N. 439 SENTENZA 2 - 9 dicembre 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Lavoro - Imprese in crisi per temporanee situazioni di mercato -
 Ammissione al beneficio della integrazione salariale - Trasferimento
 del rischio d'impresa sui lavoratori - Alterazione
 delle  regole  di  mercato  e della concorrenza - Scelta di politica
 socio-economica di discrezionalita' del legislatore a tutela sia  del
 lavoratore che dell'attivita' produttiva - Non fondatezza.
 
 (Legge 20 maggio 1975, n. 164, art. 1, n. 1, lett.  b)).
 
 (Cost.,  artt.  3, secondo comma, 36, primo comma, 38, secondo comma,
 41, primo e secondo comma, e 27, primo comma).
(GU n.50 del 18-12-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
    CASAVOLA,  prof.  Antonio  BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,
    avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, n. 1, lett.
 b), della legge 20 maggio 1975, n. 164 (Provvedimenti per la garanzia
 del salario), promosso con ordinanza emessa il 13 marzo 1991 dal Pre-
 tore di Milano nel  procedimento  civile  vertente  tra  Delle  Donne
 Corrado  ed  altri  e S.p.a. Alfa-Lancia ed altra, iscritta al n. 342
 del registro ordinanze 1991 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visti  gli  atti  di costituzione della S.p.a. Alfa-Lancia e della
 S.p.a. Fiat-Auto, nonche' l'atto di  intervento  del  Presidente  del
 Consiglio dei Ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  5  novembre  1991  il  Giudice
 relatore Francesco Greco;
    Uditi gli avvocati Giacinto Favalli  e  Carlo  Mezzanotte  per  la
 S.p.a. Alfa-Lancia, Paolo Barile e Paolo Tosi per la S.p.a. Fiat-Auto
 e  l'Avvocato  dello  Stato  Antonio  Bruno  per  il  Presidente  del
 Consiglio dei Ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - La S.p.a. Alfa-Lancia chiedeva,  per  tre  distinti  periodi,
 compresi   fra   il  settembre  ed  il  novembre  1990,  l'intervento
 dell'integrazione salariale ordinaria  per  la  quasi  totalita'  dei
 dipendenti  in servizio presso lo stabilimento di Arese, adducendo un
 improvviso calo della domanda nel settore automobilistico.
    Esperite  le  preventive  procedure  sindacali,   otteneva   dalla
 competente   commissione   provinciale   dell'I.N.P.S.   di   Milano,
 l'autorizzazione all'integrazione richiesta, senza il  riconoscimento
 dell'esistenza di forza maggiore e con conseguente assoggettamento al
 contributo  addizionale  di cui all'art. 12, primo comma, n. 2, della
 legge 20 maggio 1975, n. 164.
    Alcuni lavoratori cassaintegrati convenivano davanti al Pretore di
 Milano la societa' datrice  di  lavoro  (unitamente  alla  Fiat  Auto
 S.p.a),   per   ottenere   il   pagamento  della  differenza  tra  la
 retribuzione normale che sarebbe loro spettata nei periodi suddetti e
 l'integrazione percepita assumendo l'inesistenza,  nella  specie,  di
 una  "causa  integrabile"  e la conseguente nullita' o illegittimita'
 della sospensione dei loro rapporti di lavoro.
    Il giudice adito, rigettata  la  richiesta  del  provvedimento  di
 urgenza  ex  art.  700  codice  di  procedura civile, nel giudizio di
 merito, proseguito in via ordinaria, con ordinanza emessa il 13 marzo
 1991 (R.O. n. 342 del 1991), ha sollevato questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  1, n. 1, lettera b), della legge 20 maggio
 1975 n. 164, nella parte in  cui  consente  l'integrazione  salariale
 ordinaria  per  contrazione  o sospensione dell'attivita' produttiva,
 conseguenti a temporanee situazioni di mercato.
    Ritenuta la rilevanza  della  questione,  siccome  attinente  alla
 norma  in  forza  della  quale  la  societa'  datrice di lavoro aveva
 ottenuto il provvedimento di ammissione alla Cassa  Integrazione,  ha
 osservato preliminarmente che la suddetta ipotesi di intervento della
 cassa  stessa  -  che  prescinde  dall'esistenza  di  cause  di forza
 maggiore - costituisce uno strumento previdenziale a tutela non  solo
 dei  lavoratori,  ma,  fondamentalmente,  delle  imprese, le quali si
 trovino non gia' in una  condizione  di  sopravvenuta  impossibilita'
 temporanea  di  ricevere  la  prestazione  lavorativa,  bensi' in una
 situazione  di  mercato  non  favorevole,  da  neutralizzare   merce'
 l'intervento  pubblico  di  integrazione  salariale (finanziato dalla
 generalita' delle imprese industriali e da un contributo statale).
    Questo  tipo  di causa integrabile renderebbe la relativa norma di
 previsione sospetta di illegittimita'  costituzionale  per  contrasto
 con:
      a) l'art. 36, primo comma della Costituzione, in quanto la minor
 retribuzione che i lavoratori percepiscono in periodo di integrazione
 salariale  consente un trasferimento su di essi del tipico rischio di
 impresa,  consistente  nella  contrazione  degli  utili  dovuta  alla
 particolare contingenza economica;
      b)  l'art. 41, primo e secondo comma della Costituzione, perche'
 la sua applicazione comporta dispendio delle risorse  della  Cassa  -
 costituite  in  forza  del principio di solidarieta' fra le imprese e
 dell'assistenza statale  -  senza  che  ricorrano  i  presupposti  di
 utilita'  o  fini  sociali  tutelati  da detto precetto; e perche' il
 beneficio in questione e' concesso per una mera  situazione  negativa
 di  mercato,  senza che si esiga la non imputabilita' al destinatario
 del beneficio  stesso,  impedendosi  in  tal  modo  che  l'iniziativa
 economica  e la liberta' di impresa si svolgano secondo le regole del
 mercato e della concorrenza, salvaguardate  per  esigenza  di  tutela
 delle parti sociali piu' deboli;
      c)  l'art.  97,  primo  comma  della  Costituzione, in quanto la
 alterazione del normale regime concorrenziale - gia' di  per  se'  in
 contrasto con gli obblighi derivanti allo Stato italiano dal trattato
 CEE,  e,  quindi,  con  norme di obiettiva rilevanza costituzionale -
 intralcia certamente l'operativita' del  principio  di  imparzialita'
 dell'azione amministrativa;
      d)   l'art.  38,  secondo  comma  della  Costituzione,  poiche',
 quand'anche si ritenesse la norma censurata  strumento  previdenziale
 in  favore dei lavoratori, essa sarebbe comunque viziata dal fatto di
 introdurre una provvidenza che prescinde  dalla  "non  volontarieta'"
 della  sospensione  del  lavoro  e opera in relazione ad una semplice
 scelta imprenditoriale;
      e) l'art. 3, secondo comma della Costituzione, poiche' il  costo
 sociale   di  siffatte  provvidenze  si  risolve  in  un  impedimento
 all'utilizzazione  di   risorse   per   fini   di   rimozione   delle
 diseguaglianze sostanziali e di fatto fra i cittadini.
    2.  -  L'ordinanza,  ritualmente notificata e comunicata, e' stata
 altresi' pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.
    Nel giudizio si sono costituite la Societa'  Lancia  S.p.a.  e  la
 Fiat  Auto S.p.a. ed e' intervenuta l'Avvocatura Generale dello Stato
 in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri.
    2.1.  -  Le  societa'  hanno  eccepito  l'inammissibilita'   della
 questione,  in  quanto  si  censurano  scelte di politica economica e
 sociale, riservate alla discrezionalita' del legislatore.
    Nel merito hanno osservato che  la  contestata  ipotesi  di  Cassa
 Integrazione, a differenza di quanto ritiene il giudice a quo, che la
 configura  come semplice strumento di tutela dell'impresa, in realta'
 ha una non meno importante  funzione  di  tutela  dell'interesse  del
 lavoratore  alla conservazione del posto di lavoro, come emerge anche
 dai principi affermati da questa Corte con la  sentenza  n.  694  del
 1988.
    Tale ultima funzione non solo non compromette la realizzazione del
 principio   costituzionale   di   eguaglianza   sostanziale,   ma  ne
 costituisce,   tutelando   l'occupazione,   efficace   strumento   di
 promozione.
    D'altra  parte,  la  possibilita'  che  tutte  le imprese hanno di
 profittare, con  identiche  modalita',  dell'istituto  in  questione,
 esclude  di  per se' qualunque violazione delle regole dalla liberta'
 di iniziativa economica e della libera concorrenza; mentre, la tutela
 apprestata nei confronti dei lavoratori dimostra  la  sussistenza  di
 una utilita' sociale, da conseguire attraverso la norma censurata.
    La   disposta  riduzione  di  retribuzione  si  ricollega  ad  una
 valutazione legale della congruita' della retribuzione  residua,  non
 contrastante   con   l'art.   36  della  Costituzione  anche  perche'
 corrisponde ad una totale carenza della prestazione lavorativa.
    La funzione di salvaguardia  dei  livelli  occupazionali  pone  la
 norma  anche al riparo dalla censura di contrasto con l'art. 38 della
 Costituzione, alla cui  stregua  la  disoccupazione  involontaria  e'
 evento che impone un intervento dello Stato a tutela dei lavoratori.
    Non  puo'  nemmeno  porsi  il problema del contrasto con l'art. 97
 della Costituzione, perche' il principio di imparzialita' dell'azione
 amministrativa  ha  una  rilevanza  endoprocedimentale,  in  sede  di
 concreto svolgimento delle procedure necessarie alla erogazione delle
 provvidenze,  la  cui  previsione ed istituzione costituisce, invece,
 frutto di scelta di politica legislativa; la mancata  osservanza  del
 principio  cosi'  inteso puo' ben dedursi da ogni interessato davanti
 al giudice  competente,  per  ottenere  la  rimozione  degli  effetti
 pregiudizievoli.
   2.2. - L'Avvocatura Generale dello Stato ha espresso in primo luogo
 dubbi  sulla  rilevanza  della  questione, essendo essa pregiudiziale
 solo ove si trattasse di accertare principalter  la  sussistenza  del
 diritto   all'intervento   della   Cassa   integrazione  nell'ipotesi
 considerata,  ma  non   rispetto   alla   decisione   sulla   domanda
 introduttiva  del  giudizio  a  quo,  intesa a rivendicare differenze
 retributive, in presenza di detta ipotesi.
    Nel merito ha dedotto l'infondatezza  della  questione  osservando
 che  la  norma  si  pone non solo come garanzia di sostegno economico
 delle imprese ma anche come misura di sostegno dell'occupazione,  con
 intento  impeditivo  del  ricorso  a  provvedimenti  di licenziamenti
 collettivi e senza  che  risulti  alterato  il  regime  della  libera
 concorrenza.
    3.  -  Nella  imminenza  della udienza la difesa delle societa' ha
 presentato memoria.
    In essa ha eccepito la inammissibilita' della  questione  perche':
 a)  siccome  il  giudizio  de  quo  ha  per oggetto l'impugnativa del
 provvedimento di autorizzazione alla integrazione salariale, il  Pre-
 tore  difetta  di  giurisdizione,  rientrando  la  controversia nella
 giurisdizione del  giudice  amministrativo  anziche'  in  quella  del
 giudice  ordinario,  competente  solo  per le controversie relative a
 diritti o  obblighi  dei  lavoratori;  b)  la  ordinanza  difetta  di
 motivazione  in  punto  di  rilevanza,  in  quanto non risulta che il
 giudice  remittente  abbia  verificato  l'effettiva  sussistenza  dei
 presupposti di applicabilita' della disposizione impugnata.
    Nel   merito   ha   insistito   sulle   finalita'  della  concessa
 integrazione salariale, che per il lavoratore e' strumento di  tutela
 previdenziale  e  per  le  imprese  e'  una  provvidenza  diretta  al
 superamento di temporanee situazioni sfavorevoli di mercato, onde  la
 ricorrenza   di   fini   sociali  e  il  rispetto  dei  limiti  della
 discrezionalita'  legislativa.  Risulta   tutelata   l'azienda   come
 complesso di beni ed attivita'; e cioe' l'interesse dell'imprenditore
 al mantenimento della produttivita' dell'impresa alla quale e' legata
 la conservazione della occupazione cui e' interessato il lavoratore.
    Ha  anche  rilevato  che  l'ammissione  all'integrazione salariale
 nella ipotesi di cui trattasi importa per l'imprenditore il pagamento
 di contributi aggiuntivi  e  che  la  garanzia  della  competitivita'
 dell'impresa   e'   tanto   piu'   sentita   ora,   nella   imminenza
 dell'attuazione del mercato comune.
                        Considerato in diritto
    1. - La Corte e' chiamata a verificare se l'art. 1, n. 1,  lettera
 b),  della  legge 20 maggio 1975, n. 164, nella parte in cui consente
 l'ammissione delle imprese al beneficio della integrazione  salariale
 ordinaria  in  caso  di  sospensione  o  contrazione  della attivita'
 produttiva, dovuta a temporanee  situazioni  di  mercato,  violi  gli
 artt:
      a)  3, secondo comma della Costituzione, perche' arbitrariamente
 destina a beneficio delle imprese, per ridurne il rischio  economico,
 risorse  che  potrebbero  impiegarsi  per  promuovere  la uguaglianza
 sostanziale fra i cittadini;
      b) 36, primo  comma  della  Costituzione,  perche'  comporta  la
 riduzione del trattamento economico dei lavoratori collocati in cassa
 integrazione  e  cosi'  trasferisce  su  di  essi  un rischio proprio
 dell'imprenditore;
      c) 41, primo e secondo comma della Costituzione, perche'  altera
 le  regole  della concorrenza e del libero mercato, pur in difetto di
 fini di utilita' sociale da perseguire;
      d) 38, secondo comma della Costituzione, perche' la  provvidenza
 accordata,  quand'anche  configurabile  come  strumento di tutela dei
 lavoratori, prescinderebbe dall'involontarieta' dell'evento;
      e) 97, primo comma della Costituzione,  in  quanto  la  suddetta
 alterazione delle regole della libera concorrenza comporta una remora
 alla imparzialita' dell'azione della pubblica amministrazione.
    2.  -  Devono  essere  esaminate pregiudizialmente le eccezioni di
 inammissibilita' sollevate dalla difesa della Societa' convenuta.
    2.1. - La prima di esse  si  fonda  sul  rilievo  che  il  Pretore
 remittente  difetta  di  giurisdizione  in  quanto il giudizio di cui
 trattasi ha per  oggetto  la  impugnazione  dell'autorizzazione  alla
 integrazione  salariale  dei lavoratori ricorrenti anziche' la tutela
 di un diritto dei lavoratori.
    La eccezione non e' fondata.
    Si  ritiene  che  si  possa  pervenire  a  una   declaratoria   di
 inammissibilita'    della   sollevata   questione   di   legittimita'
 costituzionale solo quando il difetto di giurisdizione del giudice  a
 quo   risulti  ictu  oculi;  sia  cioe'  di  tutta  evidenza  che  la
 controversia esuli dalla giurisdizione del giudice adito  (v.  sentt.
 n. 283 del 1990; n. 102 del 1990).
    A  siffatto  risultato  si  sarebbe potuto pervenire se la domanda
 proposta al Pretore remittente non avesse avuto ad oggetto la  tutela
 di  un diritto soggettivo. Dall'ordinanza di remissione si deduce con
 assoluta certezza che il  giudizio  e'  stato  instaurato  da  alcuni
 lavoratori   proprio   per   ottenere  la  tutela  del  loro  diritto
 (soggettivo)  alla  intera  retribuzione  al  posto  della   concessa
 integrazione salariale.
   2.2.  -  L'altra  eccezione  di inammissibilita' poggia sul preteso
 difetto di motivazione in punto di rilevanza per mancata verifica  da
 parte  del  giudice a quo della effettiva sussistenza dei presupposti
 di applicabilita' della disposizione impugnata.
    Anche questa eccezione e' infondata.
    Il Pretore remittente ha effettuato l'esame della rilevanza  della
 questione ed ha considerato che proprio la disposizione censurata, la
 quale  era  stata  posta a base dell'autorizzazione alla integrazione
 salariale,  cioe'  della  praticata  riduzione  della   retribuzione,
 impediva  l'accoglimento  della domanda di riconoscimento del diritto
 dei ricorrenti all'intera retribuzione.
    Sono, quindi, inconsistenti anche i dubbi  sulla  rilevanza  della
 questione  espressi  dall'Avvocatura  Generale dello Stato, in quanto
 solo  la  disposizione  che  ha  consentito   l'autorizzazione   alla
 integrazione  salariale,  la cui legittimita' costituzionale e' posta
 in  discussione,  impedisce  l'accoglimento  della  domanda  che  non
 richiede  affatto  l'esame  della  legittimita' o meno della suddetta
 autorizzazione.
    3. - La questione nel merito non e' fondata.
    L'art. 1 della legge 20 maggio 1975, n. 164, la  quale,  recependo
 l'accordo   interconfederale   del   21  gennaio  1975,  ha  disposto
 provvedimenti a tutela del salario dei  lavoratori,  a  favore  degli
 operai  dipendenti  da imprese industriali, sospesi dalla prestazione
 di  lavoro  o  ad  orario  ridotto,  fermi  restando  i   trattamenti
 previdenziali  e  assicurativi,  prevede  due  ipotesi d'integrazione
 salariale.   Una   ordinaria,   per   contrazione    o    sospensione
 dell'attivita'  produttiva:  a)  per  situazioni  aziendali dovute ad
 eventi transitori e non imputabili all'imprenditore o agli operai; b)
 ovvero determinate da  situazioni  temporanee  di  mercato.  L'altra,
 straordinaria:  a)  per  crisi economiche settoriali o locali; b) per
 ristrutturazioni, riorganizzazioni, o conversioni aziendali.
    E'  posta  in  discussione  la   disposizione   che   prevede   la
 integrazione  salariale  ordinaria nella ipotesi che la contrazione o
 la  sospensione  dell'attivita'   produttiva   sia   determinata   da
 situazioni di mercato.
    Si  deduce  che,  in  assenza  di  una causa di forza maggiore, si
 verificherebbe il trasferimento del  rischio  economico,  consistente
 nella  contrazione  degli  utili della impresa, dall'imprenditore sui
 lavoratori,  i  quali  sarebbero   privati   di   una   parte   della
 retribuzione,  e  sulle risorse della Cassa integrazione senza che vi
 siano i presupposti di utilita' o di fini sociali ex  art.  41  della
 Costituzione.
    Inoltre,  non  sarebbero  rispettate  le regole poste a tutela del
 mercato e della concorrenza dirette a proteggere  i  contraenti  piu'
 deboli,  tanto  piu' che non si esclude l'imputabilita', in astratto,
 all'imprenditore, dell'evento protetto. Non si sarebbero poste  delle
 regole  di  applicazione  uniforme  della  disposizione  suddetta; si
 sarebbe apprestato uno strumento  previdenziale  in  una  ipotesi  di
 sospensione  della prestazione lavorativa non involontaria, ma frutto
 di una scelta dell'imprenditore; non si eviterebbero  discriminazioni
 arbitrarie.
    3.1.  -  Siffatto assunto non puo' condividersi. Per disattenderlo
 occorre anzitutto considerare le finalita' dell'istituto.
    L'integrazione  salariale  e'  la  risultante  di  una  scelta  di
 politica socio-economica, finalizzata sia alla tutela dei lavoratori,
 contro il pericolo della perdita del posto  di  lavoro  e  contro  il
 rischio  della  disoccupazione;  sia  alla  tutela  non  del  singolo
 imprenditore ma dell'attivita' produttiva  dell'impresa,  considerata
 nel contesto dell'economia del paese.
    Le  cause  integrabili  sono  anche  esse frutto di una scelta del
 legislatore diretta al raggiungimento dei suddetti obiettivi.
    Si tratta di eventi che  non  si  verificano  per  volonta'  degli
 imprenditori  e  dei lavoratori e che, ancorche' temporanei, riducono
 la potenzialita' produttiva dell'impresa ed  il  loro  protrarsi  nel
 tempo puo' produrre la contrazione dei livelli occupazionali.
    Tra i suddetti eventi correttamente si annoverano le situazioni di
 mercato,  che  sostanzialmente  sono  situazioni  aziendali dovute ad
 eventi transitori non imputabili all'imprenditore o ai lavoratori.
    Si ricorda che la loro previsione come causa integrabile  non  era
 contenuta  specificamente  nella precedente legislazione, ma e' stata
 introdotta  dalla  prassi  amministrativa  e  dalla   giurisprudenza.
 Trattasi  di  una  mera difficultas, ma sempre di una fattispecie non
 rappresentativa di una causa di forza  maggiore  e  si  richiede  che
 l'imprenditore  abbia  osservato la normale diligenza (art. 1176 cod.
 civ.) ed i canoni della correttezza (art. 1175 cod. civ.), che la sua
 scelta  non  sia  arbitraria,  ne'  fittizia,   ne'   putativa,   ne'
 discriminatoria,  ma  oggettivamente  riscontrabile  e  verificata in
 concreto nella sua realta' ed effettivita' a  mezzo  di  un  apposito
 accertamento compiuto nella competente sede amministrativa.
    Posto che il legislatore, nella sua discrezionalita', per i fini e
 gli   obiettivi  che  si  e'  posto,  ha  qualificato  la  situazione
 temporanea  di  mercato  come  causa  integrabile,  non  rileva   che
 l'imprenditore  sia  stato sollevato dal rischio che normalmente cade
 su di lui.
    L'intervento statale rimane  sempre  determinato  dalle  finalita'
 socio-economiche  e, quindi, da un interesse pubblico, anche se si e'
 posto a carico dell'imprenditore un  contributo  addizionale  il  cui
 ammontare  varia  a seconda del numero dei dipendenti impiegati (art.
 12, n. 2, legge n. 164 del 1975).
    4. - Rileva, poi, l'interesse collettivo (intervento nelle  proce-
 dure  degli  organismi  sindacali). Comunque, l'interesse individuale
 dei lavoratori non rimane privo di tutela.
    Per l'attivazione degli interventi  della  Cassa  e'  prevista  la
 procedura di consultazione sindacale (art. 5, legge n. 164 del 1975).
    Il  datore di lavoro deve comunicare alle rappresentanze sindacali
 aziendali e, in mancanza di queste, alle organizzazioni sindacali  di
 categoria   dei   lavoratori  piu'  rappresentative,  operanti  nella
 provincia, le cause della sospensione o della  riduzione  dell'orario
 di  lavoro,  la  loro  durata  prevedibile,  il numero dei lavoratori
 interessati.
    A richiesta  delle  parti  e'  previsto  un  esame  congiunto  dei
 problemi relativi alla tutela degli interessi dei lavoratori.
    Segue  poi  la  domanda  dell'imprenditore  alla  sede provinciale
 dell'I.N.P.S.,  con  la  specificazione,  tra  l'altro,  della  causa
 dell'intervento  (art.  7, legge citata), e, quindi, la deliberazione
 da parte di una  apposita  commissione  provinciale  (art.  8,  legge
 citata)   della   quale   fanno  parte,  tra  gli  altri,  anche  tre
 rappresentanti  dei  lavoratori  in  posizione   paritetica   con   i
 rappresentanti degli imprenditori.
    Essa  esamina  la  fondatezza  della  domanda, accerta l'esistenza
 della  causa  addotta  e  l'entita'  della  sospensione  o  riduzione
 dell'orario di lavoro.
    Contro  il  provvedimento  della  Commissione  provinciale possono
 ricorrere (art. 9, legge citata) al Comitato speciale di cui all'art.
 7 del d.lgs.lgt. n. 788 del 1945 sia i lavoratori che  le  competenti
 organizzazioni sindacali di categoria.
    Inoltre,  i  provvedimenti  emessi sono impugnabili sia dinanzi al
 giudice del lavoro che dinanzi al giudice amministrativo  nei  limiti
 delle loro competenze.
    5.  -  In tale situazione, quindi, non risulta violato nessuno dei
 richiamati precetti costituzionali.  Ne'  l'art.  3,  secondo  comma,
 della  Costituzione, perche' la scelta operata dal legislatore non e'
 ne' arbitraria ne' irrazionale, ma  e'  chiaramente  ed  univocamente
 diretta    ad   impedire   l'estraneazione   del   lavoratore   dalla
 organizzazione  economica,  sociale  e  politica  del  paese,  ed   a
 salvaguardare  la  sua  dignita'  umana.  E'  chiaramente finalizzata
 all'impiego  di  risorse  per  realizzare   obiettivi   sociali,   in
 osservanza  di precetti costituzionali che riguardano una particolare
 categoria di  lavoratori,  senza  che  sia  messa  in  discussione  o
 comunque turbata l'uguaglianza degli altri lavoratori.
    5.1.  -  Non  sono  violati  ne' l'art. 36, ne' l'art. 38, secondo
 comma, della Costituzione.
    A parte la considerazione che l'integrazione salariale  prende  il
 posto  della  retribuzione  in  una  situazione  di  sospensione o di
 riduzione dell'orario di lavoro e di sospensione  del  pagamento  dei
 contributi che sarebbero stati a carico sia dell'imprenditore che dei
 lavoratori, si considera che la riduzione della retribuzione trova un
 equo  contemperamento  nella conservazione del posto di lavoro che il
 lavoratore realizza. La integrazione, quindi, viene  ad  avere  anche
 una  innegabile  finalita'  previdenziale,  poiche',  in  definitiva,
 concreta un mezzo di tutela del lavoratore contro  il  rischio  della
 disoccupazione involontaria.
    5.2.  -  Non e' violato l'art. 41, primo e secondo comma, anche in
 relazione all'art.  3  della  Costituzione,  perche'  l'accesso  alla
 integrazione salariale e' consentito a tutti gli imprenditori, sempre
 che  si verifichi una delle cause integrabili previste, in condizione
 di perfetta parita', nei settori in cui essi  operano,  senza  alcuna
 differenziazione.
    L'integrazione  mira  a  salvaguardare  le  condizioni  della loro
 efficienza, della loro potenzialita' e competitivita'; in  genere,  a
 garantire  i  valori  aziendali,  la  permanenza  delle imprese in un
 mercato libero, il mantenimento delle regole della libera concorrenza
 che in esso vigono, nonche' il sistema economico produttivo  vigente.
 E  siccome  le imprese, come detto innanzi, accedono ai provvedimenti
 di cui trattasi in condizione di assoluta parita' e  per  effetto  di
 provvedimenti  imparziali  ed  obiettivi, risulta rispettato anche il
 precetto di cui all'art. 97 della Costituzione.
    In definitiva, le misure e i trattamenti concessi sono  diretti  a
 realizzare proprio quei fini di utilita' sociale ai quali deve essere
 finalizzata l'attivita' imprenditoriale.
    5.4.  -  Non  possono  dirsi  violate nemmeno le norme comunitarie
 perche' le leggi  che  prevedono  le  suddette  misure  sono  emanate
 proprio  in  esecuzione  di direttive della Comunita' e sono comuni a
 tutti i paesi che ne fanno parte, allorquando in essi  si  verificano
 le stesse situazioni alle quali si intende porre rimedio.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 1, n. 1, lettera b), della legge 20  maggio  1975,  n.  164
 (Provvedimenti  per  la  garanzia  del  salario), in riferimento agli
 artt. 3, secondo comma, 36, primo comma, 38, secondo comma, 41, primo
 e secondo comma, 97, primo comma, della Costituzione,  sollevata  dal
 Pretore di Milano con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 2 dicembre 1991.
                       Il Presidente: CORASANITI
                          Il redattore: GRECO
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 9 dicembre 1991.
                       Il cancelliere: DI PAOLA
 91C1276