N. 617 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 giugno 1991

                                N. 617
 Ordinanza emessa il 24 giugno 1991 dalla corte  d'appello  di  Milano
 nel  procedimento  di ricusazione proposto da Tornetta Mario ed altro
 nei confronti di Aniello Roberto ed altra
 Processo penale - Dibattimento - Conoscenza degli atti delle indagini
    preliminari   per  avere  il  giudice  pronunciato  o  concorso  a
    pronunciare provvedimento di natura cautelare quale componente del
    tribunale della  liberta'  -  Incompatibilita'  ad  esercitare  le
    funzioni   di   giudizio  -  Omessa  previsione  -  Diversita'  di
    disciplina per casi analoghi -  Asserita  violazione  dei  criteri
    direttivi  della legge-delega in ordine all'attuazione del sistema
    accusatorio e del regime del "doppio fascicolo" - Mancata certezza
    di imparzialita' e terzieta' del giudice - Richiamo alla  sentenza
    n. 496/1990.
 (C.P.P. 1988, art. 34, secondo comma).
 (Cost., artt. 3, 25, 76, 77 e 101).
(GU n.40 del 9-10-1991 )
                          LA CORTE DI APPELLO
    Ha  emesso  la  seguente ordinanza nel procedimento di ricusazione
 dei magistrati:  dott.  Roberto  Aniello  e  dott.ssa  Laura  Cairati
 sentiti il p.g. e la difesa.
    Tornetta  Mario, rinviato a giudizio avanti al tribunale di Milano
 - sez. VII penale, all'udienza del 16 maggio 1991, per rispondere dei
 reati di cui agli artt. 75, 71 e  74  della  legge  n.  685/1975,  ha
 proposto  dichiarazione  di ricusazione dei magistrati: dott. Roberto
 Aniello  e  dott.ssa  Laura  Cairati  nella  rispettiva  qualita'  di
 presidente e giudice a latere del collegio giudicante.
    Detto ricusante espone:
      che,  a  seguito  di gravami da lui proposti, il tribunale della
 liberta' di Milano:
        a) in data 3 agosto 1990 confermava l'ordinanza 9 luglio  1990
 del  g.i.p.  con  la  quale  era  stata respinta l'istanza di arresti
 domiciliari. Del collegio, nell'occasione, faceva parte  la  dott.ssa
 Cairati;
        b) in data 19 aprile 1991 confermava l'ordinanza 13 marzo 1991
 del  g.i.p.  con  la  quale  era stata respinta l'istanza di revoca e
 modifica della misura cautelare  della  custodia  in  carcere  (cosi'
 emerge  dall'ordinanza  in  atti). In detta occasione il collegio era
 presieduto dal dott. Aniello e tra i rimanenti componenti vi  era  la
 dott.ssa Cairati;
      che, pertanto, nei confronti di detti magistrati, ora componenti
 il  collegio  in  sede  dibattimentale,  sussisterebbero  i motivi di
 ricusazione previsti  dall'art.  37  del  c.p.p.  primo  comma  nelle
 ipotesi:  o  della lettera a) con riferimento all'art. 36, lett. g) e
 34, secondo comma dello stesso codice, ovvero della lettera b).
    Tanto perche' i predetti magistrati:
      verserebbero  nella  situazione  di  incompatibilita'   di   cui
 all'art.  34,  secondo  comma,  del  c.p.p.  -  in  analogia a quanto
 ritenuto dalla Corte  costituzionale  nella  sentenza  15-26  ottobre
 1990, n. 496 - per avere avuto conoscenza, quali membri del tribunale
 della  liberta'  (specie con riferimento alla pronunzia del 19 aprile
 1991 intervenuta  dopo  l'emissione  del  decreto  che  disponeva  il
 giudizio)  degli  atti  compiuti  durante  le  indagini  preliminari;
 avrebbero espresso  nella  motivazione  delle  ordinanze  valutazioni
 idonee  ad  integrare  l'ipotesi  della  lett.  b)  del  primo  comma
 dell'art. 37 del c.p.p.
    Propone, poi, in via subordinata - in caso di non accoglimento  di
 "detta  impostazione"  -  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 34, secondo comma, del c.p.p., con riferimento  agli  artt.
 25,  101  e  3  della  Costituzione,  nella  parte in cui non prevede
 l'incompatibilita'  a  partecipare al giudizio del giudice che, quale
 membro del tribunale  della  liberta',  ha  concorso  alla  decisione
 sull'impugnazione  avente  ad  oggetto  un  provvedimento restrittivo
 della liberta' personale.  La difesa del coimputato Mori Marzio nelle
 note difensive depositate ha concluso, a sua volta, chiedendo:
      l'accoglimento  della  dichiarazione   di   ricusazione   previa
 interpretazione  analogico-estensiva dell'art. 34, secondo comma, del
 c.p.p.;
      la  devoluzione  alla  Corte  della  questione  di  legittimita'
 costituzionale della citata norma per contrasto, anche, con gli artt.
 76  e  77  della  Costituzione  in  caso  di  non  accoglimento della
 richiesta principale.
    Tanto premesso la Corte rileva:  il primo motivo  di  ricusazione,
 cosi'  come  proposto,  si  articola  su  di  un duplice presupposto:
 l'interpretazione  analogico-estensiva  della  norma  dell'art.   34,
 secondo    comma,    del   c.p.p.   ovvero   la   sua   denunzia   di
 incostituzionalita' in ipotesi di ritenuta impraticabilita' di  detta
 via.    L'esame  di  dette  richieste si pone, dunque, con priorita',
 mentre  resta  subordinata  al  contenuto  della  loro  decisione  la
 valutazione  del  secondo  motivo.  E cio' per la natura stessa delle
 relative argomentazioni prima ancora che per ragioni sistematiche.
    Cio'   posto   va   disattesa,   senz'altro,   la   richiesta   di
 interpretazione estensiva o analogica della norma di cui all'art. 34,
 secondo comma, del c.p.p.
    Invero  le  disposizioni  che  concernono  la imcompatibilita', la
 astensione e la ricusazione, si pongono come  norme  eccezionali  con
 elencazione  tassativa delle singole ipotesi.  E' esclusa, quindi, in
 materia, ogni possibilita' di interpretazione analogica o  estensiva.
 Si dubita, poi, della costituzionalita' di detta norma nella parte in
 cui  non  prevede l'incompatibilita' a partecipare al giudizio per il
 giudice che ha rivestito la  qualita'  di  componente  del  tribunale
 della  liberta'  nell'ipotesi di cui all'art. 310 del c.p.p.  Sicche'
 tale mancata  previsione  preclude  la  possibilita'  di  ricusazione
 stante  il  richiamo dell'art. 37, primo comma, lett. a) all'art. 36,
 lett. g) che, a sua volta, rinvia all'art. 34 del c.p.p.
    La  questione,  pertanto,  appare   rilevante,   ai   fini   della
 definizione   del  presente  giudizio  di  ricusazione,  nonche'  non
 manifestamente infondata per le considerazioni che seguono.
    Il ricusante e la difesa del coimputato Mori affermano che  l'art.
 34,  secondo  comma,  del  c.p.p.  per la predetta mancata previsione
 contrasterebbe con gli artt. 76, 77, 25, 101 e 3 della  Costituzione.
 Con  gli  artt. 76 e 77 della Costituzione: perche' in contrasto "con
 le scelte fatte dal legislatore delegante  in  ordine  all'attuazione
 dei  caratteri  del  sistema  accusatorio  e  del  regime  del doppio
 fascicolo secondo il disposto dell'art. 2, nn. 57 e  58  della  legge
 delega".
    Si  rileva,  in  sintesi,  che espressione significativa del nuovo
 rito sarebbe in "regime del doppio fascicolo",  attuato  negli  artt.
 431 e 433 del c.p.p., con conseguente sottrazione alla conoscenza del
 giudice   del   dibattimento   di   tutti  gli  atti  delle  indagini
 preliminari. Cio' per evitare anche il  solo  sospetto  di  possibile
 condizionamento che da essa conoscenza potrebbe derivare.
    La   disciplina   dell'incompatibilita'   sarebbe,   tra  l'altro,
 finalizzata alla tutela dell'effettivita'  di  detto  regime  poiche'
 tutte  le  ipotesi  elencate al comma secondo dell'art. 34 del c.p.p.
 riguarderebbero  le  e  si  qualificherebbero  per,   le   situazioni
 processuali  che  generano  conoscenza, nel giudice, degli atti della
 indagine  preliminare;  da  qui  discenderebbe  l'impossibilita'   di
 partecipare  al dibattimento con l'imparzialita' e la "terzieta'" che
 lo devono contraddistinguere.
    Sicche' il giudice,  che  quale  componente  del  tribunale  della
 liberta'  ha  provveduto al "riesame" di un provvedimento restrittivo
 della liberta' personale e, pertanto, ha preso cognizione degli  atti
 delle  indagini  preliminari  ad  esso pertinenti, non dovrebbe poter
 partecipare al giudizio.  Con gli artt. 25 e 101 della  Costituzione:
 perche'   "anche  il  solo  sospetto  di  un  giudizio  precostituito
 minerebbe  l'indipendenza  del  giudice,  intesa  come  certezza   di
 imparzialita'  e  terzieta', con cio' facendo venir meno un requisito
 del suo status essenziale ai fini  del  rispetto  del  principio  del
 giudice  naturale".   Aggiunge ancora, a riguardo, il ricusante che i
 giudici - quali componenti il tribunale della liberta'  ex  art.  310
 del c.p.p. - avrebbe basato la loro decisione, specie con riferimento
 all'ordinanza  del  19  aprile 1991, su tutti gli atti delle indagini
 preliminari.
    Con l'art. 3 della Costituzione: in quanto  l'incompatibilita'  e'
 invece prevista per casi che sarebbero analoghi.
    La   questione,   dunque,   cosi'   come  proposta  ed  attese  le
 argomentazioni dedotte, non puo' essere  considerata  "manifestamente
 infondata".
    Ed invero va considerato, a riguardo, che:
      e'  indubbio  che  nel sistema del nuovo codice - come affermato
 anche dalla Corte costituzionale nella  sentenza  n.  496  del  15-26
 ottobre  1990  -  il  rilievo assegnato alla terzieta' del giudice e'
 stato significativamente accentuato con  previsione  che  il  giudice
 della  fase  del  dibattimento  non debba conoscere gli atti compiuti
 durante le indagini prelimiari;
      il tribunale della liberta' - come giudice sia del  riesame  che
 delle  altre  impugnazioni (artt. 309 e 310 del c.p.p.) in materia di
 provvedimenti de libertate - e' chiamato a svolgere,  ai  fini  della
 decisione,  un controllo quanto alla sussistenza o meno e quanto alla
 permanenza o meno delle condizioni  di  applicabilita'  delle  misure
 coercitive e delle esigenze cautelari.
    La  natura  stessa di detto controllo, che puo' spingersi anche al
 merito, postula conoscenza degli atti delle indagini preliminari  sia
 pure  nei  limiti di quelli che supportano i provvedimenti oggetto di
 riesame o di altre impugnazioni.
    Ritenuto, pertanto, che:
      alla stregua delle considerazioni che  precedono  e  cosi'  come
 premesso,   non  appare  manifestamente  infondata  la  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo comma,  del  c.p.p.
 con riferimento agli artt. 76, 77, 25, 101 e 3 della Costituzione;
      la  soluzione della stessa incide sulla decisione della presente
 procedura e di conseguenza va  sospeso  il  giudizio  incidentale  di
 ricusazione fino alla pronunzia della Corte costituzionale;
      va  confermata  l'ordinanza  emessa da questa Corte il 22 maggio
 1991 di sospensione di  ogni  attivita'  processuale  -  relativa  al
 procedimento  penale  nel  quale  e'  stata proposta dichiarazione di
 ricusazione - dei magistrati ricusati.
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita'
 costituzionale   dell'art.   34,   secondo   comma,  del  c.p.p.  con
 riferimento agli artt. 76, 77, 25, 101 e  3  della  Costituzione  nei
 termini  proposti  dal  ricusante  Tornetta  Mario e dalla difesa del
 coimputato Mori Marzio;
    Dispone che la presente ordinanza - a cura della cancelleria - sia
 notificata alle parti, al p.g. ed al Prtesidente  del  Consiglio  dei
 Ministri  e  sia,  altresi' comunicata ai Presidenti delle due Camere
 del Parlamento;
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla    Corte
 costituzionale;
    Sospende, per l'effetto, il giudizio di ricusazione;
    Conferma  l'ordinanza  emessa  da  questa  Corte in data 22 maggio
 1991.
      Milano, addi' 24 giugno 1991
                         Il presidente: INVREA
    Depositato in cancelleria oggi 27 giugno 1991.
                                   Il cancelliere: (firma illeggibile)
 91C1091