N. 636 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 luglio 1991

                                N. 636
 Ordinanza  emessa il 10 luglio 1991 dal magistrato di sorveglianza di
 Napoli nel procedimento di sorveglianza nei  confronti  di  Di  Guida
 Salvatore
 Pena - Conversione della pena pecuniaria nella sanzione sostitutiva
    in  caso di insolvibilita' del condannato - Previsione di un tetto
    massimo di durata stabilito in un anno di liberta'  controllata  e
    sei  mesi  di  lavoro sostitutivo - Ritenuta inadeguatezza di tali
    limiti  massimi  a  fronte  di  pene   pecuniarie   economicamente
    rilevanti  irrogate  per reati particolarmente gravi (associazione
    per delinquere, spaccio di sostanze stupefacenti) -  Irragionevole
    equiparazione  del grosso al piccolo delinquente con incidenza sul
    principio della funzione rieducativa della pena.
 (Legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 102 e 103).
 (Cost., artt. 2, 3, 24 e 27).
(GU n.41 del 16-10-1991 )
                     IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA
    Ha pronunciato la seguente ordinanza n. 104/90 R.G.S.S. mod. S/10;
    Letti gli atti;
    Considerato che Di Guida Salvatore nato a  Napoli  il  1ยบ  gennaio
 1956  ivi  domiciliato  Vico della Neve a Materdei 18/G o 18/6 veniva
 condannato alla pena della reclusione per  anni  sette  e  alla  pena
 pecuniaria di L. 25.000.000 (con sentenza del tribunale di Napoli del
 4  maggio  1984) (con ordinanza del 29 luglio 1987 condannato ad anni
 due  di  reclusione  e  10 milioni di multa); Rilevato che, una volta
 accertata la insolvibilita' del condannato  ai  fini  della  esazione
 della  pena  pecuniaria,  come  da  documentazione  in  atti, occorre
 procedere alla conversione della  suindicata  pena  pecuniaria  nella
 sanzione sostitutiva, ai sensi del combinato disposto degli artt. 660
 del c.p.p. e 101, 102, 103 e segg. della legge n. 689/1981;
    Preso  atto  che  gli  artt.  102  e  103  della legge n. 689/1981
 stabiliscono un tetto massimo di durata  delle  sanzioni  sostitutive
 applicate  in sede di conversione della pena pecuniaria, sia liberta'
 controllata, sia lavoro sostitutivo, rispettivamente di un anno e  di
 sei mesi;
    Cosi'  ricostruiti  i  termini  della vicenda processuale, ritiene
 questo magistrato sollevare di ufficio, a norma dell'art.  23,  terzo
 comma,   della   legge   n.   87/1953   questione   di   legittimita'
 costituzionale degli articoli 102, 103 della legge n. 685/1975, nella
 parte in cui stabilendo un tetto massimo  di  durata  della  sanzione
 sostitutiva  applicata  in  sede di conversione della pena pecuniaria
 appaiono in contrasto con  gli  articoli  2,  3,  13,  24,  27  della
 Costituzione;
    Pertanto,  sciogliendo la riserva di cui all'udienza del 14 giugno
 1991
                             O S S E R V A
    L'art. 660 del codice di procedura penale  introduce  nel  sistema
 penal-processuale   una   disciplina   assolutamente   innovativa   e
 garantistica,  giurisdizionalizzando  "in   toto"   la   fase   della
 conversione e/o rateizzazione della pena pecuniaria, con applicazione
 della   sanzione  sostitutiva  soltanto  "previo  accertamento  della
 effettiva insolvibilita' del condannato".
    In presenza di situazioni di insolvenza, ex art. 660, quarto comma
 del codice di procedura penale, il magistrato di sorveglianza, se non
 ritiene di dover disporre la rateizzazione " .. con  l'ordinanza  che
 dispone  la  conversione  .. .. determina le modalita' delle sanzioni
 conseguenti in osservanza delle norme vigenti".
    Viene, quindi, chiamata  in  causa  la  normativa  in  materia  di
 esecuzione  e conversioni di pene pecuniarie, disposta dagli articoli
 101, 102, 103 e seguenti della legge n. 689/1981.
    Il primo comma dell'art. 102 della legge n. 689/1981 recita: " ...
 La pena della multa e della ammenda non eseguita  per  insolvibilita'
 del  condannato  si  convertono  nella  liberta'  controllata  per un
 periodo massimo, rispettivamente, di un anno e di sei mesi".
    Il primo comma dell'art. 103 della legge n. 689/1981 recita: "  ..
 Quando le pene pecuniarie devono essere convertite per insolvibilita'
 del  condannato  la  durata complessiva della liberta' cntrollata non
 puo' superare un anno e sei mesi, se la  pena  convertita  e'  quella
 della   multa   e   nove   mesi  se  la  pena  convertita  e'  quella
 dell'ammenda".
    Prescindendo dalle problematiche inerenti la alternativita'  della
 applicazione degli articoli 102 e 103 della legge n. 689/1981, atteso
 che  l'unico  elemento  determinante  atto  ad  individuare gli spazi
 operativi corrispondenti  sembra  essere  l'aggettivo  "complessiva",
 leggi  "durata  complessiva", con riserva di applicabilita' dell'art.
 103 della legge n. 689/1981 in caso di pluralita' di condanne a  pene
 pecuniarie;    sorvolando,    pertanto,    sulle   molteplicita'   di
 interpretazioni  sull'argomento  con  l'auspicio  comunque,   di   un
 autorevole  intervento  della  suprema  Corte; gli articoli 102 e 103
 della  legge  n.  689/1981  pongono  seri   dubbi   di   legittimita'
 costituzionale, in contrasto con i principi di legalita', uguaglianza
 e  umanizzazione  della  pena,  nella  parte in cui fissando un tetto
 massimo  di  durata,  valido  erga  omnes,  non  tengono  in   debita
 considerazione la entita', rilavanza e gravita' della pena pecuniaria
 in concreto irrogata con sentenza di condanna.
    Restano,  invero, superate le perplessita' costituzionali inerenti
 la conversione della pena  pecuniaria  in  una  sanzione,  che  senza
 essere detenzione, comporta pur sempre una restrizione della liberta'
 personale,  vuoi la liberta' controllata, vuoi il lavoro sostitutivo,
 atteso che la Corte costituzionale nella sentenza n. 131/1979 non  ha
 voluto  considerare  illegittima  ogni forma di conversione, ma si e'
 limitata a dichiarare  la  illegittimita'  costituzionale  di  quella
 particolare  configurazione della conversione "retaggio di concezioni
 arcaiche" contenute nel codice del 1930.
    La medesima Corte nella sentenza  n.  108/1987  riconosce  che  la
 legge    n.    689/1981,   realizzata   sulla   base   dell'indirizzo
 costituzionale  espresso  nella  sentenza  n.  131/1979,  attua  quel
 bilanciamento  di  valori  costituzionali,  principio di legalita' ed
 uguaglianza, anche in carenza di meccanismi di adeguamento alle  con-
 crete  condizioni  economiche  del  condannato.  In effetti la Corte,
 nella sentenza n. 131/1979, precisava che,  una  volta  accertata  la
 necessita'   della   conversione,   il   rispetto  del  principio  di
 uguaglianza, pur nella inevitabilita' di misure succedanee alle  pene
 pecuniarie  non  corrisposte  di indubbia maggiore gravita', potrebbe
 richiedere una riduzione minima  di  tale  divieto.  Il  che  sarebbe
 soddisfatto con l'agevolazione dell'adempimento della pena pecuniaria
 medesima,  leggi  rateizzazione, e con l'accertamento giurisdizionale
 della sussistenza di reali condizioni di instabilita',  in  una  alla
 determinazione  di  un tetto massimo di durata delle misure applicate
 in sostituzione, lavoro sostitutivo e liberta'  controllata,  si'  da
 evitare restrizioni di piu' lungo momento.
    Bilanciamento  di  valori  costituzionali,  attuato nella legge n.
 689/1981, cui il nuovo codice  di  procedura  penale  reca  suffragio
 ulteriore  con  il  disposto  dell'art.  660,  terzo  comma,  laddove
 sancisce   la   necessita'    dell'accertamento    della    effettiva
 insolvibilita'  anche  al  momento della scadenza della singola rata,
 nel caso di pena rateizzata, si' da ricondurre  la  disciplina  della
 conversione della pena rateale alla regola generale.
    Cosi' ricostruito, il complesso normativo in tema di esecuzione di
 pena  pecuniaria  sembra  uscire indenne da ogni qualsivoglia attacco
 alla tutela dei valori costituzionali gia' indicati.
    Resta da determinare se la indiscriminiata parita' di  trattamento
 impostra dagli artt. 102, 103 della legge n. 689/1981 pur in presenza
 di  situazioni  soggettive  ed  oggettive  assolutamente  divergenti,
 connesse a comportamenti consapevoli e non a circostanze contingenti,
 rispetta oggettivamente quei principi di uguaglianza, legalita' della
 pena, tanto conclamati.
    Va sottolineato, in via preliminare, che l'art.  660  del  c.p.p.,
 che  disciplina il procedimento di conversione della pena pecuniaria,
 si innesta in un contesto  procedurale  inerente  l'esecuzione  della
 pena, ex art. 655 e segg. del c.p.p.
    Il  procedimento  si  svolge innanzi il magistrato di sorveglianza
 competente, ai sensi  dell'art.  678,  del  c.p.p.  il  quarto  comma
 dell'art.  660  del c.p.p. precisa che con l'ordinanza che dispone la
 conversione, il magistrato di  sorveglianza  determina  le  modalita'
 delle sanzioni conseguenti in osservanza delle norme vigenti. E cio',
 quale  esplicita  concretizzazione  di  quanto  auspicato dalla Corte
 costituzionale nella succitata sentenza n. 108/1987, nella  parte  in
 cui  evidenziava  nella disciplina precedente, legge n. 689/1981 art.
 55 e segg., le incongruenze  di  una  distinzione  delle  fasi  della
 conversione  -  provvedimento  di  conversione e determinazione delle
 modalita' esecutive della sanzione - demandato od organi diversi,  in
 cui  la  garanzia  del contraddittorio era inversamente proporzionale
 all'incidenza del provvedimento sui diritti del  condannato,  essendo
 previsto  un procedimento giurisdizionale per la determinazione delle
 modalita'  di  esecuzione  della  sanzione  sostitutiva,  dinanzi  al
 magistrato  di  sorveglianza,  mentre il provvedimento di concessione
 veniva emesso di ufficio dal p.m., nella  piu'  completa  assenza  di
 ogni garanzia costituzionale.
    Giurisdizionalizzazione,  quindi, dell'intero procedimento, con un
 giudizio che si celebra dinanzi al magistrato di sorveglianza gia' al
 momento della conversione della pena pecuniaria, previo  accertamento
 della effettiva insolvibilita' del condannato.
    Giurisdizionalizzazione,  pero',  che nasce pur sempre nell'ambito
 della esecuzione di una pena, pur se pecuniaria, gia' determinata dal
 giudice della cognizione  e  irrogata  con  sentenza  definitiva.  Il
 magistrato   di   sorveglianza  interviene  con  un  procedimento  di
 sorveglianza ai sensi dell'art. 678 del c.p.p., che  richiama  l'art.
 666  del  c.p.p.,  nel  rispetto,  pero',  della normativa vigente in
 materia di sanzioni sostitutive, leggi artt. 101, 102,  103  e  segg.
 della legge n. 689/1981.
    Il   magistrato   di  sorveglianza,  pertanto,  e'  chiamato  alla
 conversione della pena pecuniaria insoluta, nel rispetto  dei  limiti
 degli  artt.  102  e 103 della legge n. 689/1981, sicche' la liberta'
 controllata o il lavoro sostitutivo imposti, non potranno superare il
 limite massimo, rispettivamente, di un anno e  di  sei  mesi.  Desta,
 pero', qunato meno perplessita', l'introduzione di limiti alla durata
 delle  sanzioni  sostitutive  applicabili  in  sede  di  conversione,
 attesto che la disciplina dei limiti e della natura delle pene  trova
 posto  in  altra  parte del codice penale, vedi art. 15 e segg., e in
 altro momento procedurale, ovvero la  cognizione  della  sentenza  di
 condanna.
    Le  stesse  problematiche inerenti la costituzionalita' delle pene
 pecuniarie, fisse e proporzionali,  attengono,  comunque,  alla  fase
 della  cognizione  e  della condanna, in particolare al momento della
 determinazione della pena; mentre gli artt. 102 e 103 della legge  n.
 689/1981  operano  nel  campo  proprio  della  esecuzione  della pena
 precedentemente determinata.
    E se e' vero come e' vero, che  la  giurisdizionalizzazione  della
 esecuzione   della   pena   e'  finalizzata  in  massima  parte  alla
 individualizzazione della pena  con  adeguamento  della  stessa  alla
 progressiva  responsabilizzazione  del  condannato,  come dal dettato
 della sentenza n. 204/1974 della corte  di  cassazione,  fonte  della
 normativa  sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla esecuzione delle
 misure preventive e limitative della liberta', legge  n.  354/1975  e
 succ. modifiche.
    Se  e' vero come e' vero che il principio di uguaglianza impone di
 tenere conto  della  necessita'  che,  al  variare  delle  condizioni
 essenziali    valutate   dal   giudice   della   cognizione,   devono
 corrispondere, entro i  limiti  posti  dal  principio  di  legalita',
 quelle  modificazioni  e  quegli  adattamenti  in fase di esecuzione,
 idonei a soddisfare in concreto il principio  di  individualizzazione
 della   pena,   e'  altrettanto  verosimile  che,  nella  fase  della
 esecuzione, non possono essere  introdotti  limiti  legislativi,  che
 operano  indipendentemente  e  al  di la' di valutazioni strettamente
 penal-processuali e che di fatto, sottraggono una parte della pena al
 vaglio giurisdizionale. Gli artt. 102 e 103 della legge n.  689/1981,
 varati  dal  legislatore  dal  1981,  intervengono, in verita', in un
 momento  procedurale  in  cui  ben  altri   interventi   legislativi,
 rispondendo ad altrettanto produzione giuridico-costituzionale, hanno
 preferito incentivare l'azione giurisdizionale a garanzia dei diritti
 del condannato in uno alla difesa della collettivita'.
    Limiti che in verita', integrano una sorta di rinunzia dello Stato
 alla  integrale soddisfazione di quel "diritto alla pena", piu' volte
 richiamato nella citata sentenza n. 204/1974, in rapporto al quale lo
 Stato sembra disposto a subire restrizioni soltanto  in  presenza  di
 pronuncia giurisdizionale.
    In  effetti,  l'introduzione  nell'ordinamento  di  una  complessa
 normativa, sia pure per tappe successive, ha condotto  alla  concreta
 possibilita'  di  ridefinire,  in  sede  di esecuzione, sia la durata
 della pena  che  le  modalita'  della  sua  esecuzione  con  notevole
 ridimensionamento  del principio della inderogabilita' della pena. La
 stessa corte,  pero',  ha  tenuto  a  precisare,  nella  sentenza  n.
 282/1989 richiamando quanto gia' ribadito nella sentenza n. 204/1974,
 che  i  casi  in  cui si viene ad incidere sulla qualita' e quantita'
 della pena, in attuazione della c.d. "pena  costituzionale",  trovano
 nella  legge una solida e ragionevole garanzia giurisdizionale, lungi
 dal  rappresentare   graziose   concessioni   od   effetto   di   una
 ingiustificata  rinuncia  dello Stato alla ulteriore esecuzione della
 pena detentiva.
    Ne' il discorso puo' mutare soltanto perche' si verte in  tema  di
 esecuzione di una pena pecuniaria.
    Nessuno  pone in discussione che la pena pecuniaria presenta tutti
 i requisiti propri della  pena,  afflittivita'  e  restrizione,  ne',
 d'altronde, si pone in contrasto con la stessa funzione rieducatrice,
 come  gia'  affermato  dalla  Corte  costituzionale nelle sentenze n.
 12/1966 e n. 67/1963.
    La  considerazione  che  ha  ispirato  l'introduzione  dei  limiti
 previsti  dagli  artt. 102 e 103, ovvero la necessita' di superare le
 perplessita'  costituzionali  insite  nella  conversione  della  pena
 pecuniaria   in   una   sanzione   sostitutiva  di  indubbia  maggior
 afflittivita', si presenta, nell'attuale sistema  penale-processuale,
 alla  luce  degli  artt.  660 del c.p.p. e 101 e segg. della legge n.
 689/1981, dove le garanzie giurisdizionali abbondano e consentono una
 ampia tutela costituzionale in  ogni  momento  dell'esecuzione,  come
 un'isolata ed inutile roccaforte.
    E'   tutto  questo,  anche  a  voler  prescindere  dal  gravissimo
 nocumento che di fatto deriva dall'ottemperanza alle disposizioni  de
 quo per quelle finalita' di prevenzione e difesa sociale, cui la pena
 pur sempre e' indirizzata.
    Non  c'e'  chi  non  vede  quali  vantaggi provengono dall'attuale
 sistema per la delinquenza organizzata, per il  criminale  di  grosso
 calibro,  per  lo  spacciatore,  il  sequestratore, per quei delitti,
 insomma, che nella loro forma piu' grave comportano la  condanna,  in
 una alla reclusione, a pene pecuniarie economicamente rilevanti.
    Tutto  lo  sforzo socio-giuridico-processuale, che e' alla base di
 tali condanne, resta vanificato dall'ossequio doveroso agli artt. 102
 e 103  della  legge  n.  689/1981,  che  con  i  loro  tetti  massimi
 equiparano  il  grosso  delinquente  al  ladro  di biciclette; con il
 risultato di eliminare "in toto"  l'incidenza  neativa  di  una  pena
 pecuniaria  che,  altrimenti  eseguita,  in  tutta  la sua efficacia,
 potrebbe avere effetto e conseguentemente  da  non  sottovalutare  o,
 quantomeno, tutte da sperimentare.
    La  questione prospettata appare infine rilevante nel concreto nel
 caso in esame in quanto  dalla  soluzione  che  ad  essa  sara'  data
 dipendera' la possibilita' di dare esecuzione o meno interamente alla
 pena pecuniaria irogata nella sentenza di condanna.
    Visti   gli   artt.   134  della  Costituzione  e  1  della  legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo  1953,
 n. 87 e successive modifiche.
                               P. Q. M.
    Solleva  d'ufficio  la  questione  di  legittimita' costituzionale
 degli artt. 102 e 103 della legge n. 689/1981  per  violazione  degli
 artt.  2,  3  e 24, 27 della Costituzione, nei termini indicati nella
 presente ordinanza;
    Sospende, di conseguenza, il procedimento di sorveglianza a carico
 di Di Guida Salvatore;
    Ordina alla cancelleria la  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
 costituzionale;
    Dispone,   altresi',   che  copia  della  presente  ordinanza  sia
 notificata alla parte, al Presidente del  Consiglio  dei  Ministri  e
 comunicato ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Napoli, addi' 10 luglio 1991
              Il magistrato di sorveglianza: DI GIOVANNI

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