N. 32 SENTENZA 22 gennaio - 3 febbraio 1992
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Titoli di credito - Assegno bancario - Fallito - Mancanza di copertura - Nuova disciplina sanzionatoria penale - Regime transitorio - Pagamento dell'assegno e accessori entro novanta giorni - Condizione di procedibilita' - Discrezionalita' legislativa - Inammissibilita'. (Legge 15 dicembre 1990, n. 386, art. 11, primo e secondo comma). (Cost. artt. 3 e 24).(GU n.7 del 12-2-1992 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: dott. Aldo CORASANITI; Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 11, commi primo e secondo, della legge 15 dicembre 1990, n. 386 (Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari), promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 27 aprile 1991 dal Pretore di Perugia - Sezione distaccata di Assisi nel procedimento penale a carico di Casagrande Cuppoloni Gianfranco iscritta al n. 445 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1991; 2) ordinanza emessa il 14 giugno 1991 dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Alessandria nel procedimento penale a carico di Maldini Rodolfo iscritta al n. 548 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell'anno 1991; Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 4 dicembre 1991 il Giudice relatore Renato Granata; Ritenuto in fatto Con ordinanza del 27 aprile 1991 il Pretore di Perugia, sezione distaccata di Assisi - nel corso del giudizio di opposizione al decreto penale di condanna emesso nei confronti di Casagrande Cuppoloni Gianfranco per l'emissione di assegni bancari senza copertura - ha sollevato, con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., questione incidentale di legittimita' costituzionale dell'art. 11, 1 e 2 co., della legge 15 dicembre 1990, n. 386, norma che - per i reati di emissione di assegni senza copertura commessi prima della data di entrata in vigore della legge medesima - prevede la sospensione del procedimento penale e l'improcedibilita' dell'azione penale in caso di pagamento degli assegni, degli interessi, della penale e delle spese per il protesto, ove effettuato entro 90 giorni da tale data. Rileva il giudice rimettente che l'imputato, in quanto dichiarato fallito, non puo' giovarsi della particolare disciplina transitoria introdotta dall'art. 11 cit., non avendo egli la possibilita' di effettuare i pagamenti suddetti (e quindi di beneficiare della causa di improcedibilita' del reato) in quanto non "in bonis"; ne' tali pagamenti potrebbero essere autorizzati dall'autorita' vigilante perche' sarebbe alterata la "par condicio creditorum". Pertanto l'imputato, proprio per la sua condizione personale di fallito, risulterebbe irragionevolmente discriminato, soprattutto nell'ipotesi in cui la procedura fallimentare si concludesse con il soddisfacimento dei creditori, giacche' in tal caso egli non avrebbe potuto evitare una condanna penale e nello stesso tempo avrebbe pagato il suo debito con gli accessori. Vi sarebbe inoltre violazione del diritto di difesa perche' l'imputato vedrebbe preclusa, sotto tale profilo, la possibilita' di far valere compiutamente le sue ragioni. La censura di incostituzionalita' investe sia il primo comma dell'art. 11 cit. (nella parte in cui non prevede che per l'imputato dichiarato fallito il termine di novanta giorni debba decorrere dal momento della chiusura della procedura fallimentare e quindi dal rientro "in bonis"), sia il secondo comma (nella parte in cui non prevede che il periodo di 90 giorni di sospensione del procedimento penale debba decorrere, per l'imputato dichiarato fallito, anziche' dalla data di entrata in vigore della legge, dalla conclusione della procedura fallimentare ovvero che lo stesso termine debba essere sospeso dal momento della dichiarazione di fallimento, successiva alla data di entrata in vigore della legge, fino all'esaurirsi della procedura). 2. - Con ordinanza del 14 giugno 1991 il giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Alessandria ha sollevato, con riferimento all'art. 3 Cost., questione incidentale di legittimita' costituzionale del medesimo art. 11, 1 e 2 comma, cit. con argomentazioni in parte analoghe a quelle prospettate nell'ordinanza del Pretore di Perugia e ritenendo in particolare che il fallito, durante il periodo di sospensione previsto dalla norma censurata, si trovi nell'impossibilita' di evitare la commissione del reato di emissione di assegni senza copertura, anche per il timore di commettere con il pagamento il piu' grave reato di bancarotta preferenziale. 3. - E' intervenuto in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei Ministri a mezzo dell'Avvocatura Generale dello Stato eccependo preliminarmente l'inammissibilita' della questione di costituzionalita' perche' viene richiesto alla Corte un intervento addittivo (non gia' a contenuto obbligato, ma) in una materia che vede come possibili varie opzioni talche' si rientra nell'area della discrezionalita' del legislatore, il quale solo puo' operare tale scelta. Nel merito l'Avvocatura dello Stato sostiene l'infondatezza della questione atteso che la condizione di fallito rientra nel novero degli status riconducibili al fatto dell'interessato e non a situazioni di caso fortuito o di forza maggiore; d'altra parte tale condizione ha comunque effetti collaterali nell'ambito penale ad altri fini (applicazione dell'attenuante del risarcimento del danno, adempimento dell'obbligazione pecuniaria in relazione al reato di insolvenza fraudolenta). Considerato in diritto 1. - E' stata sollevata questione incidentale di legittimita' costituzionale - in riferimento agli artt. 3 Cost. (sotto il profilo della disparita' di trattamento) e 24 Cost. (sotto il profilo della lesione del diritto di difesa) - dell'art. 11, 1 comma, legge 15 dicembre 1990 n. 386 (Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari) nella parte in cui non prevede che il termine di novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge medesima (termine entro il quale - in regime di disciplina transitoria - il pagamento dell'assegno e degli accessori comporta l'improcedibilita' dell'azione penale) non decorra - in caso di intervenuta dichiarazione di fallimento dell'imputato - dal momento di chiusura della procedura e quindi dal rientro "in bonis" del fallito. Analoga censura di sospetta illegittimita' costituzionale - in riferimento agli stessi parametri - ha investito l'art. 11, 2 comma, della medesima legge n. 386 del 1990 nella parte in cui non prevede che il termine di novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge stessa (termine fino al quale - in regime di disciplina transitoria - il procedimento penale e' sospeso) non decorra - in caso di intervenuta dichiarazione di fallimento dell'imputato - dal momento di chiusura della procedura e quindi dal rientro "in bonis" del fallito. 2. - La legge 15 dicembre 1990 n. 386 ha introdotto la nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari prevedendo in particolare (all'art. 2) come ipotesi delittuosa il fatto dell'emissione di assegno senza copertura, che, presentato in tempo utile, non venga pagato in tutto od in parte per difetto della provvista. Nel nuovo regime quindi il mancato pagamento dell'assegno viene ad integrare la fattispecie penale, mentre ne era fuori alla stregua della precedente disciplina dettata dall'art. 116 R.D. 21 dicembre 1933 n. 1736, come modificato dall'art. 139 della legge 24 novembre 1981 n. 689. Un'ulteriore innovazione introdotta dalla cit. legge n. 386 del 1990 e' poi rappresentata dalla previsione di una speciale condizione di procedibilita', disciplinata dall'art. 8, norma che contempla che l'azione penale non puo' essere iniziata o proseguita se non siano decorsi sessanta giorni dalla data di scadenza del termine di presentazione del titolo e sempre che entro tale termine non sia stato effettuato dall'emittente il pagamento dell'assegno, degli interessi, della penale e delle spese per il protesto (o per la constatazione equivalente). Per raccordare tale nuovo regime, cosi' caratterizzato, alla precedente disciplina, il successivo art. 11 prevede una particolare disposizione transitoria che introduce un'analoga causa di improcedibilita' per i reati commessi prima della data di entrata in vigore della cit. legge n. 386. L'art. 11 infatti contempla che per tali reati non si procede se l'imputato effettua, entro novanta giorni (e non gia' sessanta come secondo la disciplina a regime), il pagamento dell'assegno, degli interessi, della penale e delle spese per il protesto (o per la constatazione equivalente); conseguentemente prevede che per lo stesso termine di novanta giorni il procedimento penale sia sospeso. 3. - Questo essendo il quadro normativo di riferimento, va ulteriormente puntualizzato che le censure di illegittimita' costituzionale, mosse nelle ordinanze dei giudici remittenti, attengono entrambe a reati commessi prima della data di entrata in vigore della legge n. 386 cit.; tale e' infatti il presupposto di applicabilita' della disposizione transitoria contenuta nell'art. 11, che altrimenti non verrebbe in rilievo. Si appalesa quindi inconferente la prospettazione di possibile disparita' di trattamento, contenuta nell'ordinanza del g.i.p. presso il Pretore di Alessandria, sotto il profilo che il fallito si troverebbe nell'impossibilita' di evitare la commissione del reato di emissione di assegni a vuoto nella nuova formulazione di cui all'art. 2 della legge n. 386 cit., temendo la commissione del piu' grave reato di bancarotta preferenziale. Infatti il nuovo reato di cui all'art. 2 cit. non puo' che riguardare fatti successivi all'entrata in vigore della legge stessa (in ragione dell'irretroattivita' di tale disposizione in quanto norma penale) e quindi non viene affatto in rilievo; ne' nella fattispecie in esame il fallito si trova nella condizione di commettere o non commettere il reato di emissione di assegno a vuoto dibattendosi unicamente del regime (transitorio) della procedibilita' dell'azione penale in riferimento a reati gia' commessi. 4. - Cosi' circoscritta la questione di costituzionalita', deve dichiararsene l'inammissibilita' - sotto il profilo sia dell'art. 3 Cost. che dell'art. 24 Cost. - perche' attinge l'area delle scelte discrezionali del legislatore. Le censure mosse dai giudici rimettenti non attengono allo specifico della disciplina transitoria dettata - per le evidenziate ragioni di coordinamento - dall'art. 11 cit., ma muovono da considerazioni di carattere generale sullo stato di indisponibilita' del proprio patrimonio in cui viene a trovarsi il fallito. Ma tale status spiega effetti riflessi nella sfera penale sotto molteplici aspetti, incidendo sulla possibilita' (che di fatto e' preclusa al fallito) di risarcire il danno per beneficiare dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6, c.p.; di adempiere, prima della condanna, al fine di estinguere il reato, l'obbligazione assunta dissimulando il proprio stato di insolvenza (art. 641 c.p.); di pagare - al medesimo fine - la frazione della pena dell'ammenda prevista per l'oblazione (art. 162 c.p.). Ne' puo' omettersi di notare che analoga situazione si riscontra in riferimento alla nuova fattispecie delittuosa introdotta dall'art. 2 della legge n. 386 del 1990, cit., atteso che chi abbia emesso un assegno bancario senza copertura e successivamente sia dichiarato fallito, non puo' ripristinare la provvista affinche' l'assegno, una volta presentato, sia pagato e conseguentemente non risulti integrata la fattispecie penale. Quindi sotto variegati aspetti, attinenti tutti alla sussistenza o alla gravita' di un reato, incide lo stato di indisponibilita' del proprio patrimonio in cui versa il fallito. 5. - Mette conto allora evidenziare che, se nel caso della speciale causa di improcedibilita' introdotta dall'art. 11, cit., e' possibile ipotizzare il meccanismo processuale prospettato dai giudici rimettenti come contenuto di una pronuncia additiva di questa Corte, per cui la gia' prevista sospensione del processo penale (per novanta giorni) si dilaterebbe fino alla data della chiusura della procedura fallimentare e solo da quella data comincerebbe (o riprenderebbe) a decorrere il suddetto termine accordato dall'art. 11 per pagare l'assegno ed evitare la (possibile) condanna penale, analogo meccanismo non e' configurabile negli altri casi, talche' la particolare garanzia che conseguirebbe alla valorizzazione (invocata dai giudici rimettenti) della tutela del fallito agli effetti della disciplina transitoria in esame non sarebbe riproducibile, ne' generalizzabile, e ridonderebbe in inammissibile incongruenza rispetto agli altri effetti penali riflessi del medesimo status. Dal che, per altro verso, emerge la possibilita' di ipotizzare un intervento del legislatore a monte, ossia un intervento nella disciplina stessa della procedura fallimentare, che, in una visione piu' organica, dia nuovo assetto alle indirette conseguenze penalistiche della dichiarazione di fallimento, nella prospettiva di un diverso bilanciamento - da affidare alla discrezionale valutazione del legislatore - tra esigenze della par condicio creditorum e tutela del fallito. Sicche' la soluzione proposta in via additiva dal giudice a quo si palesa non la unica costituzionalmente obbligata, ma soltanto una delle possibili, la scelta fra le quali non puo' non essere riservata ancora al legislatore. 6. - Ne' alla dichiarazione di inammissibilita' - che si viene a pronunciare - e' di ostacolo la sentenza n. 149 del 1971 di questa Corte che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 136, primo comma, c.p. nella parte in cui ammetteva, per i reati commessi dal fallito in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento, la conversione della pena pecuniaria in pena detentiva, prima della chiusura della procedura fallimentare, atteso che la violazione dell'art. 3 Cost. e' stata ravvisata (non gia' in generale nell'autonoma valutazione dei riflessi penalistici dello stato di incapacita' in cui versa il fallito per il fatto di non poter disporre dei propri beni, ma) nell'illegittima equiparazione tra la situazione di insolvibilita', che da' luogo alla conversione della pena pecuniaria, e quella di insolvenza (condizione questa contingente e, talvolta, provvisoria), in cui viene a trovarsi il fallito (equiparazione peraltro non piu' presente nella nuova disciplina della conversione della pena, quale introdotta dagli artt. 101 e 106 della legge 24 novembre 1981 n. 689, talche' la Corte, con ordinanza n. 295 del 1987, ha dichiarato la manifesta infondatezza di analoga questione di costituzionalita', successivamente sollevata, del medesimo art. 136 c.p., come modificato dall'art. 101 cit.). L'impossibilita' di trarre da tale settoriale comparazione (tra insolvibilita' ed insolvenza) elementi di valutazione a carattere generale e' gia' stata ritenuta da questa Corte nella sentenza n. 135 del 1976, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 162 c.p. nella parte in cui non consente all'imputato fallito di effettuare l'oblazione per le contravvenzioni punite con la sola ammenda in ragione della situazione di incapacita' derivante dalla dichiarazione di fallimento. Al di la' quindi di tale settoriale verifica di costituzionalita', del tutto interna alla specifica disciplina della conversione della pena pecuniaria, rimane il piu' generale disegno dei riflessi penalistici dello status di fallito che e' investito dalle ordinanze dei giudici a quibus e che invece, per le ragioni esposte, rientra nella sfera di dicrezionalita' del legislatore.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara inammissibile la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11, primo e secondo comma, della legge 15 dicembre 1990 n. 386 (Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Perugia, sezione distaccata di Assisi, e dal giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Alessandria con le ordinanze in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 gennaio 1992. Il Presidente: CORASANITI Il redattore: GRANATA Il cancelliere: FRUSCELLA Depositata in cancelleria il 3 febbraio 1992. Il cancelliere: FRUSCELLA 92C0132