N. 81 SENTENZA 19 febbraio - 4 marzo 1992

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Lavoro  -  Lavoratore  licenziato  - Illegittimita' del licenziamento
 dichiarata con sentenza e conseguente  reintegrazione  nel  posto  di
 lavoro  con  condanna al risarcimento danni - Successive dimissioni -
 Opzione per l'indennizzo sostitutivo - Ragionevolezza -  Obbligazione
 con facolta' alternativa dal lato del creditore - Non fondatezza.
 
 (Legge  20  maggio  1970,  n.  300,  art. 18, quinto comma, nel testo
 modificato dall'art. 1 della legge 11 maggio 1990, n. 108).
 
 (Cost., artt. 3, 4, 35 e 41).
(GU n.11 del 11-3-1992 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Giuseppe BORZELLINO;
 Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
    SPAGNOLI,   prof.   Francesco   Paolo   CASAVOLA,   prof.  Antonio
    BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.  Mauro  FERRI,  prof.
    Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato GRANATA, prof.
    Giuliano VASSALLI, prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma
 quinto,   della   legge  11  maggio  1990,  n.  108  (Disciplina  dei
 licenziamenti individuali),  promosso  con  ordinanza  emessa  il  18
 giugno  1991  dal  Pretore di Varese - Sezione distaccata di Gavirate
 nel procedimento civile vertente tra Miceli Oliva e s.r.l. Confezioni
 riunite della Valcuvia iscritta al n. 573 del registro ordinanze 1991
 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.  38,  prima
 serie speciale, dell'anno 1991;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 22  gennaio  1992  il  Giudice
 relatore Luigi Mengoni;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Avviata al lavoro presso la s.r.l. Confezioni Riunite della
 Valcuvia ai sensi della legge 2 aprile 1968, n. 482, e licenziata per
 mancato superamento del periodo di prova, Oliva Miceli  otteneva  dal
 Pretore  di  Varese  -  sezione  distaccata  di Gavirate una sentenza
 dichiarativa  di  illegittimita'  del  licenziamento  con  ordine  di
 reintegrazione  nel  posto  di lavoro. Avendo optato per l'indennita'
 sostitutiva prevista dall'art.  18,  quinto  comma,  della  legge  20
 maggio  1970, n. 300, nel testo modificato dell'art. 1 della legge 11
 maggio 1990, n. 108, otteneva l'emissione di  un  decreto  ingiuntivo
 per  la  somma  corrispondente. Nel corso del giudizio di opposizione
 promosso dalla Societa' datrice di lavoro, il medesimo  Pretore,  con
 ordinanza  del 18 giugno 1991, ha sollevato questione di legittimita'
 costituzionale del citato art. 18, quinto comma,  per  contrasto  con
 gli artt. 3, 4, 35 e 41 della Costituzione.
    Secondo il giudice a quo, la norma denunciata sarebbe contraria al
 principio  di  eguaglianza  di cui all'art. 3 Cost. e al principio di
 tutela della dignita' sociale dei  lavoratori,  di  cui  all'art.  41
 Cost.,  perche'  attribuisce un privilegio ingiustificato sotto forma
 di diritto di  dimissioni  in  tronco  fondate  su  una  causa  -  il
 pregresso  licenziamento dichiarato illegittimo - ormai rimossa dalla
 sentenza che ha ordinato la reintegrazione del lavoratore  nel  posto
 di  lavoro  e  ha  condannato  il  datore  al risarcimento dei danni.
 Inoltre le dimissioni sono indennizzate  con  una  somma  esorbitante
 rispetto a quella normalmente accordata dall'art. 2119 cod. civ.
    In secondo luogo, la norma denunciata contrasterebbe anche con gli
 artt. 4 e 35 Cost. "in quanto agevola la vanificazione di un rapporto
 di lavoro consentendo un'opzione non sempre giustificabile".
    2.  - Nel giudizio davanti alla Corte e' intervenuto il Presidente
 del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  dall'Avvocatura  dello
 Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
    Dopo avere rilevato l'inconferenza del richiamo agli artt. 4, 35 e
 41  Cost.,  l'Avvocatura  osserva,  quanto  alla  pretesa  violazione
 dell'art.  3  Cost.,  che,   anche   ad   ammettere   l'assimilazione
 dell'opzione  in esame a un'ipotesi di dimissioni, non si puo' trarne
 argomento  ne'  per  censurare  l'esonero  del  lavoratore  da   ogni
 motivazione  della  scelta  operata, trattandosi della conseguenza di
 una valutazione tipica del  legislatore  non  debordante  dal  limite
 della  ragionevolezza,  ne' per censurare l'eccedenza dell'indennita'
 sostitutiva  rispetto  alla  indennita'  di   preavviso   normalmente
 spettante  al  lavoratore che recede per giusta causa, considerate la
 peculiarita' del caso regolato dalla norma denunciata e  la  funzione
 dissuasiva al fine della prevenzione di licenziamenti arbitrari.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Dal  Pretore  di Varese - sezione distaccata di Gavirate e'
 sollevata questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  18,
 quinto  comma,  della  legge  20  maggio  1970,  n.  300,  nel  testo
 modificato dall'art. 1 della  legge  11  maggio  1990,  n.  108,  per
 contrasto con gli artt. 3, 4, 35 e 41 della Costituzione.
    2. - La questione non e' fondata.
    Palesemente  inconferente  e' il richiamo degli artt. 4 e 35 Cost.
 Non si comprende, ne' il giudice remittente fornisce delucidazioni in
 proposito, come il  diritto  attribuito  al  lavoratore  dalla  norma
 denunciata   di   optare,   secondo   le   sue  convenienze,  tra  la
 reintegrazione nel posto di lavoro e un'indennita' sostitutiva  possa
 ritenersi  offensivo  del diritto dei cittadini al lavoro e contrario
 all'obbligo della Repubblica di tutelare il lavoro.
    Inconsistente e' pure il richiamo  dell'art.  41,  secondo  comma,
 Cost.,  che  e'  un  parametro di valutazione delle leggi regolatrici
 dell'esercizio della liberta' di iniziativa privata, e in particolare
 dei comportamenti degli imprenditori verso  i  prestatori  di  lavoro
 subordinato,  mentre  oggetto  del presente giudizio e' una legge che
 attribuisce al lavoratore un diritto potestativo contro il datore  di
 lavoro,  cioe'  un  diritto che non ha una funzione di conformazione,
 mediante  un  obbligo   corrispondente,   dell'iniziativa   economica
 dell'imprenditore.
    3.   -  Il  tertium  comparationis,  alla  stregua  del  quale  e'
 denunciata la violazione dell'art. 3 Cost., e' additato  dal  giudice
 remittente  nell'art.  2119  cod. civ. muovendo dalla premessa che la
 norma denunciata configuri un diritto di dimissioni per giusta causa.
 La  violazione  del  principio  di  eguaglianza  e'   ravvisata   sia
 nell'esonero  del lavoratore da qualsivoglia motivazione del recesso,
 sia nell'esorbitanza dell'indennita' sostitutiva, fissata in quindici
 mensilita'  di  retribuzione  globale,  rispetto  all'indennita'   di
 preavviso  normalmente  spettante  al  lavoratore  dimissionario  per
 giusta causa. Sotto il secondo profilo e' portato a  confronto  anche
 l'art.  2  della  legge  9  gennaio  1963,  n.  7, che attribuisce il
 trattamento  previsto  per  le  dimissioni  per  giusta  causa   alla
 lavoratrice  licenziata per causa di matrimonio, la quale, invitata a
 riprendere  il   servizio   in   conseguenza   della   nullita'   del
 licenziamento, dichiari di recedere dal contratto.
    I  termini  di confronto sono inappropriati gia' all'interno della
 premessa assunta dal  giudice  a  quo,  attesa  la  diversita'  della
 situazione  regolata  dalla norma impugnata non solo rispetto ai casi
 contemplati dall'art. 2119 cod.  civ.,  ma  anche  rispetto  al  caso
 specifico  della  legge  n. 7 del 1963. In questo l'arbitrarieta' del
 licenziamento e' legalmente presunta per tabulas, mentre nell'ipotesi
 del nuovo  testo  dell'art.  18,  quinto  comma,  dello  statuto  dei
 lavoratori  il  licenziamento  puo'  risultare viziato per le ragioni
 piu' varie, inclusi vizi di pura forma o di procedura, senza dire del
 caso non infrequente  di  licenziamento  intimato  nella  ragionevole
 convinzione,  poi  non  condivisa  dal  giudice, di sussistenza di un
 giustificato motivo o di una giusta causa.
    Ma e' assorbente  il  rilievo  dell'insostenibilita'  della  detta
 premessa,  dimostrata  dalla  stessa ordinanza di remissione la' dove
 afferma che l'arbitrio commesso dal datore  di  lavoro  intimando  il
 licenziamento   "appare   ormai  riparato"  nel  momento  in  cui  il
 lavoratore esercita l'opzione attribuitagli  dalla  norma  impugnata.
 Cio'   significa   che,   dopo   la   sentenza  che  ha  ordinato  la
 reintegrazione del lavoratore nel posto di  lavoro  e  condannato  il
 datore   al   risarcimento   del   danno,  il  fatto  precedente  del
 licenziamento illegittimo non e' piu' idoneo - se mai lo e' stato - a
 fondare una giusta  causa  legalmente  tipizzata  di  dimissioni  dal
 rapporto  di lavoro. Ordine di reintegrazione nel posto, con facolta'
 del   lavoratore   di   optare  per  il  pagamento  di  un'indennita'
 sostitutiva,  e  dimissioni  per  giusta  causa   indennizzate   sono
 strumenti di tutela concettualmente diversi, che non possono fondersi
 l'uno con l'altro.
    4.  -  Queste  considerazioni  inducono  a  ritenere  piu' congrua
 l'interpretazione che ravvisa nella norma  impugnata  un'obbligazione
 con   facolta'  alternativa  dal  lato  del  creditore.  Anziche'  la
 prestazione dovuta in via principale,  cioe'  la  reintegrazione  nel
 posto   di  lavoro,  il  creditore  ha  facolta'  di  pretendere  una
 prestazione diversa di natura  pecuniaria,  che  e'  dovuta  solo  in
 quanto  dichiari di preferirla, e il cui adempimento produce, insieme
 con l'estinzione dell'obbligazione di reintegrare il  lavoratore  nel
 posto, la cessazione del rapporto di lavoro per sopravvenuta mancanza
 dello scopo. Il rapporto non cessa per effetto della dichiarazione di
 scelta  del  lavoratore,  come  si dovrebbe pensare se essa avesse la
 valenza di dichiarazione di recesso, bensi' solo  al  momento  e  per
 effetto del pagamento dell'indennita' sostitutiva.
    5.  -  Cosi' precisato il significato della disposizione in esame,
 cade la  possibilita'  di  valutarla,  ai  fini  dell'art.  3  Cost.,
 confrontandola  con  tertia  comparationis tratti da norme relative a
 casi di dimissioni indennizzate.
    Essa non puo'  essere  censurata  nemmeno  sotto  il  profilo  del
 principio    di    razionalita',    sul    riflesso    dell'ammontare
 irragionevolmente   elevato   dell'indennita'    sostitutiva    della
 reintegrazione.  E'  giurisprudenza  costante di questa Corte che, in
 mancanza  di  un   termine   di   confronto,   una   valutazione   di
 illegittimita'  costituzionale  per violazione dell'art. 3 Cost. puo'
 essere   fondata   soltanto   su   una   irrazionalita'    manifesta,
 irrefutabile, che nella specie non puo' essere affermata.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 18, quinto comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme
 sulla tutela della liberta' e dignita' dei lavoratori, della liberta'
 sindacale e dell'attivita' sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul
 collocamento), nel testo modificato dall'art. 1 della legge 11 maggio
 1990, n. 108 (Disciplina dei licenziamenti  individuali),  sollevata,
 in  riferimento agli artt. 3, 4, 35 e 41 della Costituzione, dal Pre-
 tore di Varese -  sezione  distaccata  di  Gavirate  con  l'ordinanza
 indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 19 febbraio 1992.
                       Il Presidente: BORZELLINO
                         Il redattore: MENGONI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 4 marzo 1992.
                       Il cancelliere: DI PAOLA
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