N. 741 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 aprile 1991

                                N. 741
      Ordinanza emessa il 22 aprile 1991 dal tribunale di Potenza
           nel procedimento penale a carico di Danzi Michele
 Stupefacenti e sostanze psicotrope - Detenzione di stupefacenti in
    misura superiore alla dose media giornaliera - Individuazione  del
    discrimine  tra  condotta  lecita  e condotta penalmente rilevante
    nella dose media giornaliera desunta sulla base  dei  quantitativi
    massimi  di  principio  attivo  anziche'  sulla  base  della  dose
    abituale del singolo consumatore - Ingiustificata  discriminazione
    dei consumatori abituali costretti ad assumere quantitativi sempre
    maggiori   di   stupefacenti  -  Prospettata  irragionevolezza  in
    considerazione  della  impossibilita'  per   il   consumatore   di
    conoscere  la  quantita'  di  principio  attivo accertabile solo a
    posteriori  -  Incidenza  sul  diritto  alla  salute  del  singolo
    consumatore  sottoposto a sanzione penale invece che a trattamento
    terapeutico.
 (D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73).
 (Cost., artt. 3 e 32).
(GU n.4 del 22-1-1992 )
                             IL TRIBUNALE
    Nella udienza del  22  aprile  1991  ha  pronunciato  la  seguente
 ordinanza  di  rimessione  degli atti alla Corte costituzionale nella
 causa penale iscritta al n. 35/91 r.g. trib.,  contro  Danzi  Michele
 nato a Potenza l'11 gennaio 1969, res. a Vaglio della Basilicata alla
 via  Trieste  e  Trento n. 42, imputato del reato di cui all'art. 73,
 primo comma, introdotto dall'art. 14 della legge n. 162/1990, perche'
 illecitamente deteneva g 0,4034 di sostanza stupefacente di cui  alla
 tabella  I  -  eroina  - contenente una quantita' di principio attivo
 pari a g 0,1547, pertanto  in  quantita'  superiore  a  quella  media
 giornaliera.
    In vaglio della Basilicata il 17 ottobre 1990.
    Danzi  Michele e' stato tratto a giudizio per rispondere del reato
 di cui all'art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990,  n.  309,  testo  unico
 delle  leggi  in  materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze
 psicotrope, introdotto dall'art. 14 della legge 26  giugno  1990,  n.
 162,   in   relazione   agli   artt.  75  e  78  del  citato  d.P.R.,
 corrispondenti rispettivamente agli artt. 71, 72 e
  72-quater della legge 22 dicembre 1975,  n.  685  (disciplina  degli
 stupefacenti  e  sostanze  psicotrope),  come modificata dalla citata
 legge n. 162/1990, per aver detenuto illecitamente eroina  contenente
 mg  154 di principio attivo, pertanto in quantita' superiore a quella
 media giornaliera, sancita dal d.m.  12  luglio  1990,  n.  186,  cui
 rinviamo  -  per  la  determinazione  della  dose  media  giornaliera
 consentita - gli artt. 75 e 78 del  citato  d.P.R.  (72  e  74-quater
 della legge), di 100 mg.
    Consulenza tecnica neuropsichiatrica, disposta dal p.m. inquirente
 al  fine  di  evidenziare  "il  fabbisogno giornaliero di eroina" del
 Danzi,  affermava  che  "il  soggetto,  facendo  uso  di   una   dose
 giornaliera del tipo di quella esaminata .. assume un quantitativo di
 eroina intorno ai 170 mg/die".
    A  conclusione del dibattimento, il tribunale ha ritenuto di dover
 rimettere a codesta Corte la questione di legittimita' costituzionale
 degli artt. 71, 72 e 72-quater della legge 22 dicembre 1975, n.  685,
 siccome   modificata   dalla   legge   26   giugno   1990,   n.   162
 (corrispondenti, rispettivamente, agli artt. 73, 75 e 78 del  t.u.  9
 ottobre  1990,  n.  309),  in  relazione  agli  artt.  3  e  32 della
 Costituzione.
    Ad avviso del collegio, infatti, l'art. 71 viola le  citate  norme
 costituzionali  nei  limiti  in  cui  sottopone  a sanzione penale la
 detenzione, in quantita' superiori alla "dose media giornaliera",  di
 sostanze stupefacenti destinate al consumo.
    Secondo l'art. 71 della legge n. 162/1990 (corrispondente all'art.
 73  del  citato  d.P.R.),  la "dose media giornaliera" (d.m.g.) e' il
 limite quantitativo massimo oltre il quale la detenzione a  qualsiasi
 titolo  della  sostanza  stupefacente  costituisce  reato.  L'art. 72
 (corrispondente all'art. 75 del d.P.R.), demanda "ai criteri indicati
 al primo comma dell'art. 72-quater" (corrispondente all'art.  78  del
 d.P.R.)  la  determinazione  della  d.m.g. Quest'ultimo articolo che,
 secondo la rubrica, disciplina la "quantificazione  delle  sostanze",
 demanda  a  sua volta a un decreto del Ministro della sanita', previo
 parere dell'Istituto superiore di sanita', di determinare:
       a) le procedure  diagnostiche  e  medico-legali  per  accertare
 l'uso abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope;
       b)  le  metodiche  per quantificare l'assunzione abituale nelle
 ventiquattro ore;
       c) i limiti quantitativi massimi di  principio  attivo  per  le
 dosi medie giornaliere.
    Il d.m. citato ha fissato in 100 mg la d.m.g. di eroina, limite al
 di  la'  del  quale,  per  il combinato disposto degli artt. 71, 72 e
 72-quater, la detenzione di sostanza stupefacente eroina e'  ritenuta
 illecita,    indipendentemente    dalle   caratteristiche   personali
 dell'assuntore,   in   particolare   della   quantita'    giornaliera
 abitualmente assunta dal singolo e specifico soggetto.
    Il  tribunale  muove  tre  censure  di  costituzionalita',  due in
 relazione alla presunta violazione dell'art.  3  della  Costituzione,
 una in relazione all'art. 32.
    Ritiene   innanzitutto  sussistere  un'ipotesi  di  disparita'  di
 trattamento di situazioni sostanzialmente analoghe fra  di  loro,  in
 relazione   al   discrimine,   fondato   sulla   d.m.g.,   fortemente
 penalizzante per  i  tossicomani  c.d.  pesanti  (il  cui  fabbisogno
 giornaliero e' superiore a quanto stabilito col decreto ministeriale)
 esposti     alla    sanzione    penale    pur    quando    mantengano
 l'approvvigionamento nei limiti del loro fabbisogno quotidiano, ed  i
 tossicomani  la  cui  soglia di tolleranza e' tutt'ora al di sotto di
 quel limite, e che  potranno  avvalersi,  rispetto  a  quelli,  della
 scriminante   prevista   nell'art.   72.   Volendo   ritenere,   come
 l'esperienza e la rilevazione pratica hanno dimostrato, che una delle
 caratteristiche della tossicodipendenza e' la  tolleranza,  cioe'  la
 necessita'  di  assumere  quantitativi  sempre  maggiori della stessa
 sostanza, il rilievo mosso puo' tradursi in un discrimine,  sotto  il
 profilo  del  diverso  trattamento  penale  della  detenzione per uso
 proprio  della  dose  giornaliera,   fra   consumatore   abituale   e
 consumatore occasionale o per cosi' dire iniziale.
    La questione, gia' posta all'attenzione della Corte costituzionale
 con  ordinanza del 12 ottobre 1990 del tribunale di Roma, formalmente
 in relazione alla violazione del principio  di  offensivita'  (nullum
 crimen sine danno) e della riserva di legge (nullum crimen sine lege)
 in  ordine  alle  fattispecie  penali (art. 25 della Costituzione), e
 ritenuta infondata dalla Corte stessa, nella pronuncia  n.  333/1991,
 intercorsa  nelle  more  del  deposito  della presente ordinanza, con
 riferimento ai profili di ragionevolezza ed offensivita', nonche'  al
 profilo  della  riserva di legge, non appare esaminata ne' risolta in
 relazione al profilo indicato.
    E' necessario, quindi, ritornare sull'argomento.
    Nel corso del dibattito parlamentare il governo e  la  maggioranza
 avevano  mostrato  di  annettere  grande  importanza  alla dimensione
 personalizzata di stupefacenti.
    Nella  seduta  del  Senato  del  28  novembre  1989  il   Ministro
 guardasigilli,  nel  preannunciare  l'introduzione  della  norma  che
 prevede i criteri per la definizione  della  d.m.g.,  afferma:  "cio'
 dovrebbe eliminare le lamentate equivocita' ed incertezze interpreta-
 tive  a  cui il testo attuale potrebbe dar luogo circa il riferimento
 oggettivo-soggettivo, cioe' personalizzato, della d.m.g.".
    A  sua  volta  il  relatore  Condorelli,  replicando   ad   alcuni
 interventi  critici  secondo  i  quali  la  sostituzione della modica
 quantita' con la  d.m.g.  avrebbe  lasciato  le  cose  come  stavano,
 afferma:  "Non  e'  affatto  vero,  si  tratta di una soluzione molto
 differente. Oggi la scriminante tra lo spacciatore ed il  consumatore
 e'  rappresentata  da  un  mero  fatto  quantitativo: il peso. Con la
 d.m.g. no, c'e' una perizia medica sulla  persona,  un  accertamento,
 che stabilisce innanzitutto se il soggetto e' un tossicodipendente ..
 ci   sara'  una  valutazione  globale,  medico-legale,  condotta  dai
 sanitari,  che  potra'  valutare  l'esigenza  di  droga  dei  singoli
 soggetti  ..  ad  esempio  un  soggetto  puo'  aver  bisogno di cento
 milligrammi di eroina, ma un altro potrebbe aver bisogno di  assumere
 anche 5 grammi ..".
    I punti a) e b) dell'art. 72-quater, citati, avevano rilievo nello
 schema  del  disegno  governativo  in  quanto riferiti al consumatore
 abituale, per il  quale  la  dose  consentita  era  determinabile  in
 riferimento  a quella abitualmente ed affettivamente assunta nelle 24
 ore. Il diverso concetto di d.m.g. era introdotto per  la  detenzione
 da parte del consumatore occasionale.
    Senonche'  nel  testo  definitivo  della  legge la distinzione tra
 assuntore occasionale ed assuntore abituale e'  venuta  a  cadere.  A
 modifica  del  testo  originario, la legge n. 162/1990 unifica in una
 sola  figura  l'assuntore  abituale  a  quello  occasionale,  creando
 un'unica  fattispecie  di  illecito  sulla  soglia quantitativa della
 d.m.g. I punti a) e b)  dell'art.  72-quater  sono  percio'  divenuti
 irrilevanti per la cognizione dell'illecito ed e' solo il punto c) ad
 essere chiamato in causa.
    Quanto  al  punto  c),  al  silenzio della legge n. 162/1990 hanno
 fatto seguito le sommarie indicazioni contenute in calce  al  decreto
 ministeriale citato, che aggiunge all'elenco dei "limiti quantitativi
 massimi  di  principio  attivo  per  le  d.m.g." poche righe di "note
 esplicative". Si apprende cosi' che le quantita' riportate sono state
 "individuate sulla base  dei  dati  epidemiologici  relativi  all'uso
 abituale". Peraltro non e' fornita alcuna precisazione per permettere
 di risalire ai criteri adottati per la individuazione dei dati.
    Sicche'  il richiamo ad una entita' media dovrebbe far riferimento
 ad un dato statistico, cioe'  alla  quantita'  complessiva  consumata
 quotidianamente  dall'insieme  di  consumatori  di  una data sostanza
 stupefacente,  divisa  per  il  numero  dei  consumatori  stessi.  Ma
 potrebbe  essere altresi' la media aritmetica fra il dosaggio massimo
 registrato, da parte di un consumatore per c.d. all'ultimo stadio, ed
 il dosaggio minimo di un assuntore al primo impatto con  la  sostanza
 stupefacente.  O  ancora,  come  riferisce  la commissione di esperti
 dell'Universita' La Sapienza, all'uopo nominata  dal  Ministro  della
 sanita', "le quantita' giornaliere che, secondo l'esperienza maturata
 presso  i servizi di assistenza sanitaria dei tossicodipendenti .. le
 segnalazioni provenienti dall'I.S.S. e le statistiche  dei  sequestri
 effettuati dalle forze di polizia, sono consumate dalla maggior parte
 dei tossicodipendenti di grado medio nell'arco delle 24 ore".
    Questo e' il punto.
    La  legge, cosi' come formulata, discrimina il medio assuntore (e,
 a fortiori, l'assuntore occasionale od  iniziale),  mentre  penalizza
 chi  invece  si  e' assestato su consumi superiori alla media. Il che
 puo' dipendere da condizioni oggettive o soggettive (la modalita' del
 consumo,   la   forma   dell'assunzione,   le   condizioni    fisiche
 dell'assuntore,  la carriera tossicomanica del predetto) in ogni caso
 del tutto estranee alla ratio della norma incriminatrice. Di tanto si
 e' resa  conto  la  Corte  costituzionale,  nella  citata  pronuncia,
 allorche'  ha affermato che " .. il criterio della lett. c) del primo
 comma dell'art. 78 va coordinato con i precedenti criteri  sub  a)  e
 b), giacche' l'art. 75 richiama tutto il contenuto del suddetto primo
 comma  e  non gia' solo la lett. c) .. In sostanza .. il criterio sub
 c) .. va integrato con quelli sub a) e b) (di contenuto  strettamente
 tecnico-scientifico), nel senso che questi ultimi due - che nel testo
 dell'originario  disegno  di  legge  erano  deputati a specificare il
 criterio della dose media "personalizzata"  prevista  per  l'abituale
 assuntore  di  sostanze stupefacenti - oggi conservano egualmente una
 loro funzione in  quanto  indicano  all'autorita'  amministrativa  le
 metodiche  per  stabilire  quale  sia il consumo abituale di sostanze
 stupefacenti che  consentano  di  pervenire  attraverso  campionature
 statistiche a conoscere un panorama di dati individuali da utilizzare
 per  quantificare  la  misura  "media",  secondo criteri obiettivi di
 valutazione, non senza peraltro nascondersi che " .. tali criteri  ..
 presentano   margini   di   opinabilita'   e   non   conducono   alla
 individuazione di risultati del tutto sicuri e precisi" e  stimolando
 "il  potere-dovere  del  giudice  ordinario  di disapplicare nel caso
 concreto la fonte normativa integratrice secondaria .. dato il potere
 di disapplicazione dell'atto amministrativo illegittimo  che  compete
 all'autorita'    giudiziaria",    ove    evidentemente    l'autorita'
 amministrativa non abbia correttamente applicano i criteri  indicati,
 vale  a  dire  sia pervenuta a formulare l'entita' della d.m.g. senza
 applicare correttamente gli altri due criteri indicati.
    Il problema non cambia o, come suol dirsi in gergo,  la  pronuncia
 della Corte costituzionale e', sul punto, tautologica.
   Si   puo'  ritenere  infatti  che  il  decreto  ministeriale  abbia
 correttamente applicato i criteri di cui ai citati punti a)  e  b)  e
 sia   pervenuta   alla   corretta  individuazione  della  dose  media
 giornaliera di un medio-assuntore.
    Resta  da  spiegare perche' il consumo, e quindi aprioristicamente
 la detenzione per uso personale, da parte di un assuntore  non  medio
 debba, di per se', essere penalmente sanzionato.
    A  meno che non si voglia differenziare un uso smodato di sostanze
 stupefacenti da un uso per c.d. entro  limiti  di  tolleranza,  cosi'
 pero'  urtando proprio contro il fenomeno della tolleranza alle sost.
 stup., da parte  dell'assuntore,  che  lo  porta  gradatamente  verso
 quantitativi   maggiori  per  ottenere  gli  stessi  effetti,  in  un
 crescendo che non dipende dalla sua volonta', o almeno  non  piu'  di
 quanto  lo  stesso consumo non sia il frutto della sua dipendenza. La
 verita' e' che i concetti di dose media giornaliera di cui  al  punto
 c) e di quantificazione dell'assunzione abituale nelle 24 ore, di cui
 al  punto  b)  sono fra di loro antitetici, l'uno essendo riferito ad
 una previsione generale ed astratta, verificabile a  priori,  l'altro
 al  caso  concreto, da verificarsi a posteriori, caso per caso, e non
 necessariamente coincidenti, nella pratica, come nel caso di specie.
    Danzi Michele e' stato trovato in possesso di 154  mg  di  eroina,
 quantita'  superiore  alla  d.m.g.  consentita  di  100  mg,  e pero'
 inferiore a quella che, a detta del perito, e'  la  dose  giornaliera
 che  abitualmente egli assume o, e' il caso di dire, gli necessita in
 relazione al suo grado e stadio di tossicodipendenza. In  assenza  di
 altri  elementi  che  facciano  ritenere  che la detenzione di quella
 sostanza, o anche solo dell'eccedenza rispetto alla  d.m.g.,  fossero
 destinate  ad  uso  di  terzi,  ma  anzi  in presenza di elementi che
 comprovano la destinazione ad uso  proprio  della  sostanza  detenuta
 (accertata  precorsa tossicodipendenza; rinvenimento del Danzi ad ora
 notturna,  in  luogo  solitario,  solo  a  bordo  della   sua   auto;
 contenimento  della sostanza repertata in un'unica bustina; accertata
 tolleranza del Danzi alla quantita' sequestrata), applicare al  Danzi
 la   sanzione  penale,  come  la  norma  imporrebbe,  equivarrebbe  a
 sanzionare l'imputato, quale detentore per uso personale, cioe' quale
 consumatore.
    Ed e' questo il nodo che la Corte costituzionale deve  sciogliere,
 avendolo  semplicemente  rinviato  con  una  motivazione  anodina che
 sembra piuttosto  preoccupata  di  non  affrontare,  nel  merito,  la
 questione  che  sta  a  monte  della innovazione normativa introdotta
 dalla legge n. 162/1990 e che rimane latente pur  nel  rinvio,  fatto
 con  gli  artt.  72  e  72-quater, per l'individuazione dei limiti di
 liceita' della detenzione.
    E' noto infatti che la legge n. 162/1990 e' maturata dal contrasto
 tra i sostenitori di un orientamento proibizionista, volto a  colpire
 in  modo  indifferenziato  il  consumo di stupefacenti e quelli di un
 orientamento antiproibizionista che, sia pure in forme diverse, hanno
 inteso mantenere l'impunita' del consumo e  quindi  della  detenzione
 per uso personale.
    La  d.m.g.  e'  il  frutto  di tale compromesso, creando una linea
 spartiacque nell'ambito dei consumatori, e quindi essa  stessa  -  in
 ultima  analisi  -  una  forma  di disincentivazione del consumo, uno
 strumento di lotta al consumo.  Sotto  tale  profilo,  il  senso  del
 concetto  di  d.m.g.  e'  che  non  si  punisca  per  uso  moderato o
 occasionale di sost. stup., mentre viene fornito  un  uso  smodato  o
 cronico  o,  il che e' lo stesso, che tra il divieto del consumo e la
 sua punibilita' si e' adottata la soluzione intermedia di un  divieto
 per  quantita' maggiori di una fascia per c.d. di tolleranza, appunto
 la d.m.g., come se il consumo al di  sotto  di  quella  fascia  fosse
 socialmente o individualmente tollerabile, e sopra no.
    Ma,  se pure la norma puo' avere una sua giustificazione sul piano
 degli orientamenti politico-criminali o anche solo etici  o  sanitari
 che  il  legislatore  ha  inteso coltivare, non lo ha in relazione ai
 principi costituzionali che regolano la materia della responsabilita'
 penale.
    Se ratio della norma e'  di  sanzionare  non  il  consumo  ma,  la
 detenzione  di  sostanze  eccedenti  lo stretto necessario al proprio
 fabbisogno, per il pericolo che tale eccedenza possa essere destinato
 ad uso dei terzi, la previsione di una dose  media  giornaliera  crea
 un'ingiusta    e    ingiustificata   sperequazione   fra   situazioni
 sostanzialmente analoghe, nel  senso  di  equiparare  il  consumatore
 abituale, o consumatore piu' "incallito" rispetto al medio assuntore,
 al  detentore  per  uso  di  terzi, in altre parole allo spacciatore,
 mentre  il  medio  assuntore  resta  pur  sempre  detentore  per  uso
 personale.  Se, viceversa, si vuol colpire il consumo, il legislatore
 lo dica chiaramente e lo faccia senza porre  distinzioni.  Affermare,
 come fa la Corte costituzionale, che " .. sanzionata penalmente e' la
 detenzione  (e  non  gia'  il  consumo) .. condotta di per se' stessa
 connotata  dal  carattere   dell'offensivita'   ..",   tradisce   una
 considerazione pratica, assolutamente inopinabile; la detenzione o e'
 per  uso  personale ed allora coincide giuridicamente con il consumo,
 e' preliminare e  prodromica  al  consumo,  che  senza  di  essa  non
 potrebbe materialmente essere attuata, non potrebbe essere ipotizzata
 se  non  nella  poca  verosimile situazione della somministrazione da
 parte di terzi a soggetto inconsapevole (viceversa sussisterebbe  pur
 sempre  il  concorso  in  detenzione); o e' per uso di terzi, cioe' a
 fine di spaccio. Un terzium genus e' fuori della realta', e' una pura
 esercitazione dialettica.
    La riprova di cio' sta  nell'attuale  previsione  di  reato  anche
 dell'avvenuto  consumo  di  sost.  stup.  in quantita' superiore alla
 d.m.g.
    Vi puo' essere, per ipotesi, una detenzione sia  pure  finalizzata
 al  consumo  di  una  quantita'  eccedente  la  dose  di  cui  si  fa
 abitualmente uso.
    In tal caso non sorge problema, l'eccedenza, per  il  pericolo  di
 destinazione  a  terzi,  e'  giuridicamente  illecita,  ed equivale a
 detenzione per uso di terzi.  Ma  non  e'  questa  l'ipotesi  che  ci
 interessa.
    Quella  di  cui  si disdetta e' l'ipotesi inversa, e' la quantita'
 detenuta perche' destinata al proprio reale fabbisogno, se, non,  che
 si  e'  gia'  consumata  ma eccedente i limiti quantitativi stabiliti
 nelle forme gia' viste.  Qui  "l'offensivita'  della  detenzione"  e'
 tutta  da  dimostrare,  se  non  nel  senso,  l'unico che si riesca a
 trovare, che offensivo e' proprio il consumo, rectius: il consumo  in
 una   misura   cosi'   degradata,   un   consumo  cosi'  intenso  e/o
 radicalizzato.
    Sul piano pratico, si puo' anche essere d'accordo, ma non certo su
 quello  giuridico   ne',   men   che   mai,   su   quello   giuridico
 costituzionale.
    Al  consumo  di sostanze stupefacenti non puo' essere applicato un
 sistema sanzionatorio che tenga conto dell'entita' del consumo o,  il
 che  e'  lo  stesso,  un sistema diverso in relazione all'entita' del
 consumo, perche', avuto riguardo  alla  personalita'  dell'assuntore,
 ogni consumo e' uguale a se' stesso.
    Ed in questo, esattamente, sta il lamentato vizio di disparita' di
 trattamento;  a  parita'  di  condizioni (consumatore = consumatore),
 l'ordinamento applica un trattamento normativo impari.
    Si potrebbe obiettare,  in  extremis,  che  al  giudice  ordinario
 resterebbe  pur  sempre  la  facolta'  di disapplicare il d.m. che ha
 individuato in 100 mg la d.m.g. di Danzi Michele, e ritenere  che  la
 d.m.g.  di  detto  imputato  e'  di  170  mg, cosi' come rilevato dal
 consulente tecnico, mandando cosi' assolto lo stesso dall'imputazione
 ascrittogli o dichiarandolo  non  punibile  ai  sensi  dell'art.  72.
 Orbene,  posto  che la valutazione dell'atto amministrativo - come ha
 giustamente osservato la Corte costituzionale -  dovrebbe  riguardare
 la  corretta  applicazione  di criteri di individuazione della d.m.g.
 (criteri che, come  detto,  potrebbero  pure  essere  stati  adottati
 correttamente),  v'e'  da  dire  che  cio'  che  osta  ad  una simile
 soluzione non  e'  tanto  il  d.m.  citato,  ma  proprio  il  sistema
 normativo  formato dal combinato disposto degli artt. 72 e 72-quater,
 lett. c), che in ogni caso introduce il concetto di dose media.
    Quella individuata dal consulente tecnico, e  che  costituisce  la
 linea  di  demarcazione  fra comportamenti penalmente rilevanti e non
 ascrivibili al Danzi, non e' gia' la dose  media  giornaliera  -  nel
 senso  su  indicato - del Danzi, bensi' la dose abituale giornaliera,
 che e' concetto ben diverso, se non antinomico, come sopra detto.
    Senza la previsione del d.m., la norma della legge n. 162/1990 non
 e' interpretabile, giacche' introduce, agli  artt.  72  e  72-quater,
 lett.  c),  un  inciso  che non avrebbe senso alcuno, e che contrasta
 irresolubilmente con il sistema regolato alle lettere a) e  b)  dello
 stesso articolo. In altri termini, il discrimine della punibilita' e'
 dato  proprio  dal concetto di "media", per un consumo che dipende da
 molte variabili, primo fra tutte il grado di assuefazione.
    Di tal che, una corretta rilettura della norma  ed  una  revisione
 della  stessa  in  relazione ai principi della Costituzione, dovrebbe
 prevedere la dieresi dell'inciso contenuto nell'art. 72-quater, lett.
 c). In tal modo il limite della liceita' penale  fonderebbe  non  sul
 dato quantitativo prefissato (la d.m.g. nell'accezione licenziata dal
 legislatore),  ma  sulla  dose  media  personale  (cioe'  sulla  dose
 abituale) giornaliera, da valutarsi volta per volta, sia pure con  le
 diagnostiche indicate o da indicarsi sulla base di quanto previsto ai
 punti   a)  e  b)  dell'art.  72-quater,  e  quindi  con  margini  di
 discrezionalita' da parte dell'autorita' procedente.
    A meno di non  voler  ripristinare  l'originaria  distinzione  tra
 consumatore  abituale  ed  occasionale,  e  la correlativa disciplina
 fondata sulla dose abituale, per l'uno, e dose media per l'altro.
    Cosi' come e' formulata, la soglia della d.m.g. preclude qualsiasi
 valutazione sulla condotta  integrante  l'illecito,  cosi'  come  sul
 passaggio automatico tra fattispecie delittuosa (art. 71) e non (art.
 72).
    La  previsione  normativa  di  cui  si  denuncia in via principale
 l'incostituzionalita', e' pertanto quella che fonda il discrimine del
 penalmente rilevante sulla d.m.g., desunta  in  relazione  non  della
 dose  abituale  giornaliera  di ciascun singolo assuntore (art. 72 in
 relaz.  all'art.  72-quater,  lettere  a)  e  b), ma dei quantitativi
 massimi di principio attivo (art. 72 in  relaz.  all'art.  72-quater,
 lett. c)).
    Il  secondo  profilo di incostituzionalita' riguarda la violazione
 del principio di ragionevolezza, in contrasto  ancora  con  l'art.  3
 della Costituzione.
    L'art. 72-quater, lett. c), non pone limiti di peso alla quantita'
 lecitamente detenibile (nel qual caso i classici avrebbero pur sempre
 eccepito che reus non habet stateram), ma limiti quantitativi massimi
 di  principio  attivo,  che  sono  verificabili solo con metodiche di
 laboratorio, peraltro complesse.
    E' noto che nel mercato clandestino, l'eroina si trova allo  stato
 puro solo per grossi quantitativi; nel mercato a minuto, quello cioe'
 cui  attingono  i  consumatori, l'eroina c.d. da strada non viene mai
 venduta allo stato puro ma unitamente alle  sostanze  da  taglio  che
 variano,  di volta in volta, da percentuali che vanno dall'1% al 100%
 (ipotesi  -  quest'ultima  -  non  infrequente  di  truffe  ai  danni
 dell'acquirente).  La conseguenza e' che, proprio per quantitativi al
 limite  della  d.m.g.,  sulla  base  del  mero  criterio  chimico  e'
 impossibile  dire  se si e' in presenza di una fattispecie criminosa,
 cioe'  al  di  la'  o  al  di  qua  della  d.m.g.:  porre  a   carico
 dell'acquirente  l'onere  di  conoscere,  al  momento dell'acquisto e
 della conseguente detenzione, la quantita' di principio attivo,  data
 l'assoluta  etereogenita'  del prodotto e l'impossibilita' pratica di
 una verifica personale, equivarrebbe infatti a far dipendere dal caso
 o,  peggio  ancora,  da  terzi  (nella  specie,  lo  spacciatore)  la
 responsabilita'  penale  dell'assuntore,  e  cio'  in  contrasto  col
 principio costituzionale per il quale la  responsabilita'  penale  e'
 personale,  anche  qui si creerebbe una disparita' di trattamento fra
 consumatori, in ragione della diversa quantita' di  principio  attivo
 presente  nelle  dosi  in  loro  possesso, eventualmente a cavallo di
 quella consentita  con  la  d.m.g.,  e  cio'  nonostante  il  fine  o
 l'utilizzo  per  uso  personale  delle  sostanze  stupefacenti  cosi'
 detenute.
    Anche tale problematica puo' ritenersi introdotta dalla  legge  n.
 162/1990, sia perche' la modica quantita' prevista dall'abrogato art.
 80 della legge n. 685/1975 era pur sempre immediatamente valutabile o
 - quanto meno - riducendosi ad una questione di entita' quantitativa,
 apprezzabile    dal    detentore/consumatore,    sia    perche'    la
 qualificazione, per i profili di liceita' ad essa correlati, era  pur
 sempre  discrezionale  ed affidata ad un corretto esame, da parte del
 giudice,   delle   circostanze   soggettive   (condizioni   personali
 dell'assuntore)  e  oggettiva  (circostanze  di tempo e di luogo) che
 caratterizzavano la detenzione.
    Il concetto di d.m.g. ha invece  introdotto  un  limite  rigido  e
 invalicabile  (100 mg, nel caso dell'eroina) da parte del detentore e
 dello stesso giudice, che dovrebbe applicare la sanzione  penale  pur
 in assenza di uno degli elementi del reato, l'elemento soggettivo. La
 detenzione di sostanza stupefacente con quantita' di principio attivo
 superiore alla d.m.g. in altri termini, fondando sulla presunzione di
 conoscenza  di  detta quantita' da parte del detentore, costituirebbe
 un'ipotesi di responsabilita' oggettiva o introdurrebbe una forma  di
 colpa d'autore; l'una e l'altra vietate dal nostro ordinamento.
    Anche   di   tale   incongruenza   si  e'  resa  contro  la  Corte
 costituzionale, nella citata  pronuncia,  allorche'  -  in  relazione
 all'ipotesi  che  la eccedenza eventualmente accertata sia di modesta
 entita' - ha affermato  che  la  "condotta  incriminata  deve  essere
 investita   dal   dolo  (essendo  insufficiente  la  mera  colpa  con
 previsione); cioe' e' necessario  che  l'agente  sia  consapevole  di
 detenere  una  quantita'  totale  di  sostanza  stupefacente tale che
 contenga  una  quantita'  di  principio  attivo  superiore  a  quella
 tabellata  nel citato decreto ministeriale. Di guisa che, ad esempio,
 nell'ipotesi in  cui  il  soggetto  tossicodipendente  o  tossicofilo
 acquisti una quantita' di droga che normalmente contiene un principio
 attivo  inferiore  a  quello  di  legge, ma che per avventura risulti
 essere particolarmente pura e quindi ricca  di  principio  attivo  in
 misura   superiore   a   quella   di   legge,   potrebbe  mancare  la
 consapevolezza del superamento della soglia di punibilita'  e  quindi
 il dolo e, per esso, il reato stesso".
    La  soluzione prospettata dalla Corte costituzionale non soddisfa,
 rischia di innescare  problematiche  piu'  complesse  di  quella  che
 intende  superare,  dimostra  di  disconoscere  come  si spiega nella
 prassi il fenomeno della circolazione  dello  stupefacente:  in  ogni
 caso  e'  in antitesi con la certezza del diritto che si impone (art.
 25 della Costituzione) nel campo della responsabilita' penale.
    Se  si  dovessero  discernere  i  casi   in   cui   la   eccedenza
 eventualmente  accertata  sia di modesta entita', rispetto ai casi in
 cui tale entita' modesta non sia, sarebbe d'uopo  onde  garantire  la
 riserva  di legge in materia penale e ritenere soddisfatta l'esigenza
 di  predeterminazione  del  contenuto  essenziale  della  fattispecie
 penale  (art.  25  della  Costituzione) stabilire aprioristicamente i
 limiti di tolleranza di tale eccedenza (ad es., stabilita in  100  mg
 la  quantita' di principio attivo lecitamente detenibile, si dovrebbe
 ritenere  che  fino  a   120   mg   l'assuntore/detentore   ignorasse
 l'eccedenza);  per  ciascun  limite  fissato si riproporrebbe il tema
 negli stessi identici termini (per stare all'esempio  di  cui  sopra,
 sarebbe  irragionevole  e discriminatorio sanzionare la detenzione di
 sostanza stupefacente con una quantita' di principio attivo di 130 mg
 di eroina), di tal che spostando ogni volta  il  limite,  in  entita'
 modesta,  rispetto  a  quello  precedentemente  ritenuto ragionevole,
 ribaltando il paradosso filosofico secondo cui Achille non  puo'  mai
 raggiungere  la  tartaruga,  dovrebbe concludersi per l'impunita' del
 detentore, quale che sia  la  quantita'  di  principio  attivo  della
 sostanza detenuta, sempre e comunque.
    Alla   stessa   conclusione  dovrebbe  pervenirsi  se  si  dovesse
 ricercare, come suggerito dalla pronuncia indicata, il dolo, cioe' la
 coscienza e volonta' non solo di detenere  sostanza  stupefacente  in
 quantita'  sufficiente per la dose da assumere nelle 24 ore, ma anche
 di detenere una sostanza contenente una quantita' di principio attivo
 superiore a quella tabellata nel d.m. Una diabolica probatio  in  tal
 senso   dovrebbe   escludere   sempre   la   responsabilita'   penale
 dell'imputato,  o  la  sua  punibilita',  e  cio'  per  la   seguente
 considerazione:  tanto e' vero che l'acquirente/detentore ignora, ne'
 e' in grado di conoscere, la quantita' di principio attivo  contenuto
 nell'eroina   da  strada,  che  le  morti  per  over-dose,  purtroppo
 quotidiane  nel  mondo  della  tossicodipendenza,  sono  proprio   la
 conseguenza di tale mancata previsione.
    Gli   acquisti   non   vengono   effettuati  sempre  dallo  stesso
 spacciatore; i  tagli,  anche  ad  opera  dello  stesso  spacciatore,
 variano  in  funzione  di  diverse  variabili  (quantita' di sostanza
 stupefacente reperibile, volta  per  volta,  dal  proprio  fornitore;
 operazione  di  polizia  che  incidono  sulla  quantita'  circolante;
 variazione in funzione del  rapporto  tra  domanda  e  offerta);  gli
 stessi  spacciatori possono vantare le stesse incertezze, variando le
 incognite indicate in funzione delle partite di  droga  loro  fornite
 dai  fornitori,  e cosi' via in una graduazione sempre crescente fino
 al vertice della piramide distributiva e, in ultima analisi, fino  al
 produttore,  sul quale gravano pur sempre le incognite della "bonta'"
 del raccolto e delle successiva raffinazione.
    Insomma, la quantita' di principio attivo e'  elemento  valutabile
 solo  a  posteriori  (esattamente come dice di aver fatto il Ministro
 della  sanita'  sulla  base  di   dati   epidemiologici,   acquisiti,
 analizzati e valutati) e giammai a priori.
    Quello   che  il  detentore  puo'  valutare,  e'  se  la  sostanza
 corrisponde  al  suo  fabbisogno  reale  e   giornaliero;   ma   tale
 valutazione  e'  empirica  ed  approssimativa,  e  talvolta si rivela
 drammaticamente errata.
    Voler  fondare,  come  fa  il  legislatore  del  1990,  sul   tale
 conoscenza  la  responsabilita'  penale,  equivale  a  porre a carico
 dell'assuntore, ancora una volta, l'imponderabile del suo agire.
    E cio' coincide  esattamente  con  i  piu'  evidenti  principi  di
 irragionevolezzaed    arbitrarieta',    che   trovano   nel   dettato
 costituzionale un limite invalicabile.
    Per ridare funzionalita' e ragionevolezza al sistema e ridurre  la
 materia  in  oggetto  nell'ambito  della legalita' costituzionale, il
 discrimine fra il punibile (detenzione per uso di  terzi)  e  il  non
 punibile  (consumo)  deve  fondare  non  su  arbitrarie  e  generiche
 equazioni tra quantita', ma sulla realta', da  accertarsi  secondo  i
 criteri   propri   dell'accertamento   giudiziario,  applicando  quei
 coefficienti  di  discrezionalita'  che  impone  l'esame   dei   casi
 concreti.
    Un  ultimo  profilo  di  incostituzionalita' e' infine ravvisabile
 nella  violazione,  da  parte  del  sistema  normativo  composto  dal
 combinato  disposto  dagli  artt.  71,  72  e  72-quater,  lett.  c),
 dell'art. 32 della Costituzione, che tutela il diritto alla salute.
    E' noto come il sistema normativo introdotto dal  legislatore  del
 1975,  e  rimasto  sostanzialmente  invariato pur dopo la riforma del
 giugno 1990, e' orientato da un lato ad un  sistema  progressivamente
 sanzionatorio nei confronti di ogni traffico di sostanze stupefacenti
 (e,  in tal senso, da ultimo, dello stesso consumo, per il quale sono
 pur  sempre  previsti  sanzioni  alternative  a  quelle   penali   e,
 successivamente,  sanzioni  penali vere e proprie), dall'altro ad una
 tutela di ogni condizione di tossicodipendenza, che si risolve in  un
 programma  di vero e proprio recupero, riabilitazione e reinserimento
 sociale dell'assuntore. Il diritto alla salute del tossicodipendente,
 affermato in via generale  ed  astratta  dalla  norma  costituzionale
 (art.  32),  ha  trovato  e  trova  anzi  espressione  cogente  nella
 normativa  espressa  dalla  legge  n.  685/1975,  pure   nell'attuale
 formulazione.
    E'  noto  altresi'  che  il trattamento carcerario previsto per il
 tossicodipendente che delinque  non  solo  non  consente  di  attuare
 alcuno  dei  piani  di  recupero  previsti  dalla  legge - pur con la
 creazione,  negli  istituti  di  pena,  di  rami   speciali   per   i
 tossicodipendenti  da  avviare,  all'interno  del  carcere, ai citati
 programmi - ma anzi si pone in termini di  assoluta  incompatibilita'
 con   i   programmi   stessi.  E  cio'  si  evidenzia  non  solo  per
 l'inconciliabilita' concettuale fra detenzione e riabilitazione (e, a
 maggior ragione, reinserimento sociale), ma per  il  dato  statistico
 pressoche'   certo   della  ricaduta  del  soggetto,  a  carcerazione
 ultimata,   nell'assunzione   di   stupefacenti   e   quindi    nella
 tossicodipendenza (se non nel delitto medesimo).
    Di  tal  che  il sistema propugnato dalla complessiva normativa di
 disciplina degli stupefacenti e degli stati di tossicodipendenza - si
 e' sempre detto - contiene in se'  il  germe  di  una  contraddizione
 insanabile.
    Tale contraddizione, tra diritto alla salute del tossicodipendente
 e  responsabilita'  penale dello stesso per i reati sia pure connessi
 alla   tossicodipendenza,   ha   comunque   trovato   e   trova   una
 giustificazione  costituzionalmente  corretta  nel prevalere dell'una
 prerogativa  rispetto  all'altra,  in  un  contrasto  fra  situazioni
 costituzionalmente   garantite.  La  tutela  dell'ordine  pubblico  e
 sociale, infatti, non puo' non essere ritenuta prevalente e  primaria
 rispetto alla tutela del singolo cittadino.
    Altrettanto  non puo' dirsi allorche' le ipotesi conliggenti siano
 di pari dignita' costituzionale o, a maggior  ragione,  quando  l'una
 situazione  -  il  diritto  alla  salute  -  sia  preminente rispetto
 all'altra, il dovere alla salute o  comunque  la  tutela  dell'ordine
 sociale  che  si intenda violato con l'assunzione, previa detenzione,
 di una dose superiore a quella ipotizzata per il medio assuntore.
    Stando a quanto sopra  detto,  il  concetto  di  d.m.g.  e'  stato
 introdotto per disincentivare il consumo, i cui livelli di illeceita'
 si  sono  andati  ampliando rispetto alla previsione originaria della
 legge del 1975, e per diversificare forme di consumo  tollerabili  da
 altre  ritenute  intollerabili,  al  di  la'  del pericolo anche solo
 astratto,  di  trasmissione  a  terzi  delle  sostanze  detenute   in
 eccedenza ai limiti stabiliti dal legislatore.
    Il  riscontro obiettivo a tale valutazione del concetto di d.m.g.,
 si e'  detto,  e'  dato  dalla  circostanza  che,  con  l'innovazione
 normativa  del  1990,  si  e'  sanzionato  come  reato l'effettivo (e
 decorso) consumo di sostanze stupefacenti in quantita' superiore alla
 d.m.g.
    In  una  simile  ipotesi  il  carattere  dell'offensivita'   della
 detenzione,   che   costituisce   limite  alla  discrezionalita'  del
 legislatore penale (art. 25  della  Costituzione),  non  puo'  essere
 certamente  ricercato  nel pericolo di cessione a terzi (essendosi la
 detenzione esaurita con il consumo da parte del detentore), ne' nella
 pura e  semplice  detenzione  (un  corrispettivo  del  possideo  quia
 possideo  di  civilistica  memoria),  ma evidentemente in quel limite
 soggettivo all'assunzione che si e' voluto  porre  per  frenare  ogni
 abuso  o  come linea di compromesso tra la punibilita' tout court del
 consumo e la sua totale impunibilita'.
    In tal senso riaffiorano i  riferimenti,  costanti  nel  dibattito
 parlamentare  che  ha  accompagnato  la  riforma  normativa in esame,
 all'uso del casco per i motociclisti e delle cinture di sicurezza per
 gli  automobilisti;  al  divieto  degli  atti  lesivi  della  propria
 integrita'  fisica  previsto  dall'art.  5 del c.c., in generale alla
 salvaguardia della salute dell'assuntore di sostanze stupefacenti  ed
 ai trattamenti sanitari coattivi.
    Ma, se pure non si voglia parlare di dovere alla salute, quale ra-
 tio  sottostante  alla dedotta offensivita' della detenzione, per uso
 personale, di sostanza stupefacente in misura eccedente  alla  d.m.g.
 ("il  dovere  di  costruirsi  in modo da essere un bene sociale" rel.
 Casini, pag. 7), la ricerca della citata  offensivita'  va  fatta  in
 relazione  alla  "sicurezza sociale", gravemente compromessa dall'uso
 della droga, di cui sono vittima, oltre al tossicodipendente, "i suoi
 familiari, i suoi amici, la comunita' in cui egli vive,  la  societa'
 nel suo complesso" (rel. Casini, cit. p. 7).
    Che  lo stato di tossicodipendenza possa comportare i rischi sopra
 enunciati, e' innegabile.
    Due ordini di considerazioni pero' si impongono.
    Anzitutto perche' solo la detenzione, e la conseguente assunzione,
 di quantitativi superiori alla  d.m.g.  (e  non  pari,  o  inferiori)
 dovrebbe  far  ritenere lecita la sanzione penale?: e tale profilo e'
 gia' stato esaminato in relazione alla dedotta violazione dell'art. 3
 della Costituzione.
    Inoltre perche' mai la tutela  della  sicurezza  sociale  dovrebbe
 avere    prevalenza    sul    diritto   alla   salute   del   singolo
 tossicodipendente?
    E'  indubitabile  che  tale  prevalenza  debba  essere   affermata
 allorche'   la   condotta   del   tossicodipendente  si  esplichi  in
 comportamenti che sono di reale  aggressione  all'ordine  pubblico  e
 sociale,  allorche'  cioe'  egli  commetta  un reato. E, in tal caso,
 nulla quaestio.
    Ma, e' noto, vi sono tossicodipendenti che non vogliono  compiere,
 e  non  compiono,  reati  e ricorrono ai servizi medici e sociali per
 farsi  somministrare  cure  o  sostitutivi  leciti  e   gratuitamente
 forniti,  come  avviene nei centri ove e' distribuito il metadone; vi
 sono tossicodipendenti che non compiono reati e'  fanno  pesare  solo
 sulla  famiglia  il carico economico del loro bisogno di droga; altri
 che mantengono  la  integrazione  sociale,  che  lavorano  e  che  si
 riforniscono  di  droga col frutto della loro attivita'. E, quello di
 Danzi Michele, potrebbe rientrare tra tali ipotesi. In altri termini,
 la dipendenza dalla droga non prova che la droga e il mondo criminale
 sono indissolubilmente legati, ne' che vi sia un rapporto  diretto  e
 deterministico fra tossicodipendenza e criminalita' (in tal senso, G.
 De Leo "Esperienze di formazione e di ricerca sulle tossicodipendenze
 in una prospettiva psicosociologica" p. 203; G. De Leo "L'interazione
 deviante"  in "Tossicodipendenza e devianza" in "La Questione Droga",
 Milano 1982, p. 29-31).
    Potrebbe, in tali ipotesi ritenersi  che  vi  sia  un'esigenza  di
 tutela  sociale  o,  ammesso  che  vi sia, ch'essa sia cosi' ampia da
 essere preminente rispetto al diritto di Danzi Michele, non  gia'  di
 autodeterminazione  e  di assunzione di quantita' sempre crescenti di
 principio attivo di eroina, ma di vedersi applicare gli interventi di
 recupero,  riabilitazione  e  reinserimento  sociale,   anziche'   la
 sanzione penale comminata dal combinato disposto degli artt. 71, 72 e
 72-quater, lett. c)?
    Di  fronte alla totale mancanza di indizi di pericolosita' sociale
 (Danzi Michele e' incensurato, non vi sono  procedimenti  pendenti  a
 suo   carico   ne'   risulta  segnalato  dagli  organi  di  P.S.  per
 comportamenti   antisociali),   applicare    la    sanzione    penale
 all'imputato,  anziche'  trattamenti terapeutici socio-riabilitativi,
 costituirebbe grave violazione della legge penale (art. 323 del  c.p.
 in  relaz.  all'art.  72  bis  della  legge n. 685/1975), in evidente
 dispregio della norma costituzionale (art. 32) che tutela il  diritto
 alla salute.
    Anche  sotto  tale  profilo,  quindi,  si  deduce l'illegittimita'
 costituzionale delle norme indicate.
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ritenuto che  ai  fini  della  stessa  non  appare  manifestamente
 infondata  la  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 73
 del d.P.R. n. 309/1990 (art. 71 della legge 22 dicembre 1975  siccome
 modificata  dalla  legge  26 giugno 1990, n. 162), limitatamente alla
 parte in cui sanziona  la  detenzione  di  sostanze  stupefacenti  in
 misura  eccedente  i  limiti quantitativi massimi di principio attivo
 per le dosi medie giornaliere determinati, come previsto dagli  artt.
 75  e  78  del  citato  d.P.R. (72 e 72-quater, lett. c) della citata
 legge n. 685/1975) con decreto del Ministro della sanita'  12  luglio
 1990, n. 186, in relazione agli artt. 3 e 32 della Costituzione;
      che la stessa e' rilevante ai fini della decisione;
    Sospende il giudizio in corso;
    Ordina    l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
    Ordina  altresi'  che,  a  cura  della  cancelleria,  la  presente
 ordinanza sia notificata all'imputato, al difensore, al p.m. in sede,
 nonche'  al  Presidente  del  Consiglio  dei Ministri; inoltre che la
 stessa  venga  comunicata  ai  Presidenti  delle   due   Camere   del
 Parlamento.
      Potenza, addi' 22 aprile 1991
                    Il presidente estensore: SPAGNA
                                          I giudici: PALUMBO - DE LUCA
    Depositato in cancelleria il 28 settembre 1991.
      Il direttore di sezione di cancelleria: (firma illeggibile)

 92C0033