N. 518 SENTENZA 19 - 30 dicembre 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Sanita' pubblica - Regione Lazio - Istituti privati di attivita'
 psichiatrica  -  Stipula  di  convenzioni  oltre  il  termine del 31
 dicembre 1981 - Irrilevanza della questione - Inammissibilita'.
 
 (Legge regione Lazio 3 febbraio 1982, n. 7, art. 1)
 
 (Cost., art. 117, come attuato dall'art.  64,  secondo  comma,  della
 legge  23  dicembre  1978,  n. 833, e dall'art. 3 del d.-l. 30 aprile
 1981, n. 168, convertito in legge 27 giugno 1981, n. 331).
(GU n.2 del 8-1-1992 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele  PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco Paolo
    CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,
    avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1  della  legge
 della  Regione Lazio 3 febbraio 1982, n. 7 (Assistenza negli istituti
 psichiatrici privati) e degli artt. 5, secondo comma, lettera a), 11,
 secondo comma, 12, e 14, penultimo comma, della legge  della  Regione
 Lazio   14   luglio   1983,   n.   49  (Organizzazione  del  servizio
 dipartimentale di salute mentale), promosso con ordinanza  emessa  il
 22  gennaio  1991  dal  Tribunale  di  Roma nel procedimento penale a
 carico di Panizzi Gabriele ed altri iscritta al n. 341  del  registro
 ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visto l'atto di costituzione di Panizzi Gabriele ed altri, nonche'
 l'atto di intervento della Regione Lazio;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  19  novembre  1991  il Giudice
 relatore Antonio Baldassarre;
    Uditi gli Avvocati Giuseppe Gianzi per Panizzi Gabriele ed altri e
 Giorgio Recchia per la Regione Lazio;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di un processo penale a  carico  di  taluni  membri
 della  Giunta regionale del Lazio, chiamati a rispondere del reato di
 peculato per distrazione ai sensi del previgente art.  314  c.p.  (la
 cui  fattispecie  e'  confluita  nel  vigente art. 323 c.p., relativa
 all'abuso di ufficio  in  casi  non  preveduti  specificamente  dalla
 legge),  il  Tribunale di Roma, con l'ordinanza indicata in epigrafe,
 ha sollevato questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1
 della  legge  della  Regione  Lazio 3 febbraio 1982, n. 7 (Assistenza
 negli istituti psichiatrici privati), e degli artt. 5, secondo comma,
 lettera a), 11, secondo comma, 12, e 14, penultimo comma, della legge
 della Regione  Lazio  14  luglio  1983,  n.  49  (Organizzazione  del
 servizio  dipartimentale  di  salute  mentale),  nella  parte  in cui
 consentono   convenzioni   con   istituti   privati,   che   svolgano
 esclusivamente  attivita'  psichiatrica,  oltre  il  termine  del  31
 dicembre 1981, fissato dagli artt. 64, secondo comma, della legge  23
 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale),
 e  3  del  decreto-legge  30  aprile  1981, n. 168 (Misure urgenti in
 materia di assistenza sanitaria), convertito nella  legge  27  giugno
 1981, n. 331.
    Premesso  che  la  condotta degli imputati dovrebbe esser ritenuta
 delittuosa perche' in contrasto con il disposto delle  leggi  statali
 da ultimo citate, in forza del quale le convenzioni tra enti pubblici
 e   istituti  di  cura  privati  svolgenti  esclusivamente  attivita'
 psichiatrica  dovevano  improrogabilmente  risolversi  entro  il   31
 dicembre  1981,  il  giudice  a quo osserva che il contrasto con tali
 norme,  piu'  volte  qualificate  da  questa  Corte   come   principi
 fondamentali, da parte delle leggi regionali prima indicate, le quali
 protraggono  le predette convenzioni oltre il termine del 31 dicembre
 1981, impone che si  sollevi  questione  di  costituzionalita'  delle
 menzionate  leggi  regionali.  Tale  questione, infatti, non potrebbe
 esser considerata priva di rilevanza,  continua  il  giudice  a  quo,
 poiche',  in  base  alla sentenza n. 148 del 1983 di questa Corte sul
 controllo di costituzionalita'  delle  norme  penali  di  favore,  la
 risoluzione  della sollevata questione, pur se unitamente a tutti gli
 elementi oggettivi e soggettivi dei reati in esame, non potrebbe  non
 influire sulla decisione del processo a quo, considerato che le leggi
 regionali  in  esame  potrebbero  essere  ritenute  derogative  della
 disciplina  statale,  cosi'  da  ampliare  la   sfera   di   liceita'
 nell'attivita'  dei  pubblici  ufficiali  e  da incidere, quindi, sul
 dispositivo della sentenza penale o,  quantomeno,  sulla  formula  di
 proscioglimento.
    2.  - Si sono costituite in giudizio le parti private per chiedere
 che la questione di costituzionalita' sia dichiarata  irrilevante  o,
 comunque, infondata.
    La difesa delle parti private osserva, in punto di rilevanza, che,
 qualunque  possa  essere  l'esito  del giudizio di costituzionalita',
 nessun abuso di ufficio  potrebbe  essere  ritenuto  a  carico  degli
 imputati, considerato che costoro hanno esercitato funzioni di membri
 della Giunta regionale del Lazio in adempimento e in esecuzione delle
 leggi regionali sospettate di incostituzionalita', dando, oltretutto,
 a  queste  ultime  l'interpretazione  che  lo  stesso  giudice  a quo
 riconosce come esatta e  pertinente.  Nessun  valore  di  precedente,
 pertanto,  potrebbe riconoscersi, sotto questo aspetto, alla sentenza
 n. 148 del 1983 di questa Corte.
    In ogni caso, continua la predetta difesa, la questione  sollevata
 e'   infondata,  poiche'  le  leggi  regionali,  tenuto  conto  della
 particolare realta'  del  Lazio,  caratterizzata  dalla  presenza  di
 numerosi  ostacoli pratici all'attuazione della riforma delle case di
 cura psichiatriche, contengono una  disciplina  transitoria,  dettata
 dall'insufficienza  delle  strutture pubbliche esistenti e diretta al
 necessario adeguamento delle  finalita'  di  assistenza  psichiatrica
 presenti  nella  legge di riforma sanitaria alla reale situazione lo-
 cale.
    3.  -  La  Regione  Lazio  si  e'  costituita  in  giudizio   solo
 formalmente,  riservandosi  ogni  controdeduzione nei successivi atti
 difensivi.
    In prossimita' dell'udienza la Regione  ha  presentato  una  ampia
 memoria  difensiva  per  chiedere che la questione sia dichiarata non
 fondata, sul presupposto che il valore costituzionale dell'assistenza
 ai malati, garantito dagli  artt.  2,  3  e  32  della  Costituzione,
 verrebbe  vulnerato  ove  i  degenti  delle  case  di cura private ne
 fossero espulsi  senza  un  sicuro  ricovero  presso  le  istituzioni
 pubbliche. Cio' dovrebbe indurre a considerare ordinatorio il termine
 previsto  nell'art.  64,  come  mostrerebbe  anche la prassi di altre
 regioni e la stessa legislazione statale.
                        Considerato in diritto
    1. - Durante un processo penale a carico di  taluni  membri  della
 Giunta  regionale  del Lazio, imputati di abuso innominato di ufficio
 (art. 323 c.p.), il Tribunale di Roma ha sollevato,  con  l'ordinanza
 indicata   in  epigrafe,  questione  di  legittimita'  costituzionale
 avverso l'art. 1 della legge della Regione Lazio 3 febbraio 1982,  n.
 7  (Assistenza  negli  istituti psichiatrici privati), e gli artt. 5,
 secondo comma, lettera a), 11, secondo comma,  12,  e  14,  penultimo
 comma,  della  legge  della  Regione  Lazio  14  luglio  1983,  n. 49
 (Organizzazione del servizio dipartimentale di salute mentale), nella
 parte in cui consentono convenzioni con  istituti  privati,  i  quali
 svolgono  esclusivamente attivita' psichiatrica, oltre il termine del
 31 dicembre 1981, contenuto nell'art. 64, secondo comma, della  legge
 23   dicembre  1978,  n.  833  (Istituzione  del  servizio  sanitario
 nazionale), come modificato dall'art. 3 del decreto-legge  30  aprile
 1981,  n.  168  (Misure  urgenti in materia di assistenza sanitaria),
 convertito dalla legge  27  giugno  1981,  n.  331.  Le  disposizioni
 impugnate,  secondo  il  giudice a quo, nel porsi in contrasto con il
 predetto  art.  64,  violerebbero  un  principio  fondamentale  della
 materia  sanitaria,  che,  ai sensi dell'art. 117 della Costituzione,
 costituisce un limite alla  potesta'  legislativa  concorrente  delle
 regioni.
    2. - La questione e' inammissibile perche' irrilevante.
    Nell'argomentare  in  punto di rilevanza, il giudice a quo afferma
 che la condotta degli imputati dovrebbe essere considerata delittuosa
 in quanto si e' svolta in contrasto con l'art. 64 della legge n.  833
 del  1978,  come  modificato dall'art. 3 del decreto-legge n. 168 del
 1981, che contiene il principio fondamentale  in  base  al  quale  le
 convenzioni  tra  enti  pubblici e istituti di cura privati svolgenti
 esclusivamente    attivita'    psichiatrica    dovevano    risolversi
 improrogabilmente  entro  il 31 dicembre 1981. Ma, aggiunge lo stesso
 giudice, in contrasto con cio' si pongono le  disposizioni  di  legge
 regionale  impugnate, che ammettono proroghe a quel termine. Poiche',
 tuttavia, la disciplina  ivi  prevista  violerebbe  il  limite  della
 competenza  legislativa  regionale, costituito dal predetto principio
 fondamentale stabilito dalle leggi statali e sarebbe, quindi, viziata
 d'illegittimita' costituzionale,  un'eventuale  pronunzia  di  questa
 Corte  sulla  stessa  potrebbe  influenzare la risoluzione da dare al
 giudizio penale o, quantomeno, potrebbe  incidere  sulla  formula  di
 proscioglimento   da  adottare,  nel  senso  che  potrebbe  avere  la
 conseguenza di ampliare la sfera di  liceita'  penale  relativa  alle
 attivita' contestate ovvero di mutare i termini legali sulla base dei
 quali occorre valutare il comportamento degli imputati.
    Il ragionamento svolto dal giudice a quo non e' fondato.
    Al  fine  di  accertare se la condotta degli imputati possa essere
 configurata come attivita' penalmente illecita, ascrivibile al  reato
 di  abuso  innominato  d'ufficio, non ha alcun rilievo l'eventualita'
 che la legge che questi dovevano applicare  potesse  essere  ritenuta
 costituzionalmente   illegittima.   Dal  momento  che  il  dubbio  di
 costituzionalita'  sulla  legge  applicabile  non   autorizza,   ne',
 tantomeno,   obbliga   i   pubblici   amministratori   a   sospendere
 l'applicazione della legge  medesima  o  a  disapplicarla,  non  puo'
 considerarsi  penalmente  rilevante  un  comportamento  degli  stessi
 amministratori posto in essere in conformita' di una  legge  che  sia
 ritenuta,  in  ipotesi,  costituzionalmente  illegittima.  Nel nostro
 ordinamento, infatti, nel caso che una disposizione  legislativa  sia
 sospettata d'illegittimita' costituzionale, soltanto il giudice ha il
 potere-dovere   di   sospenderne   l'applicazione,   proponendo,  con
 ordinanza, alla Corte costituzionale la  risoluzione  della  relativa
 questione,  sempreche' quest'ultima, a norma dell'art. 23 della legge
 11  marzo  1953,  n.  87,  sia  da   esso   considerata   come   "non
 manifestamente infondata" e "rilevante".
    In  altri  termini,  con  riferimento  al caso di specie, non puo'
 imputarsi agli amministratori regionali di aver commesso un abuso per
 il fatto di aver applicato una legge regionale vigente  ed  efficace,
 anche   se  in  ipotesi  costituzionalmente  illegittima  perche'  in
 contrasto con un principio fondamentale stabilito  in  materia  dalla
 legislazione  statale. Infatti, sulla base dei criteri attinenti alla
 ripartizione delle competenze legislative tra Stato e  regioni  e  al
 conseguente  rapporto  tra  le  relative fonti normative, e' la legge
 regionale, di cui il giudice a quo contesta la  costituzionalita',  a
 dover  esser  considerata  la  legge  applicabile.  E', pertanto, nei
 confronti di quest'ultima che prende corpo,  per  gli  amministratori
 regionali    imputati,    il   dovere   costituzionale   della   loro
 incontestabile soggezione alla legge.
    Sulla base delle considerazioni svolte, si deve, dunque, escludere
 che  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata   sia
 rilevante.   Infatti,   poiche'   ai   fini  dell'accertamento  della
 responsabilita' penale degli  amministratori  regionali  imputati  di
 abuso  innominato  di ufficio non puo' aver alcun rilievo la presunta
 illegittimita' costituzionale delle disposizioni di  legge  regionale
 impugnate,   l'eventuale  pronunzia  di  questa  Corte  non  potrebbe
 esercitare alcuna influenza sul giudizio a quo, neppure con  riguardo
 alla formula di proscioglimento.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 1 della legge della Regione Lazio 3  febbraio  1982,  n.  7
 (Assistenza  negli  istituti  psichiatrici privati), e degli artt. 5,
 secondo comma, lettera a), 11, secondo comma,  12,  e  14,  penultimo
 comma,  della  legge  della  Regione  Lazio  14  luglio  1983,  n. 49
 (Organizzazione del servizio dipartimentale di salute mentale), nella
 parte  in  cui  consentono  convenzioni  con  istituti  privati,  che
 svolgano  esclusivamente attivita' psichiatrica, oltre il termine del
 31 dicembre 1981, sollevata, con l'ordinanza  indicata  in  epigrafe,
 dal   Tribunale   di   Roma,   in   riferimento  all'art.  117  della
 Costituzione, come attuato dall'art. 64, secondo comma,  della  legge
 23   dicembre  1978,  n.  833  (Istituzione  del  servizio  sanitario
 nazionale), e dall'art. 3 del decreto-legge 30 aprile  1981,  n.  168
 (Misure urgenti in materia di assistenza sanitaria), convertito dalla
 legge 27 giugno 1981, n. 331.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 19 dicembre 1991.
                       Il presidente: CORASANITI
                       Il redattore: BALDASSARRE
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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