N. 15 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 6 febbraio 1992

                                 N. 15
 Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
 cancelleria  il  6  febbraio  1992  (della  regione  autonoma   della
 Sardegna)
 Finanza pubblica allargata - Riduzioni delle assegnazioni della parte
    corrente  del  Fondo  sanitario  nazionale  alle regioni a statuto
    speciale nonche' alle province di Trento e Bolzano  -  Obbligo  di
    istituzione  e tenuta di albi di soggetti cui siano stati erogati,
    in ogni esercizio finanziario, contributi,  sovvenzioni,  crediti,
    sussidi  e  benefici  di  natura economica a carico dei rispettivi
    bilanci - Divieto di ricorso al lavoro straordinario  a  decorrere
    dal  1› luglio 1992 da parte di amministrazioni pubbliche anche ad
    ordinamento autonomo, di enti locali e di unita' sanitarie  locali
    presso  i quali non siano regolarmente operanti strumenti o proce-
    dure   idonei   all'accertamento   dell'effettiva   durata   della
    prestazione di lavoro - Asserita indebita invasione della sfera di
    autonomia   finanziaria   della  regione  nonche'  violazione  dei
    principi di ragionevolezza e di copertura finanziaria  -  Richiamo
    ai principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n.
    381/1990 su analoghe questioni.
 (Legge 30 dicembre 1991, n. 412, artt. 4, undicesimo comma, 9 e 22).
 (Statuto regione Sardegna, artt. 3, 4, 5, 6, 7 e 14).
(GU n.8 del 19-2-1992 )
   Ricorso  della  regione  autonoma  della  Sardegna,  in persona del
 presidente della giunta regionale pro-tempore  on.le  ing.  Antonello
 Cabras,  giusta  delibera  della  giunta, n. 3/1 del 28 gennaio 1992,
 rappresentata e difesa - in virtu' di mandato a margine del  presente
 atto  -  dall'avv.  prof.  Sergio  Panunzio,  e  presso  quest'ultimo
 elettivamente domiciliata in Roma, piazza Borghese n.  3;  contro  la
 Presidenza  del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del
 Consiglio in carica;  per  la  dichiarazione  di  incostituzionalita'
 degli  articoli  4,  undicesimo comma, 9 e 22 della legge 30 dicembre
 1991, n. 412, recante "Disposizioni in materia di finanza pubblica".
                               F A T T O
    E' ben  noto  che  l'autonomia  delle  regioni  e  delle  province
 autonome  di  Trento  e  di  Bolzano trova il suo essenziale supporto
 nella loro autonomia finanziaria. Onde - come e' stato  affermato  da
 codesta ecc.ma Corte fin dalla sentenza n. 21 del 1956 - le regioni e
 province  autonome  hanno un "diritto costituzionalmente garantito" a
 disporre dei mezzi finanziari occorrenti per le spese  necessarie  ad
 adempiere  alle loro normali funzioni. Un diritto che, nel caso della
 regione ricorrente, trova il suo fondamento (oltre che nell'art.  119
 Cost.)  nello  statuto speciale per la Sardegna (legge costituzionale
 26 febbraio 1948, n. 3), spec. articoli 69 ss. (titolo sesto) -  come
 modificati  ed integrati dalla legge 30 novembre 1989, n. 386 - anche
 in relazione agli articoli 8-10, e nelle relative norme d'attuazione.
    Se poi si  considera  come  anche  per  le  regioni  ad  autonomia
 speciale  e  per  le  due  province  autonome di Trento e Bolzano, la
 massima parte della loro risorse finanziarie sia  costituita  da  una
 finanza  "derivata",  e cioe' consistente nei periodici trasferimenti
 di risorse da parte dello Stato, ben si comprende come  non  solo  la
 quantita',  ma  anche  la  regolarita',  la  tempestivita'  e, in una
 parola, la affidabilita' di tali  trasferimenti  sia  essenziale  per
 garantire  alle  regioni  e province autonome una effettiva autonomia
 nell'esercizio delle loro funzioni,  il  buon  andamento  delle  loro
 amministrazioni  e  dei  servizi  pubblici  di  loro  competenza,  la
 programmabilita' della loro azione.
    E' esemplare, a questo riguardo, il caso delle attivita' regionali
 e provinciali in materia di  sanita',  la  cui  spesa  e'  alimentata
 essenzialmente   dai  trasferimenti  annuali  provenienti  dal  Fondo
 sanitario nazionale. Proprio in  relazione  a  tale  settore  codesta
 ecc.ma  Corte ha piu' volte sottolineato la necessita' (derivante dal
 rispetto dei valori costituzionali) che gli interventi  dello  Stato,
 ivi  compresi  quelli  finanziari,  siano improntati ad organicita' e
 stabilita'.  In  particolare  nella  sentenza  n.  307/1983  essa  ha
 rilevato  come  "il  susseguirsi  di  anno in anno di provvedimenti a
 carattere contingente, in  deroga  alla  disciplina  ordinaria  renda
 quanto  mai disorganico e provvisorio il quadro attuale della finanza
 regionale"; e poi nella sentenza n.  245/1984  -  a  proposito  delle
 disposizioni  in  materia sanitaria contenute nella legge finanziaria
 1984 -  osservava  come  per  dare  una  disciplina  organica  e  per
 assicurare  efficienza  al  servizio sanitario nazionale "non servono
 allo scopo le leggi  finanziarie,  ne'  gli  altri  provvedimenti  di
 carattere  urgente  o  comunque  contingente:  la' dove sono in gioco
 funzioni  e  diritti  costituzionalmente  previsti  e  garantiti,  e'
 infatti  indispensabile superare la prospettiva del puro contenimento
 della spesa pubblica, per assicurare la certezza del  diritto  ed  il
 buon  andamento  delle pubbliche amministrazioni, mediante discipline
 coerenti e destinate a durare nel tempo".
    Non si puo' certo dire che lo Stato si sia dimostrato sensibile  a
 tali ammonimenti. In particolare per quanto riguarda il servizio e la
 spesa  sanitaria  lo  Stato  ha  continuato  ad  emanare tentativi di
 riforme per lo piu' abortite (i dd.-ll. 25 marzo 1989, n. 111,  e  29
 maggio  1989,  n.  189,  non  convertiti  in  legge),  ed  interventi
 "tampone" di vario genere, per lo  piu'  adottati  con  lo  strumento
 improprio  del  d.-l. (nonostante i moniti che, anche a proposito del
 cattivo uso di tale strumento, sono stati  fatti  da  codesta  ecc.ma
 Corte: sent. n. 245/1984).
    Fra  i vari interventi di questo genere, dobbiamo ricordare, anche
 perche' ad esso si collega la disciplina della legge n. 412/1991 oggi
 impugnata, il d.-l. 28 dicembre 1989, n. 415 (poi convertito in legge
 28 febbraio 1990, n. 38). In particolare il primo comma dell'art.  19
 del  d.-l. n. 415/1989 stabiliva che "a decorrere dall'anno 1990 alle
 regioni a statuto speciale e alle province autonome di  Trento  e  di
 Bolzano  le  assegnazioni  di  parte  corrente  del  fondo  sanitario
 nazionale   sono   ridotte,   tenuto   conto   del   livello    delle
 compartecipazioni   ai  tributi  statali  risultanti  dai  rispettivi
 ordinamenti, del 20 per cento per la regione Valle d'Aosta, e per  le
 province  autonome  di  Trento  e di Bolzano, del 10 per cento per le
 regioni Sicilia e Friuli-Venezia Giulia e del  5  per  cento  per  la
 regione Sardegna".
    Tale  disciplina  legislativa  venne  a  suo tempo impugnata dalla
 regione ricorrente, soprattutto perche' essa, operando a  suo  carico
 dei tagli assai consistenti ai trasferimenti finanziari, in relazione
 ad  attivita'  e  spese  che peraltro la regione stessa deve comunque
 effettuare (per vincolo costituzionale o di legge  dello  Stato),  ne
 violava  gravemente  l'autonomia:  sia quella finanziaria, sia quella
 "funzionale" (costringendola in ogni  caso  a  coprire  quelle  spese
 sottraendo  proprie  risorse  finanziarie  ad  altre  destinazioni  e
 comprimendo e pregiudicando il livello e la  qualita'  dell'esercizio
 delle funzioni e dei servizi).
    Ma,  com'e'  noto,  con la sentenza n. 381 del 1990 codesta ecc.ma
 Corte dichiaro' non fondata la suddetta  questione  (sollevata  anche
 dalle  province  autonome  di Trento e di Bolzano e da tutte le altre
 regioni ad autonomia speciale), pur confermando, peraltro, i principi
 sopra richiamati, gia' enunciati nella precedente giurisprudenza.  Ed
 in  realta'  codesta  ecc.ma,  in  quella sentenza, non nego' che, in
 effetti, l'art. 19  del  d.-l.  n.  415/1989  determinasse  un  grave
 squilibrio  nella  finanza  delle province autonome e delle regioni a
 statuto speciale; ed affermo' anche che la  specificita'  della  loro
 autonomia "deve riflettersi anche sul piano finanziario, nel caso che
 le  regioni  e le province autonome cui la Costituzione e gli statuti
 assegnano piu' ampie e significative competenze debbono essere  messe
 in  grado  di  avere  a  disposizione risorse finanziarie maggiori e,
 comunque, adeguate alla  piu'  elevata  quantita'  e  qualita'  delle
 attribuzioni loro spettanti".
    Ma  cio'  che,  secondo  la motivazione della sentenza n. 381/1990
 (spec. n. 5 della motivazione "in diritto"), valse ad  escludere  una
 dichiarazione  di  incostituzionalita'  dell'art.  19  del  d.-l.  n.
 415/1989 fu essenzialmente il  carattere  di  "provvisorieta'"  e  di
 "urgenza"   che   a   quella   disciplina  legislativa  venne  allora
 riconosciuta. Una disciplina che - come allora fu  detto  da  codesta
 ecc.ma Corte - si giustificava in quanto "propedeutica" rispetto agli
 imminenti   "futuri   aggiustamenti   che   verranno  definitivamente
 apportati a seguito di trattative del Governo con le singole  regioni
 (o   province)  ad  autonomia  differenziata  e  nell'ambito  di  una
 considerazione globale della materia,  basata  su  piu'  approfondite
 analisi del rapporto tra i flussi finanziari esistenti fra lo Stato e
 le  regioni  (e  le  province  autonome)  e le funzioni esercitate da
 queste ultime". E la sentenza n. 381/1990  non  manco'  di  precisare
 anche   che   gli   strumenti  normativi  appropriati  per  stabilire
 finalmente una  disciplina  che  realizzasse  un  equilibrio  tra  le
 risorse  finanziarie  assegnate  alle  regioni  (e  alle province) ad
 autonomia differenziata e i piu'  complessi  compiti  assegnati  alle
 medesime  sono  costituiti  non  gia'  da  provvedimenti  legislativi
 contingenti,  episodici  e  frammentari,  ma  invece  "dalle norme di
 attuazione e dalle leggi previste  dagli  statuti  per  la  revisione
 delle proprie norme finanziarie".
    Ma  due  anni  dopo  il  decreto-legge  n.  415/1989,  anziche' la
 preannunciata  revisione  globale  della  vigente  disciplina   della
 finanza  regionale  e del rapporto fra entrate e spese, sulla base di
 apposite trattative fra Governo e regione  e  mediante  lo  strumento
 normativo  costituzionalmente corretto, si e' avuto invece in materia
 un ennesimo intervento "contingente": prova ulteriore, se mai che  ne
 fosse stato bisogno, che troppe volte il legislatore rende definitivo
 cio' che invece doveva essere provvisorio.
    Ci  riferiamo,  appunto,  alla  recente legge 30 dicembre 1991, n.
 412, recante "Disposizioni in materia di finanza  pubblica",  con  la
 quale  il  Parlamento,  dopo  una tormentata gestazione, ha stabilito
 delle norme sulla manovra finanziaria per l'anno in corso.
    Fra le disposizioni contenute nella legge n. 412/1991,  fa  spicco
 il  comma  undicesimo dell'art. 4, il quale recita: "per le regioni a
 statuto speciale e per le province autonome di Trento e  di  Bolzano,
 le  misure  del  20 per cento, del 10 per cento e del 5 per cento, di
 cui all'art. 19, primo comma, del d.-l. 28  dicembre  1989,  n.  415,
 convertito,  con  modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 38,
 sono costituite, rispettivamente, dal 28 per cento, dal 14 per  cento
 e  dal  7  per  cento.  Per il finanziamento degli oneri a carico dei
 rispettivi bilanci conseguenti alle riduzioni disposte  dal  predetto
 art. 19, le regioni e le province autonome possono assumere mutui con
 istituti  di  credito  nel  rispetto  dei limiti massimi previsti dai
 rispettivi statuti e dalle vigenti disposizioni".
    Tale disposizione della legge n. 412/1991,  cosi'  come  le  altre
 gia'  indicate in epigrafe e che verranno successivamente illustrate,
 sono  incostituzionali  e  lesive  delle  competenze  della   regione
 autonoma  della  Sardegna,  che  pertanto  le impugna, per i seguenti
 motivi di
                             D I R I T T O
    1. - Violazione, da parte dell'art.  4,  undicesimo  comma,  della
 legge impugnata, delle competenze regionali di cui agli articoli 3, 4
 (in  particolare  4,  primo  comma; lett. i), agli artt. 5 e 6, e del
 titolo terzo (artt.  7-14)  dello  statuto  speciale  della  Sardegna
 (legge  costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3) e delle relative norme
 d'attuazione;  nonche'  degli  artt.  3,  81,   116   e   119   della
 Costituzione.
    1.1.  -  Come si e' visto, l'art. 4, undicesimo comma, della legge
 n.  412/1991  riduce  ulteriormente  (dal  5)  al  7  per  cento   le
 assegnazioni  alla  regione  della parte corrente del fondo sanitario
 nazionale, di cui all'art. 51 della legge n. 833/1978.
    Un aspetto essenziale della disciplina impugnata sta nel fatto che
 con  essa  lo  Stato  (aggravando  la  situazione  gia'   determinata
 dall'art.  19  del  d.-l.  n. 415/1989) ha ulteriormente ridotto alla
 regione le risorse che ad essa sono peraltro necessarie  al  fine  di
 effettuare  prestazioni  di  servizi e correlative spese obbligatorie
 per la regione stessa: prestazioni e spese del tutto  "rigide"  nella
 loro   entita'   e,  comunque,  non  dipendenti  da  autonome  scelte
 regionali, ma piuttosto da determinazioni dello Stato.
    In  altri  termini,  con  tale disciplina si pone ancora di piu' a
 carico della regione la spesa sanitaria, senza che pero'  la  regione
 abbia  gli  strumenti per controllarla e tanto meno ridurla; e quindi
 la si  costringe  a  coprire  il  deficit  risultante  da  tagli  nei
 trasferimenti  del  fondo  sanitario  o  ricorrendo all'indebitamento
 (come suggerisce lo stesso  art.  4,  undicesimo  comma,  impugnato),
 oppure  destinando  a  tali  spese le risorse finanziarie proprie che
 debbono quindi essere distolte dai  loro  impieghi,  cosi'  riducendo
 altri  tipi  di  interventi  regionali, ostacolando l'esercizio delle
 normali   funzioni   della   regione,   impedendole   una   razionale
 programmazione degli interventi, sconvolgendo le stesse previsioni di
 bilancio.
    Che la regione non abbia effettivi poteri di controllo sulla spesa
 sanitaria  e'  cosi'  sin troppo nota per indugiare qui ad analitiche
 dimostrazioni.  Salvo  ritornare  sul  punto  in  ulteriori   scritti
 difensivi, basti per ora richiamare alcuni esempi.
    Per  quanto  riguarda  le  funzioni  ospedaliere,  sia  i  livelli
 retributivi che in genere il trattamento del personale non  dipendono
 dalla  regione  (ma  sono  regolati  da  accordi  stipulati a livello
 nazionale); anche le spese per acquisti di beni e  servizi  dipendono
 essenzialmente  da necessita' obiettive e dal livello dei prezzi. Per
 quanto  riguarda  l'assistenza  farmaceutica  spetta  allo  Stato  il
 controllo  sui  prezzi  dei  prodotti farmaceutici, l'inserimento nel
 prontuario terapeutico, la disciplina dei ticket.  Anche  per  quanto
 riguarda  l'assistenza  specialistica  e  la  medicina  di base, e' a
 livello statale che vengono predisposte le convenzioni con  i  medici
 privati.  Cosi'  come,  in  genere,  e'  sempre a livello statale che
 vengono stabiliti gli standards dei servizi sanitari.
    Tutto cio', del resto, e' ben noto  a  codesta  ecc.ma  Corte,  la
 quale  gia'  in  passato  (sent.  n.  245/1984, e poi n. 452/1989) ha
 rilevato come  "non  si  puo'  presupporre  "che  le  amministrazioni
 regionali  portino  ( ..) l'effettiva responsabilita' degli eventuali
 disavanzi delle U.S.L.", in quanto gran parte della  spesa  sanitaria
 e,  fra  questa,  gli  oneri derivanti dalle prescrizioni mediche, si
 formano indipendentemente dalle  scelte  regionali  (e  dalle  stesse
 deliberazioni   degli  organi  di  gestione  delle  unita'  sanitarie
 locali), essendo prevalentemente legati al soddisfacimento di diritti
 costituzionalmente garantiti e, quindi, essenzialmente  a  scelte  di
 ordine   generale   degli   organi   centrali   di   governo  dettate
 dall'esigenza di assicurare parita' di trattamento fra i cittadini".
    Ed ha poi ribadito (sent.  n.  452/1989)  che  la  garanzia  della
 autonomia delle regioni (e delle province autonome) "comporta che non
 possano  essere  addossati  al bilancio regionale (o provinciale) gli
 oneri derivanti da decisioni non imputabili alla  regione  stessa  (o
 alla  provincia autonoma) o che, comunque, dipendono dall'esigenza di
 tutelare interessi pubblici o diritti costituzionali  dei  cittadini,
 la  cui cura e' affidata dalla Costituzione soltanto in parte - e non
 certo quella essenziale - alla regione".
    E' appena il caso di osservare, a questo punto, che  il  senso  di
 queste  osservazioni  non e' certo quello di contestare la necessita'
 di un intervento dello Stato per il risanamento della spesa pubblica.
 Ne' si ritiene, evidentemente, che le regioni e le province  autonome
 non  debbano  essere  chiamate a sopportare anch'esse l'onere in modo
 proporzionale. Il problema e' piuttosto un altro (come  gia'  si  era
 detto  in  occasione  dell'impugnativa  dell'art.  19  del  d.-l.  n.
 415/1989).  Ed e' che l'onere non puo' essere caricato esclusivamente
 sulle regioni a statuto speciale e sulle due  province  di  Trento  e
 Bolzano.  E  che  se il governo vuole risanare il deficit della spesa
 sanitaria lo dovra'  fare,  in  primo  luogo,  riformandone  in  modo
 organico  -  come e' di sua competenza - le strutture, i servizi, gli
 standards, la disciplina del personale  del  servizio  sanitario,  il
 tutto  in  modo  da  ridurre  le  spese;  e  solo a seguito di questo
 riducendo poi i relativi trasferimenti a tutte le regioni. Non invece
 - come pretenderebbe di fare il Governo con la disciplina impugnata -
 lasciando immutate la regolamentazione  del  servizio  e  la  entita'
 degli oneri, e pero' riducendo ulteriormente i relativi finanziamenti
 alle  sole  regioni  a statuto speciale e province autonome, e quindi
 scaricando su di esse (e solo su di esse) il costo e  le  conseguenze
 della manovra finanziaria.
    Una  siffatta  disciplina,  che  fa  gravare  ancora di piu' sulla
 regione ricorrente al responsabilita' della  spesa  per  un  servizio
 volto  a  soddisfare  un  diritto costituzionale dei cittadini, senza
 fornire pero' ad essa i mezzi  finanziari  necessari,  ne'  strumenti
 rilevanti  per  il  controllo ed il governo della spesa stessa, viola
 dunque, ad un tempo, il principio costituzionale di ragionevolezza  e
 quello  di  autonomia finanziaria della regione, specie (ma non solo)
 in materia di sanita' (artt. 4, lett. i),  6  e  titolo  terzo  dello
 statuto);  ed  al  tempo  stesso  viola  il  principio  di  copertura
 finanziaria stabilito dall'art. 81, quarto comma, della Costituzione.
    Un principio,  quest'ultimo,  che  si  estende  anche  alle  spese
 accollate  dallo Stato agli enti del c.d. settore pubblico allargato,
 e del quale e' puntuale espressione l'art. 27 della  legge  5  agosto
 1978, n. 468, secondo cui "Le leggi che comportano oneri, anche sotto
 forma  di  minori  entrate, a carico dei bilanci degli enti di cui al
 precedente art. 25 devono contenere la previsione  dell'onere  stesso
 nonche'   l'indicazione   della  copertura  finanziaria  riferita  ai
 relativi bilanci annuali e pluriennali". Un  principio  alla  stregua
 del  quale  la  ultronea  previsione  -  contenuta nella disposizione
 impugnata - della possibilita' per la regione ricorrente di contrarre
 mutui per coprire i  maggiori  oneri  appare  francamente  derisoria,
 prima  ancora  che  elusiva del dettato del quarto comma dell'art. 81
 della Costituzione.
    La fondatezza  di  tali  censure  trova  sostegno,  invero,  nella
 giurisprudenza  di  codesta  ecc.ma  Corte, che in piu' occasioni (ma
 spec. con le gia' citate sentenze n. 245/1984 e n. 452/1989), proprio
 facendo leva sul necessario raccordo tra il governo del settore e  la
 responsabilita'    della    relativa    spesa    ha   dichiarato   la
 incostituzionalita' di norme legislative  statali  con  le  quali  si
 veniva  a  far  gravare  sui  bilanci delle regioni e delle provincie
 autonome (senza disporre i corrispondenti  trasferimenti  di  risorse
 finanziarie)  spese  necessarie  per  il  funzionamento  del servizio
 sanitario nazionale derivanti da decisioni non imputabili peraltro  a
 tali  enti,  o comunque da essi non controllabili: cosi' costringendo
 le regioni stesse (e le provincie autonome) a  prelevare  le  risorse
 necessarie  a colmare il deficit o dal fondo comune di cui all'art. 8
 della legge n. 281/1980 (per le regioni a statuto ordinario) o  dalle
 corrispondenti  entrate  di  parte  corrente  previste dai rispettivi
 ordinamenti (per le altre regioni a statuto speciale e  le  provincie
 autonome) o comunque dalla finanza "propria".
    Riassumendo.  La  disciplina  stabilita  dall'art.  4,  undicesimo
 comma, della legge impugnata e'  dunque  incostituzionale,  in  primo
 luogo,  perche'  essa  viola il principio della copertura della spesa
 stabilita  dall'art.  81,  quarto  comma,  della  Costituzione,  come
 esplicitato ed attuato anche dall'art. 27 della legge n. 468/1978, in
 quanto  essa  accolla  alla  regione  ricorrente  nuove  spese  senza
 prevedere e fornirle i mezzi finanziari per farvi fronte.
    Cosi' facendo la disciplina  impugnata  viola,  al  tempo  stesso,
 l'autonomia  finanziaria  della regione in materia - in primo luogo -
 di sanita' (artt. 4, lett. i), 6 e titolo terzo statuto, nonche' art.
 119 della Costituzione), ma anche nelle altre materie  di  competenza
 propria  (artt.  3-5 dello statuto). Cio' in quanto, tale disciplina,
 senza tenere minimamente conto delle esigenze di coordinamento  della
 spesa  statale  con  quella  regionale,  scarica  sul  bilancio della
 Regione spese di cui essa non ha il governo, e  che  non  possono  da
 essa  essere  sostenute  altro  che  indebitandosi,  ovvero stornando
 proprie risorse finanziarie destinate ad altri  settori;  e,  quindi,
 riducendo  le  capacita' di spesa e di intervento della regione anche
 nelle altre materie di propria competenza.
    1.2. - Come gia' si puo'  desumere  da  quanto  si  era  detto  in
 precedenza,  non  riteniamo che questa volta possa essere addotto, ad
 evitare  una  pronuncia  di   incostituzionalita'   della   impugnata
 disciplina    della    legge    n.    412/1991,   l'argomento   della
 "provvisorieta'", che valse ad evitare  l'annullamento  dell'art.  19
 del d.-l. n. 415/1989.
    La  norma  oggi  impugnata,  invero, non ha ne' il carattere della
 provvisorieta' ne' quello dell'urgenza (che  nel  caso  dell'art.  19
 poteva anche fondarsi sulla circostanza formale che si trattava di un
 d.-l.  Non  vi  e'  nessun elemento nella disciplina legislativa oggi
 impugnata  che   possa   farla   ragionevolmente   considerare   come
 necessariamente  "propedeutica" rispetto ad una disciplina in itinere
 che costituisca una revisione organica della  materia.  Piuttosto  si
 potrebbe  osservare,  al  riguardo,  che  e' lo stesso persistere del
 legislatore statale in un medesimo tipo di  intervento,  di  per  se'
 inadeguato  a  regolare  la materia nel rispetto dell'autonomia delle
 regioni a  statuto  speciale  e  delle  provincie  autonome,  a  fare
 dubitare  retrospettivamente  del  carattere di "provvisorieta'" e di
 "propedeuticita'" precedentemente riconosciuto all'art. 19 del  d.-l.
 n. 415/1989.
    Quanto  poi  al fine "perequativo" (cioe' il fine di riequilibrare
 il rapporto fra i flussi finanziari tra Stato  e  regioni  a  statuto
 speciale  e  provincie  autonome, rispetto a quello intercorrente fra
 Stato e  regioni  ad  autonomia  ordinaria)  che  nella  sentenza  n.
 381/1990  si  riconobbe  alla  disciplina  dell'art.  19  (e ad altre
 disposizioni della legge n.  415/1989),  se  tale  fine  deve  essere
 ancora  oggi  realizzato,  la strada non e' certo quella percorsa dal
 legislatore con la disciplina qui impugnata.
    Come proprio codesta  ecc.ma  Corte  aveva  chiaramente  affermato
 nella  motivazione della sentenza n. 381/1990, la strada non puo' che
 essere quella delle previe "trattative del  governo  con  le  singole
 regioni  (o  provincie)  ad  autonomia differenziata" e, quindi della
 emanazione delle particolari "leggi previste  dagli  statuti  per  la
 revisione  delle  proprie  norme finanziarie" (nel caso della regione
 ricorrente si tratta dell'art. 54,  terzo  comma  dello  statuto),  e
 dalla emanazione di nuove "norme di attuazione" dello Statuto.
    Ma  nulla  di  tutto  cio'  si  e'  avuto, appunto, nel caso della
 disciplina oggi impugnata, che non e' il frutto ne'  delle  procedure
 statutariamente previste, ne' - comunque - di quelle "trattative" che
 erano state previste nella sentenza n. 381/1990.
    1.3  -  Un  ultimo  profilo  di  incostituzionalita'  dell'art. 4,
 undicesimo  comma,  della  legge  impugnata   e'   costituito   dalla
 violazione  degli  artt.  3  e 116 della Costituzione. Esso, infatti,
 discrimina la regione ricorrente, in modo del  tutto  irrazionale  ed
 ingiustificato,  nei  confronti delle regioni ad autonomia ordinaria,
 che non subiscono  riduzioni  di  assegnazioni  di  quote  del  fondo
 sanitario.
    Gia'  si  e' detto in precedenza, e qui lo si ribadisce, come tale
 discriminazione in peius, oltre  che  inammissibile  in  se',  e'  in
 contrasto  con  le  ragioni  della  specialita'  dell'autonomia della
 regione ricorrente,  sancita  in  primo  luogo  dall'art.  116  della
 Costituzione.
    Una  discriminazione, quella ora evidenziata, che non puo' neppure
 essere  giustificata  da  finalita'  di   perequazione   finanziaria.
 Infatti,  il  fondo sanitario nazionale deve assicurare, a parita' di
 livelli e standards di prestazioni su tutto il territorio  nazionale,
 una  parita' di trattamento fra regioni a statuto ordinario e regioni
 (e provincie) ad autonomia differenziata,  mentre  gli  obiettivi  di
 perequazione  finanziaria  debbono  essere  perseguiti  mediante  gli
 strumenti appropriati, che - come gia' si e' detto - sono  del  tutto
 diversi  (modifiche delle norme finanziarie degli statuti speciali, e
 quindi delle finanze regionali "proprie", e modifiche delle norme  di
 attuazione.
    2. - Violazione, da parte dell'art. 9 della legge impugnata, delle
 competenze  regionali  di  cui  agli  artt.  3,  lett. a), e 6, dello
 statuto della Sardegna, e relative norme d'attuazione.
    L'art. 9 della legge  n.  412/1991,  intitolato  "Disposizioni  in
 materia  di lavoro straordinario", stabilisce che "a decorrere dal 1›
 luglio  1992  le  amministrazioni  pubbliche  anche  ad   ordinamento
 autonomo, gli enti locali e le unita' sanitarie locali presso i quali
 non   sono   regolarmente   operanti  strumenti  o  procedure  idonei
 all'accertamento dell'effettiva durata della prestazione  di  lavoro,
 non  possono  ricorrere  a  lavoro  straordinario.  Le  regioni  e le
 provincie autonome di Trento e di Bolzano adeguano, entro  lo  stesso
 termine,  le norme regionali e provinciali al principio stabilito dal
 presente articolo".
    Il "principio" stabilito dall'art. 9 (che la legge  assume  essere
 vincolante  anche  per la regione ricorrente) consisterebbe dunque in
 cio', che le regioni  e  le  provincie  autonome  debbano  introdurre
 nell'ordinamento  dei  propri uffici e del personale ad essi addetto,
 strumenti o procedure idonee all'accertamento della effettiva  durata
 delle  prestazioni  di lavoro dei dipendenti, ed ove tali strumenti o
 procedure non vi  siano  (o  non  siano  regolarmente  operanti),  le
 regioni  e  le  provincie  autonome  non  possono  ricorrere a lavoro
 straordinario per il funzionamento dei propri uffici.
    Le  esigenze  che  la  norma  statale  intende   soddisfare   sono
 sostanzialmente condivise dalla regione ricorrente, ma spetta ad essa
 (e non allo Stato) di soddisfarle nel suo territorio.
    La  norma in questione non costituisce un principio della materia,
 in senso proprio; comunque, meno che mai essa puo' essere qualificata
 come un principio generale dell'ordinamento giuridico dello Stato,  o
 come  una  norma  fondamentale  di  riforma  economico  sociale della
 Repubblica. Pertanto, nella parte in cui essa pretende di  applicarsi
 alla  provincia autonoma ricorrente, obbligandola ad adeguare ad essa
 la propria legislazione, la norma impugnata e' lesiva della comptenza
 legislativa esclusiva che l'art. 3,  lett.  a)  dello  statuto  della
 Sardegna   attribuisce   alla   regione   ricorrente  in  materia  di
 ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi regionali  e  di
 stato giuridico ed economico del personale ad essi addetto.
    La  suddetta  violazione  della  competenza regionale e' poi tanto
 piu' grave  ed  evidente  per  il  fatto  stesso  che  la  disciplina
 dell'accertamento  dell'effettivo  orario  di  lavoro  e'  stata gia'
 adottata dalla regione con l'art. 20, ultimo comma, del  decreto  del
 presidente  della  giunta  regionale  7  giugno  1990,  n. 116 (norme
 risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo contrattuale del 31
 maggio  1990  per  il  triennio  1988/1990  relativo   al   personale
 dell'amministrazione  della  regione  autonoma  della  Sardegna e dei
 relativi enti pubblici strumentali), emanato ai  sensi  dell'art.  2,
 secondo comma, n. 5, della legge regionale 25 giugno 1984, n. 33.
    3.  -  Violazione,  da  parte  dell'art. 22 della legge impugnata,
 delle competenze regionali di cui agli artt.  3,  4,  5  e  6,  dello
 statuto della Sardegna e relative norme d'attuazione.
    L'art.  22  della  legge n. 412/1991 (che reca il titolo "Albo dei
 beneficiari di provvidenze di  natura  economica")  dispone  che  "1.
 Oltre  a  quanto  stabilito  dalla  legge  7  agosto 1990, n. 241, le
 amministrazioni dello  Stato,  le  regioni,  comprese  le  regioni  a
 statuto speciale, e le provincie autonome di Trento e di Bolzano, gli
 enti locali e gli altri enti pubblici sono tenuti ad istituire, entro
 il  31  marzo  1992,  l'albo  dei  soggetti,  ivi comprese le persone
 fisiche, cui  siano  stati  erogati  in  ogni  esercizio  finanziario
 contributi,  sovvenzioni,  crediti,  sussidi  e  benefici  di  natura
 economica a carico dei rispettivi bilanci. Gli albi  sono  aggiornati
 annualmente  e  trasmessi  alla Presidenza del Consiglio dei ministri
 entro il 30 aprile di ogni anno.
    2. Per ciascun soggetto che figura nell'albo viene indicata  anche
 la  disposizione  di  legge  sulla  base  della  quale hanno luogo le
 erogazioni di cui al primo comma.
    3. Gli albi istituiti ai sensi  del  primo  comma  possono  essere
 consultati  da  ogni cittadino. Le amministrazioni pubbliche preposte
 alla tenuta degli albi e la Presidenza del Consiglio dei ministri  ne
 assicurano la massima facilita' di accesso e pubblicita'".
    Anche  per  tale  disciplina  della legge impugnata (come gia' per
 l'art. 9), la regione ricorrente non dubita certo della necessita' di
 soddisfare le esigenze di pubblicita', trasparenza  ed  imparzialita'
 dell'azione  amministrativa  cui  essa mira. Il problema e' pero' che
 spetta alla regione stessa di legiferare in  tal  senso  e  non  allo
 Stato.
    La  "materia"  disciplinata  dall'art. 22 rientra, in primo luogo,
 nella competenza a disciplinare  l'ordinamento  e  l'attivita'  degli
 uffici   dell'amministrazione,   ed   inoltre   nella   competenza  a
 disciplinare l'esercizio delle diverse  funzioni  amministrative  cui
 afferiscono  le  "erogazioni"  di  cui  al  primo comma dell'art. 22.
 Pertanto  la  disciplina  dell'art.  22,  nella parte in cui essa sia
 applicabile  anche  alla  regione  Sardegna,  e'  lesiva  della   sua
 competenza  esclusiva  in  materia  di  ordinamento dei propri uffici
 (art. 3, lett. a), dello statuto), nonche'  delle  altre  competenze,
 esclusive, concorrenti, ed integrative che gli artt. 3, 4 e 5 ad essa
 riservano  nelle  varie materie interessate dalle "erogazioni" di cui
 all'art.   22   (come,   per   esempio,   l'artigianato,   l'edilizia
 sovvenzionata,  trasporti,  agricoltura,  assistenza  e  beneficienza
 pubblica, commercio,  industria,  linee  marittime,  ecc.).  E'  alla
 regione  ricorrente,  dunque,  che spetta di disciplinare le forme di
 pubblicita'  degli  atti  concessivi  di   contributi,   sovvenzioni,
 crediti,  sussidi e benefici di natura economica a carico del proprio
 bilancio.
    Sembra inoltre che non sia conforme all'autonomia regionale,  come
 configurata  dello  statuto, l'imposizione di un obbligo (come quello
 di cui all'ultima parte dell'art. 22,  primo  comma)  di  trasmettere
 alla  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri  copia  dei  suddetti
 provvedimenti e dei loro  beneficiari,  od  elenchi  riassuntivi  dei
 medesimi.
                               P. Q. M.
    Voglia l'ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento del presente
 ricorso,  dichiarare  la  incostituzionalita',  in  parte  qua, delle
 impugnate disposizioni della legge 30 dicembre 1991, n. 412.
      Roma, addi' 30 gennaio 1992
                      Avv. prof. Sergio PANUNZIO

 92C0166