N. 37 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 settembre 1991

                                 N. 37
   Ordinanza emessa il 19 settembre 1991 salla Corte di cassazione,
                            sezione lavoro,
     sul ricorso proposto dall'I.N.A.D.E.L. contro Ingemi Giuseppa
 Lavoro e previdenza (controversie in materia di) - Dipendenti da enti
    locali  iscritti  all'I.N.A.D.E.L.  -  Somme  dovute  a  titolo di
    riliquidazione dell'indennita' premio di servizio -  Rivalutazione
    monetaria - Esclusione - Discriminazione rispetto ad altri crediti
    previdenziali - Insufficiente garanzia previdenziale - Richiamo ai
    principi della sentenza n. 156/1991.
 (D.-L. 31 agosto 1987, n. 359, art. 23, quarto comma, convertito in
    legge 29 ottobre 1987, n. 440).
 (Cost., artt. 3 e 38).
(GU n.7 del 12-2-1992 )
                        LA CORTE DI CASSAZIONE
   Ha   pronunciato   la   seguente  ordinanza  sul  ricorso  proposto
 dall'Istituto  nazionale  assistenza   dipendenti   enti   locali   -
 I.N.A.D.E.L.,   in  persona  del  legale  rappresentante  pro-tempore
 elettivamente domiciliato in Roma, via  Livorno,  58,  presso  l'avv.
 Luciano  Bason  che  lo  rappresenta e difende per procura speciale a
 margine del ricorso, ricorrente contro Ingemi Giuseppa, elettivamente
 domiciliata in Roma, presso la cancelleria  della  Corte  suprema  di
 cassazione  rappresentata  e  difesa  dall'avv. Francesco Mobilia per
 procura speciale a margine del controricorso,  controricorrente,  per
 l'annullamento  della  sentenza  del  tribunale di Messina in data 15
 aprile 1988 dep. il 5 dicembre 1988 (r.g. n. 759/1987);
    Udita nella pubblica udienza tenutasi il giorno 19 settembre  1991
 la relazione della causa svolta dal cons. rel.
 dott. Fancelli;
    Udito l'avv. Mobilia;
    Udito  il  p.m.  nella  persona del sost. proc. gen. dott. Gennaro
 Salvatore Tridico che ha concluso per il rigetto del ricorso.
                           RITENUTO IN FATTO
    Con sentenza  depositata  il  5  dicembre  1988  il  tribunale  di
 Messina,   decidendo   sull'appello  proposto  dall'I.N.A.D.E.L.  nei
 confronti di Ingemi Giuseppina, dipendente da ente locale collocata a
 riposo il 1' marzo 1985, avverso la sentenza 13 giugno 1987 del  pre-
 tore  del  luogo,  confermava  la sentenza stessa che in accoglimento
 della  domanda   della   Ingemi   aveva   condannato   l'Istituto   a
 corrisponderle  a  titolo di riliquidazione dell'indennita' premio di
 servizio  (I.P.S.)  la  maggiore  somma  di  L.  13.112.748,  con  il
 risarcimento  del danno per il ritardato pagamento secondo gli indici
 ISTAT e con gli interessi legali a decorrere dalla data  della  prima
 liquidazione dell'I.P.S.
    Riteneva   il   tribunale,  relativamente  ai  riconosciuti  oneri
 accessori, che ricorrevano  nella  specie  tutti  i  presupposti  per
 l'applicabilita'  dell'art. 1224 del codice civile, mentre non poteva
 essere invocato al riguardo l'art. 23, quarto  comma,  del  d.-l.  31
 agosto 1987, n. 359, convertito con legge n. 440/1987, secondo cui le
 somme  dovute  per  riliquidazione  dell'I.P.S.  non  danno  luogo  a
 corresponsione di interessi e rivalutazione monetaria, non avendo  la
 legge effetto retroattivo.
    L'I.N.A.D.E.L.  ha  proposto ricorso per Cassazione deducendo vizi
 di violazione e falsa applicazione delle predette norme  e  dell'art.
 429, terzo comma, del c.p.c.
                          OSSERVA IN DIRITTO
    L'Istituto   ricorrente  censura  la  sentenza  impugnata  che  ha
 riconosciuto  sulla  somma  dovuta   a   titolo   di   riliquidazione
 dell'I.P.S.  (in  forza  della  legge  n.  297/1982)  il  diritto  al
 risarcimento del danno per il ritardato pagamento  e  agli  interessi
 moratori.
    Sostiene  l'I.N.A.D.E.L.  che tale diritto e' escluso dall'art. 23
 del d.-l. n.  359/1987;  che  nella  specie  trattandosi  di  credito
 previdenziale  non  e' applicabile la rivalutazione automatica di cui
 all'art. 429 del c.p.c.; che non ricorrono i presupposti del  ritardo
 colpevole  del  debitore  e  della  prova  del  danno  conseguente al
 ritardato pagamento per poter dare ingresso alla previsione normativa
 dell'art. 1224 del cod. civ.
    L'art. 23, quarto comma,  del  d.-l.  citato,  con  riguardo  alla
 riliquidazione    dell'I.P.S.    mediante   computo   dell'indennita'
 integrativa speciale (I.I.S.) maturata dopo il 31 gennaio  1977  (per
 effetto  dell'art. 4 della legge n. 297/1982 abrogativo degli artt. 1
 ed 1- bis del d.-l. 1' febbraio 1977, n. 12, convertito con legge  n.
 91/1977)  esclude,  anche  nel  caso  di  riliquidazione derivante da
 sentenza passata in giudicato (e quindi con effetto retroattivo),  la
 corresponsione di interessi e rivalutazione monetaria.
    La  Corte  costituzionale con sentenza n. 1060 del 6 dicembre 1988
 ha dichiarato  l'illegittimita'  della  predetta  disposizione  nella
 parte statuente l'esclusione degli interessi.
    A  seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 12
 aprile 1991 che ha disposto la sostanziale equiparazione dei  crediti
 previdenziali  ai  crediti  di  lavoro,  con conseguente applicazione
 anche ai primi del principio della rivalutazione  automatica  di  cui
 all'art.   429,   terzo  comma,  del  c.p.c.,  viene  riproposta  dal
 resistente la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  23,
 quarto   comma,   citato  nella  parte  escludente  la  rivalutazione
 monetaria.
    Tale questione e' rilevante  per  il  suo  evidente  carattere  di
 pregiudizialita'  nel  presente  giudizio,  in cui l'applicazione del
 citato  quarto  comma  dell'art.  23  nel  testo   risultante   dalla
 dichiarazione     di     parziale    illegittimita'    costituzionale
 comporterebbe, attesa la sua retroattivita' e dovendosi escludere  il
 diritto  alla  rivalutazione  monetaria  riconosciuto  dai giudici di
 merito, la cassazione dell'impugnata sentenza.
    Nel merito la questione si presenta non  manifestamente  infondata
 con   riferimento  sia  all'art.  3  della  Costituzione  (attesa  la
 discriminazione del credito de quo rispetto  ad  ogni  altro  credito
 previdenziale   relativamente   alla  rivalutazione  monetaria),  sia
 all'art. 38 della Costituzione (provvedendosi in modo inadeguato alle
 comuni esigenze di vita del lavoratore cessato dal servizio).
    Invero la esclusione della rivalutazione - al contrario di  quella
 relativa  agli  interessi  - era stata ritenuta legittima dalla Corte
 costituzionale con la sentenza  n.  1060/1988  in  base  ai  seguenti
 rilievi:
       a) per i crediti previdenziali a differenza di quelli di lavoro
 privato  non  trova  applicazione l'art. 429 della c.p.c. e quindi il
 principio della rivalutazione automatica del credito, ma l'art. 1224,
 secondo comma, del cod. civ. in base al quale occorrono la domanda di
 pagamento del  maggior  danno  e  la  dimostrazione  del  pregiudizio
 patrimoniale subito;
       b)  la  tematica  relativa  agli interessi e' autonoma rispetto
 alla rivalutazione, in quanto la decorrenza dei termini di  pagamento
 determina  automaticamente  la  mora dell'Istituto, giacche' "i tempi
 del meccanismo di liquidazione della prestazione sono prefissati  per
 legge  decorrenti  dalla  richiesta  del  dipendente,  pur in assenza
 dell'emissione del mandato di pagamento";
       c) la previsione normativa della esclusione della rivalutazione
 monetaria   corrisponde   ad   una   valutazione   non  arbitraria  e
 sufficientemente razionale del legislatore, dettata dalla  necessita'
 di sanare la situazione finanziaria venutasi a creare a seguito della
 sentenza  della Corte costituzionale n. 236/1986, la quale risolvendo
 dubbi  interpretativi,   aveva   sancito   l'inclusione   dell'I.P.S.
 dell'indennita'  integrativa speciale comprensiva degli incrementi di
 contingenza;
       d) il citato art. 23 e' norma eccezionale di durata  temporanea
 (limitata   alla   contribuzione  previdenziale  per  il  quadriennio
 1982-1986) e regola situazioni soggettive disomogenee  rispetto  agli
 ordinari crediti previdenziali;
       e)  la  non eccessivita' della decurtazione dovuta alla mancata
 rivalutazione non incide sulle condizioni poste dagli artt. 36  e  38
 della Costituzione.
    Orbene  la soluzione adottata dalla Consulta in relazione all'art.
 23 cit. non appare piu' giustificata alla luce della  sentenza  della
 Corte  costituzionale  n.  156/1991,  che, modificando quello che era
 l'orientamento giurisprudenziale consolidato, si e'  pronunciata  per
 l'assimilazione  dei  crediti  previdenziali  ai crediti retributivi,
 ritenendo che la rivalutazione  automatica  prevista  dall'art.  429,
 terzo  comma, del c.p.c. e' una modalita' di attuazione dell'art. 36,
 primo  comma,  della  Costituzione,  dettato  quale  parametro  delle
 esigenze di vita del lavoratore, per cui la sua mancata estensione ai
 crediti  previdenziali  comporta  una violazione non solo dell'art. 3
 della Costituzione, ma  anche  dell'art.  38,  secondo  comma,  della
 Costituzione  che  avvicina  sotto l'aspetto funzionale (di surroga o
 integrazione  di  un  reddito  di  lavoro  cessato  o   ridotto)   le
 prestazioni previdenziali ai crediti retributivi.
    E'   chiaro   che   il  riconoscere  legittima  l'sclusione  della
 rivalutazione monetaria per i crediti previdenziali di  cui  all'art.
 23 citato, imporrebbe l'esclusione proprio del criterio automatico di
 rivalutazione  che la sentenza n. 156/1991 della Corte costituzionale
 ha  inteso  introdurre  per  tutte  le  prestazioni  previdenziali  e
 priverebbe,   cosi',  di  una  significativa  porzione  le  spettanze
 accreditate  all'  ex  dipendente  per  effetto  di   meccanismi   di
 liquidazione  prefissati per legge (applicazione dell'indice ISTAT di
 rivalutazione monetaria),  non  essendo  necessario,  analogamente  a
 quanto  previsto  per  gli  interni  legali, alcun accertamento della
 responsabilita' dell'ente debitore e  alcuna  prova  del  pregiudizio
 patrimoniale  subito  dal  creditore  per  il ritardato adempimento e
 decorrendo entrambi i benefici, per quanto  concerne  il  credito  de
 quo,  in applicazione dell'art. 7 della legge 533/1973, dallo scadere
 del centoventesimo giorno dalla maturazione del diritto,  coincidente
 con il collocamento a riposo dell'interessato.
    Non  appaiono  decisive sotto il profilo strettamente giuridico le
 ragioni di natura  sostanzialmente  pragmatica  legate  all'esiguita'
 della  decurtazione  (peraltro  non  piu' sostenibile per effetto del
 cumulo della rivalutazione automatica del credito con  gli  interessi
 legali  ammesso  dall'art.  429)  e  alla necessita' di non aggravare
 ulteriormente la cassa dell'ente.
    D'altro  canto  l'inderogabile  esigenza  di  difesa  del   potere
 d'acquisto  della prestazione previdenziale necessaria per soddisfare
 gli ordinari bisogni della vita, attuata mediante il meccanismo della
 rivalutazione automatica, non puo' essere  elusa,  in  considerazione
 della   sua  rilevanza  costituzionale,  dalla  eccezionalita'  della
 disposizione di cui  al  citato  art.  23,  non  rappresentando  tale
 eccezionalita'  un  ragionevole  motivo  che  possa  giustificare  un
 trattamento  per  i  crediti  di  riliquidazione   dell'I.P.S.   meno
 favorevole   rispetto   a   quello   riservato   agli  altri  crediti
 previdenziali, militando anche a favore dei primi tutte le ragioni di
 salvaguardia del potere d'acquisto in  funzione  della  soddisfazione
 dei cennati bisogni.
                               P. Q. M.
    Dichiara  rilevante  e non manifestamente infondata in riferimento
 agli artt. 3 e 38 della Costituzione  e  in  elazione  alla  sentenza
 della  Corte  costituzionale n. 156/1991 la questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 23, quarto comma, del d.-l. 31 agosto  1987,
 n.  359,  convertito in legge 29 ottobre 1987, n. 440, nella parte in
 cui  dispone  che  le  somme  dovute  a  titolo   di   riliquidazione
 dell'indennita'   premio   di   servizio   non   danno   luogo   alla
 corresponsione della rivalutazione monetaria;
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla    Corte
 costituzionale  e  sospende  il  presente  giudizio  sul  ricorso  n.
 12405/1989;
    Ordina che a cura della  cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
 notificata  alle  parti  in  causa, al procuratore generale presso la
 Corte di cassazione, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri
 e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
    Cosi' deciso in Roma il 19 settembre 1991.
                        Il presidente: BENANTI
    Depositata in cancelleria il 21 novembre 1991.
              Il collaboratore di cancelleria: DEL FRANCO

 92C0110