N. 43 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 ottobre 1991
N. 43 Ordinanza emessa il 17 ottobre 1991 dal pretore di Pescara nei procedimenti penali riuniti a carico di Berghella Vincenzo ed altri Processo penale - Soggetti imputati nello stesso procedimento di reati commessi in danno reciproco - Lamentata omessa previsione di incompatibilita' a testimoniare per le persone che rivestano anche la posizione di imputati a seguito di riunione ex art. 17 - Compressione del diritto di difesa - Ingiustificata disparita' di trattamento rispetto agli imputati di reati connessi a norma dell'art. 12 del cod. proc. pen. (C.P.P. 1988, art. 197). (Cost., artt. 3 e 24).(GU n.7 del 12-2-1992 )
IL PRETORE F A T T O Berghella Vincenzo, imputato nel processo n. 393/91 r.g.a.p., Mafalda Napoleone e Liberato Vichi, imputati nel processo n. 1059/91 r.g.a.p., venivano tratti a giudizio davanti a questo pretore, per rispondere dei reati di ingiurie, minacce e lesioni personali, commessi in danno reciproco gli uni degli altri. All'udienza odierna i processi venivano riuniti, a norma dell'art. 17, lett. c), del c.p.p., e le parti, ai sensi dell'art. 493 del c.p.p., chiedevano ammettersi, tra l'altro, prova testimoniale a mezzo di Berghella Vincenzo, Mafalda Napoleone e Liberato Vichi. D I R I T T O I processi n. 393/91 e 1059/91 r.g.a.p. sono stati riuniti per obiettive ragioni di opportunita' che hanno consigliato la trattazione congiunta e che, d'altronde, hanno ispirato il legislatore nella previsione dell'ipotesi di cui all'art. 17, lett. c), del c.p.p. Ne' la conflittualita' - di cui si dira' in seguito - che in tal modo si determina per la coesistenza in capo al medesimo soggetto delle posizioni di imputato e di testimone puo' costituire ostacolo alla riunione, dovendosi necessariamente decidere in ordine all'ammissione delle prove in un momento successivo a quello in cui si decide sulla riunione (artt. 491, 493 e 495 del c.p.p.) e non potendosi far disperdere quest'ultima dalla richiesta delle parti, eventuale e successiva, di prova testimoniale a mezzo di persona imputata di reato di cui all'art. 17, lett. c), senza con cio' determinare una ingiustificata disparita' di trattamento. Inoltre, non possono farsi derivare dalla scelta operata dal p.m. - in ipotesi di denunce o querele coeve - di trattazione separata o congiunta dei procedimenti, effetti di rilievo sostanziale e decisivo ai fini del giudizio, quali l'esclusione o l'ammissione di un soggetto a testimoniare. La prova testimoniale articolata dalle parti non risulta, ai sensi degli artt. 187 e segg. del c.p.p., vietata, superflua o irrilevante, trattandosi, anzi, di prova fondamentale ai fini del giudizio, in quanto proveniente dalle parti offese. Detta prova, pertanto, andrebbe ammessa. Tale conclusione, pero', determina lesione del diritto alla difesa, sancito dall'art. 24 della Costituzione. Infatti, la posizione di imputato e l'ufficio di testimone sono intrinsecamente conflittuali, laddove dell'imputato vanno garantite, in ogni momento, la presenza e la partecipazione al dibattimento (si consideri, tra le altre, la disposizione di cui all'art. 494 del c.p.p.), mentre del testimone va assicurata l'estraneita' al processo, tanto da imporgli il divieto di "comunicare con alcuna delle parti o con i difensori o consulenti tecnici" e di "assistere agli esami degli altri o vedere o udire o essere altrimenti informata di cio' che si fa nell'aula d'udienza" (art. 149 delle disp. att. del c.p.p.). Pertanto, sottoporre l'imputato ai limiti del testimone comporta un'inammissibile compressione di garanzie difensive a fondamento di ogni sistema processuale democratico, vuoi accusatorio, vuoi inquisitorio. Ne' e' pensabile che, per tutelare il diritto alla difesa, l'imputato-testimone rimanga in aula d'udienza durante il dibattimento - in deroga all'art. 149 delle disp. att. del c.p.p. -, determinando in tal modo una inaccettabile disparita' di trattamento fra testimoni. Va, poi, osservato che il codice di procedura penale abrogato aveva discipinato l'ipotesi attraverso la previsione di cui agli articoli 348, terzo comma, e 45, n. 1, richiamati, per il dibattimento, dall'art. 450. L'art. 197 del c.p.p. ha, invece, limitato le ipotesi di incompatibilita' agli imputati in procedimenti connessi a norma dell'art. 12. Cio' non ha impedito, pero', al legislatore di considerare l'opportunita' che, nel corso del giudizio, siano acquisite dichiarazioni, valutabili a fini probatori, di persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'art. 12 nei confronti delle quali si proceda separatamente, il cui esame e' stato disciplinato dall'art. 210. Pertanto, l'omessa previsione dell'incompatibilita' a testimoniare per le persone che nel medesimo procedimento rivestano anche la posizione di imputato di reati di cui all'art. 17, lett. c) - prescindendo dall'auspicio di una regolamentazione normativa analoga a quella di cui all'art. 210 - determina violazione dell'art. 24 della Costituzione, per le ragioni suesposte, e dell'art. 3 della Costituzione, essendosi creata una ingiustificata disparita' di trattamento fra imputati di reati connessi a norma dell'art. 12 e imputati di reati commessi in danno reciproco gli uni dagli altri, che pure ricevono, sotto il profilo dell'art. 17 del c.p.p., identico trattamento. Da quanto precede risulta, quindi, che la questione prospettata appare rilevante in questo giudizio e non manifestamente infondata.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 197 del c.p.p., nei termini di cui in motivazione, rispetto agli artt. 3 e 24 della Costituzione; Dispone la trasmissione immediata degli atti alla Corte costituzionale, previa sospensione del presente giudizio; Ordina che, a cura della cancelleria, l'ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente delle due Camere del Parlamento. Pescara, addi' 17 ottobre 1991 Il pretore: TASCONE 92C0116