N. 79 SENTENZA 19 febbraio - 4 marzo 1992
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Responsabilita' civile - Attivita' venatoria - Attivita' pericolose - Individuazione di uno specifico responsabile - Presunzione iuris tantum nei confronti di tutti i partecipi all'attivita' - Mancata previsione - Situazione non raffrontabile con quella delle vittime della circolazione stradale - Discrezionalita' legislativa - Inammissibilita'. (C.C., art. 2050). (Cost., artt. 3 e 24).(GU n.11 del 11-3-1992 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: dott. Aldo CORASANITI; Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2050 del codice civile, promosso ordinanza emessa il 4 aprile 1991 dal Tribunale di Monza nel procedimento civile vertente tra Anedda Paolo, Corriga Patrizio ed altro, iscritta al n. 589 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1991; Visto l'atto di costituzione di Anedda Paolo nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio di ministri; Udito nell'udienza pubblica del 21 gennaio 1991 il Giudice relatore Renato Granata; Udito l'Avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto 1. - Con ordinanza del 4 aprile 1991 il Tribunale di Monza - nel corso del giudizio civile promosso da Anedda Paolo nei confronti di Corriga Patrizio e Biassoni Ermenegildo per il risarcimento del danno subito per essere stato colpito all'occhio destro nel corso di una battuta di caccia dal fucile di uno dei due convenuti, i quali avevano fatto fuoco simultaneamente provocando, uno dei due, il rimbalzo di un pallino nella sua direzione - ha sollevato questione incidentale di legittimita' costituzionale dell'art. 2050 c.c. per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. Il giudice rimettente - accertato in punto di fatto che il colpo fu sicuramente esploso da uno dei due convenuti i quali puntarono la preda e spararono contemporaneamente mentre procedevano affiancati e di poco distanziati dall'attore, loro compagno nella battuta di caccia, ed esclusa d'altro canto la sussistenza di un concorso nella determinazione dell'evento, essendo risultato che uno solo fu il pallino che colpi' all'occhio destro l'attore - ritiene conseguentemente non ipotizzabile la solidarieta' passiva ex art. 2055 c.c. giacche' uno solo dei convenuti - pur avendo entrambi posto in essere un comportamento del tutto identico e simultaneo - deve ritenersi responsabile dell'evento. Ad avviso del remittente e' invece applicabile l'art. 2050 c.c. essendo l'esercizio della caccia un'attivita' pericolosa in ragione dell'utilizzo di armi da fuoco; ma alla stregua di tale norma l'inversione dell'onere probatorio opera solo in relazione alla prova dell'elemento soggettivo della colpevolezza, dovendo il preteso responsabile dimostrare di avere adottato tutte le cautele atte ad evitare l'evento dannoso, mentre permane sull'attore l'onere di provare il nesso causale esistente tra condotta ed evento lesivo. Cio' comporta che nell'ipotesi della caccia (come in tutte le altre ipotesi di danno derivante dall'esercizio di un'attivita' pericolosa svolta simultaneamente e con condotte uniformi da piu' persone) il danneggiato risulta gravato dall'onere probatorio di individuazione del responsabile, onere che nella specie e' di impossibile assolvimento concreto, dovendo egli dimostrare da quale dei due fucili che spararono contemporaneamente sia partito il proiettile che l'ha colpito. Cio' premesso, il giudice rimettente denuncia disparita' di trattamento (art. 3 Cost.) - che ridonda anche in lesione del diritto di difesa (art. 24 Cost.) - tra le vittime incolpevoli di attivita' pericolose, quale l'esercizio della caccia, e le vittime incolpevoli degli incidenti stradali atteso che soltanto per queste ultime e' prevista la cd. socializzazione del diritto al risarcimento del danno, cosi' che le prime vengono a trovarsi in una situazione di evidente svantaggio, incombendo su di loro un onere probatorio, connesso all'individuazione del responsabile, di difficile o addirittura impossibile assolvimento allorche' il danno si sia verificato in costanza di una pluralita' di condotte simultanee e tutte teoricamente possibili cause del danno. Quindi il giudice rimettente denuncia d'ufficio l'incostituzionalita' dell'art. 2050 c.c. nella parte in cui non prevede che, allorche' non sia possibile l'individuazione di uno specifico responsabile del danno nell'esercizio di un'attivita' pericolosa, sia applicabile la presunzione di responsabilita' nei confronti di tutti i partecipi all'attivita' e quindi incomba su questi ultimi la prova liberatoria in ordine alla sussistenza del nesso causale tra la loro condotta e l'evento dannoso. 2. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile. Sostiene essere improprio il richiamo al principio della socializzazione del diritto al risarcimento del danno ed in particolare il riferimento implicito al Fondo di garanzia per le vittime della strada ( ex art. 19 legge n. 990 del 1969) che concerne situazioni non suscettibili di essere confrontate con la fattispecie concreta oggetto del giudizio principale. Inoltre la pronuncia invocata dal giudice rimettente implica comunque scelte discrezionali che competono al legislatore, atteso che la soluzione auspicata dal giudice rimettente mira a sovvertire la regola che e' a fondamento della fattispecie presuntiva dell'art. 2050 c.c. modificando il nesso causale da presupposto ad oggetto della presunzione e fondando questa su una quanto mai labile nozione di "partecipazione", con la conseguenza di gravare soggetti incolpevoli di ingiustificati oneri probatori privilegiando la contrapposta esigenza di assicurare il risarcimento del danno al danneggiato e quindi operando un giudizio dei contrapposti interessi che compete al legislatore. 3. - Si e' costituito l'attore Anedda, limitandosi a chiedere che la Corte ritenga fondata la questione di legittimita' costituzionale. Considerato in diritto 1. - E' stata sollevata questione incidentale di legittimita' costituzionale - in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. - dell'art. 2050 cod. civ. nella parte in cui non prevede che - allorche' non sia possibile l'individuazione di uno specifico responsabile del danno nell'esercizio di un'attivita' pericolosa (quale nella specie l'attivita' venatoria) - sia applicabile la presunzione (iuris tantum) di responsabilita' nei confronti di tutti i "partecipi all'attivita'", per sospetta violazione del principio di parita' di trattamento con le vittime della circolazione stradale, le quali vengono risarcite anche nel caso in cui sia rimasto ignoto l'autore dell'illecito, nonche' del diritto di difesa. 2. - La premessa del dubbio di costituzionalita' prospettato dal giudice rimettente e' costituita dall'affermazione, che trova conforme riscontro nella giurisprudenza, secondo cui l'attivita' venatoria costituisce esercizio di attivita' pericolosa onde, in deroga al principio generale posto dall'art. 2043 cod. civ., opera l'inversione dell'onere della prova prevista dall'art. 2050 cod. civ., con la conseguenza che chi cagiona il danno e' tenuto al risarcimento se non prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. All'evidenza tale inversione attiene all'elemento soggettivo della colpa e non gia' al nesso di causalita' che lega la condotta dell'agente, costituente esercizio di attivita' pericolosa, all'evento dannoso sicche' il danneggiato rimane comunque onerato della prova che chi ha posto in essere l'attivita' pericolosa abbia causato il danno, prova da fornirsi secondo il canone generale dell'imputabilita' del fatto illecito ex art. 2043 cit., sotto questo profilo non derogato. Non viene invece in rilievo il disposto dell'art. 2055 cod. civ. perche' nella prospettazione del giudice rimettente, secondo la ricostruzione della fattispecie concreta oggetto della controversia, si e' fuori dall'ipotesi dell'imputabilita' del medesimo fatto dannoso a piu' persone che abbiano concorso nel porre in essere la condotta causativa del danno. 3. - La prima censura di costituzionalita' si specifica come sospetta disparita' di trattamento tra tale disciplina posta dall'art. 2050 cit. e quella, ulteriormente speciale, prevista dalla legge 24 dicembre 1969 n. 990 (sull'assicurazione obbligatoria della responsabilita' civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), modificata dal decreto-legge 23 dicembre 1976 n. 857, convertito nella legge 26 febbraio 1977 n. 39. In particolare, in ipotesi di danno da circolazione di veicoli non solo opera la presunzione prevista dall'art. 2054, primo comma, cod. civ., norma in tale parte simmetrica al cit. art. 2050, ma trova anche applicazione il disposto dell'art. 19 della cit. legge n. 990 del 1969, che prevede l'intervento del "Fondo di garanzia per le vittime della strada" per il risarcimento del danno alle persone allorche' il sinistro sia stato cagionato da un veicolo non identificato. Risulterebbe quindi - secondo il giudice rimettente - un ingiustificato trattamento piu' favorevole per le vittime della circolazione stradale rispetto alle vittime di attivita' pericolose in genere; tale disparita' dovrebbe essere rimossa, nella prospettazione del giudice rimettente, estendendo l'operativita' della presunzione prevista dall'art. 2050 cit. fino a comprendervi anche il nesso di causalita' nell'ipotesi in cui all'attivita' pericolosa abbiano partecipato piu' persone, ma sia rimasto ignoto l'autore della singola condotta determinativa dell'evento dannoso. 4. - Questo essendo il tertium comparationis invocato dal giudice rimettente, la questione sollevata si appalesa inammissibile perche' la censura di incostituzionalita' non e' coerente con la disciplina presa in esame a confronto di quella investita dalla censura stessa. Ed infatti l'art. 19 della legge n. 990 del 1969 non prevede affatto una deroga al generale canone di imputazione del fatto illecito, nel caso di danno da circolazione stradale, come in quello di danno da attivita' pericolosa, rimanendo pur sempre limitata l'inversione dell'onere della prova al solo elemento soggettivo della colpa. In entrambi i casi, quindi, il danneggiato deve fornire la prova del nesso di causalita' tra la condotta dell'agente e l'evento dannoso. La circostanza, pero', che sia rimasto ignoto l'autore della condotta causativa dell'evento dannoso - ancorche' non alteri in nessuna delle due ipotesi la portata dell'inversione dell'onere di cui rispettivamente agli artt. 2054, primo comma, e 2050 cit., attiva - in un caso e non nell'altro - uno speciale meccanismo risarcitorio rappresentato dall'intervento del Fondo suddetto, meccanismo che si inserisce nel contesto del regime di assicurazione obbligatoria della responsabilita' civile derivante dalla circolazione di veicoli a motore. Quindi la situazione meno favorevole in cui vengono a trovarsi le vittime di attivita' pericolose in genere rispetto alle vittime della circolazione stradale - situazione certamente degna di attenzione perche' desta allarme sociale il mancato ristoro del danno alla persona cagionato da soggetto non identificato - consegue non gia' ad una differenziata disciplina dell'onere probatorio, che e' invece analoga, bensi' alla previsione in un caso, e non nell'altro, di uno strumento assicurativo (il Fondo di garanzia) tale da assicurare il ristoro dei danni alla persona anche nell'ipotesi in cui il danneggiato non sia in grado di fornire la prova dell'identificazione dell'autore della condotta causativa del danno. Pertanto la parificazione delle due situazioni poste a confronto non puo' aversi - come auspica il giudice rimettente - modificando in un caso il regime dell'onere della prova (da che anzi conseguirebbe un'ingiustificata disparita' di trattamento ove l'inversione di tale onere operasse in relazione anche al nesso di causalita' ovvero soltanto all'elemento soggettivo della colpa in ragione dell'essere il danno riferibile in generale ad un'attivita' pericolosa o in particolare alla circolazione stradale). D'altra parte la disciplina posta dall'art. 2050 cod. civ., come nelle altre norme speciali rispetto al disposto dell'art. 2043 cod. civ., e' sottesa al bilanciamento tra l'interesse del danneggiato al ristoro del danno subito e l'interesse del soggetto sul quale si fa ricadere la responsabilita' risarcitoria con meccanismi di inversione dell'onere della prova derogatori dei principi generali di imputabilita' del fatto illecito. Tale bilanciamento e' rimesso alla discrezionalita' del legislatore, non sindacabile se non irragionevole od ingiustificatamente discriminante. Invece la prospettazione di ricondurre la disciplina della fattispecie presa in considerazione dal giudice rimettente a quella del tertium comparationis per uniformarle passa necessariamente attraverso l'estensione del meccanismo del Fondo di garanzia nel contesto del regime di assicurazione obbligatoria come da ultimo ha fatto, proprio per la caccia, il legislatore con la legge 11 febbraio 1992 n. 157. Ma questa ipotesi di estensione del meccanismo assicurativo - astrattamente rilevante nel regime precedente la citata recentissima riforma - non e' presente nell'ordinanza di rimessione che mira ad un ampliamento manipolativo dell'ambito di operativita' della presunzione di responsabilita' di cui all'art. 2050 cod. civ. e quindi attiene ad una norma diversa da quella censurata (donde la irrilevanza dello ius superveniens menzionato), incidendo sulla compatibilita', o meno, con il canone della ragionevolezza ( ex art. 3 Cost.) della disposizione a quel momento vigente (art. 8, sesto comma, legge 27 dicembre 1977 n. 968, recante principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia) che, nel prevedere l'obbligo dell'assicurazione per chi intende esercitare l'attivita' venatoria, non contemplava altresi' un meccanismo di copertura dei danni alla persona anche nel caso di mancata identificazione dell'autore della condotta dannosa. 6. - Inammissibile e' altresi' la censura di incostituzionalita' della medesima norma impugnata riferita al secondo parametro (art. 24 Cost.) invocato (ancorche' senza specifica e distinta motivazione) dal giudice rimettente, atteso che, pur quando tale censura si voglia intendere implicitamente motivata con l'impossibilita' per il danneggiato di provare il nesso eziologico e quindi di individuare l'autore del fatto lesivo, nessuna compressione del diritto di azione potrebbe vedersi in tale situazione, ma soltanto il normale operare in concreto dell'onere probatorio. Mentre la censura, anche sotto questo ulteriore profilo, mira ad introdurre un nuovo criterio di imputazione, fondato non gia' sul nesso di causalita', ma sulla mera "partecipazione" all'esercizio di un'attivita' pericolosa con distinte ed autonome condotte uniformi da piu' persone, tutte simultanee e tutte teoricamente possibili cause di danno; ma l'introduzione di un tal criterio di imputazione - peraltro estremamente labile in quanto rappresenterebbe un quid minoris rispetto alla partecipazione ad una medesima condotta che gia' radica la responsabilita' solidale ex art. 2055 cod. civ. - rientra nella discrezionalita' del legislatore.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara inammissibile la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2050 del codice civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Monza con l'ordinanza in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 febbraio 1992. Il Presidente: CORASANITI Il redattore: GRANATA Il cancelliere: DI PAOLA Depositata in cancelleria il 4 marzo 1992. Il cancelliere: DI PAOLA 92C0275