N. 43 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 7 ottobre 1991
N. 43 Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 7 ottobre 1991 (della regione Lombardia) Igiene e sanita' - Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo - Disciplina degli interventi a protezione degli animali domestici - Istituzione, da parte delle regioni, di un'anagrafe canina, risanamento dei canili comunali e costruzione di rifugi per cani - Obbligo delle regioni di indennizzare gli agricoltori per le perdite di capi di bestiame causate da cani randagi od inselvatichiti - Obbligo delle regioni e province autonome di adeguare la propria legislazione ai principi contenuti nella legge impugnata - Previsione di sanzioni amministrative pecuniarie confluenti nel fondo per l'attuazione della legge stessa - Ripartizione tra le regioni e province autonome del fondo per l'attuazione della legge in questione con decreto del Ministro della sanita' di concerto con il Ministro del tesoro sentita la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano - Asserita violazione della sfera di competenza regionale in materia di igiene e assistenza veterinaria ivi compresa la profilassi, l'ispezione, la polizia e la vigilanza sugli animali - Riferimento alle sentenze della Corte costituzionale nn. 382/1990, 740 e 1034 del 1988, 77/1987 e 307/1983. (Legge 14 agosto 1991, n. 281, artt. 2, primo, quinto, ottavo, decimo, undicesimo e dodicesimo comma, 3, primo secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma, 5, secondo, terzo e sesto comma, e 8). (Cost., artt. 81, quarto comma, 117, 118 e 119).(GU n.42 del 23-10-1991 )
Ricorso della regione Lombardia, in persona del presidente della giunta regionale ing. Giuseppe Giovenzana, autorizzato con delibera della giunta regionale n. 13171 del 26 settembre 1991, rappresentato e difeso dagli avv.ti prof. Valerio Onida e Gualtiero Rueca, ed elettivamente domiciliato presso quest'ultimo in Roma, largo della Gancia, 1, come da delega a margine del presente atto, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge 14 agosto 1991, n. 281 ("legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo"), pubblicata nella "Gazzetta Ufficiale" n. 203 del 30 agosto 1991. La legge 14 agosto 1991, n. 281 ("legge-quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo") reca norme sul trattamento dei cani e dei gatti di proprieta', prevedendo il "controllo della popolazione dei cani e dei gatti mediante la limitazione delle nascite" (art. 2, primo comma), la istituzione di una "anagrafe canina" (art. 3, primo comma), e la custodia a pagamento dei cani in apposite strutture (art. 2, dodicesimo comma); e norme sul trattamento dei cani "vaganti", non reclamati dal proprietario o dal detentore, e dei gatti "che vivono in liberta'", prevedendo per i primi la cattura, il divieto di soppressione e la custodia e il mantenimento dei canili municipali e in appositi "rifugi", o in alternativa la cessione a privati (art. 2, secondo, quinto, sesto e undicesimo comma; art. 3, secondo comma; art. 4, primo comma), per i secondi la sterilizzazione e la riammissione nel loro gruppo, e la gestione di "colonie di gatti che vivono in liberta'" (art. 2, settimo, ottavo, nono e decimo comma). Si prevedono inoltre programmi regionali di prevenzione del randagismo, con iniziative di informazione, aggiornamento e formazione (art. 3, terzo e quarto comma); l'indennizzo, a cura della regione, degli imprenditori agricoli per le perdite di capi di bestiame causate da cani randagi o inselvatichiti (art. 3, quinto comma); un sistema di sanzioni a presidio degli obblighi e dei divieti posti dalla legge (art. 5); una nuova disciplina dell'imposta sui cani (artt. 6 e 7); la istituzione di un fondo, presso il Ministero della sanita', per l'attuazione della legge, ripartito fra le regioni e gli enti locali (art. 8 e art. 3, sesto comma). La legge, frutto di varie iniziative parlamentari (e approvata dal Parlamento senza alcuna consultazione delle regioni), si ispira a lodevoli principi di protezione degli animali: principi che la regione ricorrente non solo non contesta, ma che essa stessa ha da tempo accolto e tradotto in una propria specifica legislazione. La legge regionale 8 settembre 1987, n. 30, reca appunto norme sulla "prevenzione del randagismo" e sulla "tutela degli animali e della salute pubblica", norme alle quali in parte si e' direttamente ispirato lo stesso legislatore nazionale con la legge n. 281/1991 (cfr. ad es. le disposizioni in tema di anagrafe canina e di tatuaggio dei cani: art. 3, primo comma, della legge statale e artt. 1 e 2 della legge regionale; o quelle in tema di programmi di informazione e formazione; art. 3, quarto comma, della legge statale, artt. 4 e 8 della legge regionale). Tuttavia la legge statale, ignorando in parte gli insegnamenti desumibili dall'esperienza di regioni, come la Lombardia, che da piu' tempo erano intervenute in materia, da un lato stabilisce alcune norme di assai dubbia opportunita' e praticabilita' (come quelle sulla sterilizzazione obbligatoria d'ufficio dei gatti che vivono in liberta': art. 2, ottavo comma); dall'altro lato, e soprattutto, ignora le esigenze di una corretta impostazione istituzionale della disciplina della materia, e cioe', in concreto, di rispetto delle competenze regionali e del principio costituzionale che vieta d'imporre alle regioni e agli enti locali nuovi oneri senza assegnare risorse corrispondenti adeguate. La materia trattata dalla legge e' certamente di competenza regionale, come conferma la stessa sua intitolazione di legge-quadro, e come risulta dal fatto che essa concerne interventi nel campo della sanita' pubblica, della polizia veterinaria, dell'assistenza zooiatria e della zootecnia, gia' trasferiti alle Regioni ai sensi dell'art. 1, quarto comma, del d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 4 (sul passaggio di tutte le funzioni "concernenti l'assistenza zooiatrica, ivi compresa l'istituzione, modifica e soppressione delle condotte veterinarie, nonche' la costituzione di consorzi per il servizio di assistenza veterinaria"), dell'art. 27, primo comma, lett. l), del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (che include fra le competenze trasferite alle regioni, fra l'altro, le funzioni in materia di "igiene e assistenza veterinaria, ivi comprese la profilassi, l'ispezione, la pulizia e la vigilanza sugli animali"; e cfr. anche, nello stesso d.P.R. n. 616/1977, l'art. 66, primo e secondo comma, lett. d), sulle funzioni regionali in materia di attivita' zootecniche, e l'art. 83, che trasferisce alle regioni le funzioni concernenti gli interventi per la protezione della natura) nonche' degli artt. 11 e 15, terzo comma, lett. p), della legge 23 dicembre 1978, n. 833. Per altro verso le attivita' disciplinate riguardano compiti gia' prima spettanti agli enti locali (cfr. gli artt. 83 e segg. del regolamento di polizia veterinaria, approvato con d.P.R. 8 febbraio 1954, n. 320, sui compiti dei comuni in materia di profilassi della rabbia e di servizio di cattura e custodia di cani catturati). La legge n. 281/1991 non disconosce, in linea di principio, l'esistenza di funzioni delle regioni e degli enti locali in materia: ma - e qui si palesano i vizi di costituzionalita' che la inficiano - lede l'autonomia regionale sotto tre profili: a) la' dove disciplina in modo esasperatamente dettagliato alcuni aspetti della materia, invadendo l'ambito della potesta' normativa e della stessa discrezionalita' amministrativa regionali; b) la' dove concreta una riappropriazione allo Stato di funzioni amministrative e di risorse di pertinenza delle regioni; c) la' dove addossa alle regioni e alle strutture sanitarie da queste governate, oltre che agli enti locali, nuovi ingentissimi oneri, prevedendo per converso la devoluzione ad essi, per l'attuazione della legge, di risorse assolutamente inadeguate, violando cosi' il principio fondamentale di cui all'art. 81, quarto comma, della Costituzione. Sotto il primo profilo, vengono in considerazione soprattutto le disposizioni che la legge dedica al trattamento dei cani vaganti e dei gatti che vivono in liberta'. Nulla quaestio circa i principi concernenti il divieto di destinare i cani catturati alla sperimentazione (art. 2, terzo comma: divieto gia' sancito del resto dalla direttiva CEE n. 86/609 del 24 novembre 1986, all'art. 19, par. 4) o il divieto di maltrattare i gatti che vivono in liberta' (art. 2, settimo comma); come pure circa il divieto di abbandonare gli animali custoditi nelle abitazioni (art. 5, primo comma). Ma non si puo' consentire quanto si pretende di stabilire il termine di tempo che deve trascorrere prima della eventuale cessione a privati dei cani vaganti catturati (art. 2, quinto comma); quando la sterilizzazione dei gatti che vivono in liberta' non e' configurata come un intervento da effettuarsi in relazione a specifiche circostanze ambientali e ad una valutazione concreta delle esigenze di tutela della salute pubblica, ma diviene un obbligo imposto senza limiti e senza condizioni all'autorita' sanitaria (art. 2, secondo comma); quando si pretende di fissare in modo vincolante le modalita' di identificazione dei cani, attraverso il tatuaggio (art. 3, primo comma: almeno se si intende tale norma nel senso che essa escluda la possibilita' di ricorrere a sistemi piu' moderni come il c.d. "tatuaggio elettronico" con microchips). Tali disposizioni travalicano il confine dei principi che il legislatore statale puo' legittimamente dettare, per invadere il campo riservato al legislatore regionale e alla discrezionalita' amministrativa della regione e delle autorita' sanitarie, impedendo un'azione adeguata alle concrete situazioni locali. L'art. 5 della legge prevede una serie di sanzioni per la violazione degli obblighi e dei divieti previsti dalla legge stessa. Ora, si puo' forse ammettere che l'introdurre e l'applicare sanzioni per chi abbandona animali custoditi nelle abitazioni (primo comma) o per chiunque fa commercio di cani o gatti al fine di sperimentazione (secondo comma), (oltre che naturalmente il disciplinare le sanzioni penali: quinto comma) possa rientrare nella potesta' del legislatore statale. Ma la legge va oltre, stabilendo sanzioni anche per comportamenti connessi con discipline che la legge stessa considera di competenza regionale e locale: cosi' al secondo comma punisce l'omessa iscrizione del cane all'anagrafe da parte del proprietario; e al terzo comma l'omessa sottoposizione del cane al tatuaggio, sempre da parte del proprietario. Si tratta, fra l'altro, di sanzioni che vanno a sovrapporsi a quelle che per le medesime violazioni gia' prima prevedeva la legge regionale: infatti l'art. 10 della legge regionale n. 30/1987 punisce con sanzioni amministrative pecuniarie (in misura, nel massimo, superiore a quella ora prevista dalla legge statale) l'inosservanza delle disposizioni degli artt. 1 e 2 (rispettivamente concernenti l'obbligo di denuncia del possesso, del trasferimento, della scomparsa o della morte del cane ai fini della tenuta dell'anagrafe, e l'obbligo di contrassegnare il cane con il numero di riconoscimento); l'applicazione delle sanzioni e' attribuita all'ente gestore della unita' socio-sanitaria locale. Ora, l'art. 5 della legge statale, mentre non precisa a chi spetta l'applicazione delle sanzioni ivi previste, stabilisce al sesto comma che "le entrate derivanti dalle sanzioni amministrative di cui al primo, secondo, terzo e quarto comma confluiscono nel fondo per l'attuazione della .. legge", previsto dall'art. 8. Dunque il legislatore statale da un lato si "appropria" della disciplina sanzionatoria, sovrapponendo le proprie norme a quelle del legislatore regionale, in materia di competenza di questo; dall'altro "statalizza", se non l'applicazione delle sanzioni, quanto meno il gettito di queste, che dovrebbe, anziche' essere introitato, come per regola generale, dall'autorita' competente all'applicazione, dal Ministero della sanita'. Sotto entrambi questi profili l'art. 5 della legge appare percio' lesivo dell'autonomia della regione. In particolare, sotto il profilo finanziario, mentre non e' nemmeno chiaro il meccanismo di "confluenza" nel fondo ministeriale del gettito delle sanzioni (non si capisce infatti se tale gettito affluisca all'entrata del bilancio dello Stato, o se vada a costituire una sorta di gestione statale fuori bilancio), la lesione dell'autonomia finanziaria e di spesa della regione, realizzata con l'avvocazione di tale gettito allo Stato, non e' ovviata dal fatto che si prevede la ripartizione delle disponibilita' del fondo tra le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano (art. 8, secondo comma). Infatti tale riparto del fondo, che dovrebbe avvenire sulla base di criteri determinati dal Ministro della sanita' di concerto con quello del tesoro (art. 8, secondo comma, citato), non ha nulla a che fare con l'entita' del gettito delle sanzioni riscosso nelle singole regioni, e presuppone dunque pur sempre l'appropriazione di tale gettito da parte dello Stato. Il profilo forse piu' grave di illegittimita' della legge impugnata deriva da cio', che essa comporta l'addossamento alla regione e alle strutture del servizio sanitario della regione, oltre che agli enti locali, di nuovi gravosissimi oneri, senza contemporaneamente provvedere adeguate risorse: con cio' violando l'art. 81, quarto comma, della Costituzione, e ledendo l'autonomia finanziaria della regione. Le disposizioni della legge, che impongono nuovi oneri, sono le seguenti: a) l'art. 1, primo comma, stabilisce che "il controllo della popolazione dei cani e dei gatti mediante la limitazione delle nascite viene effettuato, tenuto conto del progresso scientifico, presso i servizi veterinari delle unita' sanitarie locali. I proprietari e i detentori possono ricorrere a proprie spese agli ambulatori veterinari autorizzati delle societa' cinofile, delle societa' protettrici degli animali e di privati". E' ben noto che i servizi veterinari organizzati nell'ambito del servizio sanitario nazionale non espletano compiti di assistenza curativa nei confronti degli animali di affezione, ma solo compiti di vigilanza veterinaria e di intervento a protezione della salute pubblica. In altri termini, non esiste un principio, parallelo a quello stabilito invece per l'assistenza ai cittadini, per cui il servizio pubblico assiste, tanto meno gratuitamente, gli animali di affezione, su richiesta dei loro proprietari o detentori. La struttura e la dimensione dei servizi veterinari delle u.s.l. sono naturalmente adeguate a tali loro compiti. Ora, la legge n. 281/1991 viene a modificare radicalmente i compiti di tali servizi, imponendo loro prestazioni a favore degli animali di affezione, su richiesta dei proprietari o detentori, che fuoriescono completamente dalle funzioni fino ad oggi loro attribuite dalla legge. Per di piu' tali prestazioni sono configurate come gratuite, come risulta implicitamente, oltre che dal silenzio della legge circa eventuali tariffe, dalla circostanza che solo nel caso di ricorso, volontario, ad ambulatori privati si specifica che i proprietari o detentori possono farlo "a proprie spese". Non e' difficile rendersi conto dell'ingente onere organizzativo e finanziario che viene a gravare sui servizi veterinari pubblici imponendo loro il compito di provvedere alla sterilizzazione degli animali di affezione. Ne', fra l'altro, si comprende quale principio dovrebbe condurre a prevedere prestazioni gratuite a favore dei privati possessori di cani o di gatti, configurando una sorta di sistema di assistenza sanitaria gratuita per gli animali di affezione. In ogni caso, e anche a prescindere dalla gratuita' delle prestazioni, l'organizzazione dei servizi dovrebbe essere necessariamente integrata, con oneri di gestione molto consistenti; b) l'art. 1, secondo comma, della legge stabilisce che "i cani vaganti ritrovati, catturati o comunque ricoverati presso le strutture di cui al primo comma dell'art. 4, non possono essere soppressi", salvo i casi di cui al sesto comma. I cani vaganti catturati devono essere restituiti al proprietario o detentore (quarto comma: e fin qui nulla questio); altrimenti devono essere tatuati, e, se non reclamati entro sessanta giorni, possono essere "ceduti a privati che diano garanzia di buon trattamento o ad associazioni protezioniste, previo trattamento profilattico contro la rabbia, l'echinococcosi e altre malattie trasmissibili" (quinto comma); diversamente, non possono essere rimessi in liberta', ma debbono essere ospitati e mantenuti in appositi "rifugi per i cani", costituiti dai comuni singoli o associati o dalle comunita' montane (art. 4, primo comma), che debbono "garantire buone condizioni di vita per i cani e il rispetto delle norme igienico-sanitarie" e sono sottoposti al "controllo sanitario dei servizi veterinari delle unita' sanitarie locali" (art. 3, secondo comma); tali strutture possono anche essere gestite dagli enti e dalle associazioni protezionistiche, ma sempre "sotto il controllo sanitario dei servizi veterinari delle unita' sanitarie locali" (art. 2, undicesimo comma). Le medesime strutture, oltre a potere tenere in custodia a pagamento cani di proprieta', "garantiscono il servizio di pronto soccorso" (art. 2, dodicesimo comma). I servizi comunali e i servizi veterinari delle u.s.l. "si attengono, nel trattamento degli animali ricoverati, alle disposizioni di cui all'art. 2" (art. 4, secondo comma). L'art. 85 del regolamento di polizia veterinaria, approvato con d.P.R. 8 febbraio 1954, n. 320, stabiliva che "i cani catturati perche' trovati vaganti senza la prescritta museruola devono essere sequestrati nei canili comunali per il periodo di tre giorni" e che "trascorsi i tre giorni senza che i legittimi possessori li abbiano reclamati e ritirati, i cani sequestrati devono essere uccisi con metodi eutanasici ovvero concessi ad istituti scientifici o ceduti a privati che ne facciano richiesta". Ora, la nuova legge vieta invece la soppressione dei cani non reclamati, e ne prevede, in alternativa alla cessione a privati "che diano garanzie di buon trattamento" o ad associazioni protezioniste, la custodia a tempo indeterminato negli appositi "rifugi". E' da apprezzare, certamente, il principio cui il legislatore ha ispirato la sua scelta. Ma non si puo' omettere di constatare che le nuove regole comportano da parte dell'amministrazione attivita' e prestazioni del tutto nuove - il mantenimento dei cani per sessanta giorni prima di poterli cedere ai privati richiedenti; la costruzione e la gestione dei rifugi per cani ove questi debbono essere mantenuti a tempo indeterminato - che richiedono non solo risorse per investimenti, ma altresi' la disponibilita' di risorse e di personale per la gestione delle nuove strutture. Pur tenendo conto del fatto che i comuni fruiscono del gettito delle imposte sui cani (ridisciplinata dall'art. 6 della legge n. 281/1991), e' certo che esso non basta certo a finanziare la costruzione e la gestione dei rifugi e il risanamento dei canili municipali (posti a carico dei comuni stessi dall'art. 4 della legge): tanto e' vero che la medesima legge prevede che sia la regione a erogare contributi per la realizzazione degli interventi di competenza dei comuni (art. 3, secondo e sesto comma; art. 4, primo comma). Si tratta di oneri (soprattutto quelli di gestione) durevoli nel tempo e particolarmente pesanti (si pensi personale addetto alle nuove strutture). La regione e' a sua volta gravata di nuovi oneri, perche', come si e' detto, deve contribuire agli interventi di competenza dei comuni. Inoltre altri nuovi oneri gravano sulle strutture sanitarie della regione: infatti i servizi veterinari delle u.s.l. sono tenuti a provvedere al tatuaggio e al trattamento profilattico dei cani vaganti catturati e non reclamati (art. 2, quinto comma); e devono provvedere al controllo sanitario dei rifugi per cani (art. 2, primo comma; art. 3, secondo comma; art. 4, secondo comma). L'obbligo, poi, di garantire, nelle strutture ove sono custoditi i cani "il servizio di pronto soccorso" (art. 2, dodicesimo comma) - evidentemente a favore degli altri cani, compresi quelli custoditi nelle abitazioni dei privati - concreta un'ulteriore attivita' di cura, estranea alle competenze precedentemente proprie dei servizi veterinari pubblici, e assai costosa, riguardo alla quale valgono gli stessi rilievi gia' mossi a proposito della sterilizzazione dei cani e dei gatti a richiesta dei proprietari. Ancora una volta si addossa alla struttura pubblica un onere "assistenziale" in favore dei privati, relativamente agli animali di affezione da essi posseduti; c) la disposizione dell'art. 2, ottavo comma, secondo cui "i gatti che vivono in liberta' sono sterilizzati dall'autorita' sanitaria competente per territorio e riammessi nel loro gruppo", oltre a presentarsi di assai dubbia opportunita' nella sua rigidita', comporta per l'amministrazione sanitaria un onere gravosissimo, prima per la necessaria identificazione degli animali, e poi per il loro trattamento sanitario. A cio' si aggiunge la eventualita' della gestione da parte degli enti e delle associazioni protezioniste, ma "d'intesa con le unita' sanitarie locali", di non megli definite "colonie di gatti che vivono in liberta'", in cui dovrebbero essere loro assicurate "la cura della salute e le condizioni di sopravvivenza": compiti, specie questi ultimi, che comportano nuovi oneri per le strutture sanitaire pubbliche; d) l'istituzione dell'anagrafe canina "presso i comuni o le unita' sanitarie locali" e la previsione dell'obbligo di identificazione dei cani mediante tatuaggio (art. 3, primo comma) comportano a loro volta oneri. Ne' conta che l'anagrafe e l'identificazione, in Lombardia, fossero gia' previste dalla legge regionale, poiche' altro e' un'attivita' che liberamente la regione decide di svolgere e di finanziare con le proprie risorse, altro l'imposizione di questa medesima attivita' da parte del legislatore statale, senza provvista di adeguate risorse; e) alle regioni si impone poi direttamente l'obbligo di adottare e attuare un "programma di prevenzione del randagismo" (art. 3, terzo comma), che preveda interventi riguardanti "iniziative di informazione da svolgere anche in ambiti scolastici al fine di conseguire un corretto rapporto di rispetto della vita animale e la difesa del suo habitat", nonche' "corsi di aggiornamento o formazione per il personale delle regioni, degli enti locali e delle unita' sanitarie locali addette ai servizi di cui alla presente legge nonche' per le guardie zoofile volontarie che collaborano con le unita' sanitarie locali e con gli enti locali" (art. 3, quarto comma). Sono evidenti gli oneri derivanti a carico della regione da tali disposizioni; d) parimenti produce direttamente oneri a carico della regione l'obbligo, sancito dall'art. 3, quinto comma, "al fine di tutelare il patrimonio zootecnico", di indennizzare "gli imprenditori agricoli per le perdite di capi di bestiame causate da cani randagi o inselvatichiti, accertate dal servizio veterinario dell'unita' sanitaria locale" (art. 3, quinto comma). All'onere diretto per la regione relativo agli indennizzi si aggiunge l'onere derivante a carico dei servizi veterinari delle u.s.l. dall'obbligo dei relativi accertamenti. La legge dunque, riassumendo, pone a carico diretto della regione (contributi per la realizzazione degli interventi di competenza dei comuni: art. 3, secondo comma; formazione e attuazione del programma di prevenzione del randagismo: art. 3, terzo e quarto comma; indennizzo agli agricoltori: art. 3, quinto comma; pone oneri a carico delle strutture sanitarie pubbliche, che gravano in definitiva sulla regione quanto al loro finanziamento (sterilizzazione dei cani e gatti di proprieta': art. 2, primo comma; tatuaggio e trattamento profilattico dei cani vaganti catturati: art. 2, quinto comma; sterilizzazione dei gatti che vivono in liberta': art. 2, ottavo comma; cura della saluta nelle "colonie di gatti che vivono in liberta'": art. 2, decimo comma; controllo sanitario dei rifugi per cani: art. 2, unidicesimo comma e art. 3, secondo comma; servizi di pronto soccorso per cani: art. 2, dodicesimo comma; istituzione dell'anagrafe canina e tatuaggio dei cani: art. 3, primo comma; pone oneri, infine, a carico dei comuni (risanamento dei canili comunali e costruzione e gestione di rifugi per cani: art. 3, secondo ccomma e art. 4. Ora, a fronte di questo complesso di oneri, alcuni dei quali molto gravosi, la legge, sul piano finanziario, si limita a istituire presso il Ministero della sanita' un fondo, la cui dotazione e' determinata in un miliardo per il 1991 e in due miliardi a decorrere dal 1992 (art. 8, primo comma); vi si aggiunge il provento delle sanzioni (art. 5, sesto comma). Di tale fondo, una somma non superiore al 25% puo' essere destinata dalla regione alla realizzazione degli interventi di propria competenza, mentre la restante parte e' assegnata agli enti locali - tra i quali non e' chiaro se sono comprese le unita' sanitarie locali - "per la realizzazione degli interventi di loro competenza" (art. 3, sesto comma; e cfr. anche art. 4, primo comma). Due miliardi all'anno (piu' gli spiccioli derivanti dalle sanzioni) per tutto il territorio nazionale, rappresentano pero' una goccia, rispetto all'entita' degli oneri da affrontare; e la quota del 25% di spettanza della regione e' ancora piu' clamorosamente insufficiente rispetto ai compiti nuovi ad essa addossati. Particolarmente rilevanti sono gli oneri di gestione, per il necessario rafforzamento dei servizi veterinari, che dovrebbero propriamente ristrutturarsi per far fronte a nuovi compiti, e valersi di nuovo personale. La Costituzione impone al legislatore, quando dispone nuove o maggiori spese, di indicare i mezzi per farvi fronte (art. 81, quarto comma). Tale principio vale, pacificamente, anche quando le nuove spese sono determinate dal legislatore a carico del bilancio della regione o delle strutture (come le u.s.l.) da essa finanziate. L'art. 27 della legge 5 agosto 1978, n. 468, stabilisce espressamente che le leggi che comportano oneri, anche sotto forma di minori entrate, a carico dei bilanci degli enti del c.d. settore pubblico allargato (fra cui le regioni) "devono contenere la previsione dell'onere stesso nonche' l'indicazione della copertura finanziaria riferita ai relativi bilanci, annuali e pluriennali". Piu' di recente l'art. 3, sesto comma, della legge 14 giugno 1990, n. 158, ha ribadito che "i provvedimenti statali che direttamente o indirettamente comportino nuove funzioni o ulteriori compiti per le regioni o modifichino quelli esistenti aggravandone gli oneri di gestione, debbono indicare le risorse occorrenti per la loro adeguata copertura". Nulla di tutto cio' si rinviene nella legge in esame. Nessuna stima degli oneri; un finanziamento ridicolamente inadeguato all'entita' dei compiti nuovi e degli obblighi direttamente e indirettamente forieri di oneri finanziari, posti a carico della regione e delle strutture sanitarie; nessuna considerazione per gli oneri di gestione derivanti dalla necessita' di adeguare le strutture ai nuovi compiti e alle nuove funzioni. La legge n. 281/1991 costituisce un cospicuo esempio dell'atteggiamento di un legislatore statale "spensierato", che in nome delle migliori intenzioni proclama nuovi compiti e nuovi obblighi per la pubblica amministrazione, senza preoccuparsi di definire rigorosamente fattibilita' e costi degli interventi e di calcolare le conseguenze finanziarie della legge. "Spensieratezza" che pero' nella specie si traduce in aggravio diretto e indiretto per le finanze delle regioni, alle quali viene promessa, in cambio, solo una quota di un minuscolo fondo, la cui sproporzione rispetto ai costi aggiuntivi e' palese, e potrebbe in ogni caso essere facilmente comprovata attracerso opportuni adempimenti istruttori. In tal modo si viola il precetto costituzionale sulla copertura e si lede l'autonomia finanziaria e di spesa della regione, la quale sarebbe costretta a destinare ai nuovi compiti risorse proprie, gia' destinate e gia' impegnate per l'adempimento delle sue funzioni.
P. Q. M. La regione ricorrente chiede che la Corte voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli artt. 2, primo, quinto, ottavo, decimo, undicesimo e dodicesimo comma, 3, primo, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma; 4; 5, secondo, terzo e sesto comma; 8 della legge 14 agosto 1991, n. 281, in riferimento agli artt. 117, 118, 119 e 81, quarto comma della Costituzione, nonche' in riferimento all'art. 27 della legge 5 agosto 1978, n. 468 e all'art. 3, sesto comma della legge 14 giugno 1990, n. 158. Roma, addi' 28 settembre 1991 Avv. prof. Valerio ONIDA - Avv. Gualtiero RUECA 91C1132