N. 88 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 dicembre 1991

                                 N. 88
 Ordinanza  emessa  il  9  dicembre  1991  dal  pretore  di  Parma nel
 procedimento civile vertente tra Balestrazzi Emma e I.N.P.S.
 Previdenza e assistenza sociale - Pensioni I.N.P.S. - Termine di
    decadenza  (dieci  anni)  per  l'impugnativa   in   giudizio   dei
    provvedimenti  dell'I.N.P.S.  -  Prevista  retroattivita'  di tale
    disposizione tranne che per i processi gia' in corso alla data  di
    entrata in vigore del d.-l. 29 marzo 1991, n. 103 - Ingiustificata
    disparita'  di trattamento tra coloro che hanno presentato domanda
    giudiziale prima di detta data e  coloro  che  l'hanno  presentata
    dopo,  attesa la mancanza, prima di detta disposizione innovativa,
    di termini di decadenza o prescrizione -  Incidenza  sui  principi
    dell'assicurazione  di  mezzi  adeguati  alle esigenze di vita del
    lavoratore in caso di vecchiaia - Indebita elusione del  principio
    dell'efficacia    retroattiva    delle    pronunce   della   Corte
    costituzionale (questione sollevata in relazione ad una domanda di
    "integrazione al minimo" di una pensione).
 (D.-L. 29 marzo 1991, n. 103, art. 6, primo e secondo comma,
    convertito in legge 1› giugno 1991, n. 166).
 (Cost., artt. 3, 38 e 136).
(GU n.10 del 4-3-1992 )
                              IL PRETORE
    Ha pronunciato la  seguente  ordinanza  nella  causa  promossa  da
 Balestrazzi  Emma  nata  a  Soragna  il 1› giugno 1921, ivi residente
 rappresentata e difesa nel  presente  giudizio  dall'avv.  M.  Ziveri
 presso  il  cui  studio  in  Parma  elegge domicilio come da delega a
 margine del  ricorso,  attrice,  contro  l'Istituto  nazionale  della
 previdenza  sociale  -  I.N.P.S.  rappresentato e difeso dall'avv. D.
 Liveri   in   virtu'  di  procura  generale  allegata,  elettivamente
 domiciliato in Parma, via Salnitrara n. 5, presso la Sede Provinciale
 dell'Istituto stesso, convenuto.
                            FATTO E DIRITTO
    Con ricorso del 12 luglio 1991, diretto al pretore  di  Parma,  in
 funzione  di  giudice  del  lavoro,  Balestrazzi  Emma  conveniva  in
 giudizio l'INPS, chiedendone la condanna a riliquidare la pensione di
 riversibilita' (Cat. SO) di cui e' titolare dalla data di  insorgenza
 del  relativo  diritto, integrando la stessa al trattamento minimo di
 tempo in tempo vigente e in ogni caso, per l'art. 6,  settimo  comma,
 del  d.-l.  n.  638/1983  con  il  "congelamento" dell'importo per il
 periodo successivo al 1›  ottobre  1983,  oltre  al  pagamento  delle
 differenze  fra  i ratei liquidati e quelli di fatto riscossi; e cio'
 in esecuzione della sentenza della Corte  costituzionale,  come  gia'
 inutilmente richiesto in via amministrativa.
    Dopo  la  notifica  del  ricorso  e  del  decreto si costituiva in
 giudizio l'I.N.P.S. chiedendo il rigetto delle domande.
    L'istituto eccepiva che era irrimediabilmente trascorso il termine
 decennale previsto  dagli  artt.  58,  primo  comma  della  legge  n.
 156/1969  e  47  del d.P.R. n. 639/1970 per cui sulle pensioni, ormai
 intangibili, non potevano avere effetto le successive decisioni della
 Corte costituzionale; in ogni caso sosteneva che  dopo  la  legge  n.
 638/1983  non  poteva piu' essere richiesta la doppia integrazione al
 minimo neppure per il periodo precedente e che, comunque,  l'art.  6,
 settimo  comma,  e' norma applicabile solo all'ipotesi di perdita del
 diritto all'integrazione al minimo  per  superamento  del  limite  di
 reddito. Tanto premesso.
                             O S S E R V A
    La  ricorrente  Balestrazzi Emma e' titolare dal 1› maggio 1974 di
 pensione diretta, Cat. IO ed e' pure titolare dal 1› novembre 1978 di
 pensione di riversibilita' Cat. SO, di cui richiese l'integrazione al
 minimo con domanda in  sede  amministrativa  del  23  novembre  1989,
 successivamente respinta.
    In  relazione  a tale situazione, l'I.N.P.S. ha eccepito che nella
 specie si e' verificata la decadenza di carattere sostanziale  e  non
 solo  procedimentale dall'azione per effetto dell'art. 6 del d.-l. 29
 marzo 1991, n. 103, convertito in  legge  1›  giugno  1991,  n.  166,
 essendo  stato  il  ricorso presentato dopo il 2 aprile 1991, data di
 entrata in vigore del d.-l. citato.
    E' opportuno richiamare, sia pure per sommi capi, lo  stato  della
 questione.
    Dopo  che,  per quanto riguarda il periodo precedente l'entrata in
 vigore del  d.-l.  n.  462/1983,  la  Corte  costituzionale,  con  la
 sentenza   n.   314/1985   e   numerose   altre,   debba   dichiarare
 l'incostituzionalita' delle norme che escludevano  l'integrazione  al
 minimo  della  seconda  pensione per il titolare di piu' pensioni, si
 tento' in vari modi di limitare l'effetto retroattivo delle decisioni
 di incostituzionalita' che avrebbe importato per  l'I.N.P.S.  pesanti
 oneri finanziari.
    Si  e' cosi' sostenuto che le decisioni di incostituzionalita' non
 potevano avere effetto sulle situazioni per le quali era  decorso  il
 termine  decennale previsto dalle norme gia' citate che andava inteso
 come termine di decadenza con effetti di carattere sostanziale.
    Dopo  alcune incertezze giurisprudenziali, con la sentenza n. 6245
 del 21 giugno 1990, le sezioni unite della Corte di cassazione  hanno
 chiarito  che il termine previsto dall'art. 47 d.P.R. n. 639/1970 non
 e' di prescrizione, bensi' di decadenza, ma con effetti solo di  tipo
 procedimentale  e senza effetti sostanziali nel senso che, decorso il
 decennio senza l'inizio  dell'azione  giudiziaria,  l'interessato  ha
 l'onere  di  proporre  una  nuova  domanda amministrativa che, avendo
 effetto  interruttivo  della  prescrizione  decennale,  consente   la
 richiesta delle differenze di importo delle pensioni per i dieci anni
 precedenti.
    Su  questa  interpretazione conviene anche la Corte costituzionale
 (sentenza n. 126 del 26 marzo 1991).
    Con l'art. 11 della legge 11 marzo 1988, n.  67,  fu  interpretato
 autenticamente  l'art. 129 del r.d.-l. n. 1827/1935 nel senso che "la
 prescrizione (quinquennale) ivi prevista si applica anche  alle  rate
 di pensione non poste in pagamento".
    Con  la  sentenza  n.  283  del  17-25  maggio  1989  della  Corte
 costituzionale, la  norma  e'  stata  dichiarata  incostituzionale  e
 quindi si e' continuato a richiedere gli arretrati non prescritti per
 prescrizione decennale.
    Anche per quanto riguarda il diritto al c.d. "congelamento" per il
 periodo  successivo  al 30 settembre 1983, la giurisprudenza e' ormai
 pacifica nell'interpretare il settimo comma dell'art. 6 del d.-l.  n.
 463/1983  come  riferito  a  qualunque ipotesi di perdita del diritto
 all'integrazione al minimo e non limitato all'ipotesi di perdita  del
 diritto per superamento del limite di reddito.
    La Corte di cassazione si e' pronunciata con numerose sentenze (19
 dicembre  1989,  n.  5720,  seguita  da  altre)  ed  anche  la  Corte
 costituzionale  ha  accolto  la  stessa  interpretazione  respingendo
 quella  contraria  proposta  dal  tribunale di Firenze (sentenza 6-19
 novembre 1991, n. 418).
    Dopo avere  inutilmente  seguito  la  strada  dell'interpretazione
 autentica  del  citato  art.  47, (con il d.-l. 15 settembre 1990, n.
 259, poi non convertito in legge e seguito da quelli nn.  338/1990  e
 28/1991  anch'essi  non convertiti in legge), nel senso di attribuire
 alla decadenza effetti sostanziali, l'art. 6 del d.-l.  n.  103/1991,
 convertito  in  legge  n.  166/1991,  sotto  la rubrica "regime delle
 prescrizioni delle  prestazioni  previdenziali",  cosi'  dispone:  "I
 termini  previsti  dall'art. 47, secondo e terzo comma, del d.P.R. 30
 aprile 1970, n. 639, sono posti a pena di decadenza  per  l'esercizio
 del diritto alla prestazione previdenziale.
    La decadenza determina l'estinzione del diritto ai ratei pregressi
 delle  prestazioni  previdenziali e l'inammissibilita' della relativa
 domanda giudiziale.
    In caso di mancata  proposizione  del  ricorso  amministrativo,  i
 termini  decorrono dall'insorgenza del diritto ai singoli ratei". "Le
 disposizioni di cui al primo comma hanno  efficacia  retroattiva,  ma
 non  si  applicano ai processi che sono in corso alla data di entrata
 in vigore del presente decreto".
    La norma e' quanto mai oscura e la sua interpretazione non e' fac-
 ile.
    Innanzi tutto va escluso che si tratti  di  norma  interpretativa.
 Cosi'  era stata definita solo quella contenuta nel d.-l. n. 259/1990
 e  lo  dimostra  anche  l'espressa  dichiarazione  di  retroattivita'
 peraltro  esclusa per i giudizi in corso che per le norme interpreta-
 tive e' inutile.
    In  secondo  luogo  si  deve  escludere  che  il decorso del tempo
 importi  l'intangibilita'  della  pensione  come  gia'  liquidata   e
 l'impossibilita' di richiederne anche per il futuro la riliquidazione
 con  l'integrazione  al  minimo  sia pure nell'importo cristallizzato
 alla data del 1› ottobre 1983. E' da tempo assolutamente pacifico che
 il diritto a pensione (e cioe' il diritto  a  percepire  la  pensione
 nell'importo    determinato    secondo    le    leggi   vigenti)   e'
 imprescrittibile perche' indisponibile,  in  base  alle  disposizioni
 dell'art.  2934  del  c.c., coordinato con gli artt. 128, primo comma
 del r.d.-l. n. 1827/1935 e 69 della legge n. 153/1969 che escludono o
 limitano la  cedibilita',  sequestrabilita'  e  pignorabilita'  delle
 pensioni  e  con  l'art.  2115, terzo comma del c.c., stante anche la
 rilevanza costituzionale ex art. 38 degli interessi  protetti  (Cass.
 sezioni unite n. 6245/1990 cit.). E' per questo che gli effetti della
 "decadenza    per    l'esercizio   del   diritto   alla   prestazione
 previdenziale", di cui alla prima parte dell'art.  6  citato,  devono
 intendersi  limitati  a quanto dice in prosieguo lo stesso articolo e
 cioe' che "la decadenza determina (solo) l'estinzione del diritto  ai
 ratei  pregressi",  talche'  non  sembra lecito attribuire alla norma
 portata sostanziale piu' ampia.
    In base alle considerazioni fatte fino  a  questo  punto  si  puo'
 intanto  affermare  che  alla  ricorrente  compete  l'integrazione al
 minimo sulla pensione di reversibilita', nell'importo  cristallizzato
 alla  data  del 30 settembre 1983, a partire dalla proposizione della
 domanda amministrativa di applicazione  della  sentenza  della  Corte
 costituzionale  n.  314/1985,  che  ha  preceduto  la proposizione di
 questo giudizio.
    Essendo trascorso il decennio previsto dal  citato  art.  47,  era
 indispensabile   riproporre   la   domanda   amministrativa   essendo
 intervenuta quella decadenza procedimentale individuata da cassazione
 n. 6245/1970 citato che e' stata negata dalla norma in  oggetto,  che
 ad essa ha aggiunto la decadenza con effetti sostanziali.
    Poiche'   tale   domanda  amministrativa  ha  sicuramente  effetto
 interruttivo della prescrizione, la ricorrente, se  non  fosse  stata
 emanata  la  norma  di cui all'art. 6 della legge n. 166/1991 avrebbe
 avuto diritto a richiedere le differenze  arretrate,  a  partire  dal
 primo giorno del mese successivo al compimento del decennio anteriore
 alla domanda amministrativa.
    Ritiene  la  ricorrente che la recente innovazione legislativa non
 impedisce l'accoglimento della domanda.
    L'istanza da essa presentata  per  l'applicazione  della  sentenza
 della   Corte   costituzionale   n.   314/1985,   volta   al  riesame
 dell'originario provvedimento dell'I.N.P.S. con il  quale  era  stata
 liquidata  inizialmente  la pensione, andrebbe definita come "ricorso
 amministrativo", proponibile in ogni tempo  secondo  la  disposizione
 dell'art.  8  della legge n. 533/1973, con la conseguenza che, solo a
 partire da quando esso e' stato respinto e' iniziato a  decorrere  il
 termine  decennale  menzionato  nell'art. 47 citato che non e' ancora
 concluso.
    Questa interpretazione non puo'  essere  seguita.  Non  sembra  si
 possa dubitare che lo scopo principale propostosi dal legislatore del
 1991  e'  stato  quello  di limitare gli aggravi di spesa conseguenti
 all'effetto  retroattivo  delle  decisioni  di   incostituzionalita';
 secondo  l'interpretazione proposta questo scopo non sarebbe di fatto
 raggiungibile.
    Va inoltre ricordato che l'art. 6 della legge n. 166/1991 menziona
 i termini previsti dall'art. 47 del d.P.R.  n.  639/1970,  ma  questa
 norma,  quanto parla di "ricorso", non allude a quello proponibile in
 ogni tempo secondo l'art. 8 della legge  n.  533/1973,  ma  a  quello
 previsto  e regolato dalle norme che la precedono. Gli artt. 44, 45 e
 46  del  d.P.R.  n.  639/1970,  sotto  il  titolo  III   "ricorsi   e
 controversie in materia previdenziale", prevedono termini precisi per
 la loro proposizione.
    Una  volta  ripudiato  il  sistema  della cosiddetta giurisdizione
 condizionata, il decorso di questi  termini  non  puo'  importare  la
 perdita  del  diritto  a  pensione  che e' imprescrittibile, cio' non
 toglie che, una volta prevista una procedura amministrativa diretta a
 provocare un controllo interno per  un'eventuale  composizione  della
 vertenza   in  modo  rapido  ed  economico,  abbia  ancora  senso  la
 previsione  di  termini  ristretti  decorsi  i  quali   la   pubblica
 amministrazione  possa  considerare le pratiche concluse dal punto di
 vista amministrativo.
    E'  anche  il  caso  di   ricordare   il   particolare   interesse
 dell'ordinamento  a  che  si  svolga  questa  procedura, tanto che il
 giudizio eventualmente iniziato  prima  della  sua  conclusione  deve
 essere sospeso (art. 443 del c.p.c.).
    Chiarito che il ricorso cui fa riferimento l'art. 6 della legge n.
 166/1991  e'  quello  previsto  dagli artt. 44, 45 e 46 del d.P.R. n.
 639/1970, va detto che la ricorrente non ebbe a presentarlo, ne'  del
 resto c'era motivo perche' l'originario provvedimento di liquidazione
 della  pensione era conforme alle leggi all'epoca vigenti. Le ipotesi
 oggetto di questo giudizio sono quindi regolate dalla  seconda  parte
 del primo comma dell'art. 6 citato.
    La  ricorrente,  partendo dalla premessa che il diritto a pensione
 sorge quando se ne sono verificate le condizioni, mentre  il  diritto
 alla  percezione  dei  singoli  ratei  sorge  volta  per  volta ed in
 relazione ad  ogni  rateo,  sostiene  che  il  termine  decennale  di
 decadenza  sostanziale  in  relazione  ai  ratei pregressi, si sposta
 continuamente in avanti mese per mese, con la conseguenza che, avendo
 presentato la domanda  precedente  il  ricorso  giudiziario  potrebbe
 richiedere i ratei maturati anteriormente alla domanda medesima.
    Anche  questa  argomentazione  non  sembra  possa  essere accolta.
 Innanzitutto si  verrebbe  a  creare  un'assoluta  ed  ingiustificata
 disparita'  di  trattamento  fra  chi  presento' il ricorso contro il
 provvedimento di liquidazione della pensione e  che  vi  fece  invece
 acquiescenza.  In  secondo  luogo  l'intento  del legislatore, che, a
 differenza delle espressioni usate che sono quanto mai equivoche,  e'
 invece ben chiaro, sarebbe inspiegabilmente frustrato. In terzo luogo
 sembra  da  seguire l'interpretazione dell'I.N.P.S. (circolare n. 244
 dell'11 ottobre  1991)  che  propone  di  distinguere  il  diritto  a
 pensione  "astrattamente  esistente al verificarsi dei presupposti di
 legge  ed  indipendentemente  dalla  presentazione   della   relativa
 domanda",  dal "diritto all'erogazione dei singoli ratei" che nasce a
 seguito dall'accoglimento della domanda di pensione.  La  conseguenza
 e'  che,  nell'ipotesi  in  cui  non sia stato presentato ricorso, il
 termine decennale inizia a decorrere dal  momento  in  cui  e'  stato
 emesso il provvedimento di liquidazione della pensione.
    Interpretata  in  questo  modo  la  disposizione di cui all'art. 6
 della legge n. 166/1991, i dubbi  sulla  sua  costituzionalita'  sono
 molti e fondati.
    Gia'   il  pretore  di  Sanremo  (ordinanza  14  giugno  1991)  ha
 sospettato di incostituzionalita' la norma in  relazione  all'art.  3
 della  Costituzione in quanto discrimina in relazione ad un fatto del
 tutto estrinseco  e  non  significativo,  ai  fini  della  necessaria
 salvaguardia  dei diritti quesiti, quale quello della proposizione di
 un giudizio.
    Ulteriore contrasto con l'art. 3 emerge dal fatto che, seppure  e'
 possibile  per  il legislatore emanare norme retroattive, nel caso di
 specie non  e'  stata  dettata  una  qualche  disciplina  transitoria
 diretta   a   salvare   quelle   situazioni   pregresse,   sia   pure
 caratterizzate da una certa inerzia ma per le  quali,  essendo  stata
 interrotta  la  prescrizione,  era  inconcepibile ed imprevedibile la
 perdita del  diritto  sostanziale,  da  ritenersi  gia'  entrato  nel
 patrimonio   del   titolare.   La   scelta   legislativa   oltre  che
 discriminatoria e' anche irrazionale perche' ricollega  l'effetto  di
 una irrimediabile perdita del diritto ad un fatto che quando fu posto
 in  essere  non poteva produrre tale effetto. Per lo stesso motivo la
 norma sembra contrastare  anche  con  l'art.  38  della  Costituzione
 perche'  produce gli effetti di cui sopra in danno di soggetti deboli
 e riconosciuti meritevoli di particolare tutela.
    La stessa Corte costituzionale, con la  sentenza  n.  822  del  14
 luglio  1988,  ha  precisato  i  limiti  che  il legislatore incontra
 nell'intervenire    nei    rapporti    di    durata     modificandoli
 sfavorevolmente,  nel  senso  che  le  disposizioni  retroattive "non
 possono trasmodare in un regolamento irrazionale  ed  arbitrariamente
 incidere  sulle  situazioni  sostanziali  posta  in  essere  da leggi
 precedenti, frustrando cosi' anche l'affidamento del cittadino  nella
 sicurezza   pubblica   che   costituisce   elemento  fondamentale  ed
 indispensabile dello stato di diritto ...  Anche  se  deve  ritenersi
 ammissibile  un  intervento  legislativo  che modifichi l'ordinamento
 pubblicistico delle pensioni, non puo', pero', ammettersi  che  detto
 intervento  sia  assolutamente discrezionale. In particolare non puo'
 dirsi consentita una modificazione legislativa che,  intervenendo  in
 una  fase  avanzata  del  rapporto  di  lavoro oppure quando gia' sia
 subentrato  lo  stato   di   quiescenza,   peggiorasse,   senza   una
 inderogabile  esigenza,  in misura notevole ed in maniera definitiva,
 un  trattamento  pensionistico  in  precedenza  spettante,   con   la
 conseguente    irrimediabile    vanificazione    delle    aspettative
 legittimamente nutrite dal lavoratore per il  tempo  successivo  alla
 cessazione della propria attivita' lavorativa".
    La  norma,  infine, sembra in contrasto anche con l'art. 136 della
 Costituzione giacche' limita ed anzi  di  fatto  esclude  l'efficacia
 retroattiva  delle sentenze della Corte costituzionale. E' il caso di
 richiamare una fattispecie che presenta notevoli analogie con  quella
 in oggetto.
    Con  la sentenza n. 139 del 7 maggio 1984 la Corte costituzionale,
 nel dichiarare illegittimo l'art.  1,  terzo  comma  della  legge  10
 maggio 1978, n. 176, richiamato dall'art. 15 primo comma, della legge
 3  maggio  1982, n. 203, cosi' testualmente ha motivato: "Le sentenze
 di accoglimento, in base al disposto dell'art. 136 della Costituzione
 confermato  dall'art. 30 della legge 11 marzo 1953, n. 87, operano ex
 tunc perche' producono  i  loro  effetti  anche  sui  rapporti  sorti
 anteriormente  alla  pronuncia  di illegittimita' sicche', dal giorno
 successivo   alla   loro   pubblicazione,   le    norme    dichiarate
 incostituzionali  non possono piu' trovare applicazione (salvo quanto
 discende dall'art. 25 della Costituzione per la materia penale)".
    "Il principio, che suole essere enunciato con il ricorso alla for-
 mula della  c.d.  'retroattivita''  di  dette  sentenze,  vale  pero'
 soltanto  per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente esclusione
 di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata
 invalida. Per rapporti esauriti debbono certamente  intendersi  tutti
 quelli  che  sul piano processuale hanno trovato la loro definitiva e
 irretrattabile conclusione mediante sentenza passata in giudicato,  i
 cui  effetti  non  vengono  intaccati  dalla  successiva pronuncia di
 incostituzionalita' (salvo quanto disposto per la materia penale  dal
 citato   art.  30).  Secondo  l'orientamento  talvolta  emerso  nella
 giurisprudenza di questa Corte (cfr. sent.  n.  58  del  1967)  e  il
 prevalente  indirizzo  dottrinale, vanno considerati esauriti anche i
 rapporti rispetto ai quali sia decorso il termine di  prescrizione  o
 di  decadenza previsto dalla legge per l'esercizio di diritti ad essi
 relativi.
    Ma  quando,  come   nell'ipotesi   considerata   dalla   normativa
 denunciata,  detto termine e' pendente e quindi il creditore, secondo
 i principi generali puo' pretendere quanto ancora gli e' dovuto,  non
 e'  consentito al legislatore ordinario limitare la portata dell'art.
 136 della Costituzione,  sia  pure  ricorrendo,  come  nella  specie,
 all'espediente  di introdurre un nuovo onere, non previsto al momento
 dell'avvenuto pagamento parziale, e di escludere  percio'  l'acquisto
 del   diritto   successivamente   riconosciuto  dalla  legge  che  ha
 sostituito   quella   dichiarata   invalida.   Cosi'   operando,   il
 legislatore,  in  realta',  fa  in  modo  che il rapporto oggetto del
 giudizio principale e non ancora  esaurito  rimanga  illegittimamente
 regolato    dalla    norma    annullata,   riducendo   indebitamente,
 l'operativita' dell'art. 136 della Costituzione".
                                P. Q M.
    Visti gli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1
 e 23 della legge 11 marzo 1953,  n.  87,  dichiara  rilevante  e  non
 manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 6, primo e secondo comma del d.-l.  29 marzo 1991, n.  103,
 convertito  in  legge  1›  giugno  1991, n. 166 per contrasto con gli
 artt. 3, 38 e 136 della Costituzione.
    Sospende il presente giudizio e dispone la trasmissione degli atti
 alla Corte costituzionale.
    Ordina che a cura della cancelleria copia della presente ordinanza
 venga notificata al Presidente del Consiglio  dei  Ministri  e  venga
 comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
    Si comunichi anche alle parti.
      Parma, addi' 9 dicembre 1991
                          Il pretore: FERRAU'

 92C0216