N. 502 SENTENZA 19 - 30 dicembre 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.  Processo
 penaale - Nuovo codice - Pretore - G.I.P.  -  Giudizio  abbreviato  -
 Giudizio      celebrato   da   chi   ha   ordinato   la  formulazione
 dell'imputazione  -  Richiamo  alla  giurisprudenza     della   Corte
 (sentenze  nn.  496/1990  e  401/1991) - G.I.P. presso il tribunale -
 Procedimento per  decreto - Previa conoscenza  degli atti preliminari
 -   Violazione   del   principio   di   terziarieta'  del  giudice  -
 Illegittimita' costituzionale.
 (C.P.P., art. 34, secondo comma).
 
 Processo penale - Nuovo codice - Tribunale - G.I.P. -  Partecipazione
 al  giudizio del giudice che ha proceduto al riesame di ordinanze che
 dispongano misure coercitive - Divieto -  Mancata  previsione  -  Non
 fondatezza.
 
 (C.P.P., art. 34, secondo comma).
 
 (Cost., artt. 76 e 25).
 
 Processo   penale   -   Nuovo   codice   -   Tribunale   -  G.I.P.  -
 Incompatibilita' a partecipare all'udienza  preliminare  del  giudice
 che  abbia emesso ordinanza ai sensi dell'art. 409, quinto comma, del
 c.p.p. - Mancata previsione - Manifesta infondatezza.
 
 (C.P.P., art. 34, secondo comma).
 
 (Cost., artt. 76 e 77).
(GU n.2 del 8-1-1992 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
    CASAVOLA,  prof.  Antonio  BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,
    avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 34 del codice di
 procedura penale, promossi con le seguenti ordinanze:
      1)  n.  3  ordinanze  emesse  il 14 novembre 1990 dal Pretore di
 Livorno  nei  procedimenti  penali  a  carico  di  Menelecco  Felice,
 Biagetti  Giorgio e Arca Agostino, iscritte ai nn. 390, 391 e 392 del
 registro ordinanze 1991 e pubblicate nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 1991;
     2)  ordinanza emessa il 3 maggio 1991 dal Tribunale di Chieti nel
 procedimento penale a carico di Di Marco Antonio, iscritta al n.  437
 del  registro  ordinanze  1991  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1991;
      3) ordinanza emessa  il  16  aprile  1991  dal  Giudice  per  le
 indagini  preliminari presso il Tribunale di Messina nel procedimento
 penale a carico di Aliberti Rosario, iscritta al n. 446 del  registro
 ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
 Ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 20 novembre  1991  il  Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  due  ordinanze  di  identico tenore emesse all'udienza
 dibattimentale del 14 novembre 1990 (r.o. nn. 390 e 391 del 1991), il
 Pretore di Livorno - rilevando di aver dato  impulso,  quale  giudice
 per  le  indagini  preliminari,  alla  formulazione delle imputazioni
 sulle quali era chiamato a giudicare,  in  quanto  aveva,  per  esse,
 respinto  la  richiesta  di  archiviazione ed emesso il provvedimento
 previsto dall'art. 554, secondo comma, del codice di procedura penale
 - ha sollevato una questione di legittimita' costituzionale dell'art.
 34, secondo comma, dello stesso codice, assumendone il contrasto  con
 gli artt. 76 e 77 della Costituzione in riferimento alla direttiva n.
 103 dell'art. 2 della legge delega n. 81 del 1987.
    Ad  avviso  del giudice rimettente, nel caso di giudizio celebrato
 da chi nella fase precedente ha ordinato di  formulare  l'imputazione
 ricorrono   le   stesse   ragioni  ispiratrici  delle  previsioni  di
 incompatibilita' contenute nella disposizione impugnata: sia  perche'
 il   predetto  ordine  comporta  che  sia  stata  gia'  compiuta  una
 valutazione sostanziale dei fatti;  sia  perche'  sarebbe  altrimenti
 vanificata  la  regola,  propria  del  nuovo  codice,  che  impone, a
 garanzia del principio di terzieta' del giudice, che questi non possa
 conoscere nella fase dibattimentale  gli  atti  compiuti  durante  le
 indagini  preliminari.  Del  resto  -  osserva il rimettente - queste
 stesse ragioni stanno alla base dell'incostituzionalita' della stessa
 norma dichiarata con la sentenza n. 496  del  1990  per  il  caso  di
 giudizio  abbreviato celebrato da chi ha emesso l'ordine di formulare
 l'imputazione.
    2. - Con altra  ordinanza  emessa  nella  stessa  udienza  del  14
 novembre  1990  (r.o.  n.  392  del  1991),  il Pretore di Livorno ha
 sollevato una questione di legittimita' costituzionale  del  medesimo
 art.  34,  secondo comma, c.p.p., per contrasto con gli artt. 76 e 77
 della Costituzione, nella parte in cui  non  prevede  che  non  possa
 partecipare   al   giudizio   dibattimentale  il  magistrato  che  in
 precedenza, quale giudice per le indagini preliminari, abbia  per  lo
 stesso fatto rigettato la richiesta di emissione di decreto penale di
 condanna ai sensi degli artt. 549 e 459, terzo comma, c.p.p.: e cio',
 in  riferimento  ad un caso in cui il decreto penale richiesto per il
 reato di emissione di assegni a vuoto  (art.  116  regio  decreto  21
 dicembre  1933,  n.  1736)  non era stato emesso per essersi ritenuta
 inadeguata la pena richiesta e ricorrente  l'ipotesi  grave  prevista
 dalla predetta norma incriminatrice.
    L'omessa   previsione   dell'incompatibilita',  in  tale  ipotesi,
 confligge, secondo il Pretore rimettente, con le direttive di cui  ai
 nn.  67  e  103  dell'art.  2  della legge delega. Si tratterebbe, in
 particolare, di una fattispecie sostanzialmente non diversa da quelle
 dell'incompatibilita'   all'esercizio    di    funzioni    giudicanti
 espressamente  prevista  dallo  stesso art. 34, secondo comma, per il
 giudice che ha emesso il decreto penale di condanna: dato  che  anche
 nel  caso  in  esame  il  giudice ha gia' espresso una valutazione di
 merito sull'imputazione formulata  dal  pubblico  ministero  ai  fini
 dell'emissione  del  decreto  penale  di  condanna, ed ha avuto piena
 conoscenza degli atti delle indagini preliminari, che non  concorrono
 invece,  se  non  in  parte,  alla  formazione  del  fascicolo per il
 dibattimento. Ricorrerebbero quindi,  almeno  in  parte,  le  ragioni
 poste a base della citata sentenza n. 496 del 1990.
    3. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto nei tre
 predetti  giudizi,  tramite  l'Avvocatura  Generale  dello Stato, con
 memorie di identico tenore,  pur  ammettendo  la  sussistenza,  nelle
 fattispecie  in  esame, delle ragioni di incompatibilita' evidenziate
 nella predetta sentenza n. 496 del 1990, sostiene  che  esse,  a  ben
 vedere,  sono perfettamente equiparabili a quella del "giudice che ..
 ha emesso il decreto penale di condanna",  per  la  quale  l'art.  34
 c.p.p.   gia'   prevede   la  sussistenza  dell'incompatibilita'.  La
 lamentata incompatibilita' dovrebbe percio' ritenersi gia' ricompresa
 nella  previsione  legislativa  ed  in  questo  senso  le   questioni
 dovrebbero essere dichiarate infondate.
    4.  - Con ordinanza emessa all'udienza dibattimentale del 3 maggio
 1991 (r.o. n. 437/1991), il Tribunale  di  Chieti  ha  sollevato,  in
 riferimento  agli  artt. 76 e 25 della Costituzione, una questione di
 legittimita' costituzionale  dell'art.  34,  secondo  comma,  c.p.p.,
 "nella  parte  in cui non prevede che il giudice che abbia conosciuto
 delle  indagini  preliminari  nell'esercizio   delle   sue   funzioni
 giurisdizionali, non possa prendere parte al dibattimento".
    Rilevato di aver gia', nella medesima composizione, conosciuto gli
 atti  contenuti  nel  fascicolo  del  pubblico ministero in occasione
 dell'esame di un'istanza di rimessione in  liberta'  (conclusosi  col
 tramutamento  della  custodia  in carcere in arresti domiciliari), il
 Tribunale richiama la sentenza di questa Corte n. 496 del 1990, nella
 parte in  cui  si  sottolinea  che  "nel  nuovo  sistema  il  rilievo
 assegnato  alla  terzieta'  del  giudice  e' stato significativamente
 accentuato con la previsione che il giudice della fase  del  giudizio
 non   debba   conoscere   gli   atti  compiuti  durante  le  indagini
 preliminari".
    A questa stregua, pur tenendo conto che la decisione  presa  quale
 Tribunale  del  riesame non e' conclusiva di una fase procedimentale,
 ma solo incidentale, e che la cognizione  avviene  allo  stato  degli
 atti,  potendosi  ben  ampliare  nel dibattimento, l'incompatibilita'
 dovrebbe essere riconosciuta anche  in  ragione  del  condizionamento
 derivante  al  giudice  del dibattimento dalla piena conoscenza delle
 risultanze delle indagini preliminari e dal  gia'  espresso  giudizio
 prognostico     sulla    personalita'    dell'imputato:    e    cio',
 indipendentemente da ogni questione di utilizzazione nel dibattimento
 delle  predette  risultanze,  gia'  utilizzate  nella   qualita'   di
 Tribunale del riesame.
    5. - Sul rilievo che nel medesimo procedimento aveva in precedenza
 respinto  la  richiesta  di  archiviazione  del pubblico ministero ed
 ordinato la formulazione dell'imputazione  ai  sensi  dell'art.  409,
 quinto  comma,  c.p.p., il Giudice per le indagini preliminari presso
 il Tribunale di Messina ha sollevato, con  ordinanza  del  16  aprile
 1991,  una questione di legittimita' costituzionale del medesimo art.
 34, secondo comma, dello stesso  codice,  ravvisando  una  violazione
 della  legge  di  delega,  e  percio'  degli  artt.  76  e  77  della
 Costituzione,   nella    mancata    previsione,    in    tal    caso,
 dell'incompatibilita'   del   giudice   a   partecipare   all'udienza
 preliminare.
    Anche qui, il giudice rimettente trae argomento dalla sentenza  di
 questa  Corte n. 496 del 1990, dichiarativa dell'incompatibilita' del
 giudice che ha ordinato di formulare l'imputazione a  partecipare  al
 giudizio  abbreviato.  A  suo  avviso, essa dovrebbe sussistere anche
 rispetto  alla  partecipazione  all'udienza   preliminare,   "potendo
 ritenersi  -  anche  se  in realta' non lo sia - che il giudice abbia
 gia' scelto, una volta richiesta la formulazione  della  imputazione,
 se disporre il rinvio a giudizio o meno".
    6. - Intervenendo nei giudizi di cui ai precedenti punti 4 e 5, il
 Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
 dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,   si   e'   riportato   alle
 conclusioni rassegnate nel giudizio instaurato con l'ordinanza n. 184
 reg. ord. 1991.
    In   esse,   l'Avvocatura  rileva  che,  nella  direttiva  n.  67,
 l'incompatibilita'e' riferita solo  al  giudice  del  dibattimento  e
 sussiste  solo  per  il  compimento  di taluni atti tipici costituiti
 dalle  decisioni  "conclusive"  che  il  giudice  per   le   indagini
 preliminari  assume  dopo  l'esercizio dell'azione penale. L'art. 34,
 secondo comma, ha ampliato l'ambito dell'incompatibilita' considerato
 nella  delega,  riferendola a qualsiasi "giudizio"; e la Corte, nella
 citata sentenza, si e' mantenuta in  questo  solco,  estendendola  al
 giudizio  abbreviato  ma  tenendo  fermo  che  essa  puo'  venire  in
 considerazione solo rispetto alla funzione di "giudizio".
    Il giudice remittente muove, percio', secondo l'Avvocatura, da una
 premessa errata, in quanto non considera che l'udienza preliminare ha
 una funzione squisitamente processuale e non puo'  essere  assimilata
 ad  una  fase  qualificabile  come  "giudizio",  dato  che in essa il
 giudice non e' chiamato a  pronunciarsi  sulla  colpevolezza  o  meno
 dell'imputato,  ma  solo a delibare la fondatezza dell'accusa secondo
 un  parametro   rigorosamente   circoscritto   alla   non   manifesta
 superfluita' del dibattimento.
    Percio',  l'ordine  di  formulare  l'imputazione,  se  puo' essere
 assimilato - come ha fatto la Corte  -  al  provvedimento  conclusivo
 dell'udienza  preliminare  ai  fini dell'incompatibilita' riferita al
 successivo giudizio,  non  puo'  valere  -  invertendo  l'ordine  del
 ragionamento  -  come atto idoneo a precludere al medesimo giudice la
 celebrazione di  una  udienza  destinata  unicamente  a  vagliare  la
 necessita'  del  giudizio.  Non conta, ad avviso dell'Avvocatura, che
 dopo l'imputazione  "coatta"  l'esito  dell'udienza  possa  ritenersi
 prevedibile;  conta,  invece,  che  rispetto  al sistema della delega
 sarebbe antinomica un'incompatibilita' interna alla fase, per di piu'
 fondata su un malinteso appello alla "terzieta'" del giudice.
                        Considerato in diritto
    1. - I cinque giudizi investono, pur se sotto profili diversi,  la
 medesima  disposizione di legge. Essi vanno pertanto riuniti e decisi
 con un'unica sentenza.
    2. - Il Pretore di Livorno dubita, con due ordinanze  di  identico
 tenore  (r.o.  nn. 390 e 391 del 1991), che l'art. 34, secondo comma,
 del codice di procedura penale contrasti con la direttiva di  cui  al
 n.  103  dell'art.  2 della legge delega 16 febbraio 1987, n. 81 - e,
 percio', con gli artt. 76 e 77 della Costituzione -  nella  parte  in
 cui  non prevede che non possa partecipare all'udienza dibattimentale
 il giudice per le indagini preliminari presso la  Pretura  che  abbia
 ordinato  di  formulare l'imputazione ai sensi dell'art. 554, secondo
 comma, dello stesso codice. Secondo il giudice rimettente,  ricorrono
 infatti,  in  tal  caso,  le stesse ragioni di incostituzionalita' di
 detta disposizione poste a fondamento della sentenza n. 496 del 1990.
    2.1. - La questione e' fondata.
    Con le sentenze nn. 496 del 1990 e 401 del 1991, questa  Corte  ha
 dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  dell'impugnato art. 34,
 secondo  comma,  nelle  parti  in  cui  non  prevede  che  non  possa
 partecipare  al  giudizio  abbreviato  il  giudice  per  le  indagini
 preliminari presso il tribunale o presso la pretura che -  ai  sensi,
 rispettivamente,  degli artt. 409, quinto comma, e 554, secondo comma
 - abbia ordinato di formulare l'imputazione.
   Rispetto  al  giudizio  dibattimentale  ricorrono  le  ragioni   di
 incompatibilita'  gia' evidenziate nelle predette pronunzie, dato che
 con l'ordine di formulare l'imputazione il giudice  per  le  indagini
 preliminari  compie  una  valutazione contenutistica dei risultati di
 queste e da' anzi ex officio l'impulso  determinante  alla  procedura
 che  condurra'  all'emanazione di una sentenza. Di conseguenza - data
 l'omologia, sotto il profilo in esame, tra il giudizio  abbreviato  e
 l'ordinario  giudizio  dibattimentale (cfr. sentenza n. 401 del 1991,
 cit.) - non puo' essere lo stesso giudice che ha  gia'  compiuto  una
 cosi'  incisiva  valutazione  di  merito  ad  adottare  la  decisione
 conclusiva in ordine alla responsabilita' dell'imputato.
    Va percio' dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.
 34,  secondo  comma,  c.p.p.,  nella parte in cui non prevede che non
 possa partecipare  al  giudizio  dibattimentale  il  giudice  per  le
 indagini  preliminari  presso la pretura che abbia emesso l'ordine di
 cui all'art. 554, secondo comma, dello stesso codice.
    Va inoltre dichiarata, in via conseguenziale, ai  sensi  dell'art.
 27  della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimita' costituzionale
 del medesimo art. 34, secondo comma, nella parte in cui  non  prevede
 che  non  possa partecipare al giudizio dibattimentale il giudice per
 le indagini preliminari presso il tribunale che abbia emesso l'ordine
 di cui all'art. 409, quinto comma, c.p.p.
    3. - Lo stesso Pretore di  Livorno  dubita,  con  altra  ordinanza
 (r.o.  n.  392  del  1991),  che  il  citato  art. 34, secondo comma,
 contrasti con le direttive di cui ai nn. 67 e 103 dell'art.  2  della
 legge delega 16 febbraio 1987, n. 81 - e, percio', con gli artt. 76 e
 77   della   Costituzione   -   nella   parte   in  cui  non  prevede
 l'incompatibilita'  a  partecipare  al  giudizio  dibattimentale  del
 giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  la pretura che abbia
 respinto l'istanza di emissione del decreto penale di condanna (artt.
 549 e 459, terzo comma, c.p.p.) per la ritenuta  inadeguatezza  della
 pena  richiesta  dal pubblico ministero (in particolare, considerando
 ricorrente l'ipotesi della "maggiore gravita'" del reato di emissione
 di assegni a vuoto  prevista  dall'art.  116  del  regio  decreto  21
 dicembre 1933, n. 1736).
    Anche  in questo caso, il giudice a quo sostiene che sussistono le
 ragioni di incompatibilita' poste a fondamento della sentenza n.  496
 del  1990,  dato  che  il  magistrato  chiamato  a  giudicare ha gia'
 compiuto, sulla base  della  piena  conoscenza  dei  risultati  delle
 indagini  preliminari,  una  valutazione  sul merito dell'imputazione
 formulata dal pubblico ministero.
    L'Avvocatura dello Stato, dal canto suo, concorda sulla ricorrenza
 delle predette  ragioni,  ma  sostiene  che  l'ipotesi  in  questione
 dovrebbe  ritenersi  gia'  ricompresa  -  perche'  ad essa pienamente
 equiparabile - nella previsione dell'incompatibilita'  a  partecipare
 al  giudizio  del  "giudice  che  ..  ha  emesso il decreto penale di
 condanna", gia' contenuta nell'impugnato art. 34, secondo comma.
    3.1. - La prospettiva ora indicata dall'Avvocatura non puo' essere
 seguita, dato che - come comunemente ritenuto, anche nel  vigore  del
 codice  di  rito  previgente - le cause di incompatibilita' sono solo
 quelle tassativamente indicate dalla legge, sicche' le norme  che  le
 prevedono  non  sono  suscettibili  di interpretazione estensiva ne',
 tantomeno, analogica.
    Cio' premesso, la questione deve ritenersi fondata.
    Nella configurazione del nuovo codice, il procedimento per decreto
 viene instaurato sulla base di una motivata  richiesta  del  pubblico
 ministero,  il  quale  ritenga che debba applicarsi soltanto una pena
 pecuniaria, anche se inflitta in sostituzione di una pena  detentiva;
 e  nella  richiesta puo' essere indicata una pena diminuita sino alla
 meta' rispetto al minimo edittale (art. 459).
    Al  giudice  per le indagini preliminari spetta, in base all'esame
 delle  relative  risultanze,  di  accogliere  ovvero  rigettare  tale
 richiesta,   senza   possibilita'  di  apportarvi  modifiche;  ed  il
 controllo che gli e' demandato attiene non solo  ai  presupposti  del
 rito,  ma  anche al merito della richiesta, tant'e' che puo' sfociare
 nell'emissione di una sentenza di proscioglimento ai sensi  dell'art.
 129  (art.  459,  terzo  comma)  e  che,  in caso di accoglimento, il
 decreto di condanna deve contenere "la concisa esposizione dei motivi
 di fatto e di diritto su cui la decisione  e'  fondata,  comprese  le
 ragioni  dell'eventuale  diminuzione  di  pena al di sotto del minimo
 edittale" (art. 460, primo comma, lettera c)).
    Tale valutazione di merito e' estesa anche alla  congruita'  della
 pena  al  fatto  contestato;  ma  poiche'  il giudice, nel decreto di
 condanna, e' tenuto ad applicare la pena "nella misura richiesta  dal
 pubblico  ministero"  (art. 460, secondo comma), ove egli ritenga che
 sia da irrogare una pena superiore (ovvero inferiore)  non  puo'  che
 rigettare  la  richiesta  e  restituire gli atti allo stesso pubblico
 ministero (art. 459, terzo comma).
    In tali casi, la pronuncia di rigetto  presuppone,  evidentemente,
 che  il  giudice  abbia  gia'  risolto in senso positivo le questioni
 logicamente precedenti a quella relativa alla misura della pena:  che
 abbia  cioe'  ritenuto insussistenti le condizioni per l'emissione di
 una sentenza di  proscioglimento  e,  per  converso,  che  sussistano
 quelle  di  ammissibilita'  del  rito speciale e, soprattutto, che le
 risultanze delle indagini preliminari fossero  tali  da  legittimare,
 rispetto  al reato ipotizzato dal pubblico ministero, la condanna per
 decreto.
    Poiche' questa valutazione  di  merito  e'  gia'  stata  compiuta,
 l'incompatibilita'  va nel caso in esame riconosciuta per le medesime
 ragioni che hanno indotto il legislatore a prevederla  nei  confronti
 del  giudice  per le indagini preliminari che abbia emesso il decreto
 penale di condanna. Nell'ipotesi considerata nel giudizio principale,
 anzi,  tali  ragioni  risultano  rafforzate,  perche'  alla  suddetta
 valutazione  di  merito si aggiunge quella sull'applicabilita' di una
 pena superiore a quella richiesta dal pubblico ministero.
    L'art.  34,  secondo  comma,  c.p.p.   va,   percio',   dichiarato
 costituzionalmenteillegittimo   nella   parte   in  cui  non  prevede
 l'incompatibilita' a partecipare  al  giudizio  del  giudice  per  le
 indagini  preliminari  che  ha  rigettato  la richiesta di decreto di
 condanna  ritenendo  inadeguata  la  pena  richiesta   dal   pubblico
 ministero.
    4.  -  Sul  presupposto  di  aver  gia' conosciuto, nella medesima
 composizione, gli atti delle indagini preliminari  in  occasione  del
 riesame,  ex  art.  309 c.p.p., di un provvedimento restrittivo della
 liberta' personale dell'imputato, il Tribunale di Chieti (r.o. n. 437
 del 1991) ha sollevato, in riferimento  agli  artt.  76  e  25  della
 Costituzione, una questione di legittimita' costituzionale del citato
 art.  34,  secondo  comma, c.p.p., nella parte in cui non prevede che
 tale previa conoscenza comporti l'incompatibilita' a  partecipare  al
 dibattimento.
    Ad  avviso  del  Tribunale rimettente, l'incompatibilita' dovrebbe
 sussistere sia per il rilievo assegnato nel nuovo sistema processuale
 alla non conoscenza, nella fase del  giudizio,  degli  atti  compiuti
 durante  le indagini preliminari (cfr. sentenza n. 496 del 1990), sia
 per il condizionamento che dalla conoscenza di questi  puo'  derivare
 al   giudice  del  dibattimento  e  per  il  gia'  espresso  giudizio
 prognostico sulla personalita' dell'imputato.
    4.1. - La questione non e' fondata.
    Quanto alla pretesa difformita' dai principi della  legge  delega,
 questa  Corte  ha  gia'  rilevato, nella sentenza n. 496 del 1990, la
 puntuale corrispondenza tra  i  casi  di  incompatibilita'  enunciati
 nell'art.  34,  secondo  comma,  del  codice  e  quelli espressamente
 previsti nell'apposita direttiva (n. 67) di detta legge: con la  sola
 aggiunta,   per   identita'   di  ratio,  dell'ipotesi  di  decisione
 sull'impugnazione avverso la sentenza di non luogo a procedere.
    Ne' puo' trarsi argomento dalla predetta  sentenza  per  assumere,
 sul  piano  sistematico,  che  la  previa conoscenza degli atti delle
 indagini    preliminari    abbia    autonomo    rilievo    ai    fini
 dell'incompatibilita'.  Nella  citata  sentenza,  infatti,  e'  stata
 considerata  come   ragione   concorrente   dell'incompatibilita'   a
 celebrare  il  giudizio  abbreviato  da  parte  del giudice che abbia
 ordinato di formulare l'imputazione, non la mera conoscenza  di  tali
 atti,  ma la circostanza che di essi sia stata fatta una "valutazione
 non formale, ma di contenuto" ed essi siano stati  percio'  "ritenuti
 tali  da  rendere necessario .. il passaggio alla fase del giudizio".
 Ne', d'altra parte, la garanzia costituzionale di  imparzialita'  del
 giudice  (art.  25  della  Costituzione) impone che sia assicurata la
 diversita' soggettiva tra il giudice del "giudizio" e quello chiamato
 a  provvedere  in  tema  di  liberta'  personale   dell'imputato.   A
 prescindere  dalla  coincidenza o meno dei dati considerati nelle due
 sedi, e' decisivo il  rilievo  che  i  provvedimenti  sulla  liberta'
 personale  (e,  tra  di  essi,  il  riesame  di  misure cautelari qui
 specificamente considerato) non comportano  una  valutazione  che  si
 traduca   -   pur  nei  limiti  della  funzione  propria  della  fase
 processuale di volta in volta considerata - in un giudizio sul merito
 della res  judicanda,  idoneo  a  determinare  (o  far  apparire)  un
 "pregiudizio"  che  mini  l'imparzialita'  della decisione conclusiva
 sulla responsabilita' dell'imputato. Rispetto a  questa,  infatti,  i
 provvedimenti in tema di liberta' si caratterizzano per diversita' di
 oggetto  e  di  funzione, dato che la relativa valutazione, puramente
 indiziaria,  mira  alla  (e  si  esaurisce  nella)   verifica   delle
 condizioni  che  ne  legittimano  la  provvisoria restrizione; e cio'
 tanto piu' in un sistema, come quello  vigente,  che  subordina  tale
 restrizione  a precisi e ben determinati presupposti e finalita', che
 ne circoscrivono al massimo l'ambito applicativo (cfr. artt. 273, 274
 c.p.p.).
    5. - Sul rilievo che nel medesimo procedimento aveva in precedenza
 respinto la richiesta di  archiviazione  del  pubblico  ministero  ed
 ordinato  la  formulazione  dell'imputazione  ai sensi dell'art. 409,
 quinto comma, c.p.p., il Giudice per le indagini  preliminari  presso
 il  Tribunale  di  Messina  dubita, in riferimento agli artt. 76 e 77
 della Costituzione, della legittimita' costituzionale  dell'art.  34,
 secondo  comma,  c.p.p.  nella parte in cui non prevede, in tal caso,
 l'incompatibilita' del giudice a partecipare all'udienza preliminare.
    Tale questione  e'  gia'  stata  dichiarata  non  fondata  con  la
 sentenza  n.  401  del  1991;  e  dato  che il giudice rimettente non
 prospetta   argomenti   o   profili   nuovi,   essa   va   dichiarata
 manifestamente infondata.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi:
      1)   dichiara   l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  34,
 secondo comma, del c.p.p., nella parte in cui  non  prevede  che  non
 possa  partecipare  al  giudizio  dibattimentale  il  giudice  per le
 indagini preliminari presso la pretura che abbia  emesso  l'ordinanza
 di cui all'art. 554, secondo comma, dello stesso codice;
      2)  dichiara  in via conseguenziale, ai sensi dell'art. 27 della
 legge 11 marzo  1953,  n.  87,  l'illegittimita'  costituzionale  del
 medesimo  art.  34,  secondo  comma,  del codice di procedura penale,
 nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al  giudizio
 dibattimentale  il  giudice  per  le  indagini  preliminari presso il
 tribunale che abbia emesso l'ordinanza di cui  all'art.  409,  quinto
 comma, dello stesso codice;
      3)  dichiara  l'illegittimita'  costituzionale dello stesso art.
 34, secondo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui
 non prevede l'incompatibilita' a partecipare al giudizio del  giudice
 per  le indagini preliminari che ha rigettato la richiesta di decreto
 di condanna;
      4)  dichiara  non   fondata   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  34, secondo comma, del codice di procedura
 penale, nella parte in cui non prevede che non possa  partecipare  al
 giudizio  il  giudice  che abbia proceduto al riesame delle ordinanze
 che dispongono una misura coercitiva ai  sensi  dell'art.  309  dello
 stesso  codice, in riferimento agli artt. 76 e 25 della Costituzione,
 sollevata dal Tribunale di Chieti con ordinanza del 3 maggio 1991;
      5)  dichiara  la  manifesta  infondatezza  della  questione   di
 legittimita'  costituzionale  del  medesimo  art.  34, secondo comma,
 nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' del giudice per  le
 indagini preliminari presso il tribunale che ha emesso l'ordinanza di
 cui  al  predetto  art.  409, quinto comma, a partecipare all'udienza
 preliminare, sollevata, in riferimento  agli  artt.  76  e  77  della
 Costituzione,  dal  Giudice  per  le  indagini  preliminari presso il
 Tribunale di Messina con ordinanza del 16 aprile 1991.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 19 dicembre 1991.
                       Il Presidente: CORASANITI
                        Il redattore: SPAGNOLI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 91C1348