N. 1 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 ottobre 1991

                                 N. 1
 Ordinanza emessa il 24 ottobre 1991 dal tribunale di sorveglianza  di
 Ancona  nel  procedimento  di  sorveglianza,  relativo  ad istanza di
 liberazione anticipata nei confronti di Giampaolo Giovanni
 Ordinamento penitenziario - Beneficio della liberazione anticipata -
    Condannati  per  delitti  di  sequestro  di  persona  a  scopo  di
    estorsione  e  partecipazione  ad associazione di stampo mafioso -
    Possibilita' di concedere il beneficio solo in assenza di  attuali
    collegamenti  con  la criminalita' organizzata - Ritenuta ininflu-
    enza di tale condizione, peraltro difficilmente  verificabile,  ai
    fini  della concessione del beneficio da ritenersi semplice premio
    per la buona condotta  del  condannato  all'interno  dell'istituto
    penitenziario  - Ingiustificata disparita' di trattamento rispetto
    ad  altre  categorie  di   condannati   (per   omicidio,   rapina,
    estorsione,  ecc.)  per  i  quali  la concessione del beneficio e'
    subordinata a  condizioni  dal  punto  di  vista  probatorio  meno
    onerose  -  Prospettata  violazione  del  principio della funzione
    rieducativa della pena.
 (Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 4-bis, primo comma, prima parte,
    e successive modificazioni; d.-l. 13 maggio 1991, n. 152, art.  1,
    convertito in legge 12 luglio 1991, n. 203).
 (Cost., artt. 3 e 27).
(GU n.5 del 29-1-1992 )
                     IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
    Riunito  in  camera di consiglio per deliberare, in sede di rinvio
 dopo  annullamento  della  Corte  di   cassazione,   in   merito   al
 procedimento   inerente   all'istanza   di   riduzione  di  pena  per
 liberazione   anticipata,    pervenuta    presso    la    cancelleria
 dell'intestato  tribunale  di  sorveglianza  in  data  6 giugno 1990,
 presentata dal condannato Giampaolo Giovanni, nato il 2 novembre 1955
 a Locri (Reggio Calabria), domiciliato  in  Bovalino  Marina  (Reggio
 Calabria),  via  degli Oleandri, attualmente ristretto presso la casa
 circondariale  di  Firenze  Sollicciano  in  espiazione  della   pena
 detentiva   di   trenta   anni   di   reclusione,  siccome  inflitta,
 congiuntamente  a  quella  pecuniaria di L. 1.200.000 di multa, dalla
 Corte di assise di appello di Torino con sentenza pronunziata in data
 3 dicembre 1987, la quale acclarava  la  penale  responsabilita'  del
 prevenuto  in  ordine  ai reati di concorso in sequestro di persona a
 scopo di estorsione, in associazione per delinquere ed altro  (Organo
 dell'esecuzione: procura generale della Repubblica presso la Corte di
 appello di Torino) (f.p.: 16 ottobre 2012);
    Letta  l'istanza con cui Giampaolo Giovanni, meglio qualificato in
 epigrafe, chiedeva a questo collegio il  riconoscimento  del  proprio
 diritto  alla  concessione  di  una riduzione di pena per liberazione
 anticipata, ai sensi e per gli  effetti  del  disposto  dell'art.  54
 della  legge  26  luglio  1975,  n.  354  e successive modificazioni,
 commisurata all'intiero periodo detentivo sofferto;
    Esaminata l'ordinanza  n.  294/1990  l.a.  con  cui,  in  data  28
 febbraio  1991, questo tribunale di sorveglianza concedeva al prefato
 Giampaolo una riduzione di  giorni  540  (cinquecentoquaranta)  sulla
 pena in corso di esecuzione;
    Visto  l'atto,  depositato  presso  la  cancelleria dell'intestato
 tribunale di sorveglianza in data 16 marzo 1991, con cui  la  procura
 generale  della  Repubblica  presso  la  Corte  di  appello di Ancona
 presentava ricorso per cassazione avverso la summenzionata ordinanza;
    Letta la sentenza n. 2891 con cui, in data 26 giugno -  25  luglio
 1991, la prima sezione penale della Corte di cassazione accoglieva il
 ricorso  proposto  dalla  procura generale della Repubblica presso la
 Corte di appello di  Ancona,  provvedendo  ad  annullare  con  rinvio
 l'ordinanza n. 294/1990 l.a. del tribunale di sorveglianza di Ancona;
    In   esito   all'odierna  udienza,  svoltasi  nel  rispetto  delle
 formalita' di rito, ed a scioglimento della riserva nel  corso  della
 stessa formulata;
    Ascoltati  il  p.g.  ed il difensore d'ufficio del condannato, che
 concludevano come da separato verbale;
                          CONSIDERA IN FATTO
    Tratto in arresto in data 17  ottobre  1984,  siccome  colpito  da
 mandato  di cattura n. 625/1983 r.m.c. emesso in data 29 ottobre 1983
 dal giudice istruttore  presso  il  tribunale  di  Torino,  Giampaolo
 Giovanni,  meglio qualificato in epigrafe, veniva condotto innanzi al
 giudizio della Corte di assise di Torino, prima sezione, la quale, in
 esito all'apprezzamento della penale responsabilita' del pervenuto in
 ordine ai reati di concorso in omicidio aggravato,  in  sequestro  di
 persona  a  scopo  di  estorsione,  in associazione per delinquere ed
 altro, lo condannava alla pena detentiva di anni  30  di  reclusione,
 unitamente  inflitta a quella pecuniaria di L. 1.200.000 di multa (v.
 estratto della cartella biografica contenente la posizione  giuridica
 del  condannato,  in  atti);  il  prefato  dictum  di condanna veniva
 impugnato mediante appello: il  gravame  veniva  deciso,  in  data  3
 dicembre  1987,  dalla Corte di assise di appello di Torino, la quale
 confermava il verdetto emesso dai giudici di prime cure. La  condanna
 diveniva irrevocabile in data 30 novembre 1988.
    Associato  a  vari  istituti  del circuito penitenziario nazionale
 (casa circondariale Novara, casa circondariale Torino "Le  Vallette",
 casa  circondariale Torino "Le Nuove", casa circondariale Palmi, casa
 di  reclusione  di  Fossombrone,  casa  circondariale  Firenze),   il
 condannato   avanzava  una  istanza  intesa  all'ottenimento  di  una
 riduzione di pena  per  la  liberazione  anticipata,  commisurata  al
 periodo  detentivo sofferto dalla data di inizio dell'espiazione sino
 alla data  di  definizione  dell'istanza  stessa:  la  domanda  venne
 discussa  da questo tribunale di sorveglianza, essendo stata proposta
 dal detenuto durante il periodo  di  assegnazione  ministeriale  alla
 casa di reclusione di Fossombrone, all'udienza camerale del giorno 28
 febbraio  1991  e  trovo'  accoglimento totale: il collegio, infatti,
 riconobbe la meritevolezza della condotta serbata dal  Giampaolo  per
 tutto  il  periodo  detentivo  sofferto  dal 17 ottobre 1984, data di
 inizio della carcerazione, sino al 17 ottobre 1990, data di  scadenza
 dell'ultimo   semestre   utilmente  valutabile  e,  conseguentemente,
 accerto' il diritto del condannato all'ottenimento di  una  riduzione
 di  giorni  540  sulla pena in corso di espiazione; alla formulazione
 del prefato giudizio si era pervenuti sulla scorta dell'apprezzamento
 della costanza del condannato  nel  serbare  condotta  regolare,  nel
 partecipare all'attivita' rieducativa, nel mostrare disponibilita' al
 dialogo con gli operatori penitenziari (v. ordinanza n. 294/1990 l.a.
 resa  in  data  28  febbraio  1991  dal  tribunale di sorveglianza di
 Ancona, in atti). Il giudizio che precede veniva,  altresi',  fondato
 sull'asserzione   dell'irrilevanza,  nella  definizione  dell'istanza
 intesa  all'ottenimento  di  riduzione  di   pena   per   liberazione
 anticipata, delle pur acquisite informazioni del comitato provinciale
 per  l'ordine  e  la  sicurezza pubblica di Reggio Calabria (il quale
 asseriva  l'attualita'  di  collegamenti  del   condannato   con   la
 criminalita'  organizzata,  affermando, testualmente: "L'interessato,
 infatti, mantiene tuttora legami con la cosca mafiosa capeggiata  dai
 Nirta  operante  in  San  Luca",  stante  la  non  sussumibilita' del
 "beneficio" richiesto tra le misure alternative alla detenzione, alla
 stregua di un'irriducibile diversita'  di  natura  giuridica  tra  il
 primo  e questa ultime. L'ordinanza, depositata in data 5 marzo 1991,
 veniva comunicata alla procura generale della  Repubblica  presso  la
 Corte  di  appello di Ancona in data 8 marzo 1991: la prefata Procura
 Generale proponeva avverso il surrichiamato provvedimento  tempestivo
 ricorso    per   cassazione,   depositato   presso   la   cancelleria
 dell'intestato tribunale di  sorvaglianza  in  data  16  marzo  1991,
 mediante  il  quale veniva lamentata una duplice violazione di legge:
 in primis, veniva  denunziata  l'erronea  applicazione  del  disposto
 dell'art.  4  -  bis  della  legge 26 luglio 1975, n. 354 e succesive
 modificazioni, siccome introdotto nel corpus dell'originaria legge di
 riforma dell'ordinamento penitenziario dal primo  comma  dell'art.  1
 del  d.-l.  12  gennaio 1991, n. 5 (successivamente non convertito in
 legge e reiterato con i dd.-ll. 13 marzo 1991,  n.  76  e  13  maggio
 1991, n. 152, quest'ultimo convertito con la legge 12 luglio 1991, n.
 203), in quanto anche la riduzione di pena per liberazione anticipata
 doveva essere ricondotta al genus delle misure alternative, in ordine
 alle  quali  sussisteva  l'obbligo di acquisizione delle informazioni
 del  Comitato  provinciale  per  l'ordine  e  la  sicurezza  pubblica
 relativamente  alla  sussistenza di attualita' di collegamenti con la
 criminalita' organizzata od eversiva  ed  il  conseguente  dovere  di
 valutazione delle informazioni stesse nell'ambito della processura di
 definizione  delle  istanze  intese all'ottenimento del surrichiamato
 "beneficio"; secondariamente, veniva lamentata l'erronea applicazione
 dell'art.  54  della  legge  26  luglio  1975,  n.  354  e  succesive
 modificazioni,  laddove  la  valutazione  espressa  dal  tribunale di
 sorveglianza si fondava esclusivamente sul rilievo della  regolarita'
 custodiale  del  condannato  (v. copia del ricorso per cassazione, in
 atti).
    La prima sezione penale della Corte di cassazione, con sentenza n.
 2891, adottata nella  camera  di  consiglio  del  26  giugno  1991  e
 depositata  in  data  25  luglio 1991, accoglieva il ricorso proposto
 dalla procura generale della Repubblica presso la Corte di appello di
 Ancona limitatamente al secondo motivo  di  impugnazione,  annullando
 l'ordinanza  impugnata  e  disponendo  un  nuovo  giudizio di merito,
 effettuando dal tribunale di sorveglianza di Ancona; il ricorso della
 procura   generale   anconentana   veniva,   viceversa,    dichiarato
 inammissibile  in  relazione  al  primo  motivo di doglianza, siccome
 sopra esposto, sul rilievo che l'intervenuta  decadenza,  nelle  more
 del  giudizio  di  impugnazione,  del  decreto  legge  n. 5/1991, non
 convertito in legge tempestivamente, rendeva  agli  effetti  prodotti
 dallo stesso provvedimento tamquam non essent, si' che l'annullamento
 richiesto  alla  stregua  della  violazione di disposizione normativa
 (l'art. 4- bis della legge 26 luglio  1975,  n.    354  e  successive
 modificazioni),  introdotta  dal  primo comma dell'art 1 del d.-l. n.
 5/1991, non poteva essere pronunziato, trovando il principio generale
 secondo cui tempus regit  actum  un  limite  nella  caducazione,  con
 efficacia ex tunc, della disposizione disciplinante l'atto.
    Aggiungeva,  peraltro,  la  Corte  suprema che, laddove nelle more
 della definenda procedura di rinvio il legislatore avesse  provveduto
 a   convertire   con  apposita  legge  i  successivi  decreti  legge,
 sostanzialmente ripropositivi delle disposizioni introdotte dal d.-l.
 12 gennaio 1991, n. 5, ed a regolamentare gli  effetti  prodotti  dai
 primi  provvedimenti  decaduti, il collegio anconetano avrebbe dovuto
 tenere nel debito conto il novum jus (v. copia della sentenza n. 2891
 resa in data 26 giugno-25 luglio  1991  dalla  prima  sezione  penale
 della Corte di cassazione, in atti).
    Cio'   stante,   il   presidente   dell'intestato   tribunale   di
 sorveglianza, al ritorno degli atti dalla  cassazione,  provvedeva  a
 fissare,  per  la  discussione della fase di rinvio del procedimento,
 l'odierna udienza, nel corso della quale,  verificata  la  ritualita'
 degli  avvisi  di  procedimento  in  camera  di  consiglio,  in esito
 all'esposizione compiuta dal giudice relatore, p.g.  e  difensore  di
 ufficio concludevano come da separato verbale.
    Il tribunale si riservava
                          OSSERVA IN DIRITTO
    Sciogliendo  la  surrichiamata  riserva, opina questo collegio che
 risulti pregiudiziale alla risoluzione della presente causa sollevare
 d'ufficio eccezione  di  illegittimita'  cosituzionale  del  disposto
 della  prima  parte  del  primo comma dell'art. 4- bis della legge 26
 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni,  siccome  interpolato
 nell'originario   corpus  della  legge  di  riforma  dell'ordinamento
 penitenziario dal primo comma dell'art. 1 del d.-l. 13 maggio 1991 n.
 152, convertito senza modifiche, relativamente alla normativa de  qua
 agitur, con legge 12 luglio 1991, n. 203.
    Va  premesso,  a  tal  proposito,  che,  nonostante  la  Corte  di
 cassazione, siccome ricordato  nella  parte  narrativa  del  presente
 provvedimento,  abbia  dichiarato inammissibile il motivo del ricorso
 della procura generale della Repubblica presso la Corte di appello di
 Ancona relativo  alla  violazione  del  prefato  art.  4-  bis  o.p.,
 l'operativita'   della   normativa  surrichiamata  nell'ambito  della
 presente  processura  discende  da quanto asserito dalla stessa Corte
 suprema, la quale, testualmente, in chiusura di sentenza afferma: "va
 comunque precisato che ove, nelle  more  dell'adottata  decisione,  i
 decreti  legislativi sopra indicati dovessero trovare conversione e/o
 indurre il legislatore a regolamentare  i  rapporti  giuridici  sorti
 sulla  base  degli stessi decreti, il giudice di rinvio dovra' tenere
 conto del novum ius". (v. sent. n. 2891 del 26 giugno-25 luglio 1991,
 presidente Sibilia, relatore Buogo, in atti).
    Orbene, in data 12 luglio 1991 veniva promulgata la legge n.  203,
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale,  serie generale, n. 162 della
 stessa data, il cui articolo unico testualmente recita:  "Il  decreto
 legge  13  maggio 1991, n. 152, recante provvedimenti urgenti in tema
 di lotta alla  criminalita'  organizzata  e  di  trasparenza  e  buon
 andamento  dell'attivita'  amministrativa, e' convertito in legge con
 le modificazioni riportate in allegato alla presente legge.
    Restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati e  sono  fatti
 salvi  gli  effetti prodotti ed i rapporti giuridici sorti sulla base
 dei decreti-legge 13 novembre 1990, n. 324, 12 gennaio 1991, n. 5, 13
 marzo 1991, n. 76".
    E' facile constatare che la clausola inserita  nel  secondo  comma
 dell'articolo  unico  della  legge 12 luglio 1991, n. 203, integra la
 condizione indicata dalla suprema Corte nella sentenza n.  2891,  del
 26  giugno-25  luglio  1991  perche'  in capo a questo collegio sorga
 l'obbligo  di  procedere  agli  adempimenti  istruttori  di  cui   al
 combinato  disposto  del primo e secondo comma dell'art. 4- bis della
 legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni e  di  tenere
 in   debito   conto   le  risultanze  degli  stessi  nella  decisione
 dell'istanza  intesa  all'ottenimento  di  riduzione  di   pena   per
 liberazione  anticipata,  presentata  dal  Giampaolo  Giovanni.  Deve
 ancora aggiungersi, a tal proposito, che  l'obbligo  di  acquisizione
 delle  informazioni inerenti alla sussistenza di collegamenti attuali
 del condannato con la criminalita'  organizzata  era  stato,  invero,
 adempiuto  mediante la richiesta di note di riscontro alla prefettura
 di Reggio Calabria (organismo, all'epoca, competente in quanto avente
 giurisdizione sul luogo di abituale residenza del detenuto); cio' che
 era  stato,  viceversa,  obliterato  da  parte   del   tribunale   di
 sorveglianza  di Ancona era l'obbligo di dar conto, nella motivazione
 dell'ordinanza impugnata ed  annullata,  della  emergenze  desumibili
 dalle  suddette informazioni e di inferirne elementi di giudizio allo
 scopo di decidere sull'istanza di riduzione di pena  per  liberazione
 anticipata: orbene, in questa sede ed alla stregua di quanto statuito
 dalla suprema Corte con la sentenza di annullamento sopra richiamata,
 dalle  risultanze  prefate  non  potrebbe  prescindersi  al  fine  di
 definire il giudizio.
    Appare  opportuno,  giunti  a  tal  punto  della  motivazione  del
 presente  provvedimento, chiarire le ragioni sottese all'orientamento
 esegetico adottato da questo collegio in relazione alle necessita' di
 procedere all'acquisizione delle informative del comitato provinciale
 per l'ordine e la sicurezza pubblica al fine di istruire  le  istanze
 intese   all'ottenimento   di   riduzioni  di  pena  per  liberazione
 anticipata,  presentate  dai  condannati  per  i  particolari  titoli
 delittuosi elencati dal primo comma dell'art. 4- bis o.p.; a tal fine
 si  riporta integralmente la parte motiva di precedente provvedimento
 di questo collegio relativo alla cennata quaestio juris,  risultante,
 a  sua  volta,  dalla  sovrapposizione  di  motivazioni di precedenti
 provvedimenti, adottati nella vigenza  dei  primi  testi  di  decreto
 legge (il che spiega il riferimento ai diversi testi normativi): ..La
 normativa  ora  richiamata, nella versione recenziore di cui al primo
 comma dell'art. 1  della  legge  n.  203/1991,  testualmente  recita:
 "L'assegnazione  al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure
 alternative alla detenzione  previste  dal  capo  VI  possono  essere
 concessi   ai  condannati  per  delitti  commessi  per  finalita'  di
 terrorismo  o  di  eversione  dell'ordinamento  costituzionale,   per
 delitti  commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo
 416- bis del codice penale ovvero al fine  di  agevolare  l'attivita'
 delle  associazioni  previste  dallo  stesso  articolo, nonche' per i
 delitti di cui agli articoli 416- bis e 630 del c.p. e  dell'art.  74
 del   testo   unico  delle  leggi  in  materia  di  disciplina  degli
 stupefacenti  e  delle  sostanze  psicotrope,  prevenzione,  cura   e
 riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con
 decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobrre 1990, n. 309, solo
 se  sono  stati  acquisiti elementi tali da escludere l'attualita' di
 collegamenti con la criminalita' organizzata o  eversiva.  Quando  si
 tratta  di  condannati  per  i delitti di cui agli articoli 575, 628,
 terzo comma, 629, secondo comma, del codice  penale  e  all'art.  73,
 limitatamente  alle  ipotesi aggravate ai sensi dell'art. 80, secondo
 comma, del predetto testo unico, approvato con decreto del Presidente
 della Repubblica n.   309, del  1990,  i  benefici  suddetti  possono
 essere  concessi solo se non vi sono elementi tali da far ritenere la
 sussistenza  di  collegamenti  con  la  criminalita'  organizzata   o
 eversiva".
    Gli  appositi  riscontri,  atti  a  fondare,  rispettivamente,  il
 giudizio  di  assenza  di  collegamenti  attuali  con   la   malavita
 organizzata  ovvero  quello  di  insussistenza  di elementi probatori
 circa  l'attualita'  degli  stessi  debbono  essere  acquisiti,  alla
 stregua della disciplina prospettata dal successivo secondo comma del
 prefato art. 4- bis o.p., per il tramite del comitato provinciale per
 l'ordine  e  la  sicurezza pubblica, competente in ordine al luogo di
 detenzione del condannato richiedente: si rammenti, a  tal  proposito
 che  i  precedenti  testi di decreto legge prevedevano l'adizione, ai
 fini de quibus, del comitato provinciale per l'ordine e la  sicurezza
 pubblica  competente  in  ordine  al  luogo di abituale residenza del
 condannato. Gia' nella vigenza dei precedenti testi di  legge  questo
 collegio si era espresso circa l'inopportunita' di ricondurre, sic et
 simpliciter,  lo strumento trattamentale della liberazione anticipata
 (rectius:  della  riduzione  di  pena  per  liberazione   anticipata)
 nell'ambito  delle misure alternative alla detenzione, menzionate nel
 surrichiamato primo comma dell'art. 4- bis o.p., per far  luogo  alla
 concessione  delle  quali  era  richiesta  l'adizione  del competente
 comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, allo scopo
 sopra individuato (ordd. nn.  402/1990  l.a.  -  presidente  Galassi,
 estensore Semeraro, cond. Pecorari - e 464/1990 l.a. - pres. Galassi,
 est.  Semeraro, cond. Gerace - rispettivamente pronunziate in date 14
 febbraio 1991 e 9 maggio 1991): ( ..) e' d'uopo premettere, in limine
 litis,  una  breve  esposizione  circa  l'obbligatorieta',   per   la
 magistratura  di sorveglianza, di adizione dell'istanza rappresentata
 dal  comitato  provinciale  per  l'ordine  e  la  sicurezza  pubblica
 allorche' si debba decidere il merito di istanze di riduzione di pena
 per  liberazione  anticipata,  presentate, ai sensi e per gli effetti
 del disposto dell'art. 54 o.p., da  condannati  che  debbano  espiare
 pene  inflitte  per  alcune  delle  fattispecie criminose individuate
 dalla disciplina recentemente introdotta dal primo comma dell'art. 4-
 bis o.p. ( ..): piu' precisamente, occorre vagliare la questio  juris
 inerente  la sussumibilita' dell'istituto giuridico di cui al prefato
 art. 54 o.p. tra le " ..misure alternative  alla  detenzione  .."  ai
 fini sopra indicati ( ..).
    E' opinione di questo tribunale, a tal proposito, che la riduzione
 di  pena  per liberazione anticipata, di cui al disposto dell'art. 54
 della legge 26 luglio 1975, n. 354 e  successive  modificazioni,  non
 possa  essere  sussunta  nel novero delle " ..misure alternative alla
 detenzione  ..",  la  cui  concessione,   allorche'   richiesta   dai
 condannati  in espiazione di pena per i particolari titoli delittuosi
 di cui al primo comma dell'art. 1 del d.-l. 13 marzo 1991, n. 76,  e'
 subordinata, ai sensi del combinato dettato dei commi 1 e 2 dell'art.
 4-  bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni
 ( ..) all'accertamento che " ..non  vi  sono  elementi  tali  da  far
 ritenere  attuali  collegamenti  con  la  criminalita'  organizzata o
 eversiva .." (accertamento esperendo mediante l'obbligatoria adizione
 del  comitato  provinciale  per  l'ordine  e  la  sicurezza  pubblica
 competente  in ordine al luogo di abituale residenza del condannato).
 (  ..)  Orbene,  tale  normativa  richiede   alla   magistratura   di
 sorveglianza  una  particolare  indagine,  inerente  la pericolosita'
 sociale dei detenuti condannati  per  qualificati  titoli  delittuosi
 (rectius:  la  sussistenza di attuali collegamenti con organizzazioni
 criminose   comuni   e/o   politiche),   al   fine    di    procedere
 all'accoglimento  di  istanze rivolte all'ottenimento dei particolari
 "benefici" penitenziari, indicati nell'ambito della prefata normativa
 ( ..).
    La questio juris che, nell'ambito dell'odierna processura,  appare
 di  preliminare  rilevanza  si  incentra  sul  quesito  se la dizione
 generica del primo comma dell'art. 4- bis o.p.,  il  quale  opera  un
 indistinto  richiamo alle "misure alternative alla detenzione", possa
 essere riferita, altresi', all'istituto della riduzione di  pena  per
 liberazione  anticipata e, conseguentemente, se, nell'eventualita' di
 richieste avanzate da detenuti condannati per i titoli delittuosi  di
 cui   al  ridetto  primo  comma  dell'art.  4-  bis  o.p.  ed  intese
 all'ottenimento di tale beneficio, occorra,  comunque,  acquisire  il
 parere  motivato del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza
 pubblica. Ritiene questo  collegio  di  non  poter  condividere  tale
 orientamento  interpretativo: ( ..) la formula, di cui al primo comma
 dell'art. 4-  bis  o.p.,  (  ..  ha  ..)  inteso  operare  un  chiaro
 riferimento   ad   istituti   caratterizzati   da   un  minimo  comun
 denominatore, costituito dalla natura giuridica di  "misure  alterna-
 tive alla detenzione", stricto sensu intese.
    La    circostanza   che   l'obbligo   di   adizione   dell'istanza
 rappresentata dal comitato provinciale per l'ordine  e  la  sicurezza
 sia   stato   imposto,  in  relazione  alle  domande  di  liberazione
 condizionale, nell'ambito di separato art. della  medesima  normativa
 (art. 2 del d.-l. n. 5/1991) non puo' essere utilizzata, in chiave di
 ricostruzione esegetica, per inferirne la conclusione che il richiamo
 operato  dall'art.  1  dello  stesso  decreto  legge  abbia esclusivo
 riferimento  a  quelle  misure,  definite   quali   alternative   dal
 legislatore  del  1975,  a  prescindere  dalla  loro effettiva natura
 giuridica: tale ( ..) tesi ( .. sostiene che ..) l'espresso  richiamo
 alla   liberazione   condizionale  in  diverso  loco  della  medesima
 normativa si sarebbe reso necessario a cagione  dell'esclusione,  dal
 novero  delle  misure  disciplinate  nel 1975, del prefato istituito,
 mentre, laddove il legislatore del 1991 avesse inteso far riferimento
 alla natura giuridica degli  istituti,  il  richiamo  stesso  avrebbe
 costituito  un  superfetazione, alla stregua dell'accertata natura di
 misura  alternativa  alla  detenzione,  propria   della   liberazione
 condizionale.
    Ritiene,  per  converso,  questo  tribunale  che l'opportunita' di
 disciplinare in senso analogo  alle  altre  misure  alternative  alla
 detenzione anche la liberazione condizionale, sia pure nell'ambito di
 differente  articolato,  derivi  proprio  dall'attenta considerazione
 della natura giuridica dell'istituto de  quo:  costituisce  argomento
 ormai  noto  la querelle, insorta tanto in ambito dottrinario, quanto
 in ambito giurisprudenziale, sulla natura giuridica della liberazione
 condizionale e della conseguente liberta' vigilata, sul quale vale la
 pena di soffermarsi, se non per il tempo  necessario  a  rammentarlo.
 Basti  soltanto  sottolineare,  in  questa  sede ed agli scopi che ne
 occupano, che neanche la Corte  costituzionale,  nella  piu'  recente
 pronunzia  in  materia  di  effetti  della  revoca  della liberazione
 condizionale (sent. 17 - 25 maggio 1989,  n.  282,  presidente  Saja,
 relatore   Dell'Andro,   in  Gazzetta  Ufficiale  1989,  prima  serie
 speciale, n. 22, pag. 13 e seguenti), con decisione apprezzata per la
 sua  ponderazione  dall'unanime  dottrina,  ha   ritenuto   opportuno
 dirimere  il  contrasto  tra  coloro  che  sostengono  la  natura  di
 modalita' di esecuzione  alternativa  alla  pena  detentiva,  propria
 della liberazione condizionale, e coloro che, viceversa, ne predicano
 la natura di istituto di carattere sospensivo probatorio (v. sentenza
 predetta,  pagg.  15,  16  e  17).  L'irrisolto  nodo interpretativo,
 senz'altro  ben  noto  al  legislatore,  ha  costretto   quest'ultimo
 all'espressa  menzione  della liberazione condizionale nell'ambito di
 un   differente   articolo    di    legge,    proprio    in    virtu'
 dell'impossibilita',    allo   stato   attuale   dell'interpretazione
 dottrinaria e giurisprudenziale, di equiparare, sic  et  simpliciter,
 l'istituto di cui all'art. 176 del c.-p. alle misure alternative alla
 detenzione  stricto sensu. Donde desumesi la piena controvertibilita'
 dell'argomentazione logica ( ..suddetta ..).
    Che, anzi, proprio la constatazione che il legislatore,  allorche'
 ha  inteso estendere gli oneri procedurali previsti per le misure al-
 ternative alla  detenzione  anche  ad  un  istituto,  la  cui  natura
 giuridica  appare  ancora  oggi di incerta definizione, ha provveduto
 espressamente alla  menzione  dello  stesso,  addirittura  in  ambito
 testuale  separato,  induce  a concludere che la locuzione " ..misure
 alternative alla detenzione ..."  utilizzata  nell'ambito  del  primo
 comma  dell'art.  4-  bis  o.p.,  sopra  mentovato, abbia una propria
 specificita' tecnica, nel  senso  che  il  legislatore  abbia  inteso
 operare  un  riferimento  preciso  solo  e  soltanto a quelle misure,
 introdotte per la prima volta, nell'ambito dell'ordinamento giuridico
 italiano,  dalla  legge  di  riforma  penitenziaria  del   1975   (e,
 successivamente,  integrate nel 1986), che rivestano natura di vera e
 propria alternativa alla pena detentiva ordinaria.
    Orbene,  e'  noto, dal dibattito dottrinario che ha travagliato la
 penalistica italiana ed internazionale,  risalente,  addirittura,  al
 periodo  terminale  del  diciannovesimo  secolo, ad epoca, id est, in
 cui, attraverso la formulazione dell'ormai classico paradosso di  Von
 Liszt,  venne  individuata la necessita' di definire e giuridicizzare
 misure alternative alla pena detentiva breve ed ai  suoi  inevitabili
 correlati  di  stigmatizzazione  e  desocializzazione,  che la misura
 alternativa alla detenzione costituisce una sorta  di  tertium  genus
 tra la pena detentiva classica ed i cosiddetti sostitutivi penali: la
 misura  alternativa  alla detenzione, infatti, non implica una totale
 deprivazione della liberta' personale, ma una piu' o  meno  pregnante
 compressione  della  stessa,  accompagnata  da  forme  di  assistenza
 risocializzatrice; alla pena detentiva classica, viceversa, le misure
 alternative  si  avvicinano,  alla  stregua  del  loro  carattere  di
 afflittivita',  positivamente  sanzionato, a tutt'oggi, da autorevoli
 interventi  giurisprudenziali  (v.  sent.  Corte  costituzionale   15
 ottobre  1987,  n.  347,  presidente  Andrioli, relatore Spagnoli, in
 Gazzetta Ufficiale 1987, prima serie  speciale,  n.  46,  pag.  50  e
 seguenti).  Su  tali conclusioni si e' attestata la dottrina unanime,
 anche in seguito agli interventi di  autorevolissimi  esponenti,  sin
 dai tempi dell'introduzione della legge di riforma penitenziaria.
    Orbene, data tale premessa, secondo cui le misure alternative alla
 detenzione,  stricto  sensu intese, sono connotate da un coessenziale
 carico di  afflittivita',  appare  chiaro  come  l'istituto,  di  cui
 all'art.  54  della  legge  26  luglio  1975,  n.  354  e  successive
 modificazioni, non possa rettamente essere annoverato tra  le  misure
 alternative  alla  detenzione:  concorde alla conclusione che precede
 e',  altresi',  autorevole  dottrina,  la   quale,   sin   dall'epoca
 dell'entrata  in  vigore  della  legge  di  riforma  dell'ordinamento
 penitenziario,   sottolineo'   l'improprieta'   della    collocazione
 sistematica  della  normativa  concernente  le  riduzioni di pena per
 liberazione anticipata nell'ambito del capo ove trovansi disciplinate
 le  misure  alternative  alla  detenzione:  cio'  stante  la   natura
 giuridica   dell'istituto   prefato,  il  quale  consiste  non  nella
 sostituzione di un trattamento "penale" ad altro tipo di  trattamento
 (quello  detentivo  tradizionale),  bensi'  nella  mera remissione di
 parte della pena detentiva stessa alla  stregua  della  verificazione
 giudiziale  dei  parametri  comportamentali delineati dal legislatore
 (positiva rispondenza agli interventi trattamentali).
    La natura giuridica dell'istituto  della  riduzione  di  pena  per
 liberazione anticipata consiste nell'abbreviazione della durata della
 pena    detentiva    quale    riconoscimento    (sanzione   positiva)
 dell'adozione,   da   parte   del   condannato,   di    provvedimenti
 normorientati:  dalla  lettera  della  legge  emerge  palesemente  la
 pregnanza spiccatamente premiale dell'istituto, il quale consiste  in
 un  incentivo alla condivisione di metodiche trattamentali, orientate
 alla progressiva acquisizione di stadi rieducativi del  soggetto.  La
 ratio sottesa all'istituto de quo risulta chiaramente evincibilie dal
 tenore  testuale dell'art. 54 o.p., il quale delinea per la riduzione
 di pena una finalita'  pedagogica,  desumibile  dall'indicazione  del
 semestre  quale  unita' di valutazione della condotta del condannato,
 operata in  virtu'  della  recezione  delle  conclusioni  delle  piu'
 avvedute    dottrine    psico-pedagogiche    (siccome   riconoscituo,
 oggigiorno, anche dalla suprema Corte; v. cassazione, sezione  prima,
 15  marzo  1989,  presidente Molinari, relatore Savoi Colombis, cond.
 comune,  in  cassazione pen. 1989, p. 2267, m. 1854):  d'altro canto,
 lo stesso Ministro guardasigilli, nella relazione al disegno di legge
 di   riforma   dell'ordinamento   penitenziario,   sottolineava    le
 potenzialita'  incentivanti dell'istituto nello stimolare il detenuto
 nello sforzo di adeguamento e di mantenimento  di  "  ..una  positiva
 tensione psicologica ..".
    La  natura  giuridica dell'istituto della riduzione di pena per la
 liberazione anticipata, siccome poc'anzi delineata,  fa  si'  che  lo
 stesso  non  possa essere assimilato, sic et simpliciter, alle misure
 alternative  alla  detenzione,  stricto   sensu   intese,   dovendosi
 ravvisare  nello  stesso un istituto dalla spiccata valenza premiale,
 ispirato a parametri pedagogici  di  incentivazione  all'adozione  di
 comportamenti  di  retta  progressione  nell'acquisizione  di mete di
 rieducazione:  il  riscontro  rispetto  al   quale   commisurare   la
 valutazione   giudiziale   dovra'   essere,  pertanto,  eminentemente
 fattuale, indipendentemente dal raggiungimento del fine dell'avvenuta
 rieducazione sociale del condannato; altrimenti  opinando  (  ..)  si
 perverrebbe  al  risultato  di  sovrapporre  l'istituto in disamina a
 quello della liberazione condizionale, in ordine al quale, viceversa,
 il legislatore richiede espressamente l'intervenuta emenda  del  reo.
 Il  reinserimento sociale e' prospettato dal legislatore, nell'ambito
 della  disciplina  dell'istituto  di  cui  all'art.  54  o.p.,  quale
 finalita' al cui raggiungimento sono orientati gli incentivi premiali
 intesi  a stimolare l'adozione di comportamenti (carcerari e sociali)
 normorientati; d'altro canto, la conclusione che precede si consolida
 alla luce  del  recenziore  orientamento  esegetico,  adottato  dalla
 suprema  Corte  in  materia  di frazionabilita' del periodo detentivo
 soggetto  alla  valutazione  giudiziale  ai  fini  de  quibus  e   di
 semestralizzazione  della  concessione  delle  riduzioni  di pena (v.
 cassazione sezione prima, 15 marzo  1989,  gia'  citata;  cassazione,
 sezione prima,19 aprile 1989, presidente Carnevale, relatore Pirozzi,
 cond. Ferro, in cassazione pen. 1990, pag. 1800, m. 1473; cassazione,
 sezione  prima,  29  maggio  1989,  Ognibene,  in mass. uff. 1989, m.
 181516; cassazione, sezione prima, 16 maggio 1989, Borsone, ivi 1989,
 m. 181914; cassazione, sezione prima,  27  dicembre  1989,  n.  2914,
 presidente  Aiello,  relatore Buogo, cond. Bassi; cassazione, sezione
 prima, 18 gennaio  1990,  n.  3192,  presidente  Carnevale,  realtore
 Serianni,  cond.  Ierardi; cassazione, sezione prima, 13 aprile 1990,
 n. 758, presidente  Molinari,  relatore  Pompa,  cond.  Carbone),  il
 quale,  secondo  le  considerazioni  della  piu'  avveduta  dottrina,
 implica  una  maggiore  oggettivazione  del  giudizio  proprio  della
 magistratura di sorveglianza.
    Dunque,  la natura giuridica dell'istituto della riduzione di pena
 per liberazione anticipata differisce da quella propria delle  misure
 alternative  alla  detenzione stricto sensu intese, siccome delineata
 nell'ambito del vasto e risalente dibattito dottrinario  sviluppatosi
 intorno  alla  stessa  e secondo quanto riconosciuto, peraltro, dalla
 stessa Consulta (v. ord. 18 - 26 gennaio 1990 n. 35, presidente Saja,
 relatore Dell'Andro, in Gazzetta Ufficiale 1990, 1a  serie  speciale,
 n.  6,  pag.    12  e  seguenti):  da  cio'  desumesi  che la dizione
 utilizzata dal legislatore nell'ambito del primo comma  dell'art.  4-
 bis  o.p.,  siccome interpolato dal primo comma dell'art. 1 del d.-l.
 12 gennaio 1991, n. 5, non puo' essere legittimamente estesa sino  ad
 includere  l'istituto  di cui all'art. 54 o.p.: si rammenti, infatti,
 che   si   sono   individuati,   in  precedente  parte  del  presente
 provvedimento, i motivi secondo cui la formulazione "misure  alterna-
 tive  alla  detenzione",  adoperata  nel comma sopra richiamato, deve
 intendersi utilizzata in senso proprio e non in senso atecnico ( ..):
 se cosi' e', discende  da  cio'  in  maniera  conseguenziale  che  la
 riduzione  di pena per liberazione anticipata non puo' essere inclusa
 nel novero delle  misure  alternative  alla  detenzione,  neanche  al
 limitato  fine  di  osservare gli adempimenti istruttori imposti, per
 gli altri benefici, sicuramente sussumibili nel  genus  delle  misure
 alternative  stricto  sensu,  dal  combinato disposto del primo e del
 secondo comma dell'art.  4- bis o.p.
    D'altro canto, si pensi alle conseguenze  di  carattere  dommatico
 che l'accoglimento della tesi opposta a quella sostenuta nel presente
 provvedimento  comporterebbe  sulla natura giuridica dell'istituto de
 quo: si e' gia' avuta occasione di evidenziare la natura di incentivo
 di  carattere  pedagogico  della  riduzione  di  pena,  intesa  quale
 sanzione positiva atta a suscitare una tensione psicologica orientata
 all'adozione  di comportamenti normorientati. La subordinazione della
 concessione della riduzione di pena per  liberazione  anticipata  non
 piu'   soltanto   al  riscontro  di  una  positiva  rispondenza  agli
 interventi trattamentali operati dalle  e'quipes  di  osservazione  e
 trattamento, bensi' anche, in relazione ai detenuti condannati per le
 fattispecie  delittuose  richiamate  dal primo comma dell'art. 4- bis
 o.p., all'acquisizione di motivato parere  del  comitato  provinciale
 per  l'ordine e la sicurezza pubblica circa la sussistenza attuale di
 collegamenti con la criminalita' organizzata  finirebbe  per  privare
 l'istituto  di  cui si discute di qualsivoglia valenza incentivante e
 pedagogica: il legislatore, infatti, prefigura, in capo ai condannati
 per le fattispecie delittuose sopra richiamate, una  vera  e  propria
 presunzione  di  pericolosita'  sociale  (rectius:  di persistenza di
 collegamenti con organizzazioni criminali politiche e/o comuni); tale
 presumptio  legis  appare  rivestire  un  carattere  di   relativita'
 (presumptio   juris  tantum),  essendo  suscettibile  di  superamento
 attraverso la prova contraria. Cio' non toglie che il condannato,  il
 quale  abbia  osservato  un comportamento rispettoso della disciplina
 carceraria  ed  adesivo  alle  modalita'  trattamentali  e  si   veda
 respingere un'istanza di riduzione di pena per liberazione anticipata
 per   la   mera  assenza  di  una  prova  positiva  di  mancanza  dei
 collegamenti con organizzazioni malavitose (pur non  sussistendo  una
 prova  di  attualita'  dei predetti collegamenti) non provera' alcuno
 stimolo a perseverare nel mantenimento  dei  comportamenti  suddetti:
 occorre,  a  tal  proposito,  porre  mente alla considerazione che la
 formulazione adoperata dal legislatore appare chiara nel  richiedere,
 ai  fini  del superamento della presunzione di pericolosita' sociale,
 che potremmo definire "qualificata", una prova positiva di assenza di
 collegamenti  attuali  con  la  malavita  organizzata,  non   essendo
 sufficiente,  agli  scopi  de  quibus,  la  mera  mancanza  di  prova
 dell'attualita'  di  connessioni.   La   peculiare   difficolta'   di
 reperimento  della  prefata prova positiva (la quale finisce, per tal
 via, nel trasformarsi in una  vera  e  propria  probatio  diabolica),
 desumibile  dalla  considerazione  che,  eccezion  fatta  per  alcune
 tipologie   di   criminalita'   organizzata   di    tipo    politico-
 ideologico,l'esperienza  criminologica  attesta  la non congenialita'
 alle organizzazioni malavitose di riscontri (documentali  e  non)  di
 intervenuto    recesso   dalle   stesse,   indurrebbe   a   svalutare
 pesantemente, sin quasi ad  obliterarla  del  tutto,  la  valenza  di
 incentivo  pedagogico proprio della riduzione di pena per liberazione
 anticipata.
    Oltre tutto, si consideri che, stanti le sopra esposte conclusioni
 afferenti l'estrema difficolta' di reperimento di riscontri  positivi
 di  recisione  di  legami  con organizzazioni criminose, maggiormente
 accresciute, per considerazioni di sin troppo evidente  comprensione,
 in  relazione  a condannati ristretti in ambito penitenziario, magari
 da lungo periodo, gli elementi atti a consustanziare un  parere,  del
 tipo di quello richiesto dal legislatore nell'ambito dell'art. 4- bis
 o.p.,   non   potrebbero   che   essere  tratti  dalla  disamina  del
 comportamento  intramurario   del   detenuto:   donde   ricavasi   la
 farraginosita'  (e  la sostanziale superfluita') di una procedura che
 preveda l'intervento, a tali limitati scopi, di un'autorita'  statale
 esterna  all'ambito  penitenziario  e  preposta  alla  valutazione di
 riscontri eccentrici rispetto allo stesso.
    La sussunzione, sic et simpliciter, dell'istituto della  riduzione
 di  pena per liberazione anticipata nell'ambito delle misure alterna-
 tive  avrebbe  come  proprio  correlato   la   subordinazione   della
 concessione   delle   riduzioni  stesse,  per  i  condannati  per  le
 fattispecie delittuose di cui al primo comma dell'art. 4-  bis  o.p.,
 all'acquisizione  di  elementi  di  giudizio,  atti  a consustanziare
 positivamente una valutazione di  inattualita'  di  collegamenti  con
 organizzazioni  criminali: a giudizio di questo collegio, il problema
 posto dall'interpretazione del disposto del  richiamato  primo  comma
 dell'art.  4-  bis  o.p.(  ..)  e'  strettamente  ed  ineludibilmente
 connesso  a  quello  della  natura  giuridica   dell'istituto   della
 liberazione    anticipata.    Cio'   opinando,   si   perviene   alla
 conseguenziale  conclusione  che  la  summenzionata  difficolta'   di
 reperimento  della prova positiva dell'assenza di collegamenti con la
 malavita organizzata implica un sostanziale svilimento del  finalismo
 rieducativo  della  pena,  proprio  nel  particolare  momento (quello
 dell'esecuzione e del trattamento) in cui  per  unanime  e  risalente
 riconoscimento  (v.  la  copiosa  giurisprudenza  della  consulta  in
 materia  di  finalita'  della  pena,  sviluppatasi  a  partire  dalla
 sentenza  n.  12  del  1966  in  poi), il predetto finalismo dovrebbe
 trovare  il  massimo  dispiegamento  operativo.   L'introduzione   di
 elementi  di  giudizio,  improntati  ad una tutela della finalita' di
 difesa sociale, sarebbe, di per se'  stessa,  pienamente  lecita,  in
 virtu'  della coessenzialita' di detto carattere al momento punitivo,
 se non fosse per la preminente  considerazione  che  la  formulazione
 della  presunzione  di  pericolosita'  sociale  "qualificata" e della
 necessita' di prova positiva di assenza di collegamenti  attuali  con
 la criminalita' organizzata, nei termini in cui risultano prospettati
 nell'ambito  del  primo  comma  dell'art.  4- bis o.p., condurrebbero
 all'inevitabile conseguenza,  laddove  applicati  anche  all'istituto
 della  riduzione di pena per la liberazione anticipata, di realizzare
 l'eventualita'  di  "  ..privilegiare  la  soddisfazione  di  bisogni
 collettivi di stabilita' e sicurezza (difesa locale), sacrificando il
 singolo   attraverso   l'esemplarita'   della   sanzione   ..",  gia'
 saggiamente deprecata dal giudice di  costituzionalita'  delle  leggi
 (v. Corte costituzionale, sentenza 26 giugno - 2 luglio 1990, n. 313,
 presidente  Saja,  relatore  Gallo, in Gazzetta Ufficiale 1990, prima
 serie  speciale,  n.  27,  pag. 15): il finalismo rieducativo, che la
 consulta,  nella  predetta  pronunzia,  ha  indicato  come  carattere
 ontologicamente  proprio  della pena, in tutte le sue manifestazioni,
 dall'astratta  comminatoria,  all'irrogazione  ed  alla   conseguente
 esecuzione,   trova   amplissimo  ambito  operativo  nella  fase  del
 trattamento, di cui la liberazione anticipata  costituisce  peculiare
 strumento, con carattere di sanzione positiva della partecipazione ad
 esso  del condannato, e l'introduzione di elementi di valutazione non
 intranei alla logica ed alle finalita' del suddetto  trattamento  (il
 parere del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica)
 produrrebbe l'ineludibile conseguenza di alterare la natura giuridica
 di  quel particolare strumento - la riduzione di pena per liberazione
 anticipata - che la  stessa  consulta  indica  come  coessenziale  al
 trattamento  penitenziario, alla sua logica ed alla sua finalita' (v.
 sent. 26 giugno - 2 luglio 1990, gia' citata, pag. 16).
    Ancora, si consideri che e' possibile rinvenire,  nell'ambito  del
 tenore  letterale del decreto legge n. 5/1991, elementi testuali atti
 a corroborare la tesi che qui si sostiene: il secondo comma dell'art.
 4- bis o.p., interpolato dal primo comma dell'art.  1  del  d.-l.  n.
 5/1991, nell'imporre l'obbligo della previa acquisizione del motivato
 parere del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica,
 fa riferimento alle misure (alternative e trattamentali) indicate nel
 precedente primo comma mediante il termine "benefici". Il sesto comma
 del  prefato  art. 1 del d.-l. n. 5/1991 interpola, nell'ambito della
 normativa di cui alla legge 26  luglio  1975,  n.  354  e  successive
 modificazioni, l'art. 58-quater, la cui rubrica legis recita "divieto
 di  concessione  dei  benefici":  orbene, il primo comma del predetto
 art.  58-quater  elenca  i  suddetti  benefici   escludendone   tanto
 l'affidamento  in  prova in casi particolari, di cui all'art. 47- bis
 o.p., quanto la riduzione di  pena  per  liberazione  anticipata.  La
 prima  di  tali  esclusioni  (rectius:  mancate  inclusioni)  appare,
 peraltro,  giustificata  dalla  volonta'   di   non   precludere   al
 condannato,  che  sia reso responsabile di condotta punibile ai sensi
 dell'art. 385 del c.p. ovvero di comportamento implicante  la  revoca
 di   precedenti  benefici,  per  un  periodo  rilevante  (tre  anni),
 l'adizione   di   un   istituto   improntato   al   tentativo   (che,
 evidentemente,   nel   contemperamento   di   esigenze   operato  dal
 legislatore  ha  assunto  particolare  ed  assorbente  pregnanza)  di
 reintegrare   socialmente,  previa  apposita  terapia  riabilitativa,
 soggetti tossico od alcooldipendenti, laddove la seconda parte  priva
 di  qualsiasi  giustificazione, che non sia quella dell'inutilita' di
 un'eclusione espressa, dovendosi ritenere l'istituto della  riduzione
 di pena non incluso, per le ragioni sopra esposte, neanche nel novero
 di cui al primo comma dell'art. 4- bis o.p.
    D'altro canto, accogliendo le conclusioni che precedono, si avalla
 la considerazione che l'obbligo istruttorio imposto alla magistratura
 di  sorveglianza  dal secondo comma dell'art. 4- bis o.p. e' inteso a
 restringere l'ambito  di  operativita',  nei  confronti  di  soggetti
 condannati  per  fattispecie  delittuose tali da destare un rilevante
 allarme sociale, di benefici che hanno come  conseguenza,  diretta  e
 necessaria,  l'acquisizione  immediata di un ambito, sia pur in vario
 modo compresso, di liberta' personale, mentre tale conseguenza non si
 pone con caratteri  di  necessita'  in  ordine  all'istituto  di  cui
 all'art. 54 o.p. ( ..).
    (  ..)  si  ponga  mente  alla  considerazione  che  il  parametro
 normativo, alla cui stregua valutare il comportamento del  condannato
 ai  fini  de  quibus, e' la partecipazione del detenuto all'attivita'
 rieducativa, sostanziantesi, secondo il testuale  disposto  dell'art.
 94  del d.P.R. 29 aprile 1976, n. 431 e successive modificazioni, nel
 particolare impegno dimostrato  dal  ristretto  nel  trarre  profitto
 dalle  opportunita'  offertegli  nel  corso  del  trattamento, id est
 nell'atteggiamento  manifestato   nei   confronti   degli   operatori
 penitenziari,   nella   qualita'  dei  rapporti  intrattenuti  con  i
 condetenuti e con familiari, oltre che, ovviamente, nella spontanea e
 proficua adizione degli elementi del trattamento rieducativo (lavoro,
 istruzione, religione, etc.). Rebus sic stantibus, non  si  puo'  non
 condividere l'orientamento predicato da autorevole dottrina, nonche',
 in  ultima analisi, sotteso alla stessa giurisprudenza del giudice di
 legittimita' delle leggi (v.  Corte  costituzionale,  sentenza  23-31
 maggio  1990, n. 276, gia' citata), secondo cui il presupposto per la
 concessione (rectius, per il riconoscimento  giudiziale  del  diritto
 alla  concessione) della riduzione di pena per liberazione anticipata
 consiste in un dato squisitamente  fattuale,  il  cui  primo  ed,  in
 sostanza,  pieno  riscontro  deve  logicamente  essere demandato agli
 operatori che quotidianamente, con profusione di impegno e sacrificio
 personale, nonche' di esperienza cognitiva e  scientifica,  hanno  la
 possibilita'  di  osservare  e  studiare la rispondenza eventuale del
 condannato agli  interventi  trattamentali,  id  est  agli  operatori
 penitenziari.  Ne'  dicasi  che  siffattamente  opinando ci si priva,
 volontariamente, di uno strumento cognitivo  atto  a  vagliare,  piu'
 oculatamente, il reale grado di rispondenza del detenuto all'opera di
 rieducazione:  e'  ben  consapevole  questo collegio che una regolare
 condotta intramuraria, la quale dissimuli, in realta', una permanenza
 del vincolo associativo con organizzazioni criminali od eversive, non
 possa   correttamente   essere   qualificata   come    partecipazione
 all'attivita'  trattamentale,  si' da integrare il presupposto per il
 riconoscimento  giudiziale  del  diritto   alla   concessione   della
 riduzione  di  pena per liberazione anticipata. Gli e', peraltro, che
 dati di riscontro realmente  attendibili  circa  la  sussistenza  dei
 predetti  legami  ben  difficilmente potranno essere forniti, sol che
 alla  circostanza  si  ponga  mente  per   un   giudizio   sereno   e
 disincantato,    da    organismi   statuali   estranei   al   sistema
 penitenziario, i quali, per loro composizione e competenza specifica,
 non possiedono gli elementi di giudizio piu' significativi,  ai  fini
 che  ne occupano, id est i dati inerenti la condotta intramuraria del
 condannato; in realta' sara' sempre l'amministrazione  penitenziaria,
 tramite  i  suoi  organi  periferici, deputati all'osservazione della
 condotta ed, in senso piu' lato, della personalita' del ristretto,  a
 possedere un quadro d'insieme imprescindibile e di primaria rilevanza
 anche  ai  fini della valutazione della circostanza della sussistenza
 attuale di collegamenti con la criminalita' organizzata, siccome  e',
 d'altro  canto, dimostrato dalla particolare attenzione profusa dalla
 stessa amministrazione nel rilevare e segnalare alla magistratura  di
 sorveglianza   tutti  quegli  elementi  di  riscontro  che,  ai  fini
 predetti,  potrebbero  rilevarsi  significativi  (rimesse  di  denaro
 sospette,  necessita'  od  opportunita'  di  sottoporre  a  visto  di
 controllo  la  corrispondenza  epistolare  del  detenuto,  natura   e
 frequenza  dei  colloqui,  natura e contenuto di colloqui telefonici,
 soggetti  all'ascolto  di personale penitenziario, eccezion fatta per
 quelli con i difensori, natura e qualita' della restante  popolazione
 detenuta frequentata, etc.).
    Viceversa,  assegnare, come desumesi dal testo normativo dell'art.
 4- bis o.p.( ..) primaria rilevanza, cui  subordinare  l'accertamento
 degli altri presupposti comportamentali, alle informazioni fornite da
 un  organismo  estraneo  al  sistema  penitenziario,  il  quale,  tra
 l'altro, il piu' delle volte, soprattutto nelle ipotesi di detenzioni
 protraentisi da lungo  periodo,  non  potra'  che  fondare  i  propri
 giudizi  sui  comportamenti extramurari antecedenti all'instaurazione
 della carcerazione, appare decisamente incongruo in riferimento  alla
 natura  giuridica  dell'istituto in disamina, laddove si ponga mentre
 agli  orientementi  della  stessa   consolidata   giurisprudenza   di
 legittimita',  secondo  cui,  ai  fini  della liberazione anticipata,
 occorre  aver  riguardo  al  comportamento  tenuto   dal   condannato
 all'interno  degli  istituti penitenziari, mentre rilevanza del tutto
 secondaria ed accessoria assumono i precedenti penali  e  giudiziari,
 ed,  ancora,  laddove  l'istituto  della  liberazione condizionale si
 correla al  sicuro  ravvedimento  del  condannato,  desunto  dal  suo
 comportamento   globale,  senza  limitare  l'osservazione  alla  sola
 condotta carceraria, quello  della  liberazione  anticipata,  invece,
 esige  semplicemente  la  partecipazione  all'opera  di rieducazione,
 cioe',  l'adesione,  ancorche'  attiva,  a  tutte   le   opportunita'
 risocializzanti  che  l'espiazione  della  pena offre, senza che cio'
 comporti  necessariamente  una  revisione  critica  del   passato   e
 l'abbandono delle spinte criminali manifestate con la commissione del
 reato  (v.  cassazione,  sezione  prima,  7  luglio  1989, presidente
 Molinari, relatore Lapenna, cond. De Risi, in cassazione  pen.  1990,
 pag. 1991, m. 1618; in senso sostanzialmente conforme, v. cassazione,
 sezione  prima,  2  ottobre  1989, presidente Carnevale, relatore Del
 Vecchio, cond. De Gregori, in cassazione pen.  1990,  pag.  2196,  m.
 1769).
    La  Corte  suprema  sottolinea  in  maniera  icastica la natura di
 premio per l'adozione di una condotta orientata verso una tensione di
 consentaneita' a parametri di adesione all'opera trattamentale ed  al
 contempo   di   incentivazione   verso   il   mantenimento   di  tale
 comportamento propria dell'istituto in disamina,  la  quale  verrebbe
 inevitabilmente ridimensionata da un'interpretazione del disposto del
 primo  comma  del nuovo art. 4- bis o.p., che conducesse ad includere
 nel novero delle " ..misure alternative  alla  detenzione  ..",  alla
 stregua  del  rispetto  del  mero  dato testuale (rectius, della mera
 classificazione     operata     dal      legislatore      nell'ambito
 dell'intitolazione di un capo della legge di riforma dell'ordinamento
 penitenziario,  alla quale, certamente, non possono assegnarsi valore
 e dignita' superiori di quelle proprie di una semplice rubrica legis,
 la quale, secondo l'antico brocardo, non est lex),  anche  l'istituto
 della   riduzione  di  pena  per  liberazione  aticipata;  viceversa,
 l'ambiguita'  del  dato  testuale,  che  non  menziona  espressamente
 l'istituto prefato, operando un vago riferimento alle misure alterna-
 tive  alla  detenzione,  induce a concludere che, nella necessita' di
 assegnare un significato concreto ed operativo al dato  normativo  in
 via  esegetica,  sia  da  preferire  l'orientemento che, oltre il pur
 doveroso ossequio al mero tenore testuale della legge, si spinga sino
 ad indagare la reale natura giuridica  degli  istituti  sottoposti  a
 disamina, onde inferirne conseguenze relative alla disciplina ed agli
 effetti   giuridici,   secondo,   d'altro   canto,  le  piu'  recenti
 indicazioni di metodo fornite dal giudice di legittimita' delle leggi
 (v. Corte costituzionale, sentenza 23 -  31  marzo  1988,  n.    369,
 presidente  Saja,  relatore  Dell'Andro, in Gazzetta Ufficiale, prima
 serie speciale, n. 15 del 13 aprile 1988, pagg. 11 e seguenti;  Corte
 costituzionale,  sentenza  17  -  25 maggio 1989, n. 282, in Gazzetta
 Ufficiale, prima serie speciale, n. 22 del 31 maggio 1989, pagg. 13 e
 seguenti): cio' detto, appare conseguente concludere che  l'accertata
 natura   "premiale-incentivante"   della   riduzione   di   pena  per
 liberazione anticipata, la quale non sostituisce al regime  detentivo
 ordinario  un  regime allo stesso alternativo, bensi' consiste in una
 mera decurtazione di una parte della  pena  detentiva,  alla  stregua
 dell'accertamento  giudiziale  di  dati  parametri,  non  consente in
 inquadramento dommatico della stessa nell'ambito delle misure  alter-
 native stricto sensu intese, alle quali si ritiene faccia riferimento
 il richiamo operato dal primo comma dell'art. 4- bis o.p.( ..) e che,
 pertanto,  la  concessione  della stessa non possa essere subordinata
 all'acquisizione  di  dati  di  riscontro  provenienti  da  autorita'
 statuali  estranee  al  sistema  penitenziario  (siccome,  viceversa,
 opportuno  in  ordine  alle  altre  misure  ed  agli  altri  benefici
 menzionati,  che,  tutti,  comportano, a differenza della liberazione
 anticipata, quale effetto immediato e necessario, il ripristino,  sia
 pure  temporaneo,  di  uno status libertatis, piu' o meno compresso),
 pena lo snaturamento dell'istituto stesso.
    Quanto precede trova conferma, altresi', nell'attenta disamina dei
 riscontri desumibili dallo stesso dato testuale: si  ponga,  infatti,
 mente  alla  considerazione  che mentre il comma secondo dell'art. 4-
 bis o.p., nella versione fornitane dal primo comma  dell'art.  1  del
 d.-l.  13  marzo  1991,  n.  76, richiama gli strumenti trattamentali
 menzionati nel comma precedente mediante la formula "  ..benefici  di
 cui al primo comma ..", viceversa il quarto comma dell'art. 58-quater
 o.p.,  siccome interpolato nel corpo dell'originaria legge di riforma
 dell'ordinamento penitenziario dal sesto comma del prefato art. 1 del
 d.-l. n. 76/1991, nel chiaro  intento  di  determinare  differenziati
 limiti   di  pena  per  la  fruizione  di  tutti  gli  strumenti  del
 trattamento rieducativo e  di  tutte  le  misure  alternative  per  i
 condannati   in   ordine   alle  particolari  fattispecie  delittuose
 sanzionate dagli artt. 289- bis e  n.  630  del  c.p.,  allorche'  le
 stesse risultino aggravate dall'evento morte del sequestrato, adopera
 la  testuale  dizione:  "  ..non  sono ammessi ad alcuno dei benefici
 previsti dalla legge 26 luglio 1975, n. 354,  come  modificata  dalla
 legge 10 ottobre 1986, n. 663 ..".
    Cio'  induce  a  concludere  che,  allorche' la voluntas legis sia
 indirizzata verso il raggiungimento  dell'obbiettivo  di  predisporre
 norme   di   disfavore   nei  confronti  dei  condannati  per  alcune
 particolari fattispecie delittuose di rilevante  disvalore  morale  e
 sociale,  tendenti  a  limitare l'adizione, da parte degli stessi, di
 tutte le particolari misure  del  trattamento  rieducativo,  previste
 dalla  legge di riforma dell'ordinamento penitenziario (ivi compresa,
 pertanto, la riduzione di pena  per  liberazione  anticipata  di  cui
 all'art. 54 o.p.), si renda opportuno un espresso richiamo, formulato
 in  termini  espliciti  ed inequivoci, alle misure disciplinate dalla
 legge n. 354/1975 e sucessive  modificazioni,  siccome  avvenuto  nel
 menzionato  quarto  comma dell'art. 58-quater o.p., mentre laddove il
 dato testuale non contenga riferimenti  univoci  e  trasparenti  alla
 totalita'   degli   istituti  disciplinati  dalla  legge  di  riforma
 dell'ordinamento penitenziario (come nel combinato disposto dei commi
 primo e secondo dell'art.  4-  bis  o.p.)  l'opera  di  ricostruzione
 esegetica  e  di assegnazione di significato al riferimento normativo
 debba essere condotta alla stregua  del  rispetto  di  parametri  che
 salvaguardino  la  reale  natura  giuridica  degli istituti coinvolti
 nella disamina ( ..) il testo normativo, introdotto dal  primo  comma
 dell'art.  1  del  d.-l.  13  maggio  1991,  n. 152, convertito senza
 modificazioni nel vigente art. 1 della legge 12 luglio 1991, n.  203,
 apporta   delle   innovazioni   rispetto   alle  precedenti  dizioni:
 anzitutto, laddove il riferimento operato dal primo comma degli artt.
 1 del d.-l. 12 gennaio 1991, n. 5 ed 1 d.-l. 13 marzo 1991, n. 76 era
 operato, genericamente, alle "misure  alternative  alla  detenzione",
 oggi,  l'art.  1  della  legge  12  luglio  1991,  n.  203  richiama,
 testualmente, le "misure alternative  alla  detenzione  previste  dal
 capo   VI"  della  legge  26  luglio  1975,  n.    354  e  successive
 modificazioni. Si rammenti,  a  tal  proposito,  che  la  liberazione
 anticipata  e'  istituto  espressamente  disciplinato nell'ambito del
 prefato capo  VI  del  titolo  I  della  legge  n.  354/1975.    Tale
 innovazione legislativa induce a dubitare della riproponibilita', nel
 vigore  della nuova disciplina, dell'orientamento esegetico sostenuto
 in epoca precedente da questo collegio, siccome  sopra  ricordato:  a
 tal  riguardo,  ritiene  questo  tribunale  di  dover  confermare  le
 conclusioni gia' adottate ed  esposte.  E'  vero,  infatti,  che,  in
 maniera  alquanto  singolare,  il legislatore sembra aver adottato la
 soluzione di tecnica redazionale prospettata da questo collegio nelle
 ordinanze surrichiamate, allorche' ha  introdotto  la  nuova  dizione
 compresa  nel  testo  dell'art.    4- bis o.p., indicando, in maniera
 esplicita, le "misure alternative alla detenzione previste  dal  capo
 VI" della legge di riforma dell'ordinamento penitenziario, laddove il
 testo previgente si limitava a richiamare le "misure alternative alla
 detenzione";   ma  e',  altresi',  vero  che  la  nuova  formulazione
 letterale, adoperata dal legislatore del maggio 1991  non  appare  di
 portata  e significativita' tali da indurre ad un revirement radicale
 rispetto alle conclusioni gia' adottate. Infatti, la dizione testuale
 continua a far riferimento alle misure alternative alla detenzione ed
 e' da presumere che il richiamo normativo sia rivolto alla nozione di
 "misure alternative" stricto sensu intese, siccome individuate  dalla
 dottrina,  oramai  risalente,  gia' menzionata nella parte motiva dei
 provvedimenti sopra integralmente riportati.
    Come gia' esposto, la riduzione di pena per liberazione anticipata
 costituisce  particolare  metodica  trattamentale,  ispirata  ad  una
 logica  di  chiara premialita' incentivante, eccentrica rispetto alla
 natura  giuridica  delle  cd."misure  alternative  alla   detenzione"
 stricto   sensu,   in   quanto  non  sostituisce  alla  pena  espiata
 nell'ordinaria forma carceraria un regime alternativo, connotato,  al
 contempo,  da afflittivita' minore rispetto alla detenzione ordinaria
 e dall'intervento degli organi di sostegno sociale, bensi' si  limita
 a   decurtare  l'originaria  sanzione,  inflitta  dal  giudice  della
 cognizione, in virtu' della rispondenza a parametri di partecipazione
 all'opera di rieducazione della condotta osservata dal condannato.
    Cio'  dato,  ricondurre  l'istituto,  di cui all'art. 54 o.p., nel
 novero delle misure alternative alla detenzione costituisce rilevante
 forzatura della natura giuridica dello stesso, oltre che, ovviamente,
 di quella delle misure  alternative  stricto  sensu  intese,  siccome
 venutasi storicamente delineando, in virtu' di contributi dottrinari,
 legislativi  e  giurisprudenziali  (a meno di non voler sostenere che
 l'unica alternativa alla detenzione e' ... l'assenza della  stessa|).
 L'indicazione  legislativa,  pertanto,  deve intendersi riferita alle
 misure alternative alla detenzione, disciplinate nell'ambito del capo
 VI del titolo I della legge di riforma dell'ordinamentopenitenziario,
 che rivestano natura giuridica di vere  e  proprie  alternative  alla
 pena   detentiva  tradizionale:  a  tal  proposito,  torna  utile  il
 richiamo,  gia'  operato   nell'ambito   della   parte   motiva   dei
 provvedimenti  sopra  recepiti,  all'autorevole  dottrina  sostenente
 l'improprieta' sistematica  della  collocazione  dell'istituto  della
 riduzione  di  pena  per  liberazione  anticipata  nell'ambito  della
 partizione legislativa destinata a disciplinare le misure alternative
 alla detenzione.
    A cio' aggiungasi che lo stesso testo della legge 12 luglio  1991,
 n.  203,  offre  spunti  che  rafforzano le conclusioni che precedono
 tanto sul piano di criteri esegetici strettamente  letterali,  quanto
 alla  stregua di parametri di interpretazione sistematica. Anzitutto,
 in  relazione  al  primo  ordine  di  strumenti  ricostruttivi,  deve
 sottolinearsi   che,   allorquando  il  legislatore  ha  inteso  fare
 riferimento concreto alle singole misure alternative ha adoperato, in
 altra parte del decreto legge, una  differente  tecnica  redazionale,
 procedendo ad una dettagliata elencazione, la quale prevede nominatim
 le   singole   misure   interessate  dalla  medesima  disciplina:  si
 consideri, a tal proposito, quanto previsto dal primo comma dell'art.
 58-quater o.p., siccome interpolato nel corpus dell'originaria  legge
 di riforma dell'ordinamento penitenziario dal sesto comma dell'art. 1
 della  legge  12  luglio  1991,  n.  203, che introduce un divieto di
 concessione di alcuni particolari strumenti  trattamentali  (permessi
 premiali, assegnazione al lavoro extramurario) e di alcune misure al-
 ternative  alla  detenzione (affidamento in prova al servizio sociale
 esclusivamente  nei  casi  previsti  dall'art.  47  o.p.,  detenzione
 domiciliare   e  semiliberta')  per  i  condannati  in  relazione  ai
 particolari titoli delittuosi di cui al primo comma dell'art. 4-  bis
 o.p.,  che  abbiano  posto in essere una condotta punibile ai sensi e
 per gli effetti del disposto dell'art. 385  del  c.p.:  orbene,  tale
 norma  provvede  ad  indicare nominatim i singoli "benefici" cui deve
 applicarsi la particolare regolamentazione dalla  stessa  introdotta,
 costituendo  chiaro indice dell'intenzione del legislatore di operare
 riferimenti   precisi   alla   natura   giuridica   degli    istituti
 disciplinati.
    Il mero richiamo alle misure alternative alla detenzione, infatti,
 non   sarebbe   stato   pertinente,  poiche'  avrebbe  comportato  la
 conseguenza di includere  nel  novero  anche  l'affidamento  in  casi
 particolari,  previsto dall'art. 47- bis o.p., laddove l'intendimento
 del legislatore era chiaramente  orientato  nel  senso  di  escludere
 dalla  normativa,  ispirata  a criteri di draconiano rigore, soggetti
 particolarmente bisognosi di terapie atte a  soddisfare  le  esigenze
 poste  dalla  tossicomania  e  da peculiari sociopatie, si' che si e'
 reso necessario ricorrere ad una tecnica redazionale che  provvedesse
 all'elencazione   delle   singole   misure  interessate  dalla  nuova
 disciplina.  Cio'  induce  a  ritenere  che, laddove per qualsivoglia
 motivo, il legislatore avesse voluto equiparare la  disciplina  delle
 misure alternative stricto sensu intese e della riduzione di pena per
 liberazione anticipata avrebbe provveduto a contemplare espressamente
 l'istituto  di  cui  all'art. 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354 e
 successive modificazioni accanto  alla  dizione  "misure  alternative
 alla  detenzione", la quale, come gia' detto, non puo' ritenersi, sic
 et simpliciter, comprensiva anche della liberazione anticipata.
    Quanto   precede   viene   ulteriormente   corroborato   da    una
 considerazione  di  ordine  sistematico,  tale  da assumere rilevanza
 assorbente rispetto a qualsiasi altro apprezzamento: in  particolare,
 il  quarto  comma  dell'art.  58-quater o.p., sopra richiamato, nella
 versione introdotta dalla legge 12 luglio 1991, n. 203,  testualmente
 recita:  "I condannati per i delitti di cui agli artt. 289- bis e 630
 del c.p. che abbiano cagionato la  morte  del  sequestrato  non  sono
 ammessi  ad alcuno dei benefici indicati nel primo comma dell'art. 4-
 bis se non abbiano effettivamente espiato almeno due terzi della pena
 irrogata o, nel caso dell'ergastolo, almeno ventisei anni".
    Orbene, laddove  il  testo  del  prefato  quarto  comma  dell'art.
 58-quater,   nella  versione  previgente,  estendeva  il  divieto  di
 fruizione, per  i  condannati  in  relazione  ai  particolari  titoli
 delittuosi  sopra  richiamati,  in  maniera  onnicomprensiva  ("  ..I
 condannati per i delitti  (  ..)  non  sono  ammessi  ad  alcuno  dei
 benefici previsti dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, come modificata
 dalla  legge  10  ottobre  1986,  n.  663  .."), la dizione normativa
 novellata si limita a richiamare i benefici di cui al precedente art.
 4- bis o.p., con  cio'  introducendo  elementi  di  maggiore  armonia
 sistematica  ed  eliminando, al contempo, pericoli di distorsioni ap-
 plicative e di snaturamenti giuridici. Si ponga, infatti, mente  alla
 considerazione che il richiamo operato nell'ambito del d.-l. 13 marzo
 1991,  n.  76  (  "  ..non  sono  ammessi ad alcuno dei benefici ..")
 determinava l'esclusione dalla fruizione della riduzione di pena  per
 liberazione   anticipata,   senza  dubbio  alcuno  sussumibile  nella
 formulazione all'epoca adoperata dal legislatore, dei condannati  per
 le  particolari  fattispecie  delittuose considerate dal quarto comma
 dell'art. 58-quater o.p. sino all'espiazione effettiva dei due  terzi
 della  pena  inflitta ovvero, trattandosi di ergastolani, di ventisei
 anni  di  pena  detentiva.  Tali  tetti  di   ammissibilita'   erano,
 singolarmente,  concidenti  con  quello  stabilito  dal secondo comma
 dell'art. 2 del d.-l. n. 76/1991 in materia di  concedibilita'  della
 liberazione  condizionale ai condannati per i delitti di cui al primo
 comma dell'art. 4- bis o.p.: orbene, il limite dei  due  terzi  della
 pena  detentiva  temporanea,  statuito, in materia di ammissione alla
 liberazione condizionale, dalla prefata  normativa  in  relazione  ai
 condannati  per  le  particolari fattispecie contemplate dall'art. 4-
 bis primo comma, o.p.  risultava,  senza  alcun  dubbio,  applicabile
 anche  ai  soggetti  condannati  per  i  reati di cui al quarto comma
 dell'art. 58-quater o.p., costituendo questi un  cerchio  concentrico
 di  minori  dimensioni  rispetto  ai  primi.  Si consideri, pertanto,
 l'elemento di confusione sistematica (davvero di  non  poco  momento)
 derivante  dalla  surrichiamata  disciplina: la riduzione di pena per
 liberazione anticipata,  infatti,  veniva  trasformata,  per  effetto
 della  normativa  prefata,  in istituto il cui momento di fruibilita'
 veniva,  per  i  condannati  in  ordine  alla  fattispecie  criminose
 espressamente  previste  dal  quarto  comma dell'art. 58-quater o.p.,
 astrattamente  a  coincidere  con   quello   di   ammissibilita'   di
 un'eventuale  istanza  di  liberazione  condizionale, con conseguente
 annullamento  della  necessaria   progressione   tratttamentale:   si
 sarebbe, in teoria, potuta verificare l'eventualita' di ammissione di
 un  condannato, in espiazione di pene detentive inflitte in relazione
 a  fattispecie  di  rilevante  disvalore  sociale,   al   "beneficio"
 maggiore,  senza  la  preventiva, propedeutica fruizione dei passaggi
 trattamentali intermedi,  di  portata  ed  efficacia  necessariamente
 minore  (permessi  premiali,  ammissione  al  lavoro extramurario, ma
 anche,   necessariamente,   riduzione   di   pena   per   liberazione
 anticipata).
    La   distonia   di  tali  conseguenze  con  un'interpretazione  ed
 un'applicazione corrette del  sistema  della  riforma  penitenziaria,
 nella  parte  inerente i principi del trattamento rieducativo, appare
 in tutta evidenza, siccome  anche  la  paradossalita'  delle  stesse:
 l'istituto  della liberazione anticipata sarebbe venuto, per tal via,
 ad essere appiattito, quanto meno in  relazione  ad  una  determinata
 fascia  di  condannati,  su  quello  della  liberazione condizionale,
 contrariamente a quanto  sostenuto  dalla  stessa  giurisprudenza  di
 leggittimita'   (v.   cassazione,   sezione  prima,  7  luglio  1989,
 presidente Molinari, relatore Lapenna, cond. De Risi,  in  cassazione
 pen.  1990, pag. 1991, m. 1618; in senso sostanzialmente conforme, v.
 cassazione, sezione prima,  2  ottobre  1989,  presidente  Carnevale,
 relatore Del Vecchio, cond. De Gregori, in cassazione pen. 1990, pag.
 2196, m. 1769).
    Oltretutto,  l'impossibilita'  di  concedere riduzioni di pena per
 liberazione anticipata se non  dopo  l'espiazione  effettiva  di  due
 terzi  della  pena  detentiva temporanea ovvero di ventisei anni, per
 gli ergastolani, colliderebbe  con  i  canoni  pedagogici  che  hanno
 recentemente  imposto,  quale  corretta  metodica  trattamentale,  la
 frazionabilita' dei periodi detentivi valutandi ai fini de quibus: la
 fruibilita' di riduzioni di pena se non dopo  l'espiazione  effettiva
 di  due  terzi  della  pena  detentiva  temporanea inflitta ovvero di
 ventisei anni, in caso di  irrogazione  dell'ergastolo,  allontanando
 nel  tempo  la prospettiva di un concreto riconoscimento degli sforzi
 adattativi   del    detenuto    costituirebbe    fonte    di    reale
 disincentivazione  dello  stesso  al  mantenimento  di  una  condotta
 sostanzialmente adesiva ai parametri di condivisione delle  metodiche
 e  delle  finalita'  trattamentali, secondo quanto statuito, in epoca
 recenziore  dalla   stessa   giurisprudenza   di   legittimita'   (v.
 cassazione,  sezione  prima,  15 marzo 1989, gia' citata; cassazione,
 sezione  prima,  19  aprile  1989,  presidente  Carnevale,   relatore
 Pirozzi,  cond.  Ferro,  in cassazione pen. 1990, pag. 1800, m. 1473;
 cassazione, sezione prima,  29  maggio  1989,  Ognibene,  in  massimo
 uffiicio  1989, m. 181516; cassazione, sezione prima, 16 maggio 1989,
 Borsone, ivi 1989, m. 181914; cassazione, sezione prima, 27  dicembre
 1989,  n.  2914,  presidente  Aiello,  relatore  Buogo,  cond. Bassi;
 cassazione, sezione prima,  18  gennaio  1990,  n.  3192,  presidente
 Carnevale,  relatore  Serianni,  cond.  Ierardi;  cassazione, sezione
 prima, 13 aprile 1990, n. 758, presidente Molinari,  relatore  Pompa,
 cond. Carbone).
   Viceversa,  il testo novellato del quarto comma dell'art. 58-quater
 o.p., operante un mero richiamo  ai  benefici  menzionati  nel  primo
 comma dell'art. 4- bis o.p., anch'esso novellato, elimina le predette
 conseguenze,  esclusivamente laddove il prefato primo comma dell'art.
 4- bis o.p. venga interpretato nel senso di escludere dalla sua sfera
 di operativita' l'istituto di cui all'art. 54 o.p., siccome sostenuto
 da questo collegio. L'orientamento esegetico propugnato, infatti, ove
 intende il richiamo operato dal primo comma  dell'art.  4-  bis  o.p.
 effettuato alle misure alternative alla detenzione stricto sensu, con
 conseguente   eccezione  della  riduzione  di  pena  per  liberazione
 anticipata, consente di evitare la produzione di effetti confliggenti
 con i principi del trattamento rieducativo e della sua  progressione,
 siccome  poc'anzi delineati, i quali, peraltro, sarebbero destinati a
 riprodursi alla stregua di un'esegesi che avesse il fine ultimo ed il
 risultato di includere anche la riduzione  di  pena  per  liberazione
 anticipata  tra  le  "misure alternative alla detenzione previste dal
 capo VI", menzionate dal primo comma dell'art. 4- bis o.p..
    La tesi interpretativa che si osteggia, oltre  tutto,  produrrebbe
 l'ulteriore  conseguenza di precludere in maniera assai drastica, per
 un rilevantissimo periodo di tempo dell'esecuzione (due  terzi  della
 pena  detentiva  temporanea ovvero ventisei anni per gli ergastolani)
 la fruizione dei piu' qualificanti strumenti trattamentali  (tra  cui
 anche,   e   soprattutto,   la  riduzione  di  pena  per  liberazione
 anticipata)  ad  una  fascia  di  condannati,   che   si   vedrebbero
 ulteriormente  scriminati rispetto agli altri: tale effetto appare in
 contrasto tanto con il parametro fornito dal terzo comma dell'art. 27
 della Castituzione, inerente la tensione della  pena  verso  il  fine
 della  rieducazione  del  condannato,  che,  per  tale  via, verrebbe
 compresso in maniera tale da restare quasi completamente  conculcato,
 quanto  con  il  paremetro  di cui al secondo comma dell'art. 3 della
 Costituzione, poiche' la disparita'  di  trattamento  tra  condannati
 sembra  di  tale portata da non poter essere giustificata, se non con
 estrema  difficolta',  alla  stregua  del  disvalore  sociale   della
 fattispecie  criminose sanzionate. Il fondamentale criterio esegetico
 che impone all'interprete del diritto di salvaguardare,  tra  diversi
 possibili  orientamenti  ricostruttivi  della  voluntas legis, quello
 maggiormente  consentaneo  ai  valori   costituzionalmente   tutelati
 impone, pertanto, di mantenere ferma, anche nella vigenza della legge
 12  luglio  1991,  n.  203,  la tesi gia' precedentemente adottata da
 questo collegio, siccome sopra esposta, secondo cui la  riduzione  di
 pena  per  liberazione  anticipata  non deve essere annoverata tra le
 "misure alternative alla detenzione previste dal capo VI" della legge
 di riforma dell'ordinamento penitenziario, menzionate dal primo comma
 dell'art. 4- bis o.p., interpolato dal primo comma dell'art. 1  della
 legge  n.  203/1991,  si  che,  onde far luogo alla concessione della
 stessa,  non  appare  necessario   adire   il   competente   comitato
 provinciale  per  l'ordine  e  la  sicurezza  pubblica,  al  fine  di
 acquisirne elementi di giudizio inerenti l'attualita' di collegamenti
 con la criminalita' organizzata od eversiva".
    Sin qui questo tribunale di sorveglianza in  precedenti  pronunzie
 sull'argomento.
    La  Corte di cassazione, mediante la sentenza n. 2891 resa in data
 26 giugno-25 luglio 1991, sembra, viceversa,  aver  accolto  la  tesi
 contraria  a  quella  sopra esposta, enunciata dalla procura generale
 della Repubblica presso la stessa Corte di cassazione, secondo cui la
 formula  testuale dell'art. 4- bis della legge 26 luglio 1975, n. 354
 e successive modificazioni opera un diretto ed inequivoco riferimento
 a tutti i "benefici" contemplati nel capo VI del titolo  primo  della
 legge  suddetta,  ivi  inclusa  la  riduzione di pena per liberazione
 anticipata: quest'ultimo istituto, ai  fini  che  ne  occupano,  deve
 senz'altro  essere  incluso  tra  quelli  menzionati  dal primo comma
 dell'art. 4- bis o.p. in forza del canone ermeneutico ricavabile  dal
 primo  comma  dell'art. 12 delle disposizioni prel. del c.c., secondo
 cui nell'interpretazione della legge l'operatore del diritto non puo'
 alla stessa attribuire altro  significato  che  quello  fatto  palese
 dalla  lettera  della  medesima;  in assenza di ambivalenze del testo
 normativo, dunque, come si verificherebbe secondo la procura generale
 della Repubblica presso la Corte di cassazione (e, quindi, secondo la
 stessa Corte suprema) nella  fattispecie  in  disamina,  non  avrebbe
 ragion  d'essere  il  ricorso a parametri ermeneutici quali il canone
 sistematico e quello inteso al vaglio della  natura  guiridica  degli
 istituti disciplinati.
    Cio'    stante,   anche   in   relazione   alle   istanze   intese
 all'ottenimento di riduzioni  di  pena  per  liberazione  anticipata,
 presentate  dai  condannati per le fattispecie delittuose individuate
 dal primo comma dell'art. 4- bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 e
 successive modificazioni, sussiste l'obbligo per la  magistratura  di
 sorveglianza  di  procedere  all'acquisizione  di  informazioni sulla
 sussistenza  di  collegamenti  attuali   del   richiedente   con   la
 criminalita'  organizzata  od  eversiva,  fornite  per il tramite dei
 competenti comitati provinciali per l'ordine e la sicurezza pubblica,
 ed alla conseguente valutazione delle stesse in ambito di definizione
 delle  istanze  predette.  Orbene,  i   profili   di   illegittimita'
 costituzionale della normativa in disamina sono rilevabili proprio in
 relazione ai canoni di valutazione delle suddette informazioni che il
 legislatore  ha  prospettato  nell'ambito  della disciplina di cui al
 prefato art.  4-  bis  o.p..  Si  rammenti,  infatti,  che  la  norma
 richiamata  individua  due diverse categorie di detenuti: la prima e'
 costituita dai condannati  per  delitti  commessi  per  finalita'  di
 terrorismo   o  di  eversione  dell'ordinamento  costituzionale,  per
 delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-
 bis  del  c.p.  ovvero  al  fine  di  agevolare   l'attivita'   delle
 associazioni previste dallo stesso articolo, nonche' per i delitti di
 cui  agli artt. 416- bis e 630 del c.p. e all'art. 74 del testo unico
 delle leggi in materia  di  disciplina  degli  stupefacenti  e  delle
 sostanze  psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi
 stati di tossicodipendenza,  approvato  con  decreto  del  Presidente
 della  Repubblica  9  ottobre 1990, n. 309, la seconda dai condannati
 per i delitti di cui agli artt. 575, 628, terzo comma,  629,  secondo
 comma,  del  codice  penale e all'art. 73, limitatamente alle ipotesi
 aggravate ai sensi dell'art. 80, secondo comma,  del  predetto  testo
 unico,  approvato con decreto del Presidente della Repubblica, n. 309
 del 1990. Nei confronti dei condannati rientranti  nel  novero  della
 prima  delle  suindicate  categorie  il  legislatore statuisce che le
 particolari misure trattamentali individuate dallo stesso prima comma
 dell'art. 4- bis o.p.  sono  concedibili  "  ...solo  se  sono  stati
 acquisiti elementi tali da escludere l'attualita' di collegamenti con
 la criminalita' organizzata o eversiva".
    Viceversa,  gli  stessi  "benefici"  possono  essere  concessi  ai
 condannati di cui alla seconda delle suenunziate categorie: "  ..solo
 se  non  vi  siano  elementi  tali  da far ritenere la sussistenza di
 collegamenti con la criminalita'  organizzata  o  eversiva".  Orbene,
 dall'esposizione  della  materia  e'  dato  arguire  che  in  capo ai
 condannati della  prima  categoria,  siccome  sopra  individuata,  il
 legislatore  ha posto una vera e propria presunzione di pericolosita'
 sociale qualificata (rectius, di attualita' di  collegamenti  con  la
 criminalita' organizzata od eversiva), la quale puo' essere superata,
 ai  fini  dell'ammissione  alla  fruizione  dei particolari strumenti
 trattamentali  indicati  dal  primo  comma  dell'art.  4-  bis  o.p.,
 soltanto mediante il reperimento di concreti elementi di giudizio che
 consentano  di  comprovare  in termini positivi l'assenza dei prefati
 collegamenti. Diversa appare la situazione dei condannati  rientranti
 nella  seconda  delle  surrichiamate  categorie, nei cui confronti il
 legislatore, al di la' della statuizione di qualsivoglia presunzione,
 sembra aver semplicemente indicato un ulteriore thema  probandi  alla
 magistratura  di sorveglianza: quest'ultima, infatti, nel vagliare la
 partecipazione all'opera di rieducazione, i progressi intervenuti nel
 corso della stessa, la regolare condotta intramuraria del  condannato
 dovra'  attendere ad una valutazione intesa a verificare l'assenza di
 strumentalita'  dei  suddetti  requisiti,  siccome  desumibile  dalla
 presenza  di dissimulati collegamenti con la criminalita' organizzata
 od eversiva. La  disciplina  prospettata  dal  legislatore  opera  un
 rilevante  discrimine  tra  le  due  categorie  sopra  enunziate:  la
 semplice  mancanza  di  elementi  di  riscontro  circa  l'ipotesi  di
 presenza  di  collegamenti  attuali  con la criminalita' organizzata,
 infatti, potrebbe  in  teoria,  in  presenza,  id  est,  degli  altri
 presupposti   e   requisiti   individuati   dalla  legge  di  riforma
 dell'ordinamento penitenziario, essere  sufficiente  all'accoglimento
 delle  istanze  presentate  dai  condannati di cui alla seconda delle
 suddete categorie, mentre altrettanto non puo' dirsi per i condannati
 di cui alla prima categoria, nei cui confronti, si rammenti, sussiste
 l'obbligo di acquisizione di  positivi  elementi  atti  a  comprovare
 l'assenza dei collegamenti sopra richiamati.
    La particolare difficolta' di acquisizione dei prefati elementi di
 riscontro   (prova  positiva  dell'assenza  di  collegamenti  con  la
 criminalita' organizzata), di cui si e' fatto cenno  in  altra  parte
 del  presente  provvedimento,  tale da configurare una vera e propria
 probatio  diabolica,  produce  un  effetto,  a  giudizio  di   questo
 collegio,  di  depotenziamento  della  sfera  di  operativita'  delle
 operativita' delle oppurtunita' risocializzatrici offerte a  tutti  i
 condannati  dalla  legge  di  riforma dell'ordinamento penitenziario,
 tale da indurre all'apprezzamento di un profilo  di  contrasto  della
 normativa in disamina con il precetto posto dal terzo comma dell'art.
 27   della   Costituzione,  secondo  cui  la  pena  deve  tendere  al
 reinserimento  sociale  del  reo.  Si  ponga,  infatti,  mente   alla
 considerazione  che  il  primo  comma dell'art. 4- bis o.p. preclude,
 nell'eventualita' di mancanza di elementi di riscontro atti a provare
 in termini positivi l'assenza di  collegamenti  con  la  criminalita'
 organizzata,   l'accesso  a  tutti  i  piu'  pregnanti  strumenti  di
 trattamento penitenziario, i quali implichino contatti  con  l'ambito
 extrapenitenziario  ovvero diminuzioni del quantum di pena da espiare
 (permessi  premiali,  lavoro  all'esterno,  misure  alternative  alla
 detenzione, liberazione condizionale - art. 2 del d.-l. n. 152/1991),
 limitando,  nei  confronti dei soggetti individuati dalla prima parte
 del primo  comma  del  prefato  art.  4-  bis  o.p.,  il  trattamento
 rieducativo  alla  sola  offerta degli strumenti e delle opportunita'
 intramurarie, la cui reale efficacia a fini  rieducativi  (o,  quanto
 meno,   desocializzanti)   ha  destato  perplessita'  nella  dottrina
 penalistica e criminologica sin  dai  tempi  risalenti  (quanto  meno
 dall'epoca di insorgenza del problema dell'individuazione di sanzioni
 alternative   alla   pena   detentiva   tradizionale).   L'esperienza
 quotidiana dei tribuanli di sorveglianza insegna che nella stragrande
 maggioranza dei casi la richiesta di informazioni circa  l'attualita'
 di    collegamenti   con   la   criminalita'   organizzata   sortisce
 l'acquisizione di risposte attestanti l'impossibilita' di reperimento
 di elementi atti a consustanziare l'ipotesi di tali collegamenti (del
 tipo: "allo stato attuale non si hanno elementi per escludere che  il
 condannato  sia  collegato  con la criminalita' organizzata") ovvero,
 nella migliore delle ipotesi, asserenti in maniera apodittica, id est
 priva dell'indicazione di concreti riscontri, il collegamento con ben
 determinate organizzazioni criminali: ai fini che  ne  occupano,  per
 vero,  informative del primo tipo risultano sufficienti ad indurre ad
 un rigetto delle istanze  di  accesso  agli  strumenti  trattamentali
 sopra  richiamati,  proposte  dai  condannati individuati dalla prima
 parte del primo comma dell'art. 4- bis o.p.
    Appare in  tutta  evidenza  l'effetto  di  disincentivazione  alla
 cooperazione  al  semplice trattamento intramurario, la cui efficacia
 risocializzatrice viene,  per  tal  via,  ad  essere  compromessa  in
 maniera  pressoche'  totale:  si  ponga  ancora  mente alla natura di
 stimolo incentivante  alla  condivisione  di  metodiche  e  tematiche
 trattamentali  proprie  dell'istituto  della  riduzione  di  pena per
 liberazione anticipata gia' menzionata in altra  parte  del  presente
 provvedimento.
    Alle   osservazioni   che   precedono  potra'  obiettarsi  che  il
 legislatore, nell'ambito della propria discrezionalita', e' libero di
 introdurre normative che abbiano lo scopo  di  rinsaldare  la  natura
 general  preventiva  della  sanzione  penale  e la funzione di difesa
 sociale   della   pena   detentiva:   cio'   appare    di    indubbia
 incontrovertibilita',  ma si rivela, altresi', necessario spingere il
 vaglio  della  normativa  ordinaria  sino  al  punto  di   constatare
 l'eventualita'   di  obliterazione,  da  parte  della  stessa,  della
 funzione rieducativa della pena, che' il  completo  sacrificio  della
 stessa,  a  vantaggio delle altre funzioni sopra ricordate, appare in
 conflitto  con  il  disposto   dell'art.   27   terzo   comma   della
 Costituzione.  Vero e' che, secondo le statuizioni della consulta, la
 pena detentiva appare rivestire una natura polifunzionale  (v.  Corte
 costituzionale  2-4  aprile  1985,  n. 102, presidente Elia, relatore
 Saja, Marzucchi, Roberti, Cristelli, in cassazione  pen.  1985,  pag.
 1322  e  segg.;  Corte  costituzionale  8-25  maggio  1985,  n.  169,
 presidente Rohersen, relatore Paladin, Branchesi, in cassazione  pen.
 1985,  pag.  1779  e  seguenti),  ma  la  corrente  esegetica che, in
 ossequio alla  finalita'  plurisatisfattiva  della  sanzione  penale,
 interpreta  il  precetto  costituzionale in maniera tale da limitarne
 l'ambito  di   operativita'   alla   sola   sfera   del   trattamento
 penitenziario  appare  smentito  da  recente  pronunzia  della  Corte
 costituzionale (Corte costituzionale, sentenza 26 giugno -  2  luglio
 1990,  n.  313,  presidente  Saja,  relatore  Gallo, Milano, Voraldo,
 Quartarone, in Gazzetta Ufficiale, prima  serie  speciale,  4  luglio
 1990,  n.  27, pag. 9 e seg.), secondo cui: " ..incidendo la pena sui
 diritti  di  chi  vi   e'   sottoposto,   non   puo'   negarsi   che,
 indipendentemente  da  una  considerazione  retributiva,  essa  abbia
 necessariamente anche caratteri in qualche misura afflittivi.
    Cosi' come e' vero che alla sua  natura  ineriscano  caratteri  di
 difesa  sociale,  e  anche  di  prevenzione generale per quella certa
 intimidazione che esercita sul calcolo utilitaristico  di  colui  che
 delinque.  Ma,  per  una  parte  (afflittivita',  retributivita'), si
 tratta di profili che riflettono quelle condizioni minime,  senza  le
 quali  la  pena  cesserebbe  di  essere  tale.  Per  altra parte, poi
 (reintegrazione, intimidazione, difesa sociale), si tratta bensi'  di
 valori  che  hanno  un  fondamento  costituzionale,  ma  non  tale da
 autorizzare il pregiudizio della finalita' rieducativa  espressamente
 consacrata  dalla Costituzione nel contesto dell'istituto della pena.
 Se la finalizzazione venisse orientata verso quei diversi  caratteri,
 anziche'  al  principio  rieducativo,  si  correrebbe  il  rischio di
 strumentalizzare l'individuo per fini generali di politica  criminale
 (prevenzione  generale) o di privilegiare la soddisfazione di bisogni
 collettivi di stabilita' e sicurezza (difesa  sociale),  sacrificando
 il  singolo  attraverso  l'esemplarita' della sanzione. E' per questo
 che, in uno Stato evoluto, la finalita' rieducativa non  puo'  essere
 ritenuta  estranea  alla  legittimazione e alla funzione stesse della
 pena".
    L'esperienza successiva ha, infatti, dimostrato che la  necessita'
 costituzionale  che  la  pena  debba "tendere" a rieducare, lungi dal
 rappresentare  una  mera   generica   tendenza   riferita   al   solo
 trattamento,  indica  invece  proprio una delle qualita' essenziali e
 generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto  ontologico,  e
 l'accompagnano  da  quando nasce, nell'astratta previsione normativa,
 fino a quando in concreto si estingue. Cio' che  il  verbo  "tendere"
 vuole significare e' soltanto la presa d'atto della divaricazione che
 nella  prassi  puo'  verificarsi tra quella finalita' e l'adesione di
 fatto del destinatario al processo di rieducazione; com'e' dimostrato
 dall'istituto che fa corrispondere  benefici  di  decurtazione  della
 pena  ogni  qualvolta,  e nei limiti temporali, in cui quell'adesione
 concretamente si manifesti (liberazione anticipata). Se la  finalita'
 rieducativa  venisse  limitata alla sola fase esecutiva, rischierebbe
 grave compromissione ogni qualvolta specie e  durata  della  sanzione
 non  fossero  state  calibrate  (ne'  in sede normativa ne' in quella
 applicativa) alle necessita' rieducative del soggetto".
    La lunga citazione e' apparsa  necessaria  non  quale  sfoggio  di
 pedanteria,   bensi'   onde   operare   un   richamo  alla  forte  ed
 autorevolissima sottolineatura della funzione della sanzione  penale,
 vieppiu' necessaria in un'epoca, come quella presente, caratterizzata
 da  appannamento  e  da  confusione  circa la riflessione sugli scopi
 della pena detentiva e da prese di posizione dettate  non  da  rigore
 scientifico,  ma,  apparentemente, dalla necessita' di operare scelte
 di politica criminale  dettate  dall'esigenza  del  momento.  Orbene,
 quanto  statuito  dalla  consulta  appare  sufficiente a far dubitare
 della legittimita' della disciplina di cui alla prima parte del primo
 comma dell'art. 4- bis o.p. per contrasto con il precetto  del  terzo
 comma  dell'art.  27  della  Costituzione:  la  subordinazione  della
 concessione di un istituto quale la riduzione di pena per liberazione
 anticipata   all'acquisizione   di  prove  positive  dell'assenza  di
 collegamenti attuali con la criminalita' organizzata, la creazione in
 capo ai soggetti indicati dalla prima parte del primo comma dell'art.
 4- bis o.p. di una presunzione di attualita' dei prefati collegamenti
 si risolve in una presunzione di impraticabilita', nei confronti  dei
 predetti  soggetti, di uno tra i piu' pregnanti tra gli strumenti del
 trattamento penitenziario, la cui concessione, peraltro,  non  appare
 piu',  alla  stregua  della novella di cui all'art. 18 della legge 10
 ottobre 1986, n. 663, dicrezionale, sibbene  doverosa  (fatta  sempre
 salva  la  necessita'  di accertare giudizialmente la sussistenza dei
 presupposti di legge) (v. Corte costituzionale, 23-31 maggio 1990, n.
 276, presidente Saja, relatore Gallo, Calore ed altro, in  cassazione
 pen.  1991,  m.  2,  pag.  4  e  seguenti). Siffattamente operando si
 perviene ad una svalutazione della finalita' rieducativa  della  pena
 proprio nel momento rispetto al quale la stessa appare, anche secondo
 i  sostenitori  della  teoria che si potrebbe definire "minimalista",
 maggiormente  connaturata,  id  est  quello  dell'esecuzione  e   del
 trattamento penitenziario.
    Non   si   nasconde   questo  collegio  la  trista  realta'  della
 sussistenza di condannati che,  strumentalmente  agendo  al  fine  di
 conseguire  alleggerimenti  della  posizione espiatoria, simulano una
 condotta  osservante  dei  canoni  di  partecipazione   all'attivita'
 trattamentale,  dissimulando,  viceversa,  connessioni con pericolose
 organizzazioni  criminali:  allo  scopo,  peraltro,  di  evitare  che
 siffatti   soggetti   beneficino   dell'ammissione   agli   strumenti
 trattamentali  ed  alle  misure  alternative  appare   adeguata   una
 disciplina  tal quale quella predisposta dal legislatore del 1991 nei
 confronti  della  seconda  delle  due  categorie  di  detenuti  sopra
 richiamate  ed  individuata  dalla  seconda  parte  del  primo  comma
 dell'art. 4- bis o.p., della cui legittimita' costituzionale  non  si
 dubita:  sembra  cioe',  sufficiente  indicare  un  particolare  iter
 istruttorio  alla  magistratura  di  sorveglianza,   svincolando   il
 giudizio  della stessa da rigidi automatismi e permettendo la ricerca
 e la valutazione di concreti elementi di riscontro atti a  comprovare
 in  positivo la presenza di legami con la criminalita' organizzata od
 eversiva. Viceversa, la statuizione di una presunzione qualificata di
 attualita' dei predetti collegamenti, superabile soltanto mediante la
 acquisizione, peraltro di quasi  impossibile  verificazione  pratica,
 siccome  sopra  ricordato, di positivi elementi dell'assenza dei gia'
 piu' volte menzionati collegamenti con  la  criminalita'  organizzata
 appare  escogitazione  legislativa  tale  da  svilire  il trattamento
 penitenziario  dei  soggetti  sopra  individuati  sino  al  punto  di
 obliterare  la  funzione  rieducativa  dello  stesso,  la cui massima
 esplicazione, secondo quanto asserito dalla stessa consulta (v. Corte
 costituzionale, sentenza 26 giugno - 2  luglio  1990,  n.  313,  gia'
 citata),  si  manifesta nell'istituto disciplinato dall'art. 54 della
 legge 26 luglio 1975,  n.  354  e  successive  modificazioni.  Appare
 opportuno   ricordare,   a   tal   proposito,   che,   nella  vigenza
 dell'originaria legge di riforma dell'ordinamento  penitenziario,  in
 epoca,  cioe',  antecedente  alle  modifiche apportate dalla legge 10
 ottobre 1986, n. 663, la sussistenza di preclusioni alla  fruibilita'
 di misure alternative quali l'affidamento in prova al sevizio sociale
 e  la  semiliberta'  (derivanti  dalla  presenza  di dichiarazioni di
 recidiva  ovvero  dalla  commissione  di  particolari  delitti) venne
 giudicata non completamente confliggente con il precetto  di  cui  al
 terzo  comma  dell'art. 27 della Costituzione proprio in virtu' della
 possibilita'  di  adizione  di  altri   strumenti   del   trattamento
 penitenziario:  si  rammenti  che  la possibilita' di ammissione alla
 prestazione di mansioni lavorative all'esterno dell'istituto di  pena
 non  ha  mai preveduto, sino al luglio 1991, la sussistenza di titoli
 di reato ostativi alla stessa  e  che  la  previsione  normativa  che
 stabiliva  che  il  detenuto  condannato  per determinate fattispecie
 delittuose non potesse adire l'istituto della riduzione di  pena  per
 liberazione  anticipata  venne  abrogata mediante la legge 12 gennaio
 1977, n. 1, la quale, peraltro, introdusse rilevanti  restrizioni  ad
 altri  istituti  dell'originaria  legge  di  riforma dell'ordinamento
 penitenziario,  essendo  stata  promulgata  in  un  momento   storico
 caratterizzato  da  particolare  sfavore nei confronti degli istituti
 del trattamento rieducativo. Orbene, la prima parte del  primo  comma
 dell'art.  4-  bis  della  legge  26 luglio 1975, n. 354 e successive
 modificazioni, mediante la prefigurazione in capo ai soggetti in essa
 individuati  (condannati  per  delitti  commessi  per  finalita'   di
 terrorismo  o  di  eversione  dell'ordinamento  costituzionale, per i
 delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-
 bis  del  c.p.  ovvero  al  fine  di  agevolare   l'attivita'   delle
 associazioni previste dallo stesso articolo, nonche' per i delitti di
 cui  agli artt. 416- bis e 630 del c.p. e all'art. 74 del testo unico
 delle leggi in materia  di  disciplina  degli  stupefacenti  e  delle
 sostanze  psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi
 stati di tossicodipendenza,  approvato  con  decreto  del  Presidente
 della   Repubblica  9  ottobre  1990,  n.  309)  di  una  presunzione
 qualificata  di  attualita'  di  collegamenti  con  la   criminalita'
 organizzata,  superabile  soltanto  attraverso  la  prova positiva di
 assenza dei collegamenti stessi, peraltro di assai difficile (ove non
 impossibilie) acquisizione, pone un ostacolo alla  fruizione  di  uno
 tra  i  piu' pregnanti strumenti del trattamento penitenziario, quale
 la riduzione di pena per liberazione anticipata, si'  da  svilire  la
 finalita'  rieducativa della sanzione penale, sin quasi ad una totale
 obliterazione, in un momento particolarmente connesso alla  finalita'
 stessa,  come  quello  dell'esecuzione  e  del  trattamento:  da cio'
 desumesi un vulnus del precetto statuito dal terzo comma dell'art. 27
 della Costituzione, tale da indurre questo collegio ad apprezzare  la
 necessita'  di  procedere  ad  una  rimessione  degli atti alla Corte
 costituzionale.
    Ancora, aggiungasi che la disciplina predisposta dall'art. 4-  bis
 della  legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni appare
 confliggere anche con il principio di eguaglianza di cui  all'art.  3
 della  Costituzione:  invero,  non  si  rinviene  alcuna  ragionevole
 giustificazione della disparita' trattamentale riservata ai  soggetti
 indicati  dalla  prima  parte  del  primo comma dell'art. 4- bis o.p.
 rispetto a quelli individuati dalla seconda parte del medesimo comma,
 i quali potrebbero risultare penalmente responsabili  di  delitti  di
 non  minore efferatezza e disvalore sociale (si pensi alla situazione
 dell'autore  di  un  omicidio   premeditato,   magari   plurimo,   in
 comparazione  a  quella del correo di sequestro di persona a scopo di
 estorsione,  che  abbia   svolto,   nell'ambito   dell'organizzazione
 criminosa,  mansioni di secondaria importanza) e, comunque, fruire di
 un  trattamento piu' favorevole, poiche' nei loro confronti si rende,
 allo stato, necessaria l'acquisizione della prova della  presenza  di
 collegamenti  attuali  con  la  criminalita'  organizzata, tramite il
 reperimento di elementi di riscontro dettagliati  (v.  art.  4-  bis,
 secondo  comma,  o.p.),  si'  che  la  mera  assenza degli stessi non
 varrebbe, come per i soggetti di cui alla prima parte del primo comma
 dell'art. 4- bis o.p., a consustanziare una  pronunzia  di  reiezione
 delle  istanze  intese  all'ottenimento dei "benefici" della legge di
 riforma dell'ordinamento penitenziario.
    Cio' detto in relazione  alla  non  manifesta  infondatezza  della
 questione  di  legittimita'  costituzionale, occorre sottolineare gli
 elementi  sottesi  al  giudizio  di  rilevanza  della  stessa   nella
 procedura   presente:   basti,   a  tale  scopo,  riflettere  che  le
 informazioni acquisite per il tramite del  comitato  provinciale  per
 l'ordine  e  la  sicurezza  pubblica  di  Reggio Calabria (v. nota n.
 235/1991/ gab. redatta in data 14 febbraio 1991 dalla  prefettura  di
 Reggio Calabria, in atti) asseriscono, in maniera, invero, apodittica
 la  presenza  di  collegamenti  del Giampaolo con la cosca capeggiata
 dalla famiglia dei  Nirta,  operante  in  San  Luca,  senza  peraltro
 fornire  elementi di riscontro a fondamento dell'affermazione. Stante
 la presunzione di attualita'  di  collegamenti  con  la  criminalita'
 organizzata  gravante  in  capo ai soggetti sopra individuati (quindi
 anche in capo al Giampaolo Giovanni,  condannato,  si  rammenti,  per
 concorso in sequestro di persona a scopo di estorsione) l'informativa
 predetta   appare   sufficiente  allo  scopo  di  consustanziare  una
 pronunzia di reiezione dell'istanza  intesa  all'ottenimento  di  una
 riduzione  di pena per liberazione anticipata, senza, invero, rendere
 necessari ulteriori, piu' approfonditi accertamenti circa l'effettiva
 sussistenza  dei  denunziati  collegamenti  (la  quale,  va  da  se',
 escluderebbe    l'apprezzamento   di   un'adesione   alle   tematiche
 trattamentali), siccome  sarebbe,  viceversa,  opportuno  laddove  la
 disciplina legislativa fosse analoga a quella prevista per i soggetti
 individuati  nella  seconda  parte  del  primo comma dell'art. 4- bis
 o.p..
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  4-  bis,  primo comma, prima
 parte, della legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni,
 siccome interpolato nel  corpo  originario  della  legge  di  riforma
 dell'ordinamento  penitenziario dal primo comma dell'art. 1 del d.-l.
 13 maggio 1991, n. 152, convertito con legge 12 luglio 1991, n.  203,
 per  violazione  degli  artt. 3, 27, terzo comma, della Costituzione,
 nei sensi di cui in motivazione;
    Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale  e  la
 sospensione del giudizio in corso;
    Dispone  che,  a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
 notificata a Giampaolo Giovanni, meglio qualificato in  epigrafe,  al
 suo  difensore,  al  Procuratore  Generale della Repubblica presso la
 Corte di appello di Ancona, al Presidente del Consiglio dei  Ministri
 e  sia  comunicata  al  Presidente  della  Camera  dei Deputati ed al
 presidente del Senato.
    Cosi' deciso in Ancona il giorno 24 ottobre 1991.
                       Il presidente: D'ADDEZIO
                          Il magistrato di sorveglianza est.: SEMERARO
    Depositato in cancelleria il 30 ottobre 1991.
                  Il cancelliere: (firma illeggibile)

 92C0052