N. 22 ORDINANZA 22 - 24 gennaio 1992

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Imposte  in  genere  - I.V.A. - Accertamento - Contribuente in regime
 forfettario  -  Rettifica  induttiva  dell'ammontare  dei  ricavi   -
 Legittimita'   del   ricorso  a  presunzioni  in  materia  tributaria
 (sentenza n. 103/1991, ordinanze nn. 982 e 21 del 1988,  586,  334  e
 221 del 1987) - Ragionevolezza - Manifesta infondatezza.
 
 (Legge 17 febbraio 1985, n. 17, art. 2, ventinovesimo comma).
 
 (Cost., artt. 3, primo comma, 4, 24 e 53, primo e secondo comma).
(GU n.6 del 5-2-1992 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
    CASAVOLA, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi
    MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano
    VASSALLI, prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  comma
 ventinovesimo,  della legge 17 febbraio 1985, n. 17, (Conversione con
 modificazioni  in  materia  di  IVA  e  di  imposte  sul  reddito   e
 disposizioni  relative  all'Amministrazione finanziaria) promosso con
 ordinanza emessa il 10 dicembre 1990 dalla Commissione tributaria  di
 primo  grado  di Alessandria sui ricorsi riuniti proposti da Contorno
 Saverio contro l'Ufficio IVA di Alessandria iscritta al  n.  494  del
 registro  ordinanze  1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 18 dicembre 1991 il Giudice
 relatore Renato Granata;
    Ritenuto che, con ordinanza del 10 dicembre 1990,  la  Commissione
 tributaria  di  primo  grado  di Alessandria, chiamata a pronunciarsi
 sulla legittimita' di taluni  avvisi  di  accertamento  in  rettifica
 operati  dal  locale  Ufficio I.V.A. ai sensi dell'art. 2 n. 29 della
 legge 17 febbraio 1985 n. 17,  ha  dubitato  della  costituzionalita'
 della   norma   suddetta   nella   parte   in   cui  questa  consente
 all'Amministrazione di rettificare le dichiarazioni dei  contribuenti
 in  regime forfettario - anche "indipendentemente da quanto stabilito
 nell'art. 39 del d.P.R. 1973 n. 600 e negli artt. 54, 55 d.P.R.  1972
 n.  633"  e,  cioe',  pur  quando  non  risultino  infedelta' di tali
 dichiarazioni  o  mancata  emissione  di  fatture   -   "determinando
 induttivamente  l'ammontare  dei ricavi, in misura superiore a quella
 dichiarata, sulla base di presunzioni desunte da  uno  o  piu'  degli
 elementi"  nella  stessa  disposizione elencati, quali "dimensione ed
 ubicazione  dei  locali  destinati  all'esercizio,  beni  strumentali
 impiegati, numero, qualita' e retribuzione degli addetti ..";
      che,  ad  avviso  del giudice a quo, l'eccessiva astrattezza dei
 dati sui quali nella specie  si  fonda  l'accertamento  induttivo,  e
 l'assenza   in   essi   dei  requisiti  di  "gravita',  precisione  e
 concordanza"  richiesti  dall'art.  2729  cod.  civ.   in   tema   di
 presunzioni,   lascerebbero  appunto  inferire  la  vulnerazione  dei
 precetti   della   capacita'   contributiva   e   di   progressivita'
 dell'imposta  (art.  53,  comma primo e secondo, della Costituzione),
 dell'art. 24 (per la estrema difficolta' che avrebbe il  contribuente
 di  superare una presunzione siffatta), dell'art. 3 (per l'arbitraria
 discriminazione  che  ne  conseguirebbe  ai  danni   dei   lavoratori
 autonomi,  in  specie artigiani, in regime forfettario) e dell'art. 4
 della Costituzione (per  la  negativa  incidenza  che  il  denunciato
 meccanismo  impositivo  potrebbe  avere  sullo  stesso  esercizio del
 diritto al lavoro);
      che  di  tutte  tali  questioni  l'Avvocatura  di   Stato,   per
 l'intervenuto  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri, ha eccepito
 l'inammissibilita', sia sotto il profilo del difetto  di  motivazione
 sulla  rilevanza,  attesa la loro enunciazione in termine di "critica
 astratta alla disposizione denunciata"; sia in ragione di  una  sorta
 di  aberratio  ictus, nella misura in cui con esse verrebbero addotti
 motivi di irragionevolezza ascrivibili  al  provvedimento  impositivo
 piu' che alla norma in esso applicata;
    Considerato  che  entrambe  le riferite eccezioni, il cui esame e'
 ovviamente  preliminare,  vanno  disattese.  La  prima,   perche'   -
 contrariamente   a  quanto  dell'Avvocatura  assunto  -  non  mancano
 nell'ordinanza di rimessione i riferimenti al caso concreto (sia  con
 riguardo  all'attivita',  di  "parrucchiere  per  uomo",  svolta  dal
 ricorrente, sia al dato indiziante,  "numero  degli  addetti",  nella
 specie  utilizzato  per  l'accertamento  presuntivo  del  correlativo
 maggior ricavo), che giustificano la dipendenza della lite di  merito
 dall'esito  del  giudizio  di  legittimita'.  La seconda, perche' - a
 parte  taluni  rilievi  della  Commissione   a   quo   effettivamente
 riferibili  al  provvedimento  impositivo  e  percio'  ininfluenti in
 questa sede - il nucleo  centrale  della  censure  formulate  attinge
 proprio la norma denunciata;
      che,  nel merito, la questione e', comunque, sotto ogni profilo,
 manifestamente infondata;
      che infatti - alla luce della costante giurisprudenza di  questa
 Corte  che, in relazione al precetto della capacita' contributiva, ha
 piu' volte ribadito la legittimita'  del  ricorso  a  presunzioni  in
 materia  tributaria  "purche'  non  irragionevoli e fondate su indici
 concretamente rivelatori di ricchezza" (cfr., da ultimo sent. 103/91;
 ord.ze 982, 21/88; 586, 334, 221/87), indipendentemente quindi  dalla
 ricorrenza   dei   requisiti  dell'art.  2729  c.c.,  attinente  alla
 formazione della prova nella diversa sfera dei rapporti  tra  privati
 (cfr.  sent.  283/87)  -  va, in primo luogo, sicuramente anche nella
 specie esclusa la pretesa violazione dell'art. 53, primo comma, della
 Costituzione:  per  un  verso,  perche'  non  irragionevole   e'   la
 consentita  utilizzazione  di parametri conoscitivi extracontabili in
 presenza di scritture semplificate (e che non abbisognano per cio' di
 essere previamente smentite in forme predeterminate) quali quelle  di
 cui   si   avvalgono   i  contribuenti  cd.  forfettari,  destinatari
 dell'accertamento in oggetto; per altro verso, perche' parimenti  non
 irragionevole   e'  l'assunzione  -  in  base  a  massime  di  comune
 esperienza - dei dati in questione ad indici di  significazione  (per
 altro  non automatica) di conseguiti ricavi. E senza che la facolta',
 riconosciuta all'Amministrazione, di utilizzare (come  nella  specie)
 anche  uno  soltanto  dei dati indizianti, possa risolversi - come si
 assume - in fittizieta' dell'imposizione,  potendo  a  sua  volta  il
 contribuente,  gia'  nella  fase  procedimentale,  introdurre  i dati
 trascurati dal Fisco,  e  che  egli  invece  ritenga  influenti,  nel
 complessivo  contesto  conoscitivo,  in  risposta  alla "richiesta di
 chiarimenti" che la stessa norma  denunciata  impone  all'Ufficio  di
 previamente notificargli;
      che,  parallelamente  tale forma anticipata di contraddittorio -
 unitamente all'obbligo (nella medesima disposizione pure previsto) di
 "specifica  indicazione  nell'avviso  di  accertamento"   (anche   in
 funzione ed a supporto del successivo sindacato giurisdizionale) "dei
 fatti   che   danno   fondamento  alla  presunzione"  -  appresta  al
 contribuente   una   adeguata   rete   di   garanzie   che    esclude
 l'ipotizzabilita' di alcuna violazione del precetto della difesa;
      che   manifestamente  insussistente  e'  poi  anche  l'ulteriore
 profilo di contrasto con l'art.  3  Cost,  attesa  la  gia'  rilevata
 disomogeneita'  di  posizione ai fini considerati tra contribuenti in
 regime di contabilita', rispettivamente, ordinaria o semplificata;
      che infine i residui parametri di cui agli artt.  53  cpv.  e  4
 della  Costituzione  sono  all'evidenza  non  utilmente  nella specie
 invocati: (quanto al primo) non venendo  in  discussione  criteri  di
 progressivita'  in  materia  di  IVA,  che e' imposta sui consumatori
 finali e non sugli imprenditori, e (quanto al secondo) non potendo  -
 per  definizione  -  stabilirsi  una  contrapposizione tra diritto al
 lavoro e dovere di concorrere alle spese pubbliche.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 2, comma 29, della legge 17 febbraio 1985 n.
 17 (Conversione con modificazioni, del d.-l. 19 dicembre 1984 n. 853,
 recante  disposizioni  in  materia  di IVA e di imposte sul reddito e
 disposizioni relative all'Amministrazione finanziaria) sollevate,  in
 riferimento  agli  artt.  3,  comma  primo,  4, 24, 53, comma primo e
 secondo, della Costituzione, dalla Commissione  tributaria  di  primo
 grado di Alessandria, con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 22 gennaio 1992.
                       Il Presidente: CORASANITI
                         Il redattore: GRANATA
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 24 gennaio 1992.
                       Il cancelliere: DI PAOLA
 92C0101