N. 85 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 dicembre 1991

                                 N. 85
 Ordinanza emessa il 10 dicembre 1991 dal tribunale militare di Padova
 nel procedimento penale a carico di Festa Carmine
 Reati militari - Allontanamento illecito - Reato punibile su
    richiesta del comandante di Corpo - Ritenuta natura sostanziale  e
    non processuale della richiesta - Conseguente antigiuridicita' del
    fatto  in  dipendenza  di  valutazioni  rimesse  al  comandante  -
    Contrasto con il principio  della  riserva  di  legge  in  materia
    penale  -  Prospettata  violazione  dei diritti fondamentali della
    persona  con  incidenza sullo spirito democratico cui e' informato
    l'ordinamento delle Forze armate.
 (C.P.M.P., art. 147, in relazione all'art. 260 stesso codice).
 (Cost., artt. 25 e 52).
(GU n.10 del 4-3-1992 )
                         IL TRIBUNALE MILITARE
    Ha pronunciato la seguente  ordinanza  nella  causa  contro  Festa
 Carmine,  nato il 25 giugno 1972 a Londra (Inghilterra), residente ad
 Avellino in via Beato  Padre  Alberico  Crescitelli  n.  12,  celibe,
 incensurato;   soldato  effettivo  presso  il  battaglione  logistico
 "Gorizia"  in  Gradisca  d'Isonzo  (Gorizia),  libero,  imputato   di
 allontanamento  illecito  (art.  147,  secondo  comma,  del c.p.m.p.)
 perche', soldato nel btg. "Gorizia" in Gradisca (Gorizia), inviato il
 18 giugno 1991 a raggiungere Roma  per  essere  sottoposto  a  visita
 medica  il 19 giugno 1991 per arruolamento nell'arma dei carabinieri,
 si presentava al reparto di  appartenenza  di  Gradisca  solo  il  24
 giugno 1991.
    A seguito di richieste congiunte di applicazione di pena.
                            FATTO E DIRITTO
    Questo  tribunale  ritiene provato l'allontanamento illecito (art.
 147, secondo comma, del c.p.m.p.) attribuito al soldato Festa Carmine
 per la sua assenza dal 19 al 24 giugno 1991.
    Si tratta di reato che, come ogni altro per il quale sia  previsto
 la  pena  della  reclusione  militare non superiore nel massimo a sei
 mesi, non puo' essere punito  se  non  a  seguito  di  richiesta  del
 comandante  (art.  250  secondo  comma  c.p.m.p.); ma nella specie la
 richiesta e' stata presentata.
    La  norma  dell'art.  260,  scondo  comma,  e'  stata  piu'  volte
 sottoposta   al   vaglio  della  Corte  costituzionale,  manifestando
 tuttavia  un'inusitata  capacita'  di  resistenza.  Con  ben   cinque
 sentenze  nn.  42/1985, 189/1976, 114/1982, 397/1987) si e' stabilito
 che essa non viola il principio di uguaglianza, ne' i  diritti  della
 persona,  ne'  i  principi  della  diretta responsabilita' penale del
 funzionario,   della   democraticita'   dell'ordinamento    militare,
 dell'imparzialita'        della       pubblica       amministrazione,
 dell'obbligatorieta' dell'azione penale.
    Trovandosi di fronte ad un  reato  punibile  a  richiesta,  questo
 giudice  non  intende  sollevare  ancora  questioni gia' decise dalla
 Corte;  ma  non  puo'  esimersi  dal  manifestare  nuovi   dubbi   di
 legittimita'  che investono non tanto la richiesta di procedimento in
 se' considerata, quanto piuttosto la norma  incriminatrice  dell'art.
 147  del  c.p.m.p.  dal momento che punisce, l'assenza arbitraria, di
 durata superiore ad un giorno ed inferiore a cinque, a condizione che
 questa sia la volonta' del comandante di  corpo,  o  di  altro  "ente
 superiore" da cui dipende il colpevole. La richiesta di procedimento,
 in  altri  termini,  ha una prevalente natura non processuale, bensi'
 sostanziale, e percio' rende dubbia,  sotto  i  profili  che  saranno
 esaminati, la legittimita' della norma incriminatrice.
    E'  noto  che  da  tempo  in  dottrina e giurisprudenza si pone il
 problema se la querela, la  richiesta  e  l'istanza  di  procedimento
 siano   condizioni   di   punibilita',   oppure   di   punibilita'  e
 procedibilita', o infine solamente di  procedibilita',  e  che  negli
 ultimi  tempi  si  propende  per  quest'ultima  soluzione.  E  questo
 tribunale non puo' di certo aggiungere nuovi argomenti  di  carattere
 generale  a  quelli,  copiosissimi,  gia' tradizionalmente proposti a
 favore  delle  varie  concezioni. Si deve, tuttavia, rilevare come il
 prevalere  della  tesi  della  condizione  di  procedibilita'   lasci
 piuttosto  insoddisfatti,  dal  momento che nella scolorita categoria
 processuale i tre cennati istituti vengono ad assimilarsi con  quello
 dell'autorizzazionea  procedere,  e  si  dissolvono  le differenze di
 origine e di funzione di querela istanza e richiesta e  la  richiesta
 del comandante di corpo, quando non sia addirittura accomunata ad una
 querela,  viene  a  confondersi con la richiesta del Ministro, con la
 quale probabilmente nulla ha in comune se non il nome.
    Limitando  ogni  considerazione  alla  richiesta  del  comandante,
 l'aspetto  sostanziale  che  non puo' essere sottaciuto, e che vale a
 comprendere l'istituto nel novero delle condizoni di punibilita',  e'
 la  circostanza  che  il  titolare  del  potere  di  richiesta e' nel
 contempo titolare del potere disciplinare, di  modo  che  (come  gia'
 avveniva  per  i  c.d.  sostitutivi  disciplinari  anteriormente alla
 vigente codificazione penalmilitare) la presentazione, o meno,  della
 richiesa  al  competente  Magistrato e' espressione di una scelta del
 comandante in ordine alla sanzione,  se  disciplinare  o  penale,  da
 irrogare per il fatto previsto dalla legge penale militare.
    Questa   concezione  e'  stata  a  volte  messa  in  dubbio  nella
 considerazione che non vi sia affatto, per i reati  punibili  con  la
 reclusione  militare  non  superiore  a sei mesi, l'asserita scelta e
 alternativita' tra la sanzione  penale  e  quella  disciplinare,  dal
 momento che per fatti del genere il comandante da un lato non sarebbe
 tenuto  ad esercitare l'azione disciplinare nel caso in cui non abbia
 inoltrato la richiesta di procedimento,  e  dall'altro  ben  potrebbe
 promuovere  il  procedimento  disciplinare  (che  verrebbe sospeso in
 attesa  del  giudizio  penale)  anche  nel  caso  di  sua  precedente
 presentazione della richiesta di procedimento penale.
    In  realta,  l'alternativita' tra sanzione disciplinare e sanzione
 penale trae fondamento da una consolidata prassi gia' esistente sotto
 la vigenza della normativa anteriore alla codificazione del 1941;  ma
 attualmente  sembra  trovare  riscontro  anche nelle disposizioni del
 decreto del Presidente  della  Repubblica  18  luglio  1986,  n.  545
 (Regolamento   di   disciplina   militare),  che  dettano  norme  per
 l'esercizio dei poteri attribuiti al comandante dagli artt. 13  e  15
 della  legge  11  luglio  1978,  n.  382  (Norme  di  principio sulla
 disciplina militare). Innanzitutto, l'art.  58,  settimo  comma,  del
 testo  regolamentare  stabilisce l'obbligo dell'esercizio dell'azione
 disciplinare nel caso di  infrazioni  punibili  con  la  consegna  di
 rigore,  categoria  che  comprende  i reati in genere, inclusi quelli
 punibili con la reclusione militare non superiore nel massimo  a  sei
 mesi  (art.  65, settimo comma, e preambolo dell'allegato C al citato
 decreto  del  Presidente  della  Repubblica).  Inoltre,   come   pure
 stabiliscono  l'art.  65, settimo comma ed il preambolo dell'allegato
 C, la sanzione disciplinare per i reati punibili  con  la  reclusione
 militare  non  superiore  a  sei  mesi  e'  irrogabile solo quando il
 comandante "non ritenga  di  chiedere  il  procedimento",  e  percio'
 esclusivamente quale alternativa alla sanzione penale.
    Di  modo  che,  volendo  abbozzare  talune  linee fondamentali del
 potere disciplinare del comandante, risulta che l'azione disciplinare
 puo', o in certi casi deve, essere esercitata per ogni fatto che, non
 rientrando  nella  previsione  di  alcuna  norma   penale   militare,
 costituisca  tuttavia  violazione  dei  doveri  del  servizio o della
 disciplina  militare;  che  l'azione disciplinare e' invece sempre da
 esercitare per le violazioni dei  doveri  medesimi  che  siano  anche
 previste  come reato perseguibile d'ufficio; che tra le due categorie
 estreme v'e' una fascia intermedia  costituita  dalle  infrazioni  ai
 detti  doveri  che nel contempo integrino la materialita' di un reato
 punibile con la reclusione militare non superiore nel massimo  a  sei
 mesi,  e  che  in  quest'ultimo caso, in cui l'azione disciplinare e'
 esperibile solamente quando non sia stata inoltrata al Magistrato  la
 richiesta  di  procedimento,  al  comandante  e' conferito proprio il
 potere di stabilire se per l'infrazione posta in essere dal  militare
 sia adeguata la sanzione penale oppure quella disciplinare.
    Del  resto, che la richiesta di procedimento operi innanzitutto in
 un ambito di diritto sostanziale e' concezione pacificamente  accolta
 nella  dottrina  meno  recente anteriore ed immediatamente successiva
 all'ultimo conflitto mondiale, nella quale si  afferma  che  (proprio
 perche'  in  difetto  della  richiesta  il  fatto  e' privo di penale
 rilevanza) per il reato punibile a  richiesta  non  v'e'  obbligo  di
 rapporto  giudiziario da parte del comandante, sin quando egli non si
 sia  eventualmente  indotto  a  chiedere  il   procedimento   penale.
 Quest'idea e' senza difficolta' accolta nella giurisprudenza, nel cui
 ambito,  sempre  in  linea  con  la  concezione  sostanzialistica, si
 rinviene, quale particolare applicazione del principio, la  decisione
 secondo  cui  non e' punibile come ricettazione l'acquisto di oggetti
 provenienti da reato  militare  per  il  quale  non  puo'  procedersi
 poiche'  manca  la  richiesta  del comandante del corpo Cass. sezione
 terza 25 ottobre 1954, in Foro Pen. 1955, 516).
    Rispetto  a  quest'originario  ordine  di   idee   la   successiva
 telegazione della richiesta di procedimento nel novero nelle norme di
 diritto processuale non e' che un'astratta operazione dottrinania, un
 tentativo  di esorcizzazione dell'istituto, che di certo non fa venir
 meno ed anzi rimuove il dato essenziale che il comandante sceglie  il
 tipo  di  sanzione,  penale  ovvero  disciplinare, da irrogare per il
 fatto previsto quale reato.
    Altri elementi confermano che la richiesta  di  procedimento  deve
 considerarsi una condizione di punibilita'; innanzitutto il fatto che
 l'art.  260  sia  collocato  nell'ambito del libro secondo "Dei reati
 militari" e rimanga estraneo al libro terzo "Della  procedura  penale
 militare".
    Ma  ancor  piu'  significativo  e'  che  la disposizione stessa (a
 differenza di quanto avviene per autorizzazione a procedere, querela,
 istanza  e  richiesta  del  Ministro)  non  riguardi  reati  indicati
 singolarmente  o per l'appartenenza ad una determinata categoria, ne'
 i reati in genere commessi in determinate circostanze o  da  determi-
 nate  persone, bensi' indistintamente tutti i reati militari, nessuno
 escluso, punibili con la reclusione militare nella misura suindicata,
 a  nulla  rilevando  il  bene  giuridico  tutelato,   o   particolari
 qualifiche  del  colpevole,  o  le  circostanze  della realizzazione;
 quest'individuazione dei reati punibili  a  richiesta  esclusivamente
 per  il  tramite  della quantita' della pena comminata per i medesimi
 dalla legge sta a segnalare  che  ci  si  trova  nel  contesto  della
 punibilita'.  E  la  conclusione si rafforza nella considerazione che
 l'art. 260 si riferisce a tutti indistintamente i piu'  lievi  tra  i
 reati   militari,  ai  fatti  bagattellari  si  direbbe  con  moderna
 terminologia,  rispetto  ai  quali  e'  ragionevole  pensare  che  il
 legislatore,   senza   eccessive   preoccupazioni  dogmatiche,  abbia
 avvertito l'esigenza di evitare una penalizzazione incondizionata.
    Chiarita, dunque, la natura sostanziale del potere del comandante,
 risulta evidente che con quest'istituto si e' delegata  all'autorita'
 militare  una decisione che il principio costituzionale dell'art. 25,
 secondo comma, riserva in modo assoluto alla legge.
    La   rilevata   inadeguatezza   nei   confronti   del    principio
 costituzionale  di legalita' non comporta, tuttavia, che debba essere
 sollevata questione di legittimita' incentrata sulla disposizione che
 prevede la richiesta di procedimento, dal  momento  che  con  la  sua
 caducazione  si  avrebbe  il  risultato,  ancora  in contrasto con il
 principio costituzionale, che la  norma  incriminatrice  acquisirebbe
 un'incondizionata  applicabilita',  che  il  legislatore  non  ha mai
 inteso  disporre.  La  questione  di   legittimita'   deve,   invece,
 appuntarsi  sulla  norma  dell'art. 147 c.p.m.p., perche', con il suo
 collegamento all'art. 260, delega  al  comandante  la  penalizzazione
 dell'assenza arbitraria di durata superiore ad un giorno ed inferiore
 a  cinque,  e  non  possiede  pertanto  i  requisiti che il principio
 costituzionale richiede per una norma incriminatrice.
    Come ha bene messo in rilievo una dottrina non  recente,  ma  gia'
 sensibile  alle  garanzie  costituzionali, la discrezionalita' insita
 nella richiesta  di  procedimento  per  il  reato  di  allontanamento
 illecito   costituisce,  inoltre,  un  camouflase  di  un'altrettanto
 inammissibile discrezionalita': quella prevista nei codici previgenti
 e nel vigente codice penale militare di guerra (art. 155), per cui il
 militare arbitrariamente assente dal servizio  puo',  sulla  base  di
 "particolari  circostanze",  liberamente  valutabili  dal comandante,
 essere dallo stesso "dichiarato" disertore o mancante  alla  chiamata
 prima che l'assenza abbia raggiunto la durata, due giorni, occorrente
 per il perfezionamento del reato (artt. 145, 146, n. 2, legge 151).
    Pertanto,  lo stesso allontanamento illecito configurato dall'art.
 147  del  c.p.m.p.   non   e'   che   una   diserzione   (art.   148)
 discrezionalmente   valutata   ed   anticipatamente   dichiarata  dal
 comandante, in  evidente  spregio  del  principio  costituzionale  di
 legalita'.  Viene  con  cio' ribadita l'illegittimita' dell'art. 147,
 che si rivela anche  piu'  radicale  di  quanto  non  lasci  supporre
 l'analisi   sin  qui  svolta  sulla  disposizone  dell'art.  260.  La
 richiesta di procedimento riferita al fatto di assenza arbitraria non
 solo non e' una mera condizione di procedibilita', ma anche in quanto
 condizione   sostanziale   di   punibilita'   diviene   la   sommita'
 dell'iceberg,     l'aspetto     terminale     ed     emergente     di
 un'incostituzionalita'  che  muove  dal  cuore  stesso   del   reato,
 l'antigiuridicita'  valutata  e  dichiarata dal comandante, piuttosto
 che risultante da una norma di legge.
    Ma, anche prescindendo dall'ambito dei principi costituzionali  in
 materia   penale,   non   e'   meno  evidente  che  la  stessa  norma
 incriminatrice dell'art. 147, per quel suo collegamento  all'istituto
 dell'art.  260,  e  per  il potere di penalizzazione che ne deriva in
 capo al comandante militare, concorre  a  determinare  un'illegittima
 limitazione  dei  diritti  fondamentali  della  persona (artt. 2 e 13
 della Costituzione), che nell'ordinamento  militare  non  hanno  meno
 valore  che  nell'ordinamento  generale  (art.  52, terzo comma della
 Costituzione).
    Sotto  questo profilo, non si comprende anzi quale senso abbia che
 con la citata legge n. 382/1978, e poi con il d.P.R. n.  545/1986  si
 limitino  e  si  disciplinino  i poteri che al comandante spettano in
 vista del perseguimento dei compiti d'istituto delle Forze  armate  e
 per l'attuazione della normativa disciplinare, qualora poi si dovesse
 ammettere  come  legittimo  che in capo allo stesso vi sia un potere,
 quale quello di penalizzare i  fatti  lesivi  del  servizio  e  della
 disciplina militare, che la Costituzione riserva in maniera esclusiva
 al legislatore.
    Questo   tribunale  in  definitiva,  ritiene  di  dover  sollevare
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 147 del  c.p.m.p.,
 in  riferimento  all'art. 260 del c.p.m.p. in relazione agli artt. 2,
 13, 25, secondo comma, e 52, terzo comma, della Costituzione.
                                P. Q. M.
    A seguito di giudizio instauratosi su richiesta delle parti.
    Letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara non manifestamente infondata e rilevante la questione  di
 legittimita' dell'art. 147 del c.p.m.p. in relazione all'art. 260 del
 c.p.m.p.,  in  riferimento  agli artt. 25, secondo comma, e 52 ultimo
 comma della Costituzione;
    Sospende il procedimento;
    Dispone, la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Dispone le notificazioni e le comunicazioni di rito.
      Padova, addi' 10 dicembre 1991
                         Il presidente: ROSIN
                                Il collaboratore di cancelleria: DARIO
 92C0213