N. 45 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 novembre 1991

                                 N. 45
    Ordinanza emessa il 22 novembre 1991 dalla pretura di Bergamo,
                    sezione distaccata di Clusone,
         nel procedimento penale a carico di Bonicelli Pietro
 Processo penale - Prevista incompatibilita' per il giudice a
    giudicare su un fatto da lui denunciato  nell'esercizio  dei  suoi
    poteri   giurisdizionali   (art.   331   del   c.p.p.)  -  Mancata
    considerazione del fatto  che  in  tale  ipotesi  la  denuncia,  a
    differenza del caso in cui e' sporta da privato, e' obbligatoria -
    Violazione  dei  principi  del giudice naturale e della soggezione
    dello stesso  alla  sola  legge,  in  quanto  la  incompatibilita'
    comporta  la  sottrazione  del  processo  al  giudice competente -
    Lesione delle direttive impartite con la legge delega che al punto
    67, tra le previste ipotesi  di  incompatibilita',  non  comprende
    quella in questione.
 (C.P.P. 1988, art. 34, terzo comma).
 (Cost., artt. 25, 76 e 101; legge 12 febbraio 1987, n. 81, art. 2,
    direttive 1 e 67).
(GU n.7 del 12-2-1992 )
                              IL PRETORE
    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza nel procedimento penale n.
 3250/1991 rg. pretura Clusone, a carico di Bonicelli Pietro;
                             O S S E R V A
    Con sentenza n. 80 pronunciata il 26 aprile 1991  questo  pretore,
 condannando  altro  imputato  per  art.  25/2 del d.P.R. n. 915/1982,
 disponeva trasmettersi gli atti al pubblico ministero,  ex  art.  331
 del  c.p.p.  in riferimento ai reati configurabili a carico di terzi,
 nella specie amministratori comunali  di  Vilminore  di  Scalve,  per
 analoghe contravvenzioni ed altro.
    Il  p.m.,  espletate indagini, citava a giudizio per l'udienza del
 22 novembre 1991, avanti questo stesso  pretore,  l'odierno  imputato
 Bonicelli,  sindaco pro-tempore di Vilminore, perche' rispondesse del
 reato ex art. 25/2 del d.P.R. n. 915/1982 e di quello ex art. 361 del
 c.p.
    Con atto qui depositato il 19 novembre 1991, uno dei difensori  di
 fiducia  del  Bonicelli,  avv.  Roberto  Bruni,  lealmente,  invitava
 l'attuale  deducente  ad  astenersi,  argomentando  che,   ai   sensi
 dell'art.  34,  terzo  comma, del c.p.p., si fosse in presenza di una
 situazione di incompatibilita' tale da imporre l'astensione  ex  art.
 36,  primo  comma, lettera G), del c.p.p., riservandosi altrimenti di
 ricusare il giudice ex art. 37, primo comma, lettera A), c.p.p.
    Ritiene il pretore che, allo  stato  la  norma  invocata  da  tale
 difensore   debba  effettivamente  essere  cosi'  interpretata,  tale
 essendo il comune ed univoco senso dell'espressione  del  legislatore
 codicistico, cosi' come prospettato dal difensore medesimo, ossia nel
 senso che anche per il caso di denuncia ex art. 331 del c.p.p., e non
 solo  ex art. 333, il giudice versa in condizione di incompatibilita'
 per aver compiuto atti prodromici al processo.
    Senonche', tale  doverosa  interpretazione,  determina,  a  parere
 dello  scrivente,  il  contrasto della norma suddetta (art. 34, terzo
 comma, del c.p.p. 1988) con gli artt. 25,  primo  comma,  76  e  101,
 secondo comma, della Costituzione.
    Infatti,  la  legge 16 febbraio 1987, n. 81, con cui il Parlamento
 ha delegato al Governo l'esercizio della funzione legislativa per  il
 nuovo codice di procedura penale, all'art. 2, punto 67, prevedeva che
 dovesse   essere   precluso  di  svolgere  funzioni  di  giudice  del
 dibattimento solo  al  giudice  che  avesse  emesso  il  decreto  per
 giudizio  immediato  (punto 44), ovvero il decreto penale poi opposto
 (punto 46) o infine (nel processo tribunalizio) il decreto di cui  al
 punto  52  della legge delega. Nessuna di tali situazioni equivale, e
 neppure  assomiglia  vagamente,  a  quella  del  pretore  che   abbia
 denunciato  al  p.m.  una  ipotesi  di reato ravvisata nell'esercizio
 delle sue funzioni giurisdizionali.
    La norma censurata par dunque  contrastare  con  l'art.  76  della
 Costituzione, anche avuto riguardo al punto 1 del comma secondo della
 legge   delega,   giacche',   lungi  dal  semplificare,  appesantisce
 irragionevolmente le attivita' processuali.
    Inoltre,  la  norma  censurata  contrasta  con  l'art.  25   della
 Costituzione poiche' artificiosamente sottrae a quello che sarebbe il
 giudice  naturale  la  decisione  su  un fatto che ricadrebbe nel suo
 potere-dovere di cognizione sol che fosse  emerso,  ed  iscritto  nel
 registro  del p.m. prima del dibattimento da cui emerse la notizia di
 reato (che e' affatto diversa e non assimilabile  alla  pronuncia  di
 una  delle  decisioni di cui al punto 67 della legge delega. Si badi,
 al riguardo, che gia' con ordinanza n. 340 del 13 dicembre  1985,  la
 Corte  costituzionale  ebbe  a rilevare che, in un caso non del tutto
 dissimile da  quello  in  esame  (e  precisamente  per  l'ipotesi  di
 procedimenti  penali  affidati  a  pretori  che,  per disposizione di
 legge, erano - all'epoca - anche direttori di case mandamentali)  non
 ricorreva   alcun   ragionevole   motivo   per   doversi   dichiarare
 incostituzionale la mancata inclusione, fra le cause di astensione  e
 ricusazione,  la  titolarita'  di tale funzione in capo al giudicante
 medesimo.
    Ancora: la norma  censurata,  senza  comprensibili  e  ragionevoli
 motivi,  pretermette  ogni  distinzione fra la denuncia che, ai sensi
 dell'art. 333 c.p.p. ciascun cittadino ha  la  facolta'  (salvo  casi
 specialissimi) di presentare, da un lato; e la denuncia che, ai sensi
 dell'art.  331  del  c.p.p., tutti i pubblici ufficiali "devono" fare
 per iscritto anche quando, come nella specie, non sia anagraficamente
 nota la persona cui il reato potrebbe attribuirsi. Si badi  che  tale
 obbligo  e'  indipendente ed autonomo dall'obbligo attribuito al p.m.
 di iniziare l'azione penale, posto che il giudice, appreso  un  fatto
 suscettivo  di  configurare  un  reato, non ha la discrezionalita' di
 controllare se il p.m. ne abbia avuta oppur no anteriore notizia,  ma
 si deve limitare a trasmettergliela. De resto, diversamente operando,
 il giudice ben potrebbe incorrere nel delitto di cui all'art. 361 del
 c.p.  La  norma  dell'art. 34 del c.p.p. dunque, contrasta con l'art.
 101 della Costituzione in  quanto,  irragionevolmente,  da  un  canto
 pretende  che  il  giudice sia soggetto alla legge, e solo ad essa, e
 nel momento in cui il giudice, applicando la legge, assolve l'obbligo
 di deuncia di  reato  appreso  nell'esercizio  delle  sue  specifiche
 funzioni, pretende di sottrargli la naturale competenza.
    Piu'  in  generale,  poi,  la  norma appare irragionevole perche',
 proprio nella norma concernente  la  ricusazione  (art.  37,  secondo
 comma,  e primo comma, che richiama l'art. 36, primo comma, lettera -
 fra le altre - C) e' circoscritto il potere di ricusare  il  giudice,
 per  quanto  qui  interessa,  alle opotesi in cui, esercitando le sue
 funzioni, il giudice abbia indebitamente manifestato  il  suo  parere
 (art.  37,  secondo comma del c.p.p.) ovvero abbia manifestato il suo
 parere fuori dell'esercizio delle sue funzioni giudiziarie (art.  36,
 primo  comma,  lettera  C).  La  fattispecie  in esame non rientra in
 alcuno di questi casi, e l'estensione al potere  di  ricusazione  che
 discende  dal richiamo operato dall'art. 36, primo comma, lettera G),
 all'art.   34   del   c.p.p.,   con   riferimento    alla    denuncia
 obbligatoriamente   proposta   (e   dunque  ne'  indebitamente  nelle
 funzioni, ne' fuori  dell'esercizio  delle  funzioni)  appare  dunque
 eccedente rispetto allo scopo perseguito di terzieta'.
    Poiche' la questione e' rilevante ai fini del decidere (dipendendo
 dalla  sua soluzione se il giudicante debba oppur no astenersi) e non
 risulta, per quanto  esposto,  manifestamente  infondata,  essa  deve
 essere d'ufficio rilevata.
    In  forza  di  tutti gli argomenti svolti, dunque, in questa fase,
 unico potere legittimamente  esercitabile  dal  giudicante,  dopo  la
 prospettazione  della  questione  di  legittimita' costituzionale, e'
 quello di sospendere il processo.
    Gli atti vanno percio' trasmessi alla Corte costituzionale per  la
 relativa  decisione; il presente processo deve essere sospeso; a cura
 della  cancelleria  vanno  inoltrate  le  prescritte   comunicazioni,
 dandosi  atto  che tutte le parti erano o dovevano ritenersi presenti
 alla  lettura   di   questa   ordinanza   prima   dell'apertura   del
 dibattimento.
                               P. Q. M.
    Letti  ed  applicati  gli  artt.  134 della Costituzione, 23 della
 legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara d'ufficio non manifestamente  infondata  e  rilevante  ai
 fini   del  decidere  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 34, terzo comma, del cod. proc. pen. 1988, nella  parte  in
 cui,    non    distinguendo    tra    denuncia   precedentemente   ed
 obbligatoriamente presentata dal giudice ai sensi dell'art.  331  del
 c.p.p.,  e denuncia (generalmente) facoltativa del privato, impone al
 giudice che ha  -  nel  legittimo  e  doveroso  esercizio  delle  sue
 funzioni  -  denunciato  il  fatto dal quale ha poi tratto origine il
 processo di astenersi dal prendere cognizione di esso;  e  dunque  in
 riferimento ai parametri costituzionali rappresentati dagli artt. 25,
 secondo  comma,  76  e 101 della Costituzione, nei sensi precisati in
 motivazione;
    Sospende il procedimento penale in corso  a  carico  di  Bonicelli
 Pietro;
    Dispone   che   tutti   gli   atti  del  presente  giudizio  siano
 tempestivamente trasmessi alla Corte costituzionale;
    Dispone  che,  a  cura della cancelleria la presente ordinanza sia
 immediatamente notificata al Presidente del Consiglio  dei  Ministri,
 nonche'  comunicata  al  Presidente del Senato della Repubblica ed al
 Presidente della Camera dei deputati della Repubblica.
      Clusone, addi' 22 novembre 1991
                          Il pretore: PERTILE
                               Il collaboratore di cancelleria: ROMANO
 92C0118