale scadenza - Lamentata previsione della facoltativita' dell'avocazione del p.g. - Violazione del principio di obbligatorieta' dell'azione penale. (C.P.P. 1988, artt. 405, secondo comma, 406, primo comma, 407, terzo comma, e 553). (Cost., art. 112).(GU n.38 del 25-9-1991 )
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Sulla richiesta di incidente probatorio e contestuale richiesta di proroga termini per il compimento delle indagini preliminari avanzata dal p.m. nell'ambito del procedimento sopra indicato (procedimento a carico di De Paoli Emilio e Dean Marina per il reato di cui agli artt. 590 e 583/1 del c.p. in danno di Prandi Angelo Giuseppe; richiesta del p.m. tesa all'espletamento, nelle forme dell'incidente probatorio, di perizia tecnica per la ricostruzione della dinamica dell'incidente stradale che aveva dato causa alle lesioni); Rilevato che il procedimento in questione risulta iscritto nel registro notizie di reato (con la conseguente iscrizione del nome delle persone alle quali e' attribuito il reato dopo che inizialmente il procedimento era stato iscritto a carico di ignoti in data 17 luglio 1990) in data 15 ottobre 1990, mentre la querela risulta presentata il 13 ottobre 1990, e che pertanto, non essendo stata richiesta alcuna proroga, il termine per il compimento delle indagini preliminari risulta scaduto in data 13 aprile 1991; Rilevato che il p.m., in data 1ΓΈ giugno 1991, informava il procuratore generale della situazione sopra descritta in relazione alla intervenuta scadenza dei termini e in funzione dell'esercizio da parte del p.g. del potere di avocazione - 412 del c.p.p. - prospettando inoltre la propria intenzione di "sollevare questione di costituzionalita' del combinato disposto degli artt. 406, 407 e 553 per violazione del principio della obbligatorieta' dell'azione penale"; Rilevato che con missiva del 5 giugno 1991 il procuratore generale comunicava che non intendeva esercitare il potere di avocazione ex art. 412 del c.p.p., ed esprimeva, inoltre, il proprio parere circa la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale prospettata dal p.m.; Rilevato che il p.m. faceva pervenire, unitamente alla richiesta di incidente probatorio e di proroga termini, una nota in cui argomentava: a) circa la necessita', al fine di decidere sulle richieste avanzate, che il g.i.p. valuti se sia in suo potere concedere proroga dei termini ove questi siano gia' scaduti prima che il p.m. abbia avanzato la corrispondente richiesta; b) circa la correttezza di una interpretazione del dato normativo per cui, una volta scaduti i termini per le indagini preliminari senza che vi sia stata richiesta di proroga, il p.m. non possa piu' chiedere e/o ottenere alcuna proroga, a pena della inutilizzabilita' degli atti di indagine eventualmente compiuti; c) circa gli elementi di fatto che avevano comportato il decorso dei termini e che ora vanno a giustificare una richiesta di incidente probatorio e la conseguente necessita' di proroga dei termini; d) circa la incostituzionalita' della disciplina di cui agli artt. 406 e 407 del c.p.p. in riferimento all'art. 112 della Costituzione; disciplina che: costituirebbe un "ostacolo di tipo processuale insormontabile" all'esercizio dell'azione penale; mentre il disposto di cui all'art. 412, non configurando un'avocazione obbligatoria da parte del p.g. ed assegnando comunque ad esso un termine di soli trenta giorni per il compimento delle "indispensabili" indagini, non varrebbe a ricondurre il meccanismo normativo dei termini nell'ambito della compatibilita' costituzionale; O S S E R V A In punto rilevanza. La richiesta di incidente probatorio avanzata dal p.m. risulta, nel merito, fondata e meritevole di accoglimento ai sensi degli artt. 392/2 e 551 del c.p.p.: in mancanza di una esauriente ricostruzione della dinamica del sinistro non pare possibile che il p.m. possa emettere decreto di citazione a giudizio, in quanto la attuale situazione probatoria (contrassegnata dalla mancanza di testimoni dell'accaduto a parte i due indagati e la p.o., dalla non effettuazione del sequestro probatorio sui mezzi coinvolti e da una obiettiva complessita' dell'incidente) non consente una esatta focalizzazione di responsabilita' penali; inoltre la ricordata complessita' dell'incidente - nel quale furono coinvolti due autotreni ed una vettura - implica che la perizia volta ad accertarne la dinamica, ben potrebbe comportare, ove disposta in dibattimento, una sospensione dello stesso superiore ai sessanta giorni. Peraltro all'accoglimento, ritenuto doveroso, della richiesta di incidente probatorio si frappone quale ostacolo insormontabile la disciplina normativa dei termini per il compimento delle indagini preliminari. Infatti, nel caso di specie, il termine previsto dagli artt. 553 e 405 del c.p.p. risulta scaduto in data 13 aprile 1991 (a norma dell'art. 405/3, poiche' la querela e' pervenuta al p.m. il 13 ottobre 1991) ed il p.m. ha richiesto la proroga del termine - art. 406 del c.p.p. - contestualmente alla richiesta di incidente probatorio, e cioe' successivamente alla scadenza del 13 aprile 1991 (richiesta in data 13 maggio 1991 depositata presso questo ufficio il 7 giugno 1991). Il dato normativo offerto dagli artt. 406/1 e 407/3 (applicabili al procedimento pretorile ex art. 553 del c.p.p.) configura un rigido sistema di cadenze temporali per cui non pare consentito che una volta scaduto il termine per il compimento delle indagini preliminari il p.m. possa richiedere - ed il g.i.p. possa concedere - una proroga di detto termine: il tenore letterale del primo comma dell'art. 406 e' estremamente chiaro nel precisare che la proroga puo' essere concessa "prima della scadenza", (e lo stesso secondo comma ribadisce che anche le ulteriori eventuali proroghe possono essere concesse "prima della scadenza del termine prorogato"), mentre l'ultimo comma dell'art. 407 sanziona drasticamente e senza eccezioni con la severa comminatoria della inutilizzabilita' (cfr. artt. 191/2 e 606/1-c del c.p.p.) gli atti di indagini preliminare compiuti dopo la scadenza del termine di cui all'art. 405 o di quello eventualmente prorogato; (d'altra parte ammettere la possibilita' di una "proroga tardiva" sia con effetti ex tunc - e dunque con "sanatoria" degli atti compiuti nel periodo intermedio - che con efficacia ex nunc - con conseguente "riapertura" dei termini, significherebbe nel primo caso aperto contrasto e nel secondo elusione della espressa previsione di cui al terzo comma dell'art. 407 e comunque dell'intero sistema dei termini e delle proroghe degli stessi come delineato negli artt. 405 e segg. del c.p.p.); .. Dunque la proroga del termine delle indagini preliminari richiesta dal p.m. contestualmente alla richiesta di incidente probatorio non e' concedibile, ne', ovviamente puo' respingersi la richiesta di proroga e ammettersi l'incidente probatorio, poiche' in tal modo si disporrebbe procedersi al compimento di atti sanzionati da inutilizzabilita' "rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento" (art. 191/2 del c.p.p.), e quindi, certamente, rilevabile anche ex ante e non solo ex post: cosi' questo giudice, nel decidere sulle richieste del p.m., si trova a dover respingere la richiesta di proroga dei termini in forza del disposto degli artt. 405/2 e 3 e 406/1 del c.p.p. (richiamati dall'art. 553, che peraltro prevede in ogni caso che si decida senza il rispetto della procedura di cui all'art. 406/5 del c.p.p.); e a respingere la richiesta di incidente probatorio in applicazione del terzo comma dell'art. 407 del c.p.p. Le norme ora indicate sono cosi' senz'altro "rilevanti", non potendo da esse prescindersi per le determinazioni che questo giudice e' chiamato ad assumere. In punto non manifesta infondatezza. Il disposto degli artt. 405/2, 406/1 e 407/3, che prevedono rispettivamente un termine di sei mesi per il compimento delle indagini preliminari, la concedibilita' di una proroga di detto termine solo "prima della scadenza" dello stesso, la radicale inutilizzabilita' degli atti di indagine compiuti oltre la scadenza del termine - originario o prorogato -, non pare compatibile con il principio della obbligatorieta' dell'azione penale di cui all'art. 112 della Costituzione. Il principio di obbligatorieta' dell'azione penale - "punto di convergenza di un complesso di principi basilari del sistema costituzionale" (C.c. n. 88/1991) -, considerati i margini "fisiologici" ed ineliminabili insiti nel concreto atteggiarsi del suo esercizio, postula (oltre alla "immunita'" del p.m. da interferenze esterne) l'esistenza di adeguati meccanismi volti a controllare ed eventualmente contrastare l'inerzia del p.m. La centralita' di una verifica sulla efficacia, efficenza ed adeguatezza di tali meccanismi di controllo e di contrasto nella valutazione circa la conformita' di determinati istituti giuridici al precetto costituzionale di cui all'art. 112 della Costituzione e' stata recentemente ribadita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 88/1991 (che si e' soffermata sulla stretta interconnessione tra la problematica della archiviazione - e dei controlli giurisdizionali sulla stessa - e la effettiva e sostanziale attuazione del principio di obbligatorieta' dell'azione penale). Ora: se la presenza della norma di cui all'art. 112 della Costituzione e' tale da esigere un " .. controllo del giudice sulla attivita' omissiva del p.m., si' da fornirgli la possibilita' di contrastare le inerzie e le lacune investigative di quest'ultimo ed evitare che le sue scelte si traducano in esercizio discriminatorio dell'azione (o inazione) penale" (cosi' C.c. n. 88/1991) puo' davvero ritenersi compatibile con la norma costituzionale un meccanismo normativo che, ponendo rigidi limiti alla attivita' del p.m., fa conseguire "automaticamente" alla inerzia dello stesso p.m. (nel non completare le indagini nei termini di cui all'art. 405 e nel non chiedere la proroga ex art. 406) la impossibilita' di ogni attivita' di controllo, impulso, contrasto da parte del giudice, il quale, a fronte di quella inerzia, non puo' disporre (o autorizzare) che le indagini proseguano, ne' puo' accogliere (come nel caso di specie) tardive richieste di proroga del termine per il compimento delle indagini e/o tardive richieste di incidente probatorio? E la sanzione di cui all'ultimo comma dell'art. 407 del c.p.p. finisce per comportare (vien quasi da dire "paradossalmente") una sorta di "inerzia obbligata" per il p.m., il quale, trascorsi inutilmente i termini di cui agli artt. 405 e 406 del c.p.p. (vuoi per scarsa solerzia da parte del p.m., vuoi per il suo carico di lavoro, o per ogni altro possibile motivo) si trova "automaticamente" (e senza necessita', ad es., del previo vaglio di un apposita richiesta della persona sottoposta ad indagine) nella singolare situazione di non poter piu' svolgere attivita' di indagine che siano "utilizzabili", di non poter chiedere al giudice di poterle svolgere, di non poter essere obbligato dal giudice ad effettuarle (puo' confrontarsi su quest'ultimo punto la specifica questione di legittimita' costituzionale sollevata dal g.i.p. pretura di Livorno, Gazzetta Ufficiale 12 giugno 1991, n. 23). L'inazione iniziale del p.m., la sua "attivita' omissiva" non solo non e' soggetta a sistemi efficaci di controllo e contrasto, ma viene addirittura "cristallizzata e perpetuata" e resa immune da qualsiasi interferenza che non sia la mera facolta' di avocazione da parte del procuratore generale: il dubbio sulla legittimita' costituzionale di un tale sistema nei confronti dell'art. 112 della Costituzione non puo' che apparire non manifestamente infondato. (E ben possono essere richiamate le considerazioni svolte nel presente procedimento dal p.m. circa il rischio che la disciplina dei termini per il compimento delle indagini preliminari finisca per "sovrapporsi" a quella sostanziale della prescrizione, legando la completezza delle indagini e la possibilita' di esercitare il dovere di cui all'art. 112 della Costituzione (e quindi l'esigenza di soddisfare adeguatamente la pretesa punitiva statuale e le legittime aspettative della persona offesa) al mero decorso di un termine assai breve - anche sei mesi e un giorno - senza che il p.m. si sia attivato a chiedere la proroga o abbia assunto comunque le proprie determinazioni, termine del tutto svincolato dalla tipologia del reato e il cui rispetto e' rimesso integralmente alla maggiore o minore operosita' e diligenza del p.m., e a qualsiasi altro motivo - carico di lavoro, complessita' delle indagini, disponibilita' di personale di polizia giudiziaria .. - che su quella operosita' e diligenza vada ad incidere). Ne', sembra, possono portare ad una diversa conclusione circa la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale, due ulteriori ordini di argomentazioni. Il primo concerne la avocazione di cui all'art. 412 del c.p.p.: in effetti, come emerge dalla relazione al progetto preliminare del c.p.p., il legislatore si e' posto, il problema, cui si e' accennato " .. della tutela degli interessi pubblici e privati di fronte all'inerzia della accusa" e ha predisposto il meccanismo della avocazione con l'intento di evitare che " .. il decorso del termine possa configurarsi come una vera e propria decadenza dall'azione penale .." e di assicurare comunque alle indagini il loro "epilogo naturale" (cfr. Relazione, titolo VII). Ora: il disposto di cui all'art. 412 del c.p.p. non pare tale da soddisfare le intenzioni espresse nella Relazione ne' da dissipare i dubbi di costituzionalita' della disciplina dei termini per il compimento delle indagini preliminari: infatti, come pure sostenuto nel caso di specie dal p.m., l'art. 412 non prevede una avocazione obbligatoria per il procuratore generale, la mancanza di un termine per l'esercizio del potere di avocazione, la previsione di un decreto "motivato" (se l'avocazione conseguisse "automaticamente" alla scadenza del termine, iniziale o prorogato, per il compimento delle indagini non occorrerebbe evidentemente alcuna motivazione), e anche le disposizioni di cui all'art. 413 del c.p.p. (che senso avrebbe una richiesta di avocazione dell'"indagato" o della "persona offesa" ove il primo comma dell'art. 412 prevedesse una avocazione obbligatoria?) e 127 delle att. del c.p.p. (norma introdotta, come puo' leggersi nei lavori preparatori - osservazioni del Governo - "ai fini dell'esercizio del potere di avocazione", potere non obbligo), tutto cio' fa propendere per ritenere che l'avocazione di cui all'art. 412 del c.p.p. sia soltanto "facoltativa". Peraltro nel presente procedimento tale interpretazione, come si accennava in premessa, e' stata adottata dallo stesso procuratore generale, che, notiziato della intervenuta scadenza dei termini, comunicava al p.m. la sua intenzione di non esercitare il potere di avocazione (manifestando contestualmente l'opinione di una non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' che il p.m. intendeva proporre e che in effetti ha proposto). Pare cosi' evidente come la mancata previsione della obbligatorieta' della avocazione nei casi di "inerzia" del p.m. il quale non abbia, nei termini previsti dalla legge o prorogati dal giudice, esercitato l'azione penale o richiesto l'archiviazione, lascia del tutto inalterati i problemi di compatibilita' costituzionale del sistema di cui agli artt. 405, 406 e 407 del c.p.p. come poco sopra evidenziati, essendo rimesso alla mera "facolta'" del procuratore generale porvi rimedio, esercitando il potere di avocazione, senza che al riguardo possa interferire alcun organo giurisdizionale (cfr. anche le argomentazioni formulate nella sentenza n. 445/1990 della Corte costituzionale relativamente alla incostituzionalita' dell'art. 157 delle att. del c.p.p.). Rimedio, peraltro, anch'esso soggetto ad un rigido e esiguo termine - trenta giorni - tale da far dubitare anche sotto questo aspetto della sua adeguatezza (nel caso di specie, anche ove vi fosse stata avocazione, la perizia richiesta nelle forme dell'incidente probatorio a causa della sua complessita' tale da poter necessitare di oltre sessanta giorni per il suo compimento - art. 392/2 - si sarebbe dovuta esaurire in .. trenta giorni?). Ne' sembra tale da poter dissipare i dubbi sulla costituzionalita' della disciplina di cui agli artt. 405, 406 e 407 la considerazione, sorretta da un notevole "sforzo interpretativo", secondo cui al p.m. non sarebbe comunque "vietato" svolgere ulteriori attivita' di indagine pur scaduto il termine previsto dall'art. 405 del c.p.p. o prorogato dal giudice (cfr. art. 430 del c.p.p.), gli sarebbe precluso in tali casi chiedere l'archiviazione o emettere decreto di citazione a giudizio (mancando una specifica previsione di "decadenza" in tal senso, - pur in presenza del chiaro disposto di cui agli artt. 405/2 e 408 del c.p.p. -), mentre le attivita' inves- tigative svolte sarebbero si' "inutilizzabili" ai sensi dell'art. 407/3 del c.p.p. ma potrebbero ugualmente fornire un supporto per le determinazioni del p.m. in ordine alle prove di cui chiedere la ammissione in dibattimento. Ora, pur volendo prescindere dalla constatazione che la "inutilizzabilita'"di cui all'art. 407/3 del c.p.p. e' svincolata da qualsiasi riferimento a determinate fasi del procedimento e parrebbe dunque avere una efficacia quanto piu' generale possibile (cfr. invece l'art. 360/5 e 403 del c.p.p.), non puo' non rilevarsi la "tortuosita'" e la "irragionevolezza" di tale soluzione sotto piu' di un profilo, anzitutto pare in aperto contrasto con il sistema delle cadenze temporali impresse alle indagini preliminari dagli artt. 405 e segg. del c.p.p. immaginare che il p.m., una volta scaduti i termini stabiliti dalla legge o, prorogati, possa ugualmente (meglio: debba) svolgere attivita' investigativa al fine di decidere se richiedere la archiviazione o esercitare l'azione penale, pur con il limite della "inutilizzabilita'" degli atti compiuti; (e' principio generale - cfr. ad es. art. 326 del c.p.p. - che le investigazioni del p.m. sono volte a supportare le determinazioni inerenti l'esercizio dell'azione penale e non certo - di regola - a raccogliere prove direttamente utilizzabili a dibattimento, e dunque avrebbe poco senso ritenere che il complesso sistema di cui agli artt. 405 seg. ponga dei limiti temporali al compimento delle indagini preliminari, trascorsi i quali .. rimarrebbe comunque valido il principio generale circa le finalita' ed efficacia delle indagini stesse - con la sola caducazione delle eccezioni a tale principio -). E comunque, puo' pretendersi che in presenza del tassativo e drastico disposto di cui al terzo comma dell'art. 407 del c.p.p. il p.m. svolga (abbia l'obbligo di svolgere) ugualmente attivita' inves- tigative "inutilizzabili" (e dunque, ad es., inidonee anche a supportare sentenze all'esito di eventuali riti alternativi o a consentire contestazioni all'esame dibattimentale di testi)? Possono ritenersi "complete" le indagini in tal modo svolte e in tal modo "sanzionate"? E se sorge la necessita' (e' proprio il caso del presente procedimento) di un incidente probatorio - o di un accertamento tecnico non ripetibile, art. 360 del c.p.p. - che senso avrebbe la loro effettuazione, pur ritenuta necessaria, imprescindibile e urgente, conoscendo ex ante che si tratta di atti colpiti da inutilizzabilita'? Certo il p.m. potrebbe svolgere le "attivita' integrative" di cui all'art. 430 del c.p.p. (indagini comunque, si badi, di assai limitata latitudine) una volta esercitata l'azione penale, (ove si ritenga possibile un tale esercizio pur essendo gia' scaduti i termini: cfr. pero' l'art. 405/2 del c.p.p.), ma quale coerenza e ragionevolezza si potrebbe ravvisare in una soluzione che per consentire al p.m. di svolgere le indagini ritenute opportune e necessarie per assumere le proprie determinazioni in una situazione ancora non compiutamente focalizzata circa la fondatezza della notizia di reato, lo costringa .. ad esercitare l'azione penale? (determinando cosi' l'assunzione - anticipata e non ancora supportata e giustificata da indagini esausitive - della qualita' di imputato da parte dell'"indagato" con tutte le conseguenze per lo stesso pregiudizievoli). Tale opzione parrebbe contraddittoria con l'esigenza di completezza delle indagini, (cui anche poco sopra si faceva riferimento) la quale " .. funge da argine contro eventuali prassi di esercizio 'apparente' dell'azione penale, che, avviando la verifica giurisdizionale sulla base di indagini troppo superficiali, lacunose o monche, si risolverebbe in un ingiustificato aggravio del carico dibattimentale", completezza che risulta cosi' interconnessa da una parte al rispetto sostanziale del disposto di cui all'art. 112 della Costituzione, dall'altra alla esigenza di esercitare l'azione penale solo ove il p.m. verifichi la mancanza dei presupposti che rendono doverosa la archiviazione - art. 50 del c.p.p. - (cfr. Corte costituzionale n. 88/1991). Non pare, cosi', che via sino soluzioni interpretative che consentano di superare la non manifesta infondatezza del dubbio di costituzionalita' nei riguardi dell'art. 112 della Costituzione del disposto degli artt. 405/2, 406/1 e 407/3 del c.p.p., richiamato dall'art. 553 del c.p.p., norme dell'applicazione delle quali questo giudice non puo' prescindere (e alle quali soltanto e' limitata la questione sollevata, pur nella consapevolezza che problemi del tutto analoghi vengono posti da altre norme del titolo VIII del Libro quinto del c.p.p.).
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondato il dubbio di legittimita' costituzionale degli artt. 405, secondo comma, 406, primo comma, e 407, terzo comma, come richiamati dall'art. 553 del c.p.p., in relazione all'art. 112 della Costituzione; Dispone la sospensione del procedimento e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, al p.m., a Dean Marina (presso il domiciliatario avv. G. Ugliengo, Biella), al difensore della stessa (avv. Ugliengo), a De Paoli Emilio e al suo difensore (avv. R. Scheda), a Prandi Angelo Giuseppe, e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Vercelli, addi' 4 luglio 1991 Il giudice: MONTI Il cancelliere: PETTINICCHIO 91C1056