N. 32 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 ottobre 1991
N. 32 Ordinanza emessa il 30 ottobre 1991 dal pretore di Voghera nel procedimento civile vertente tra Bluetti Giovanna ed altra n.q. di eredi di Gatti Ernesta e l'I.N.P.S. Previdenza e assistenza sociale - Pensioni I.N.P.S. - Diritto alle prestazioni previdenziali - Termine di decadenza (dieci anni) per l'impugnativa in giudizio dei provvedimenti dell'I.N.P.S. - Qualificazione di tale termine, di natura procedimentale per consolidata giurisprudenza, in termine decadenziale di natura sostanziale - Prevista retroattivita' di tale disposizione tranne che per i processi gia' in corso alla data di entrata in vigore del d.-l. 29 marzo 1991, n. 103 - Incidenza sul diritto a mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso di vecchiaia riguardo a coloro che non hanno proposto il giudizio, del tutto ingiustificatamente discriminati, per di piu', rispetto a quelli che invece l'abbiano gia' proposto. (D.-L. 29 marzo 1991, n. 103, art. 6, secondo comma, convertito in legge 1' giugno 1991, n. 166). (Cost., artt. 3 e 38).(GU n.7 del 12-2-1992 )
IL PRETORE Con le sentenze della sezione lavoro della cassazione n. 376 del 23 gennaio 1989 e delle sezioni unite n. 6245 del 21 giugno 1990 sembrava essersi consolidata quell'interpretazione sull'art. 47, secondo comma d.p. 30 aprile 1970, n. 639 che attribuisce al termine decennale ivi previsto natura di mera delimitazione temporale delle condizioni di procedibilita' della domanda di pensione una volta esaurita la fase amministrativa. In questa direzione (confermata da cassazione sezione lavoro n. 9333 dell'11 settembre 1990, 9 agosto 1984 e dell'8 agosto 1990) l'avente diritto ha soltanto l'onere di presentazione di una nuova domanda una volta decorso il predetto termine che non avrebbe natura ne' di prescrizione ne' di decadenza. Il legislatore e' peraltro intervenuto con il d.-l. 15 settembre 1990, n. 259, poi con i d.-l. 22 novembre 1990, n. 338 e 28 gennaio 1991, n. 28 (decaduti), ed infine con il d.-l. 29 marzo 1991, n. 103, convertito nella legge 1' giugno 1991, n. 166 il cui art. 6 recita testualmente: "i termini previsti dall'art. 47, comma secondo e terzo, del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639 sono posti a pena di decadenza per l'esercizio del diritto alla prestazione previdenziale". La decadenza determina l'estinzione del diritto ai ratei pregressi delle prestazioni previdenziali e l'inammissibilita' della relativa domanda giudiziale. "In caso di mancata proposizione di ricorso amministrativo, i termini decorrono dalla insorgenza del diritto ai singoli ratei". Viene infine precisato che "le disposizioni di cui al primo comma hanno efficacia retroattiva ma non si applicano ai processi pendenti alla data di entrata in vigore del decreto". La norma ha indubbiamente valore "innovativo" e non quello di "interpretazione autentica" (e d'altra parte come si spiegherebbe altrimenti il secondo comma, tenuto conto che le norme di interpretazione autentica sono per definizione norme con effetti retroattivi?) come si rileva anche dalla relazione al disegno di legge di conversione ove era esplicitato che "con l'art. 6 vengano definiti i termini prescrizionali per il diritto alle prestazioni previdenziali". Trattandosi di norma innovativa cui si e' voluto attribuire efficacia retroattiva la stessa non sembra sottrarsi a forti dubbi circa la sua correttezza costituzionale in primo luogo sotto il profilo della razionale giustificazione della medesima retroattivita', alla luce del principio generale di irretroattivita', (art. 11 preleggi) il cui valore, seppur non elevato a rango costituzionale (salvo che in materia penale) e' pur sempre quello di una regola di indirizzo cui il legislatore deve ragionevolmente attenersi allo scopo di salvaguardare la certezza dei rapporti pregressi, cardine di ogni civile convivenza (Corte cost. sent. 115/90). La Corte costituzionale (n. 822/1988) ha sottolineato che "non e' consentita una modificazione legislativa che, intervenendo in una fase avanzata del rapporto di lavoro, oppure quando sia gia' subentrato lo stato di quiescenza, possa peggiorare, senza adeguata esigenza e in maniera definitiva, un trattamento pensionistico gia' in precedenza spettante, con conseguente vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il periodo successivo alla cessazione della sua attivita' lavorativa". Nella medesima sentenza si legge che "vale il principio della garanzia della sicurezza sociale, che e' di ordine costituzionale, oltre che le innegabili ragioni di giustizia sociale e di equita', per cui non possono effettuarsi riforme o conseguire risultati a danno di categorie di lavoratori in genere o in specie di quelle che sono prossime alla pensione o sono gia' in pensione". Vi e' quantomeno il forte dubbio di una violazione dell'art. 38 della Costituzione, sotto il profilo del diritto ad un corretto trattamento pensionistico, mentre l'introduzione di nuovi termini di decadenza puo' legittimamente ritenersi lesiva della sopramenzionata garanzia di sicurezza sociale non avendo fatti salvi i procedimenti amministrativi ancora pendenti (ma solo quelli giudiziari), con conseguente negativa incidenza sull'affidamento di fatto sulla pregressa normativa (convalidata come si e' visto dalle sezioni unite della Corte di cassazione). E d'altra parte, e si affronta un connesso profilo di incostituzionalita', e' altresi' fortemente dubbia, sotto il profilo della ragionevolezza, la scelta di privilegiare, con riferimento al passato, coloro che hanno ritenuto di intraprendere la via giudiziaria (si intende dopo la proposizione della domanda amministrativa) rispetto a coloro che sono rimasti in attesa delle decisioni dell'istituto (e dei relativi tempi di risposta) trattandosi di situazioni soggettive costituzionalmente garantite che limitano la "discrezionalita'" del legislatore di adottare discipline differenziate di situazioni diverse. D'altra parte ove anche la norma fosse letta come di "interpretazione autentica" non si sottrarrebbe a censura di costituzionalita' sotto i medesimi profili. Si ricorda a questo proposito la vicenda dell'art. 11 della legge 11 marzo 1988, n. 67, con il quale si era tentato, in via appunto di interpretazione autentica dell'art. 129 del r.d.-l. 4 ottobre 1935 n. 1827, di assoggettare a prescrizione quinquennale, oltre alle rate di pensione liquidate e non riscosse, anche le rate comunque non poste in pagamento, e dichiarato incostituzionalecon la ben nota sentenza n. 283, del 25 maggio 1989. E del resto, e si accenna brevemente ad un ulteriore aspetto di illegittimita', la disparita' di trattamento potrebbe comportare effetti "ablativi" ancor piu' gravi nelle ipotesi in cui il termine di decadenza venga a decorrere dalla data di insorgenza del diritto ai singoli ratei (in difetto di ricorso) e cioe' da un evento non solo estraneo alla fase procedimentale ma oltretutto soggettivamente incerto per l'assicurato.
P. Q. M. Letti gli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dispone la rimessione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della questione di legittimita' costituzionale del secondo comma dell'art. 6 del d.-l. 29 marzo 1991, n. 103, convertito nella legge 1' giugno 1991, n. 166, per contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione; trattasi di questione non manifestamente infondata e rilevante ai fini del giudizio che viene sospeso; Manda alla cancelleria per la comunicazione della presente ordinanza alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e ai Presidenti delle Camere dei deputati e del Senato della Repubblica. Voghera, addi' 30 ottobre 1991 Il pretore: BUONASSISI Depositato in cancelleria il 30 ottobre 1991. Il collaboratore di cancelleria: MANNA 92C0105