N. 42 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 novembre 1991

                                 N. 42
 Ordinanza emessa il 13 novembre 1991 dal tribunale militare di Verona
           nel procedimento penale a carico di Klieber Ralph
 Reati militari - Mancanza alla chiamata - Soggetti che hanno perduto
    la cittadinanza italiana a  seguito  dell'acquisto  di  quella  di
    altro  Stato  e  che  siano,  in conseguenza, tenuti a prestare in
    quest'ultimo  il  servizio  militare  -  Omessa  previsione  della
    esenzione  dall'obbligo del servizio di leva in Italia, cosi' come
    stabilito per quei soggetti che abbiano gia' prestato il  servizio
    militare   nello  Stato  estero  -  Ingiustificata  disparita'  di
    trattamento - Operativita' dei doveri di "solidarieta' politica" e
    di difesa della patria solo in presenza di un effettivo legame con
    lo Stato italiano, insussistente nel caso di specie.
 (D.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237, art. 1, lett. b), in relazione alla
    legge 13 giugno 1912, n. 555, art. 8, ultimo comma).
 (Cost., artt. 2, 3 e 52).
(GU n.7 del 12-2-1992 )
                         IL TRIBUNALE MILITARE
   Ha pronunciato  in  pubblica  udienza  la  seguente  ordinanza  nel
 procedimento  penale  a  carico  di Klieber Ralph, nato il 15 ottobre
 1961 a  Bolzano  -  atto  di  nascita  n.  2082/I/A  -  residente  in
 Innsbruck,  Speckbacherstrasse  n. 8 - 6020 Austria; domicilio eletto
 in Verona, stradone San Fermo n. 13;  gia'  recluta  del  battaglione
 alpini  "Mondovi'"  in  Cuneo,  imputato del reato di: "mancanza alla
 chiamata aggravata" (artt. 151 e 154, n. 1,  del  c.p.m.p.)  perche',
 chiamato  alle  armi  mediante  pubblico  manifesto  ai  sensi  della
 circolare n. 707/1988  non  si  presentava  senza  giusto  motivo  al
 distretto  militare  di  Bolzano  o  ad  altra autorita' militare nei
 cinque giorni  successivi  al  27  agosto  1989,  termine  ultimo  di
 presentazione  per  gli  appartenenti  al  secondo  contingente 1989,
 rimanendo arbitrariamente assente fino al  22  ottobre  1990,  quando
 veniva  dispensato  dal  servizio  militare  di  leva ex art. 100 del
 d.P.R. n.  237/1964  come  sostituito  dall'art.  7  della  legge  n.
 958/1986;
    Con l'aggravante della durata dell'assenza superiore ai sei mesi;
    Sentito  il  p.m.  e  la  difesa  nelle  conclusioni di merito, su
 eccezione sollevata dalla difesa;
                      OSSERVA IN FATTO E DIRITTO
    1. - In esito all'odierno dibattimento  celebratosi  a  carico  di
 Klieber Ralph, imputato del reato di mancanza alla chiamata aggravata
 (artt. 151 e 154, n. 1, del c.p.m.p.), come descritto in epigrafe, e'
 pacificamente emerso, sulla scorta delle prove documentali ammesse su
 richiesta delle parti del collegio, che il giovane, nato in Italia da
 genitori  stranieri  e,  percio', cittadino straniero iure sanguinis,
 acquistava successivamente la cittadinanza italiana in base  all'art.
 3, n. 3, della legge 13 giugno 1912, n. 555.
    Veniva  quindi  regolarmente  arruolato  in Italia per prestare il
 servizio militare ed otteneva numerosi rinvii per motivi  di  studio,
 fino  a  che,  non  avendo  presentato  per  l'anno  1989  istanza di
 ammissione al ritardo, veniva interessato  alla  chiamata  alle  armi
 indetta con pubblico manifesto, alla stregua del quale avrebbe dovuto
 egli  presentarsi all'autorita' militare entro il 27 agosto 1989. Ne'
 a tale data, ne' in seguito, egli adempiva tale obbligo,  in  quanto,
 come  e' emerso, gia' da tempo, aveva trasferito la propria residenza
 in Austria ed  aveva,  gia'  da  prima  della  data  fissata  per  la
 presentazione  alle  armi,  perso  la  cittadinanza italiana ai sensi
 dell'art. 8, primo comma, n. 2, della legge citata.
   La chiamata alle armi, costituente  il  presupposto  di  fatto  del
 reato  di  cui  oggi  il  Klieber  e' chiamato a rispondere, discende
 dall'applicazione dell'art. 1, lett. b), del d.P.R. 14 febbraio 1964,
 n. 237, secondo il quale continuano ad essere soggetti alla leva " b)
 coloro che, sebbene abbiano perduto  la  cittadinanza  italiana  sono
 rimasti  obbligati  al servizio militare a tenore delle leggi vigenti
 in materia di cittadinanza"; il che si verifica puntualmente nel caso
 in  questione, versando il Klieber nella richiamata ipotesi dell'art.
 8, primo comma, n. 2, e ultimo comma, della legge n. 555/1912.
    2.  -  Cio'  premesso,  ritiene  il  collegio  non  manifestamente
 infondata  e  rilevante  la questione di legittimita' costituzionale,
 sollevata dalla Difesa, dell'art. 1, lett. b), del d.P.R. 14 febbraio
 1964, n. 237 (Leva e reclutamento obbligatorio  nell'Esercito,  nella
 Marina  e  nell'Aeronautica)  -  che  necessariamente va correlato, a
 parere del tribunale all'art. 8, ultimo comma, della legge 13  giugno
 1912, n. 555 (sulla cittadinanza) - in relazione agli artt. 2, 3 e 52
 della Costituzione.
    Relativamente alla sussistenza del requisito della rilevanza, dopo
 quanto  in  precedenza  accennato,  vale  la  pena di aggiungere che,
 nell'ipotesi di declaratoria di incostituzionalita'  della  normativa
 impegnata,   dovrebbe  ritenersi  inesistente  il  presupposto  della
 chiamata alle armi nei confronti del giudice, non rientrando  la  sua
 posizione  in  alcuna delle rimanenti ipotesi di assoggettabilita' al
 servizio militare; ne deriverebbe l'assoluzione dal reato ascrittogli
 per insussistenza dell'elemento materiale.
    Passando  poi  all'ipotizzata   violazione   dell'art.   3   della
 Costituzione,  una  prima  disparita'  di  trattamento si ravvisa tra
 coloro che perdono la cittadinanza per le ragioni previste  dall'art.
 8  della legge n. 555/1912 e coloro che la perdono ai sensi dell'art.
 7, stessa legge: solo a favore di questi ultimi,  stante  il  mancato
 richiamo dell'art. 8, ultimo comma, all'art. 7, si verifica l'effetto
 liberatorio  del  soggetto  che ha perso la cittadinanza italiana nei
 confronti della leva, mentre in capo ai primi non si realizza analogo
 vantaggio anche a seguito della perdita del detto status.
    Non ignora il tribunale che nei riferiti termini la  questione  e'
 gia'  stata dichiarata manifestamente infondata (Corte costituzionale
 ordinanza del 26 gennaio 1988, n. 109), sul rilievo della sostanziale
 disomogeneita' tra la situazione prevista dall'art. 8,  primo  comma,
 n. 1 - cui era limitata la questione - e quella contemplata dall'art.
 7: solo quest'ultimo prevederebbe come presupposto un evento naturale
 (la  nascita)  che consentirebbe di evitare eventuali abusi di natura
 strumentale, in ipotesi verificabili se l'effetto  liberatorio  fosse
 collegato  -  come nel caso previsto dell'art. 8, primo comma, n. 1 -
 ad  un  fatto  meramente  volontario  (la  fissazione  della  propria
 residenza all'estero).
    Tuttavia,   se   nella   cennata  questione  rivestiva  risolutiva
 rilevanza il fattore della casualita' del presupposto  dante  origine
 all'acquisto  di  altra cittadinanza - si' da rendere diversificabili
 le due ricordate  situazioni  -,  non  appare  riscontrabile  analoga
 disomogeneita'  qualora  il  rapporto con l'art. 7 riguardi l'ipotesi
 prevista dal n. 2 dell'art. 8 - rilevante nel caso di  specie  e  non
 investita dall'attenzione dell'ordinanza summenzionata - in cui e' un
 fatto  involontario,  variabile  in base agli ordinamenti stranieri e
 preesistente  alla  rinuncia  della  cittadinanza  italiana  ad  aver
 determinato l'acquisto di cittadinanza straniera.
    Le  situazioni  suddette  si presentano omogenee e non connotabili
 per  sostanziale  diversita':  in  entrambe  infatti  la  positiva  e
 volontaria   manifestazione   di   rinuncia  e'  preceduta  da  fatti
 involontari (la nascita in un caso; altro accadimento non legato alla
 volonta', nell'altro); ne deriva una prima violazione  del  principio
 stabilito nell'art. 3 della Costituzione.
    3.  -  Sotto diverso aspetto, il giudice delle leggi ha di recente
 stabilito l'illegittimita' costituzionale degli artt.  1,  lett.  b),
 del  d.P.R.  14 febbraio 1964, n. 237 ed 8, ultimo comma, della legge
 13 giugno 1912, n. 555 "nella parte in cui non  prevedono  che  siano
 esentati  dall'obbligo  del  servizio  militare  coloro  che  abbiano
 perduto la cittadinanza italiana a seguito dell'acquisto di quella di
 altro Stato nel quale abbiano gia' prestato servizio militare".
    Si e' voluto cosi'  porre  fine  ad  una  situazione  di  evidente
 disparita'  dovuta alla previsione espressa dell'esonero dal servizio
 militare secondo le convenzioni internazionali - e, segnatamente,  la
 convenzione  di  Strasburgo del 6 maggio 1963, ratificata dall'Italia
 con legge 4 ottobre 1966, n. 876 -  a  favore  del  cittadino  avente
 doppia  cittadinanza,  che  abbia gia' svolto il servizio militare in
 uno dei due Stati, rispetto a colui che, avendo addirittura perso  la
 cittadinanza  italiana  e  prestato  servizio militare nello Stato di
 acquisita cittadinanza, sia ancora  tenuto  a  prestare  il  servizio
 militare  in  Italia in virtu' dell'art. 8, ultimo comma, della legge
 n. 555/1912.
    Le due situazioni  sono,  a  parere  della  Corte  costituzionale,
 omogenee,  presentando,  la  seconda, addirittura caratteri di minore
 disvalore rispetto alla prima, sicche' l'esigenza  costituzionale  di
 parita'  trattamento  impone  l'esonero  di  entrambi  i soggetti dal
 servizio militare in Italia.
    Alle due prospettate situazioni  se  ne  affianca,  tuttavia,  una
 terza, a parere del collegio non disomogenea rispetto ad esse: quella
 di  chi  - come l'imputato - avendo perso la cittadinanza italiana ex
 art. 8, primo comma, n. 2, ed acquistato  la  cittadinanza  straniera
 (nella  specie, austriaca, e quindi rientrante nella disciplina dalla
 convenzione di Strasburgo),  pur  non  avendo  ancora  effettuato  il
 servizio  militare  in  alcuno dei due Stati, sia tenuto a prestarlo,
 secondo  la  normativa  ivi   vigente,   nel   Paese   di   acquisita
 cittadinanza.
    Esigere  a  tal  punto  la prestazione del servizio militare anche
 nello Stato italiano, in osservanza del principio di  "ultrattivita'"
 della  cittadinanza italina, fissata nell'art. 8, ultimo comma, della
 legge n. 555/1912, significa contraddire la  regola  secondo  cui  la
 prestazione (o l'obbligo futuro) del servizio militare in uno dei due
 Stati  esonera  dall'effettuarlo  anche  nell'altro;  tale principio,
 comune alle due ipotesi contemplate dalla sentenza n. 974/1988  della
 Corte  costituzionale,  non  puo'  che  estendersi,  in osservanza al
 canone di uguaglianza, anche all'omogenea situazione in esame, in cui
 il dato che la prestazione del servizio militare in uno Stato non  e'
 ancora  avvenuta e' meramente secondario rispetto alla considerazione
 che il soggetto e' comunque tenuto ad effettuarlo  secondo  le  leggi
 vigenti.   Di   qui   un'ulteriore   violazione   dell'art.  3  della
 Costituzione.
    4. -  Vero  e',  che  il  principio  della  "ultrattivita'"  della
 cittadinanza   italiana,  stabilito  dalla  normativa  impugnata,  fu
 fissato dal legislatore del 1912 per  disincentivare  cambiamenti  di
 cittadinanza.
    Mentre,  al  riguardo,  la  Dichiarazione  universale  del diritti
 dell'uomo,  adottata  dall'assemblea  generale  dell'O.N.U.   il   10
 dicembre  1948  - non applicabile nel nostro ordinamento per mancanza
 di    ratifica    o,    secondo    un'interpretazione    minoritaria,
 costituzionalizzata  dell'art.  10  della  Costituzione  - stabilisce
 proprio tra i diritti fondamentali del  soggetto  quello  "di  mutare
 cittadinanza".
    Un  siffatto  diritto  appare  d'altronde  tutelato  dalla  stessa
 Costituzione che "garantisce i  diritti  inviolabili  dell'uomo,  sia
 come  singolo,  sia  nelle  formazioni  sociali  ove si svolge la sua
 personalita'" (art. 2 della Costituzione): sono tali quelli  inerenti
 alla  natura  spirituale  dell'uomo,  patrimonio irretrattabile della
 persona (sentenza n. 252/1983) e tra essi ben si inquadra il  diritto
 del  soggetto  a  mutare  la propria cittadinanza in conformita' alle
 proprie intime aspirazioni e a collocarsi  percio'  in  seno  ad  una
 collettivita' ritenuta piu' vicina al proprio modo di sentire.
    Vale  poi  la  pena di aggiungere che l'affermazione del carattere
 "aperto" di tale categoria, non limitato ai soli diritti fondamentali
 previsti da altre disposizioni della  Corte  costituzionale,  prevale
 nella   giurisprudenza   della   Corte  costituzionale  (sentenza  n.
 561/1987), oltre che nella migliore  dottrina;  il  che  comporta  la
 possibilita'  di  individuare  altre posizioni soggettive inviolabili
 mediante interpretazione storico-evolutiva.
    La Corte stessa,  d'altronde,  appare  attribuire  al  diritto  di
 mutare   liberamente  la  propria  cittadinanza  rilievo  di  diritto
 inviolabile; cio' si evince dall'invito rivolto al legislatore  -  ma
 da questi non raccolto - con la menzionata ordinanza 26 gennaio 1988,
 n.  109,  di procedere ad un'organica revisione legislativa che tenga
 conto del tempo trascorso dal momento in  cui  la  vigente  normativa
 (n.d.r.: sulla cittadinanza), fu emanata, nonche' dell'evoluzione dei
 rapporti  e  degli  scambi  che ha finito per favorire sempre piu' la
 liberta'  di  stabilimento  nei  Paesi  stranieri,   rendendo   cosi'
 inattuali  disposizioni dettate con riferimento ad un diverso assetto
 della societa' e facendo apparire superate, sotto molteplici aspetti,
 quelle cautele che l'avevano ispirata.
    Il  tempo   e'   inutilmente   trascorso   nell'inadempienza   del
 legislatore  e  non e' piu' sopportabile che si protragga un'indebita
 compressione  del  diritto  invidabile  del  cittadino  di  stabilire
 altrove  la  propria  cittadinanza,  dovuta all'"ultrattivita'" della
 persa cittadinanza italiana ai fini della prestazione degli  obblighi
 di  leva  in  Italia,  come  risulta  dalla  normativa impugnata, che
 pertanto appare violare anche il citato art. 2 della Costituzione.
    5. - Per quanto attiene, infine, all'art. 52 della Costituzione il
 primo comma stabilisce l'obbligo di difesa della Patria a carico  del
 cittadino,  mentre  il  secondo il dovere di prestazione del servizio
 militare nei limiti stabiliti dalla legge.
    Secondo la  comune  interpretazione  quest'ultimo  costituisce  la
 normale  esplicazione  del  primo, inteso invece in modo piu' ampio e
 generale e se ne distingue perche' limitato nei nessi e  circoscritto
 nel  tempo,  consistendo  in  una  serie di prestazioni aventi durata
 prestabilita dalla legge e finalizzato all'istruzione  di  coloro  ai
 quali e' affidata la difesa in armi della Patria. Nel concetto di cui
 al  primo  comma, vanno poi ricomprese talune forme non riconducibili
 alla prestazione del servizio militare, quali il servizio sostitutivo
 civile e l'obbligo di difesa incombente, in caso  di  necessita',  su
 soggetti per la legge non tenuti a sottostare alla leva.
    E'  convinzione  del  collegio,  in  piu'  stretta  aderenza  alla
 questione in esame,  che  il  primo  comma,  costituzionalizzando  il
 dovere  di  difesa  della  Patria  solo  a  carico del cittadino, non
 escluda pero' che, in sede di  legiferazione  ordinaria,  esso  possa
 essere  esteso  anche nei confronti di soggetti non avente detto sta-
 tus.
    Il che sembra, d'altronde, confermato  dal  comma  successivo,  il
 quale,  prescindendo dalla cittadinanza, affida alla legge il compito
 di determinare che sia tenuto alla  forma  tipicamente  satisfattoria
 dell'obbligo  di  difesa,  vale  a  dire, la prestazione del servizio
 militare.
    Vero e', pero', che  gli  obblighi  previsti  dall'art.  52  della
 Costituzione,  comportando  una compressione dei diritti fondamentali
 (subordinazione gerarchica, restrizioni nella liberta' di  movimento,
 di manifestazione del pensiero ecc., giuramento di fedelta' assoluta,
 sottoposizione    e    normativa    penale   piu'   aspra),   trovano
 giustificazione  solo  se  inquadrati  e  finalizzati  al  dovere  di
 "solidarieta'  politica"  di  cui  all'art.  2 della Costituzione, il
 quale deve ritenersi operante, pero', solo in presenza di  un  legame
 attuale   ed   effettivo,   ancorche'   non   identificabile  con  la
 cittadinanza, del soggetto con lo Stato italiano.
    In mancanza di tale criterio - ravvisabile anche  nella  residenza
 o,  addirittura,  nella dimora di un soggetto non avente cittadinanza
 italiana - non deve un vincolo di natura meramente morale tradursi in
 obbligo giuridico, munito di sanzione penale, in quanto il dovere  di
 solidarieta'  politica  contenuto nell'art. 52 della Costituzione non
 puo' porsi a carico del cittadino straniero non avente  alcun  legame
 con lo Stato italiano, se non la perduta cittadinanza italiana.
    Nei  termini  esposti si configura anche in relazione all'art. 52,
 primo  e  secondo  comma,  della   Costituzione   la   questione   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  lett.  b)  del d.P.R. 14
 giugno 1912, n. 555.
                               P. Q. M.
    Letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara non manifestamente infondata  e  rilevante  nel  presente
 giudizio  la  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 1,
 lett. b), del  d.P.R.  14  febbraio  1964,  n.  237,  in  riferimento
 all'art.  8,  ultimo  comma,  della  legge 13 giugno 1912, n. 555, in
 relazione agli artt. 2, 3 e 52 della Costituzione;
    Ordina la sospensione del provvedimento e  la  trasmissione  degli
 atti alla Corte costituzionale;
    Dispone  che la presente ordinanza sia notificata alle parti ed al
 Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti  dei
 due rami del Parlamento.
      Verona, addi' 13 novembre 1991
                       Il presidente: QUISTELLI
    I giudice estensore: BLOCK
                               Il funzionario dei cancelleria: RINDONE
    Depositata in cancelleria oggi, 10 dicembre 1991.
              Il collaboratore di cancelleria: PERAZZOLI

 92C0115