N. 738 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 ottobre 1991
N. 738 Ordinanza emessa il 22 ottobre 1991 dal pretore di Verona nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Pescarolo Alvisina ed altre e I.N.P.S. Previdenza e assistenza sociale - Pensioni I.N.P.S. - Diritto all'integrazione al minimo - Termine di decadenza (dieci anni) per l'impugnativa in giudizio dei provvedimenti dell'I.N.P.S. - Qualificazione di tale termine, di natura procedimentale per consolidata giurisprudenza, in termine decadenziale di natura sostanziale - Prevista retroattivita' di tale disposizione tranne che per i processi gia' in corso alla data di entrata in vigore del d.-l. 29 marzo 1991, n. 103 - Incidenza sul diritto a mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso di vecchiaia riguardo a coloro che non hanno proposto il giudizio, del tutto ingiustificatamente discriminati, per di piu', rispetto a quelli che, invece, l'abbiano gia' proposto. (D.-L. 29 marzo 1991, n. 103, art. 6, primo e secondo comma, convertito, con modificazioni, nella legge 1 giugno 1991, n. 166). (Cost., artt. 3 e 38).(GU n.4 del 22-1-1992 )
IL PRETORE In funzione di giudice del lavoro, nelle cause previdenziali riunite nn. 1547/91, 2054/91, 2055/91 e 2108/91 vertenti tra Pescarolo Alvisina + 3 con l'avv. L. Zanoni contro l'Istituto nazionale della previdenza sociale, con l'avv. G. Mazzacurati all'udienza del 22 ottobre 1991 ha emesso la seguente ordinanza. PREMESSO IN FATTO 1. - Con ricorso depositato il 9 aprile 1991 esponeva di essere titolare di pensione di reversibilita' con decorrenza maggio 1974 e di pensione diretta con decorrenza settembre 1974; di avere richiesto all'ente erogatore l'integrazione al trattamento minimo sulla pensione di reversibilita' in applicazione della sentenza n. 314/1985 della Corte costituzionale; di essersi visto respingere dall'I.N.P.S. la domanda con la motivazione che alla data di presentazione della stessa era ormai decorso il termine decennale previsto dall'art. 47 del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639; di avere inutilmente esperito ricorso in via amministrativa; di ritenere che al termine ricordato dovesse riconoscersi, conformemente alla giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di cassazione, natura meramente procedurale senza effetti sui diritti sostanziali; su queste basi conveniva in giudizio l'I.N.P.S., chiedendo l'accertamento del proprio diritto all'integrazione al trattamento minimo della pensione di reversibilita' e la condanna dell'Istituto al pagamento delle somme a tale titolo dovute. Analoghe domande avanzano, con separati ricorsi depositati nei giorni 28 maggio 1991 e 31 maggio 1991 Novarini Giuseppa, Querin Teresa, Fianco Luciana assumendo tutti di essere titolari di pensione diretta e di pensione di reversibilita' con le seguenti, rispettive decorrenze: novembre 1967; luglio 1969; agosto 1967. 2. - Si costituiva in tutti i giudizi l'I.N.P.S., assumendo che le domande non potessero avere accoglimento in applicazione dell'art. 6 del d.-l. 29 marzo 1991, n. 103, convertito in legge n. 166/1991, che aveva dettato con efficacia espressamente retroattiva (sia pure limitata dall'esclusione dei giudizi in corso) l'interpretazione autentica dei commi secondo e terzo dell'art. 47 del d.P.R. n. 639/1970, sancendo l'estinzione del diritto ai ratei pregressi e l'inammissibilita' della domanda quali effetti della decadenza e prevedendo che in caso di mancata proposizione di ricorso amministrativo i termini di decadenza decorressero dall'insorgenza del diritto ai singoli ratei. Osservava infatti l'Istituto che in tutti i casi sottoposti a giudizio del pretore i ricorsi amministrativi erano stati proposti oltre un decennio dopo l'insorgenza del diritto ai ratei di pensione di cui si chiedeva l'integrazione al minimo. 3. - Con memoria autorizzata il procuratore dei ricorrenti eccepiva l'incostituzionalita' dell'art. 6 del d.-l. n. 103/1991 invocato dall'I.N.P.S., tra l'altro sotto il profilo della contrarieta' agli artt. 3 e 38 della Costituzione della disposta irretroattivita' della norma e della discriminazione tra giudizi pendenti o meno alla data di entrata in vigore del decreto. L'I.N.P.S. ribadiva le argomentazioni difensive e le richieste inizialmente esposte ed avanzate. O S S E R V A L'eccezione sollevata dalla difesa delle parti ricorrenti appare rilevante e non manifestamente infondata, sulla base delle seguenti considerazioni: 1. - L'art. 47 del d.P.R. n. 639/1970 (nell'ambito del titolo III: "ricorsi e controversie in materia di prestazioni") dopo avere previsto l'esperibilita' dell'azione giudiziaria "esauriti i ricorsi amministrativi", al secondo comma, disponeva: "L'azione giudiziaria puo' essere proposta entro il termine di dieci anni dalla data di comunicazione della decisione definitiva del ricorso pronunziata dai competenti organi dell'istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della decisione medesima, se trattasi di controversie in materia di trattamenti pensionistici". La questione relativa all'interpretazione della ricordata norma deve ormai ritenersi risolta autorevolmente e convincentemente dalle sezioni unite civili del supremo collegio, le quali, con sentenza 21 giugno 1990, n. 6245, hanno chiarito che il termine in esame ha natura procedimentale e non ha conseguenze negative sui diritti sostanziali. Piu' in particolare, la Corte, dopo avere - sulla base di un ampio esame sistematico - enucleato la funzione dell'istituto disciplinato dal citato art. 47 (che e' quella di correlare l'azione giudiziaria con il procedimento amministrativo e di "delimitare nel tempo la possibilita' di trasferire la pretesa nella sede giudiziaria"), ritiene che "la natura decadenziale dell'istituto .. trova sicuro riscontro nella sua stessa struttura e funzione", desumendone che "il decorso del termine decennale dall'esaurimento della fase amministrativa, senza che sia stata proposta la domanda giudiziale per l'accertamento di denegati diritti a specifiche prestazioni pensionistiche, non determina la perenzione di tali diritti sostanziali, ma .. incide sulla fase di attuazione dei medesimi, caducando la domanda amministrativa e facendone venir meno gli effetti tipici ed essenziali in relazione alla proponenda azione giudiziaria e al successivo processo. Per dar vita ad un utile processo l'assicurato deve presentare nuova domanda all'I.N.P.S. ..; salvi gli effetti dell'eventuale prescrizione dei diritti a determi- nate prestazioni (ratei o integrazioni di essi)". 2. - Su questa consolidata situazione normativa e giuirisprudenziale (ben qualificabile come "diritto vivente" ed applicata senza contrasti anche da questa pretura), e' venuto ad incidere l'art. 6 del d.-l. 29 marzo 1991, n. 103, convertito senza modificazione sul punto nella legge 1 giugno 1991, n. 166, il quale, sotto la rubrica di "regime delle prescrizioni delle prestazioni previdenziali", dispone nei due commi di cui consta: "1. I termini previsti dall'art. 47, secondo comma .. del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, sono posti a pena di decadenza per l'esercizio del diritto alla prestazione previdenziale. La decadenza determina l'estinzione del diritto ai ratei pregressi delle prestazioni previdenziali e l'inammissibilita' della relativa domanda giudiziale. In caso di mancata proposizione di ricorso amministrativo, i termini decorrono dall'insorgenza del diritto ai singoli ratei. 2. Le disposizioni di cui al primo comma hanno efficacia retroattiva, ma non si applicano ai processi che sono in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto". 3. - Le conseguenze della norma ora ricordata consistono essenzialmente in cio': a) che dal 2 aprile 1991 (questa la data di entrata in vigore del decreto-legge citato) quello che fino allora era previsto dalla legge e interpretato dalla giurisprudenza come un termine avente natura meramente procedimentale viene ad assumere natura sostanziale, quale termine di "preiscrizione" (stando alla rubrica ) o meglio (secondo il testo) di "decadenza per l'esercizio del diritto alla prestazione previdenziale" con effetti estintivi limitati letteralmente al "diritto ai ratei pregressi" della prestazione; b) che dalla stessa data all'originario dies a quo del termine procedimentale (data di comunicazione della decisione sul ricorso amministrativo o di formazione di silenzio-rigetto) si e' aggiunto un nuovo e alternativo dies a quo destinato ad operare - funzionalmente alla mutata natura del termine - "in caso di mancata proposizione di ricorso amministrativo" ed individuato con riferimento alla "insorgenza del diritto ai singoli ratei". 4. - Se si confronta la disciplina preesistente all'entrata in vigore del decreto-legge in esame con quella successiva, emergera' con evidenza che quest'ultima non avrebbe potuto determinarsi in forza di una mera operazione di interpretazione dell'art. 47 cit., sia sotto il profilo della natura del termine (essendo chiara sul pi- ano letterale e sistematico la limitazione all'ambito procedimentale della rilevanza del termine come originariamente congegnato), sia sotto il profilo della decorrenza iniziale del termine medesimo (essendo stato aggiunto un dies a quo alternativo non previsto e non prevedibile in base alla disposizione del ricordato art. 47). Si deve pertanto escludere che l'art. 6 del d.-l. n. 103/1991 configuri - come dimostra di ritenere invece la difesa dell'istituto convenuto - un'interpretazione autentica dell'art. 47, se e' vero che "va riconosciuto carattere interpretativo soltanto ad una legge che, fermo il tenore testuale della norma interpretata, ne chiarisce il significato normativo ovvero privilegia una delle tante interpretazioni possibili" (cosi' la sentenza di Corte costituzionale, 4 aprile 1990, n. 155; nello stesso senso, inoltre, la precedente 3 marzo 1988, n. 233, e la successiva 31 luglio 1990, n. 380. Anche la Corte di cassazione ritiene ormai la decisivita' della struttura e del contenuto della fattispecie normativa al fine della qualificazione della stessa come interpretativa: ad esempio, si veda Cass., 23 maggio 1990, n. 4633 in Foro italiano, 1990, I, 1824). In realta', l'art. 6 cit. e' norma innovativa, che modifica radicalmente la precedente disposizione (art. 47). Di cio' sembra essersi reso conto lo stesso legislatore, che ha abbandonato l'originaria rubrica ("norme di interpretazione autentica e in materia di decadenza") sotto la quale l'art. 4 del d.-l. 15 settembre 1990, n. 259 (non convertito) aveva introdotto una norma che costituisce l'antecedente storico dell'art. 6 in esame. Del resto la limitazione della retroattivita' sancita dal secondo comma di tale articolo e' di per se' incompatibile con la pretesa natura interpretativa dello stesso. 5. - La normativa innovativa, per effetto dell'appena ricordato secondo comma, ha efficacia retroattiva, ma non si applica ai processi che erano in corso alla data di entrata in vigore del decreto (e cioe' il 2 aprile 1991, ex art. 14 che richiama la data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). In altri termini, dal 2 aprile 1991 le conseguenze accennate sopra sub 3) si produrranno anche in relazione ai diritti a prestazioni previdenziali perfezionatisi ed ai diritti ai ratei pregressi delle prestazioni medesime insorti anteriormente a tale data, salvo che i diritti stessi non formino oggetto di processi a tale data in corso, cioe' salvo che le relative domande giudiziali siano state proposte prima del 2 aprile 1991. 6. - Nella descritta situazione introdotta dalla nuova norma, sono rinvenibili, a parere di questo pretore, almeno tre profili di possibile violazione di norme costituzionali, che rendono non manifestamente infondate le relative questioni di costituzionalita' della norma stessa. A) In primo luogo, la sottoposizione dell'esercizio del diritto alle prestazioni previdenziali ad un termine di decadenza, e cioe' ad un rigido meccanismo estintivo, sembra poter ledere la garanzia che l'art. 38, secondo comma, della Costituzione assicura ai lavoratori in ordine al "diritto che siano provveduti ed assicurati mezzi adeguati .. in caso di infortunio, malattia, invalidita' e vecchiaia, disoccupazione involontaria". E' del resto principio comunemente affermato quello secondo cui il diritto al trattamento pensionistico per invalidita', vecchiaia e superstiti (distinto dal diritto ai ratei della medesima) e' garantito dalla Costituzione, e' indisponibile ed imprescrittibile e "non e' (e, in relazione al cennato principio costituzionale, non potrebbe essere) assoggettato a termini decadenziali .. non solo con riguardo al suo venire ad esistenza, ma anche nell'evolversi del rapporto fondamentale, dal quale derivano i singoli diritti di natura patrimoniale" (sono parole della gia' ricordata Cass., sez. unite civili, 21 giugno 1990, n. 6245 in Foro italiano, 1991, I, 160). E' vero che nel primo comma dell'art. 6 si menzionano specificamente - quali effetti determinati dalla decadenza - solo l'estinzione del diritto ai ratei pregressi e l'inammissibilita' della relativa domanda giudiziale, ma e' anche vero che la medesima norma espressamente correla la decadenza all'esercizio del "diritto alla prestazione previdenziale" e che simile espressione non avrebbe avuto senso se il legislatore avesse voluto limitare l'effetto estintivo della decadenza ai soli diritti ai singoli ratei delle prestazioni previdenziali. Il primo comma dell'art. 6 del d.-l. n. 103/1991 (norma avente generalmente ad oggetto le prestazioni previdenziali) introduce quindi nell'ordinamento la possibilita' che i diritti al trattamento pensionistico per invalidita', vecchiaia e superstiti, come tali dotati di garanzia costituzionale in forza dell'art. 38, secondo comma, della Costituzione (del quale l'indisponibilita' di tali diritti costituisce espressione), si estinguano per effetto di un meccanismo decadenziale: l'art. 6, primo comma, medesimo (in se' considerato) si pone pertanto in contrasto con la citata norma costituzionale. B) In secondo luogo, la retroattivita' delle nuove disposizioni sancita dal secondo comma dell'art. 6, senza la contemporanea predisposizione di meccanismi di recupero delle situazioni pregresse in ordine alle quali il decorso del termine decennale di decadenza (tenuto conto anche del dies a quo introdotto dal primo comma del medesimo articolo) sia gia' maturato al momento di entrata in vigore del d.-l. n. 103/1991, sembra (valutata in rapporto al primo comma) porsi in contrasto ancora con l'art. 38, oltre che con l'art. 3 della Costituzione. Richiamate le osservazioni gia' svolte in ordine alla impossibilita' di qualificare le nuove norme come interpretative (che comporta la non essenzialita' della disposta retroattivita') e ribadito quindi che si tratta di norme innovative dichiarate espressamente e non per necessita' intrinseca retroattive, si deve ora rilevare che e' ben possibile che relativamente alle situazioni giuridiche sorte antecedentemente al 2 aprile 1991 i termini di decadenza disciplinati dal primo comma siano gia' completamente decorsi a tale data, sia con riferimento all'unico dies a quo originariamente previsto dall'art. 47 del d.P.R. n. 639/1970, sia (e soprattutto, ove si tenga presente la materia dell'integrazione al minimo, nella quale il susseguirsi delle sentenze dichiarative dell'illegittimita' costituzionale delle norme limitative il diritto all'integrazione in caso di titolarita' di piu' trattamenti pensionistici, ha di fatto comportato la proposizione delle domande e dei successivi ricorsi amministrativi spesso quando gia' era ampiamente decorso il decennio dal verificarsi della plurititolarita' e dalla conseguente insorgenza del diritto) con riferimento al nuovo dies a quo introdotto dal d.-l. n. 103/1990. Si verrebbe, in questi casi, a verificare, per effetto dell'art. 6 applicato retroattivamente, una estinzione, per cosi' dire, senza (nel senso che l'estinzione stessa non potrebbe essere in alcun modo ormai impedita) del diritto alla prestazione previdenziale e del diritto ai ratei pregressi della medesima. Ne', in relazione a questi ultimi, potrebbero avere alcuna efficacia eventuali atti interruttivi della prescrizione, posto che la decadenza e' impedita soltanto dal compimento tempestivo dell'atto tipicamente previsto (che nel caso di specie e' l'esercizio dell'azione giudiziaria). L'automatica applicazione retroattiva di tale meccanismo si pone in contrasto (ancor piu' della sua applicazione futura) con il gia' ricordato art. 38, secondo comma, della Costituzione, in quanto puo' determinare l'estinzione dei diritti ai trattamenti pensionistici per invalidita', vecchiaia e superstiti sulla base di una inerzia non sanzionata nel momento in cui fu tenuta e senza che neanche sia consentito all'interessato di attivarsi. Ma piu' in generale (anche cioe' con riferimento ai diritti ai ratei delle prestazioni) tale retroattiva qualificazione negativa di una inerzia diversamente valutata dall'ordinamento nel periodo durante il quale si protrasse (si e' gia' rilevata infatti la profonda diversita', sotto questo profilo, degli istituti della prescrizione e della decadenza) appare non conforme al principio di razionalita' delle scelte legislative sotteso al fondamentale principio di eguaglianza posto dall'art. 3 della Costituzione. Non appare razionale di ricollegare una sanzione di decadenza ex post ad un comportamento (mancato esercizio dell'azione giudiziaria) posto completamente in essere quando l'ordinamento non gli riconnetteva conseguenze di tale gravita'. Si vengono infatti a creare, in tal modo, discriminazioni tra soggetti che hanno o meno tenuto un comportamento all'epoca sostanzialmente non significativo e quindi sulla base di una circostanza causale. Certo il legislatore avrebbe potuto prevedere meccanismi di recupero delle situazioni pregressa (attraverso opportune norme transitorie, ad esempio), ma cio' non ha fatto (e del resto, cio' non avrebbe forse corrisposto ai reali motivi che stanno dietro l'introduzione delle norme in discorso) e, sancendo l'automatica retroattivita' della nuova disciplina, ha posto in esame una irrazionale discriminazione tra situazioni eguali, il che non appare rispettoso del principio di eguglianza di cui al ricordato art. 3 della Costituzione. C) Analoghe considerazioni possono ripetersi con riferimento alla esclusione della applicazione retroattiva delle nuove norme "ai processi .. in corso alla data di entrata in vigore" espressamente sancita dall'ultima parte del secondo comma del citato art. 6. Limitando in tal modo la efficacia retroattiva delle disposizioni del primo comma, tale norma pone (in se' considerata prescindendo dal collegamento col primo comma) in essere una "ingiustificata disparita' di trattamento tra cittadini che si trovano in analoga situazione sociale ed economica .. cosicche' la differenza di tutela discende da una circostanza meramente casuale": l'avere o meno l'interessato, prima del 2 aprile 1991, iniziato un processo, comportamento che puo' dipendere dai piu' diversi fattori e che comunque costituisce un presupposto "meramente formale", che non puo' essere posto a base di una discriminazione tra "categorie sostanzialmente omogenee .. senza violare il principio di uguaglianza" (le espressioni virgolettate si leggono in Corte costituzionale, sentenza 12 febbraio 1991, n. 34). Anche sotto questo profilo, pertanto, l'art. 6 del d.-l. n. 103/1991 sembra porsi in contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Vi e' solo da rilevare che simile ultima censura di incostituzionalita' (la quale non verrebbe meno se anche si volesse qualificare l'art. 6 come norma interpretativa) e' gia' stata ritenuta non manifestamente infondata dal pretore di Sanremo con ordinanza emessa il 14 giugno 1991 e pubblicata (con il n. 534) sulla Gazzetta Ufficiale, prima serie speciale, n. 34. D) Conclusivamente, le considerazioni che precedono danno ragione della non manifesta infondatezza di tre diverse - seppur collegate - questioni di illegittimita' costituzionale: una (quella esposta sub A) limitata al primo comma dell'art. 6 del d.-l. n. 103/1991 con riferimento all'art. 38, secondo comma, della Costituzione, la seconda (quella esposta sub C) concernente il secondo comma del medesimo articolo, con riferimento all'art. 3 della Costituzione, e l'ultima (costituente il compendio delle prime due ed esposta sub B)) relativa all'intero art. 6 con riferimento agli artt. 38, secondo comma, e 3 della Costituzione. 7. - Cio' detto in ordine alla non manifesta infondatezza delle questioni, deve affermarsi a questo punto la rilevanza delle stesse: l'art. 6 citato, infatti, e' applicabile a tutte le situazioni oggetto dei ricorsi riuniti, sia da un punto di vista temporale (poiche' tutti i ricorsi sono stati depositati e notificati dopo la data del 2 aprile 1991), sia da un punto di vista piu' concreto, poiche' in tutti i casi e il ricorso amministrativo e la domanda giudiziale sono stati proposti dopo il decorso di oltre un decennio dalla insorgenza del diritto all'integrazione al trattamento minimo delle pensioni indirette, invocato dai ricorrenti. In altri termini, ove non fosse sollevata la questione di costituzionalita', si dovrebbe ricercare nello stesso art. 6 (primo comma applicato retroattivamente ex secondo comma) la disciplina della decadenza delle situazioni sostanziali dedotte in giudizio come del resto richiesto dalla difesa dell'I.N.P.S., mentre ove tale norma venisse dichiarata incostituzionale sarebbe applicabile l'art. 47 del d.P.R. n. 639/1970 nell'originaria formulazione, in base alla quale domande analoghe a quelle avanzate dagli attuali ricorrenti hanno trovato pieno accoglimento da parte di questa pretura. Pertanto, i giudizi riuniti non possono essere definiti indipendentemente dalla risoluzione delle questioni di illegittimita' costituzionale dell'art. 6. 8. - Le questioni medesime devono pertanto essere sollevate a rimesse alla Corte costituzionale, dandosi corso agli adempimenti previsti dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, salva la notifica alle parti, non necessaria essendo letta la presente ordinanza, emessa in giudizio di lavoro, alla udienza pubblica.
P. Q. M. Visti gli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di illegittimita' costituzionale: a) dell'art. 6, primo comma, del d.-l. 29 marzo 1991, n. 103, convertito con modificazioni nella legge 1 giugno 1991, n. 166, per contrasto con l'art. 38 della Costituzione; b) dell'art. 6, primo e secondo comma, del d.-l. 29 marzo 1991, n. 103, convertito con modificazioni nella legge 1 giugno 1991, n. 166, per contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione; c) dell'art. 6, secondo comma, del d.-l. 29 marzo 1991, n. 103, convertito con modificazioni nella legge 1 giugno 1991, n. 166, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione; Dispone l'immediata trasmissione degli atti delle cause riunite di cui in epigrafe alla Corte costituzionale e sospende il relativo giudizio; Ordina che, a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Verona, addi' 22 ottobre 1991 Il pretore: FILOCAMO 92C0030