N. 52 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 maggio 1991- 29 gennaio 1992

                                 N. 52
       Ordinanza emessa il 10 maggio 1991 (pervenuta alla Corte
     costituzionale il 29 gennaio 1992) dalla Corte di cassazione,
    sezione lavoro, nel procedimento civile vertente tra Cavallini
  Lovanio e Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei
    geometri e Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore
                   dei geometri e Cavallini Lovanio.
 Previdenza e assistenza sociale - Cassa nazionale di previdenza e
    assistenza  a favore dei geometri - Pensioni di vecchiaia - Misura
    minima  della  pensione  non  superiore  alla  media  del  reddito
    professionale  dell'ultimo  decennio interamente rivalutato per le
    pensioni liquidate anteriormente alla data di  entrata  in  vigore
    della  legge  n. 544/1988 (che ha invece stabilito che le pensioni
    in questione non possono essere inferiori a quelle  a  carico  del
    fondo  lavoratori  dipendenti)  -  Incidenza  fortemente riduttiva
    sull'effettivo importo delle pensioni, in contrasto con i principi
    di uguaglianza e di adeguatezza del trattamento di quiescenza alle
    esigenze del lavoratore - Riferimento alla  sentenza  della  Corte
    costituzionale n. 243/1990.
 (Legge 20 ottobre 1982, n. 773, art. 2, quinto comma).
 (Cost., artt. 3 e 38).
(GU n.7 del 12-2-1992 )
                        LA CORTE DI CASSAZIONE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  proposto da
 Cavallini Lovanio, elettivamente in Roma, piazza  Augusto  Imperatore
 n.  4,  presso  l'avv.  Piero  Amenta  che  unitamente all'avv. Paolo
 Fanfani lo rappresenta e difende per procura speciale a  margine  del
 ricorso,  ricorrente,  contro  la  Cassa  nazionale  di previdenza ed
 assistenza a favore dei geometri, intimata, e sul secondo ricorso  n.
 2860/90  proposto dalla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a
 favore dei geometri in persona del legale rappresentante  pro-tempore
 elettivamente  domiciliata  in  Roma,  via  Roncigliana  n. 3, presso
 l'avv. Salvatore Gullotta che la rappresenta e  difende  per  procura
 speciale   a   margine   del  controricorso  e  ricorso  incidentale;
 controricorrente e ricorrente incidentale, contro Cavallini  Lovanio,
 intimato,  per l'annullamento della sentenza del tribunale di Firenze
 in data 20 novembre 1989 dep. il 22 novembre 1989 (r.g. n. 418/1989);
    Udita nella pubblica udienza tenutasi il giorno 10 maggio 1991  la
 relazione della causa svolta dal cons. rel. gen. Nuovo;
    Udito l'avv. Gullotta;
    Udito  il  p.m.  nella  persona del sost. proc. gen. dott. Gennaro
 Salvatore Tridico che ha concluso per la rimessione degli  atti  alla
 Corte  costituzionale  per contrasto dell'art. 2, quinto comma, della
 legge n. 773/1982 con art. 3 e 38 della Costituzione.
                       SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
    Il geometra Lovanio Cavallini dal 1' febbraio 1986 percepisce  una
 pensione  di  vecchiaia  liquidata a norma dell'art. 2, quinto comma,
 della legge 20 ottobre 1982, n. 773, dell'importo annuo di L.  25.702
 mensili.  Sostenendo  l'errata interpretazione della suddetta norma e
 l'applicabilita' nella specie del quarto comma del predetto  art.  2,
 che  avrebbe  comportato una pensione annua iniziale di L. 5.700.000,
 con ricorso del 4  ottobre  1988  conveniva  la  Cassa  nazionale  di
 previdenza  e  assistenza a favore dei geometri davanti al pretore di
 Firenze per ottenere la differenza fra quanto  corrisposto  a  quanto
 dovuto con rivalutazione e interessi.
    La  convenuta  si  opponeva a tali richieste, con il giudice adito
 con sentenza del 3 maggio 1989 accoglieva la domanda del Cavallini.
    Avverso tale pronuncia la Cassa ricorse in appello e il  tribunale
 di Firenze con decisione del 20 novembre 1989, rilevato che il quarto
 e  quinto comma dell'art. 2 in esame vanno interpretati nel senso che
 la pensione di vecchiaria  non  puo'  essere  inferiore  alla  misura
 minima  tra  la  media  decennale dei redditi rivalutati al 100% e il
 sestuplo del contributo minimo versato nell'anno anteriore  a  quello
 di  una  maturazione  del  diritto  a  pensione, rigettava la domanda
 proposta dal pensionato.
    Contro  tale  pronuncia  il  Cavallini  ricorre   per   cassazione
 deducendo  due  motivi  di  impugnazione,  illustrati  con successiva
 memoria.
    Resiste la Cassa nazionale di previdenza, proponendo a  sua  volta
 ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.
                        MOTIVO DELLA DECISIONE
    Con  il  primo motivo, denunciando la violazione dell'art. 2 della
 legge  20  ottobre  1982,  n.  773,  ricorda   il   ricorrente   che,
 anteriormente  a  tale  norma,  vigeva  l'art. 2 della legge 8 agosto
 1977, n. 583, che prevedeva una pensione  annua  di  vecchiaia  e  di
 invalidita'   pari,   per   ogni   anno   d'effettiva   iscrizione  e
 contribuzione,  all'1,75%  della  media  del  reddito   professionale
 imponibile  dichiarato  dall'iscritto  ai  fini Irpef nei cinque anni
 precedenti, con un  importo  minimo,  dovuto  in  ogni  caso,  di  L.
 2.210.000, corrispondente pressappoco a seivolte il contributo minimo
 annuale, che allora era di L. 350.000.
    Aggiunge  il  Cavallini che allo stesso modo andrebbe interpretato
 il quarto comma dell'art. 2 della legge vigente che un sistema simile
 (salvo alcune varianti relative al requisito minimo di contribuzione,
 al periodo su cui calcolare la media del reddito professionale,  alla
 rilevanza  solo  parziale di tale reddito e alla sua rivalutabilita')
 ha stabilito che la misura della pensione non puo' essere inferiore a
 sei volte il contributo  soggettivo  minimo  a  carico  dell'iscritto
 nell'anno anteriore a quello di maturazione del diritto a pensione.
    Ne   consegue,  secondo  il  ricorrente,  che  l'ulteriore  limite
 stabilito nel quinto comma (e cioe' che la pensione minima  non  puo'
 in alcun caso superare la media del reddito professionale, rivalutato
 nella  misura  del  100%)  si  applicherebbe  solo nel caso in cui la
 pensione  superi  la  misura  minima  del  sestuplo  del   contributo
 soggettivo annuo.
    Rileva  il  ricorrente  che l'interpretazione opposta della norma,
 effettuata dalla sentenza impugnata, comporterebbe una diversita'  di
 trattamento  fra  iscritti a parita' di contributi versati, a seconda
 che il  periodo  di  contribuzione  minima  si  riferisca  all'ultimo
 decennio o ad un periodo precedente.
    Osserva  altresi' che tale interpretazione comporterebbe che se un
 geometra, pur avendo maturato i  requisiti  minimi  per  la  pensione
 vigente  la  legislazione  precedente,  avesse  continuato  ad essere
 iscritto  alla  cassa,  si  vedrebbe  privato  di  un  diritto  ormai
 acquisito  alla liquidazione della pensione nella misura del sestuplo
 del  contributo  minimo  soggettivo  e  si  vedrebbe   liquidata   la
 prestazione  previdenziale  in  una misura del tutto irrisoria (nella
 specie di L. 25.000 mensili).
    Sulla stessa questione verte il ricorso incidentale  della  Cassa,
 con  il  quale,  in  relazione  ad  un'affermazione  contenuta  nella
 sentenza impugnata, si chiedono a questa Corte precisazioni, che  non
 attengono  al  caso deciso e che dovrebbe essere utile in ipotesi di-
 verse.
    Con il secondo motivo, denunciando la violazione dell'art. 7 della
 legge 29  dicembre  1988,  n.  544,  lamenta  il  ricorrente  che  il
 Tribunale  non abbia tenuto conto che in base alla norma sopra citata
 i trattamenti pensionistici corrisposti alla cassa di previdenza  per
 i  liberi  professionisti  non  possono essere di importo inferiore a
 quello minimo a carico del fondo pensioni lavoratori dipendenti.
    Tralasciando l'esame del ricorso incidentale e del secondo  motivo
 del   ricorso  principale,  coi  quali  vengono  prospettati  aspetti
 secondari e questioni subordinate, va rilevato che  l'interpretazione
 del quarto e quinto comma dell'art. 2 della legge 20 ottobre 1982, n.
 773, suggerita dal ricorrente, non puo' essere condivisa.
    Prima  di tale legge, il sistema di liquidazione della pensione di
 vecchiaia (e di invalidita') era molto semplice.
    La  misura  della  pensione  veniva  determinata  col  sistema   a
 percentuale  direttamente correlato alla media del reddito dichiarato
 negli ultimi 5 anni, ma non poteva in ogni caso essere inferiore a L.
 2.210.000 annue (vedi art. 2 legge 8 agosto 1977, n. 583).
    La legge 20 ottobre 1982, n. 773,  ha  conservato  (sia  pure  con
 qualche  variante) il sistema di liquidazione normale della pensione,
 disponendo che essa venga determinata col  metodo  a  percentuale  in
 base  alla  media di una parte del reddito dichiarato negli ultimi 10
 anni con la rivalutazione Istat al 75%.
    Diverso  e'  divenuto,  invece  il  sistema  di liquidazione della
 pensione minima. Il  legislatore,  infatti,  non  si  e'  limitato  a
 disporre  che la misura di detta pensione non puo' essere inferiore a
 sei volte il contributo  soggettivo  minimo  a  carico  dell'iscritto
 nell'anno  anteriore  a quello di maturazione del diritto a pensione,
 ma ha aggiunto che la misura di essa non puo' in alcun caso  superare
 la  media  del  reddito professionale degli ultimi 10 anni rivalutati
 nella misura del 100%.
    Ora, quando il ricorrente sostiene che  quest'ultima  norma  trova
 applicazione solo nel caso che la pensione spettante superi la misura
 minima   del   sestuplo  del  contributo  soggettivo  annuo,  propone
 un'interpretazione che non trova  fondamento  alcuno  ne'  sul  piano
 letterale ne' su quello sistematico.
    Sul  piano  letterale  va  rilevato  che  la  norma in esame parla
 esplicitamente di "misura della pensione minima",  (e  cioe'  di  una
 pensione  che,  se liquidata col sistema a percentuale, comporterebbe
 una prestazoine previdenziale inferiore  e  che  quindi  deve  essere
 integrata  dalla  cassa  fino a raggiungere l'importo stabilito dalla
 legge) mentre l'ipotesi che fa  il  ricorrente  e'  di  una  pensione
 liquidata  col  normale  sistema a percentuale e che, comportando una
 pensione annua in misura superiore al minimo,  non  e'  una  pensione
 minima e non ha bisogno di interpretazione.
    Ma anche dal punto di vista sistematico l'intepretazione suggerita
 dal  ricorrente  non  e'  fondata.  La  norma in esame, prevedendo un
 calcolo della pensione sempre  a  percentuale  ma  con  un  tasso  di
 rivalutazione  dei redditi dichiarati nella superiore misura del 100%
 (rispetto alla misura normale del  75%),  ha  un  significato  e  una
 funzione  solo  come  metodo diverso di determinazione della pensione
 minima per poi giungere all'attribuzione della  concreta  prestazione
 previdenziale  dovuta  nella  misura  minore risultante dell'adozione
 dell'uno o dell'altro sistema di liquidazione della pensione minima.
    Applicata, invece, come sostiene il ricorrente, il diverso caso di
 una pensione superiore al minimo liquidata col  sistema  normale,  la
 disposizione  suddetta  porterebbe  sempre  e  in  ogni  caso  a  una
 liquidazione  maggiore  (derivante  dall'adozione  di  un  tasso   di
 rivalutazione   superiore)  ma  non  potrebbe  trovare  applicazione,
 perche' in ogni caso al pensionato spetterebbe la pensione  liquidata
 col sistema normale.
    Tali   considerazioni   trovano  l'avallo  indiretto  della  Corte
 costituzionale,  che  nella  sentenza  15  maggio   1990,   n.   243,
 occupandosi  del  criterio  stabilito  dall'art.  2, quinto comma, in
 relazione alle pensioni di inabilita' e invalidita' dei geometri, non
 ha adottato una sentenza  interpretativa  di  rigetto,  come  sarebbe
 avvenuto  se  avesse  ritenuto  fondata  l'interpretazione  suggerita
 dall'attuale   ricorrente,   ma   ha   dichiarato    l'illegittimita'
 costituzionale  degli artt. 4, secondo comma, e 5, terzo comma, della
 legge 20 ottobre 1982, n. 773, proprio  perche'  tali  articoli,  col
 richiamo  in  essi contenuto all'art. 2, quinto comma, consentono una
 pensione liquidata col cosiddetto criterio del sottominimo.
    In tale decisione, sia pure con particolare riguardo alle pensioni
 di inabilita' e invalidita', ha rilevato la Corte costituzionale  che
 nella  previdenza  a favore dei liberi professionisti il principio di
 corrispettivita' fra contribuzione  e  prestazione  previdenziale  e'
 soggetto  al  correttivo  del  principio di solidarieta' nella misura
 necessaria per assicurare  a  tutti  i  membri  della  categoria  una
 prestazione  adeguata alle loro esigenze di vita, tanto piu' che tale
 solidarieta' trova fondamento finanziario in specifiche contribuzioni
 poste a carico  sia  degli  iscritti  alla  cassa  che  dei  semplici
 iscritti  all'albo. Ha quindi ritenuto che il quinto comma, dell'art.
 2, ripristinando rigorosamente il principio di proporzionalita' della
 pensione ai redditi professionali ed escludendo  ogni  intervento  di
 solidarieta', contrasta col principio di razionalita' di cui all'art.
 3  della  Costituzione  e  col  principio del minimo vitale garantito
 dall'art. 38 della Costituzione.
    Tale pronuncia non puo' avere diretta  applicazione  nel  caso  in
 esame,   in   cui   si   controverte  sulla  pensione  di  vecchiaia,
 innanzitutto perche' detta decisione (occupandosi delle  pensioni  di
 invalidita'  e  inabilita')  ha ritenuto inammissibile l'impugnazione
 diretta dell'art. 2, quinto comma, che si occupa  della  pensione  di
 vecchiaia,  e  in  secondo  luogo  perche'  oggetto  del  giudizio di
 legittimita' costituzionale e  non  la  norma  ricavabile  attraverso
 l'interpretazoine  della  disposizione  di  legge  ma la disposizione
 medesima, per cui e' precluso al giudice  ordinario  di  disapplicare
 un'altra  disposizione  di  legge,  solo  perche'  essa si basa sugli
 stessi principi ritenuti costituzionalmente illegittimi  dalla  Corte
 cotituzionale.
    Cio'   comporta  pero'  che  debba  ritenersi  non  manifestamente
 infondata la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  2,
 quinto  comma,  della  legge  20  ottobre  1982, n. 773 (direttamente
 applicabile nel caso in esame in cui si controverte della pensione di
 vecchiaia)  perche'  in  contrasto  con  gli  artt.  3  e  38   della
 Costituzione,  per tutti i motivi gia' accolti nella citata decisione
 della Corte costituzionale.
    Tale questione e' rilevante nel presente processo, anche se  fosse
 fondata  la  tesi  del  ricorrente sull'avvenuta abrogazione di detta
 norma in forza dell'art. 7 della legge 29 dicembre 1988, n. 544, dato
 che la pensione in godimento del  geometra  Cavallini,  in  relazione
 alla  quale  si  chiedono  le relative differenze con rivalutazione e
 interessi, risale al 1' febbraio 1986.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della  legge  11  marzo  1953,  n.  87,  la  Corte
 dichiara  rilevante  e  non  manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 2, quinto comma, della legge 20
 ottobre  1982,  n.  773,  in  relazione  agli  artt.  3  e  38  della
 Costituzione;
    Ordina  sospendersi il giudizio e trasmettersi gli atti alla Corte
 costituzionale;
    Manda alla cancelleria di notificare la  presente  ordinanza  alle
 parti,  al procuratore generale presso la Suprema corte di cassazione
 e al Presidente del  Consiglio  dei  Ministri  e  di  comunicarla  ai
 Presidenti del Senato e della Camera dei deputati.
      Roma, addi' 10 maggio 1991
                        Il presidente: LAUDATO
                           Il collaboratore di cancelleria: DEL FRANCO
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