N. 363 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 gennaio 1991
N. 363 Ordinanza emessa il 25 gennaio 1991 dal pretore di Torino nei procedimenti penali riuniti a carico di Paladino Giuseppe. Processo penale - Imputato imputabile anche se affetto da infermita' parziale di mente, sussistente al momento del fatto-reato - Rilevata incapacita' di partecipazione cosciente al processo a suo carico - Sospensione del procedimento - Omessa previsione - Lamentata disparita' di trattamento rispetto all'analoga situazione di infermita' mentale sopravvenuta - Compressione del diritto di difesa - Richiamo ai principi della sentenza n. 23/1979. (C.P.P. 1988, artt. 70 e 71). (Cost., artt. 3 e 24).(GU n.22 del 5-6-1991 )
IL PRETORE Esaminata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 70 e 71 del c.p.p., in relazione agli artt. 3 e 24, secondo comma della Costituzione sollevata dalla difesa di Paladino Giuseppe; O S S E R V A 1. - Con decreti di citazione del 16 luglio 1990, (n. 12258/90 r.g. notizie di reato) e 17 luglio 1990 (n. 10500/90 e n. 12228/90 r.g. notizie di reato) Paladino Giuseppe e' stato tratto a giudizio avanti al pretore di Torino per rispondere di vari reati (artt. 624 e 625, nn. 1 e 2 del c.p.; 349 del c.p.; 624 e 625, nn. 2 e 7 del c.p.; 80, tredicesimo comma del c.d.s.; 56, 624 e 625, n. 1 del c.p.) commessi fra la fine di maggio e la seconda meta' di giugno 1990. All'udienza del 2 novembre 1990, svoltasi in contumacia dell'imputato ed essendo stati riuniti i procedimenti, veniva disposta perizia per accertare lo stato mentale del Paladino. Il perito chiedeva termine per rispondere ai quesiti e, alla successiva udienza del 6 dicembre 1990, esponeva il suo parere concludendo nel senso che la capacita' di intendere e di volere dell'imputato, fosse, sia attualmente che al momento dei fatti, grandemente scemata a causa di infermita' mentale (disturbo borderline di personalita'), complicata da una politossicodipendenza e preesistente in quanto gia' manifestatasi all'inizio degli anni ottanta e poi sviluppatasi e cronicizzatasi. Circa la capacita' alla partecipazione al processo, il perito concludeva affermando che, pur essendo l'imputato capace di intendere e di volere (anche se tale capacita' e' grandemente scemata a causa della citata infermita' mentale), doveva ritenersi pregiudicata la sua "corretta, cioe' utile, possibilita' di stare in giudizio", cosi' specificando la conclusione contenuta nelle note scritte, consultate nel rispondere ed acquisire ex art. 501, secondo comma del c.p.p., nelle quali l'affermazione secondo cui il Paladino non era in grado di poter partecipare coscientemente al processo appariva in qualche modo contraddetta dalla precedente affermazione, secondo cui la coscienza del Paladino e' parzialmente conservata. Sulla base di tali precisazioni riteneva il pretore di respingere la richiesta della difesa di sospensione del procedimento, non ravvisando i presupposti di cui agli artt. 70 e 71 del c.p.p., secondo cui l'infermita' mentale, per imporre la sospensione, deve essere sopravvenuta e tale da impedire la cosciente partecipazione al processo. Si proseguiva pertanto con l'acquisizione delle prove per esame testimoniale precedentemente ammesse e, al termine della stessa, a seguito di nuova richiesta della difesa, veniva disposto un nuovo accertamento peritale volto a chiarire e risolvere la questione circa la capacita' del Paladino di partecipare coscientemente al processo. Il perito concludeva che, pur essendo il Paladino certamente "in grado di inserire nella sfera delle sue conoscenze in modo cognitivamente corretto il fatto di essere accusato e di stare in giudizio", il medesimo "non e' in grado di impostare modalita' relazionali e strategie emozionali congrue ad un adeguato comportamento difensivo", precisando che "tale incapacita' si riferisce non soltanto alla specifica posizione processuale, ma ad ogni altro evento di relazione e di rapporto che comporti la necessita' di comportamenti difensivi coerenti". Precisava ulteriormente il perito che, in sostanza, il Paladino, pur rendendosi conto di partecipare quale imputato ad un processo, "reagisce.. .. .. in modo scomposto ed inadeguato", ed individuava questo modo di reagire particolarmente nella sua incapacita' di "valutare correttamente una domanda e di rispondere a tono" e nella sua tendenza a "ricordare i fatti oggetto di giudizio in maniera parziale, disorganizzata e deformata", affermando che egli "sostanzialmente, potrebbe dire la prima cosa che gli passa per la mente". Delineava in sostanza il perito un quadro nel quale risulta gravemente compromessa la possibilita' di autodifesa da parte del Paladino, incapace non solo di elaborare una pur elementare strategia difensiva, che presuppone quantomeno un corretto ricordo dei fatti per cui si procede, ma addirittura e soprattutto di comportarsi coerentemente alle sollecitazioni propostegli dagli altri soggetti processuali nel corso del procedimento a suo carico. E ribadiva infine il perito che tale stato mentale dell'imputato deriva da una situazione patologica, sostanzialmente cronica ed immutata rispetto alla data di commissione dei fatti per cui si pro- cede. In esito alle conclusioni del perito la difesa eccepiva l'incostituzionalita' delle norme degli artt. 70 e 71 del c.p.p., in quanto, non consentendo in casi quale quello in esame la sospensione del processo, violerebbero il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 ed il diritto di difesa tutelato dall'art. 24 della Costituzione. Il pubblico ministero ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata l'eccezione. 2. - Per valutare la fondatezza e la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale sollevata dalla difesa e' necessario prendere le mosse dall'interpretazione del combinato disposto degli artt. 70 e 71 del c.p.p., individuando i presupposti dell'obbligo di sospensione del procedimento per incapacita' dell'imputato. Dalla lettura delle norme citate emerge che tale obbligo sussiste allorche': a) non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere; b) l'imputato si trovi, per infermita' mentale, in condizioni tali da non essere in grado di partecipare coscientemente al procedimento; c) l'infermita' sia sopravvenuta al fatto. Capacita' di partecipazione cosciente al procedimento e' concetto sicuramente non coincidente con quello di capacita' di intendere e di volere, ma di questo piu' ampio, come e' dato evincere dalla diversita' delle espressioni, dall'abbandono della formulazione usata nel previgente codice di rito all'art. 88, identica a quella usata nel codice penale per escludere l'imputabilita', dall'elaborazione che ha condotto alla formulazione dell'attuale testo degli artt. 70 e 71 del codice di procedura penale, non accogliendo la proposta della Commissione parlamentare di reintrodurre la formulazione del vecchio codice. Significativo al riguardo e' quanto si legge nella relazione al testo definitivo del nuovo codice di procedura penale (in Gazzetta Ufficiale del 24 ottobre 1988, n. 250, suppl. ord. n. 2, p. 171): "a tali osservazioni si e' ritenuto di rispondere negativamente, rilevando come l'introduzione nel testo del progetto definitivo della formula 'incapacita' di intendere e di volere' adottata dall'articolo 88 del codice vigente non si concili con il carattere accentuatamente accusatorio del nuovo processo che, esaltando.. .. .. il ruolo dell'imputato, deve in ogni caso far fronte all'esigenza di tutelare la sua partecipazione, per cosi' dire, attiva: quindi consapevole e 'cosciente'. Con l'avverbio 'coscientemente' si e' cosi' dato rilievo a situazioni che, pur non coincidendo necessariamente con l'esclusione della capacita' di intendere e di volere rendono, tuttavia, l'imputato incapace nel senso anzidetto". Dunque il parametro cui si deve fare riferimento per valutare se un imputato sia capace ai sensi del combinato disposto degli artt. 70 e 71 del c.p.p. e' quello della sua attivita' di autodifesa. Se il suo stato mentale e' tale da compromettere gravemente lo svolgimento di tale attivita', in quanto, ad esempio, egli non sia in grado di percepire con sufficiente chiarezza la propria posizione all'interno del processo ovvero gli atti e le vicende processuali che a lui si riferiscono e di comportarsi e reagire razionalmente e secondo una strategia anche rozza ed elementare, dovra' essere ritenuto incapace di una cosciente partecipazione al processo, con la conseguenza che lo stesso dovra' essere sospeso ove ricorrano gli altri presupposti di cui ai citati articoli. In altri termini, il legislatore ha inteso distinguere il concetto di incapacita' processuale di cui agli artt. 70 e 71 del c.p.p. da quello di imputabilita' previsto dall'art. 88 del c.p., sicche', se, da un lato, e' difficilmente ipotizzabile che un soggetto incapace di intendere o di volere sia in grado di partecipare "coscientemente" al procedimento penale a suo carico, ben puo', d'altro lato, ipotizzarsi che una persona imputabile (ad esempio, come e' nel caso di specie un soggetto affetto da vizio parziale di mente) versi di fatto, per una infermita' mentale che l'affligga senza peraltro escuderne la capacita' di intendere o di volere, in una situazione di incapacita' di svolgere la propria attivita' autodifensiva nel processo che lo veda quale imputato, tale da renderlo inidoneo, nel senso sopra evidenziato, ad una partecipazione 'cosciente' a quel procedimento. Ricorrendo tale situazione dovra' pertanto essere sospeso il procedimento, sempre che l'infermita' sia "sopravvenuta al fatto" per cui si procede e purche' non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere. Se, invce - come nel caso di specie - l'infermita' gia' esisteva al momento della commissione del reato non potra' farsi luogo a sospensione del procedimento, non consentendolo il disposto degli artt. 70 e 71 del c.p.p. che, come sopra si e' visto, attribuisce efficacia sospensiva alla sola infermita' mentale sopravvenuta (cfr., per tale interpretazione, del resto imposta dalla lettera della legge, la relazione al progetto preliminare del nuovo codice di procedura penale, in Gazzetta Ufficiale gia' citata, p. 30). 3. - Tale disparita' di trattamento appare ingiustificata ed in contrasto con gli artt. 3 a 24 comma 2 della Costituzione, risolvendosi, allorche' l'infermita' mentale non sia tale da escludere la capacita' di intendere e di volere, in una irragionevole compressione del diritto di difesa dell'infermo di mente tunc et nunc, pur trovandosi lo stesso, sul piano processuale, in una situazione identica a quella dell'infermo di mente solamente nunc. E la non manifesta infondatezza della questione emerge proprio ove si ponga mente alle ragioni con cui la Corte costituzionale, affrontando una questione sollevata con riferimento all'art. 88 del previgente codice di rito ed all'ipotesi di infermita' gia' sussistente al tempo in cui fu commesso il reato, dichiaro' la stessa infondata (sentenza n. 23 del 24 maggio 1979). In quella circostanza, infatti, la Corte baso' la propria motivazione sul necessario sbocco del procedimento a carico di un tal soggetto in una sentenza di proscioglimento, data la assoluta coincidenza tra l'incapacita' "processuale" e il concetto di non imputabilita' di cui all'art. 88 del codice penale. In particolare la Corte, escludendo che la disparita' di trattamento fra le due situazioni violasse il principio di eguaglianza, espressamente affermo': "la sospensione del processo, nell'ipotesi prevista dall'art. 88 del c.p.p., si rivela uno strumento indispensabile al fine di evitare che una persona, sana di mente al tempus commissi delicti, venga sottoposta, malgrado il suo attuale stato di incapacita' di intendere e di volere, ad un giudizio che potrebbe chiudersi con una sentenza di condanna; appare invece costitutiva di una ingiustificata stasi processuale nel caso di infermita' di mente sussistente al momento del fatto e perdurante nel corso del procedimento perche' a una tale condizione psichica del prevenuto dovra' necessariamente conseguire, salvo che non ricorra l'applicazione di una formula piu' favorevole, una decisione di proscioglimento per difetto di imputabilita'". Ed anche l'escusione del contrasto con la disposizione del secondo comma dell'art. 24 della Costituzione fu sostanzialmente motivata dalla Corte con riferimento all'unico possibile esito di un procedimento contro una persona incapace di intendere o di volere al momento del fatto, cioe' una sentenza di proscioglimento per difetto di imputabilita'. I giudici della Consulta, infatti ritennero sufficientemente garantito l'esercizio del diritto di difesa, pur carente sotto il profilo dell'autodifesa, affermando che tale carenza trovava comunque un "congruo rimedio nell'assistenza del difensore che, anche se nominato d'ufficio, deve essere informato degli atti riguardanti il suo assistito si' da poter espletare in modo pieno e completo l'attivita' a lui demandata", nonche' nei poteri del giudice e, in particolare, nei principi concernenti la valutazione delle prove ed il libero convincimento; tuttavia gli stessi giudici hanno espressamente individuato quale condizione necessaria per la validita' di tale affermazione l'esclusione che un tale procedimento potesse concludersi con una sentenza di condanna. Si specifica infatti nella motivazione della citata sentenza che "l'idoneita' degli strumenti in parola ad assicurare una retta attuazione della autodifesa emerge dal rilievo che,________, risultando l'imputato incapace di intendere e di volere al momento del fatto, il procedimento non potra' mai concludersi con una decisione di condanna: la valutazione della fattispecie concreta compiuta dal giudice, in tale caso, resta circoscritta ad una pronuncia di proscioglimento cui potra' conseguire l'applicazione della misura di sicurezza, irrogata proprio in vista delle condizioni psichiche del prevenuto al momento del commesso reato e quindi in funzione di un giudizio di non responsabilita'. Una tale disciplina non sarebbe invece sufficientemente adeguata a garantire il diritto di difesa nei casi di infermita' di mente sopravvenuta: in questa ipotesi, infatti, poiche' l'imputato non versava in stato di incapacita' di intendere e di volere al tempus commissi delicti, potra' essere pronunciata, all'esito del giudizio, una sentenza di condanna con la conseguente applicazione della pena". In altri termini dunque, ove sia seriamente pregiudicata, in un giudizio di merito, la possibilita' del corretto esercizio dell'autodifesa da parte dell'imputato, la sola garanzia di una adeguata difesa tecnica non appare sufficiente a soddisfare il precetto di cui all'art. 24, secondo comma della Costituzione, allorche' il giudizio, attraverso una completa valutazione dei fatti e della responsabilita' dell'imputato, possa concludersi con una sentenza di condanna e, conseguentemente, con l'applicazione di una sanzione penale. E tale principio, affermato dalla Corte costituzionale sotto il vigore del precedente codice di rito, appare certamente ribadito ed, anzi, rafforzato dal sistema del codice vigente che, ispirato ai principi del processo accusatorio, esalta - come si legge nella relazione - il ruolo dell'imputato e, per conseguenza, la sua possibilita' di partecipazione cosciente e consapevole al processo a suo carico. 4. - Ora, non vi e' dubbio che possa concludersi con una sentenza di condanna dell'imputato, sia pure a pena diminuita ai sensi dell'art. 89 del c.p., un processo a carico di un soggetto che, perche' affetto, ad esempio, da vizio parziale di mente gia' esistente al momento dei fatti e tuttora perdurante, sia comunque capace di intendere e di volere, ancorche' incapace di una cosciente partecipazione al procedimento. Ed allora, ove ricorra tale ipotesi, la prosecuzione del processo comporta certamente una lesione del diritto di difesa dell'imputato, tutelato dall'art. 24, della Costituzione, secondo l'interpretazione datane dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza sopra citata. Appare dunque non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' degli artt. 70 e 71 del c.p.p., in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui limitano alla sola ipotesi dell'infermita' sopravvenuta la previsione della sospensione del procedimento penale per infermita' mentale dell'imputato tale da impedirne la partecipazione cosciente allo stesso, escludendone invece l'applicazione all'ipotesi di infermita' gia' sussistente nel momento in cui fu commesso il reato e successivamente protrattasi, allorche' la predetta infermita' non comporti anche l'esclusione della capacita' di intendere o di volere. Per le stesse ragioni appaiono inoltre in contrasto con l'art. 3 della Costituzione le citate norme, in quanto prevedono un trattamento differenziato di due situazioni che appaiono, sul piano processuale, identiche: quella della persona affetta da infermita' mentale sopravvenuta, che la renda incapace di partecipare coscientemente al procedimento e quella di chi in tale situazione si trovi al momento del processo a causa di infermita' gia' esistente al momento del fatto, ma tale da non escluderne la capacita' di intendere o di volere. In entrambi i casi, infatti, il processo si svolgerebbe nei confronti di persona incapace di una cosciente partecipazione e in entrambi i casi, inoltre, il giudizio potrebbe concludersi con una sentenza di condanna e la conseguente applicazione della pena. E tuttavia, senza che ne sussistano apprezzabili ragioni, nel primo caso, e' previsto l'obbligo per il giudice di sospendere il procedimento fino a quando l'imputato non riacquisti la sanita' mentale, nella seconda ipotesi, invece, non potra' farsi luogo a sospensione, difettando il presupposto della sopravvenienza dell'infermita' (posto che la malattia e' la stessa che gia' esisteva al momento della commissione del reato, essendo differente solo l'angolatura da cui essa viene presa in considerazione ai fini della valutazione della sussistenza o meno di capacita' autodifensiva), sicche' il processo dovra' proseguire il suo iter fino ad una pronuncia, che potra' essere anche di condanna dell'imputato. 5. - La rilevanza della questione sollevata dalla difesa emerge poi con tutta evidenza da quanto sin qu/' si e' detto nell'esposizione dei fatti che hanno condotto alla sua proposizione e nelle osservazioni svolte in diritto. La situazione in cui si trova l'imputato Paladino Giuseppe corrisponde infatti in toto a quella che si e' ritenuto contrastare con le norme costituzionali esaminate. Egli e' cioe' persona imputabile, affetta da infermita' mentale inquadrabile nella figura del vizio parziale di mente di cui all'art. 89 del c.p., gia' esistente al momento dei fatti per cui si procede e tale da renderlo incapace di una partecipazione cosciente al processo a suo carico. Cio' comporta l'esclusione della possibilita' di sospensione del processo, secondo l'interpretazione qui accolta del disposto degli artt. 70 e 71 del c.p.p., che richiede, perche' possa farsi luogo alla sospensione del procedimento, che l'infermita' sia sopravvenuta, cioe' successiva al tempus commissi delicti. E non si versa certamente, avuto riguardo alle prove sin qui acquisite ed alle norme processuali che disciplinano i casi in cui deve essere emessa sentenza di proscioglimento, nell'ipotesi di possibilita' di una tale pronuncia nei confronti del Paladino per i fatti contestati dal pubblico ministero, la quale varrebbe ad eslcudere concreta rilevanza alla questione.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 70 e 71 del c.p.p., con riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui, limitando alla sola ipotesi dell'infermita' sopravvenuta la previsione della sospensione del procedimento penale per infermita' mentale dell'imputato tale da impedirne la partecipazione cosciente allo stesso, escludono la possibilita' di sospensione nell'ipotesi di infermita' gia' sussistente nel momento in cui fu commesso il reato e successivamente protrattasi, allorche' la stessa non comporti anche l'esclusione della capacita' di intendere e di volere dell'imputato; Sospende il giudizio nei confronti di Paladino Giuseppe; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza, letta in dibattimento, sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente della Camera dei deputati ed al Presidente del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Torino, all'udienza dibattimentale del 25 gennaio 1991. Il pretore: ALGOSTINO 91CA726