N. 141 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 dicembre 1991

                                N. 141
     Ordinanza emessa l'11 dicembre 1991 dal pretore di Parma nel
                     procedimento civile vertente
                    tra Cavaglieri Maria e I.N.P.S.
 Previdenza e assistenza sociale - Pensioni I.N.P.S. - Termine di
    decadenza   (dieci   anni)   per  l'impugnativa  in  giudizio  dei
    provvedimenti dell'I.N.P.S.  -  Prevista  retroattivita'  di  tale
    disposizione  tranne che per i processi gia' in corso alla data di
    entrata in vigore del d.-l. 29 marzo 1991, n. 103 - Ingiustificata
    disparita' di trattamento tra coloro che hanno presentato  domanda
    giudiziale  prima  di  detta  data e coloro che l'hanno presentata
    dopo, attesa la mancanza, prima di detta disposizione  innovativa,
    di  termini  di decadenza o prescrizione - Incidenza sul principio
    dell'assicurazione di mezzi adeguati alle  esigenze  di  vita  del
    lavoratore  in  caso  di  vecchiaia e sul principio dell'efficacia
    retroattiva delle pronunce di illegittimita' costituzionale  della
    Corte  costituzionale  (in  particolare della sentenza n. 314/1985
    cui si ricollega il caso di specie, riguardante  una  domanda  per
    "integrazione   al   minimo")   -  Irrazionale  limitazione  della
    retroattivita' in conseguenza di  un  fatto  estrinseco  quale  la
    proposizione del giudizio.
 (D.-L. 29 marzo 1991, n. 103, art. 6, primo e secondo comma,
    convertito in legge 1 giugno 1991, n. 166).
 (Cost., artt. 3, 38 e 136).
(GU n.13 del 25-3-1992 )
                              IL PRETORE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nella  causa promossa da
 Cavaglieri Maria, nata a Felino (Parma)  il  18  luglio  1906  e  ivi
 residente,  rappresentata  e  difesa  nel presente giudizio dall'avv.
 Fabio Massimo  Cantarelli  presso  il  cui  studio  in  Parma  elegge
 domicilio  come  da  delega  a  margine  del ricorso, attrice, contro
 l'Istituto   nazionale   della   previdenza   sociale   -   I.N.P.S.,
 rappresentato  e  difeso  dall'avv.  D.  Liveri  in virtu' di procura
 generale allegata, elettivamente domiciliato in Parma, via Salnitrara
 n. 5, presso la sede provinciale dell'istituto stesso, convenuto.
                            FATTO E DIRITTO
    Con ricorso del 12 luglio 1991, diretto al pretore  di  Parma,  in
 funzione  di  giudice  del  lavoro,  Cavaglieri  Maria  conveniva  in
 giudizio  l'I.N.P.S.,  chiedendone  la  condanna  a  riliquidare   la
 pensione di riversibilita' (cat. SO) di cui e' titolare dalla data di
 insorgenza  del relativo diritto, integrando la stessa al trattamento
 minimo di tempo in tempo vigente  e  in  ogni  caso,  per  l'art.  6,
 settimo   comma,   del   d.-l.  n.  638/1983  con  il  "congelamento"
 dell'importo per il periodo successivo al 1 ottobre  1983,  oltre  al
 pagamento  delle  differenze  fra i ratei liquidati e quelli di fatto
 riscossi;  e  cio'  in  esecuzione   della   sentenza   della   Corte
 costituzionale,    come    gia'    inutilmente   richiesto   in   via
 amministrativa.
    Dopo la notifica del  ricorso  e  del  decreto  si  costituiva  in
 giudizio l'I.N.P.S. chiedendo il rigetto delle domande.
    L'istituto eccepiva che era irrimediabilmente trascorso il termine
 decennale  previsto  dagli  articoli  58, primo comma, della legge n.
 156/1969, e 47 del d.P.R. n. 639/1970, per cui sulle pensioni,  ormai
 intangibili, non potevano avere effetto le successive decisioni della
 Corte  costituzionale;  in  ogni  caso sosteneva che dopo la legge n.
 638/1983 non poteva piu' essere richiesta la doppia  integrazione  al
 minimo  neppure  per il periodo precedente e che, comunque, l'art. 6,
 settimo comma, e' norma applicabile solo all'ipotesi di  perdita  del
 diritto  all'integrazione  al  minimo  per  superamento del limite di
 reddito.
    La  ricorrente  Cavaglieri  maria e' titolare dal 1 maggio 1962 di
 pensione diretta cat. IO ed e' pure titolare dal  1  luglio  1973  di
 pensione di reversibilita', cat. SO di cui richiese l'integrazione al
 minimo  con  domanda  in  sede  amministrativa  del  4  agosto  1989,
 successivamente respinta.
    In relazione a tale situazione, l'I.N.P.S. ha eccepito  che  nella
 specie  si  e' verificata la decadenza di carattere sostanziale e non
 solo procedimentale dall'azione per effetto dell'art. 6 del d.-l.  29
 marzo  1991,  n.  103,  convertito  in  legge  1 giugno 1991, n. 166,
 essendo stato il ricorso presentato dopo il 2 aprile  1991,  data  di
 entrata in vigore del d.-l. citato.
    E'  opportuno  richiamare, sia pure per sommi capi, lo stato della
 questione.
    Dopo che, per quanto riguarda il periodo precedente  l'entrata  in
 vigore  del  d.-l.  n.  462/1983,  la  Corte  costituzionale,  con la
 sentenza  n.  314/1985  e   numerose   altre,   ebbe   a   dichiarare
 l'incostituzionalita'  delle  norme che escludevano l'integrazione al
 minimo della seconda pensione per il titolare di  piu'  pensioni,  si
 tento' in vari modi di limitare l'effetto retroattivo delle decisioni
 di  incostituzionalita'  che avrebbe importato per l'I.N.P.S. pesanti
 oneri finanziari.
    Si e' cosi' sostenuto che le decisioni di incostituzionalita'  non
 potevano  avere  effetto sulle situazioni per le quali era decorso il
 termine decennale previsto dalle norme gia' citate che andava  inteso
 come termine di decadenza con effetti di carattere sostanziale.
    Dopo  alcune incertezze giurisprudenziali, con la sentenza n. 6245
 del 21 giugno 1990, le sezioni unite della Corte di cassazione  hanno
 chiarito  che il termine previsto dall'art. 47 del d.P.R. n. 639/1970
 non e' di prescrizione, bensi' di decadenza, ma con effetti  solo  di
 tipo  procedimentale  e  senza  effetti  sostanziali  nel  senso che,
 decorso  il  decennio   senza   l'inizio   dell'azione   giudiziaria,
 l'interessato ha l'onere di proporre una nuova domanda amministrativa
 che,   avendo  effetto  interruttivo  della  prescrizione  decennale,
 consente la richiesta delle differenze di importo delle pensioni  per
 i dieci anni precedenti.
    Su  questa  interpretazione conviene anche la Corte costituzionale
 (sentenza n. 126 del 26 marzo 1991).
    Con l'art. 11 della legge 11 marzo 1988, n.  67,  fu  interpretato
 autenticamente  l'art. 129 del r.d.-l. n. 1827/1935 nel senso che "la
 prescrizione (quinquennale) ivi prevista si applica anche  alle  rate
 di pensione non poste in pagamento".
    Con  la  sentenza  n.  283  del  17-25  maggio  1989  della  Corte
 costituzionale, la  norma  e'  stata  dichiarata  incostituzionale  e
 quindi si e' continuato a richiedere gli arretrati non prescritti per
 la prescrizione decennale.
    Anche per quanto riguarda il diritto al c.d. "congelamento" per il
 periodo  successivo  al 30 settembre 1983, la giurisprudenza e' ormai
 pacifica nell'interpretare il settimo comma dell'art. 6 del d.-l.  n.
 463/1983  come  riferito  a  qualunque ipotesi di perdita del diritto
 all'integrazione al minimo e non limitato all'ipotesi di perdita  del
 diritto per superamento del limite di reddito.
    La Corte di cassazione si e' pronunciata con numerose sentenze (19
 dicembre  1989,  n.  5720,  seguita  da  altre)  ed  anche  la  Corte
 costituzionale  ha  accolto  la  stessa  interpretazione  respingendo
 quella  contraria proposta dal tribunale di Firenze (sentenza n. 6-19
 novembre 1991, n. 418).
    Dopo avere  inutilmente  seguito  la  strada  dell'interpretazione
 autentica dei citato art. 47 (con il d.-l. 15 settembre 1990, n. 259,
 poi  non  convertito  in  legge  e  seguito  da quelli nn. 338/1990 e
 28/1991 anch'essi non convertiti in legge), nel senso  di  attribuire
 alla  decadenza  effetti sostanziali, l'art. 6 del d.-l. n. 103/1991,
 convertito in legge n.  166/1991,  sotto  la  rubrica  "Regime  delle
 prescrizioni  delle  prestazioni  previdenziali",  cosi'  dispone: "I
 termini previsti dall'art. 47, secondo e terzo comma, del  d.P.R.  30
 aprile  1970,  n. 639, sono posti a pena di decadenza per l'esercizio
 del diritto alla prestazione previdenziale.
    La decadenza determina l'estinzione del diritto ai ratei pregressi
 delle prestazioni previdenziali e l'inammissibilita'  della  relativa
 domanda giudiziale.
    In  caso  di  mancata  proposizione  del ricorso amministrativo, i
 termini decorrono dall'insorgenza del diritto ai singoli ratei".
    "Le  disposizioni  di  cui  al   primo   comma   hanno   efficacia
 retroattiva,  ma  non si applicano ai processi che sono in corso alla
 data di entrata in vigore del presente decreto".
    La norma e' quanto mai oscura e la sua interpretazione non e' fac-
 ile.
    Innanzi tutto va escluso che si tratti di norma interpretativa.
    Cosi' era stata  definita  solo  quella  contenuta  nel  d.-l.  n.
 259/1990   e   lo   dimostra   anche   l'espressa   dichiarazione  di
 retroattivita' peraltro esclusa per i giudizi in  corso  che  per  le
 norme interpretative e' inutile.
    In  secondo  luogo  si  deve  escludere  che  il decorso del tempo
 importi  l'intangibilita'  della  pensione  come  gia'  liquidata   e
 l'impossibilita' di richiederne anche per il futuro la riliquidazione
 con  l'integrazione  al  minimo  sia pure nell'importo cristallizzato
 alla data del 1 ottobre 1983. E' da tempo assolutamente pacifico  che
 il  diritto  a  pensione  (e cioe' il diritto a percepire la pensione
 nell'importo   determinato   secondo    le    leggi    vigenti)    e'
 imprescrittibile  perche'  indisponibile,  in  base alle disposizioni
 dell'art. 2934 del Codice civile, coordinato con gli artt. 128, primo
 comma, del d.P.R. n. 1827/1935 e  69  della  legge  n.  153/1969  che
 escludono    o    limitano   la   cedibilita',   sequestrabilita'   e
 pignorabilita' delle pensioni e con l'art.  2115,  terzo  comma,  del
 c.c.,  stante  anche  la  rilevanza  costituzionale  ex art. 38 degli
 interessi protetti (Cass., s.u. n. 6245/90 cit.). E' per  questo  che
 gli  effetti  della  "decadenza  per  l'esercizio  del  diritto  alla
 prestazione previdenziale", di cui alla prima parte dell'art. 6 cit.,
 devono intendersi limitati a  quanto  dice  in  prosieguo  lo  stesso
 articolo  e cioe' che "la decadenza determina (solo) l'estinzione del
 diritto ai ratei pregressi", talche'  non  sembra  lecito  attribuire
 alla norma portata sostanziale piu' ampia.
    In  base  alle  considerazione  fatte  fino a questo punto si puo'
 intanto affermare  che  alla  ricorrente  compete  l'integrazione  al
 minimo  sulla pensione di reversibilita', nell'importo cristallizzato
 alla data del 30 settembre 1983, a partire dalla  proposizione  della
 domanda  amministrativa  di  applicazione  della sentenza della Corte
 costituzionale  n.  314/1985,  che  ha  preceduto  la proposizione di
 questo giudizio.
    Essendo trascorso il decennio previsto dal  citato  art.  47,  era
 indispensabile   riproporre   la   domanda   amministrativa   essendo
 intervenuta quella decadenza procedimentale individuata da  Cass.  n.
 6245/70  cit.  che non e' stata negata dalla norma in oggetto, che ad
 essa ha aggiunto la decadenza con effetti sostanziali.
    Poiche'  tale  domanda  amministrativa  ha   sicuramente   effetto
 interruttivo  della  prescrizione,  la ricorrente, se non fosse stata
 emanata la norma di cui all'art. 6 della legge  n.  166/1991  avrebbe
 avuto  diritto  a  richiedere  le differenze arretrate, a partire dal
 primo giorno del mese successivo al compimento del decennio anteriore
 alla domanda amministrativa.
    Ritiene la ricorrente che la recente innovazione  legislativa  non
 impedisce l'accoglimento della domanda.
    L'istanza  da  essa  presentata  per l'applicazione della sentenza
 della  Corte   costituzionale   n.   314/1985,   volta   al   riesame
 dell'originario  provvedimento  dell'I.N.P.S.  con il quale era stata
 liquidata inizialmente la pensione, andrebbe definita  come  "ricorso
 amministrativo",  proponibile  in  ogni tempo secondo la disposizione
 dell'art. 8 della legge n. 533/1973, con la conseguenza che,  solo  a
 partire  da  quando esso e' stato respinto e' iniziato a decorrere il
 termine decennale menzionato nell'art. 47  cit.  che  non  e'  ancora
 concluso.
    Questa interpretazione non puo' essere seguita.
    Non  sembra  si  possa dubitare che lo scopo principale propostosi
 dal legislatore del 1991 e' stato quello di limitare gli  aggravi  di
 spesa   conseguenti   all'effetto   retroattivo  delle  decisioni  di
 incostituzionalita'; secondo l'interpretazione proposta questo  scopo
 non sarebbe di fatto raggiungibile.
    Va inoltre ricordato che l'art. 6 della legge n. 166/1991 menziona
 i  termini  previsti  dall'art. 47 del d.P.R.  n. 639/1970, ma questa
 norma, quando parla di "ricorso", non allude a quello proponibile  in
 ogni  tempo  secondo  l'art.  8 della legge n.  533/1973, ma a quello
 previsto e regolato dalle norme che la precedono. Gli articoli 44, 45
 e 46 del d.P.R.  n.  639/1970,  sotto  il  titoli  terzo  "Ricorsi  e
 controversie in materia previdenziale", prevedono termini precisi per
 la loro proposizione.
    Una  volta  ripudiato  il  sistema  della cosiddetta giurisdizione
 condizionata, il decorso di questi  termini  non  puo'  importare  la
 perdita  del  diritto  a  pensione  che e' imprescrittibile, cio' non
 toglie che, una volta prevista una procedura amministrativa diretta a
 provocare un controllo interno per  un'eventuale  composizione  della
 vertenza   in  modo  rapido  ed  economico,  abbia  ancora  senso  la
 previsione  di  termini  ristretti  decorsi  i  quali   la   pubblica
 amministrazione  possa  considerare le pratiche concluse dal punto di
 vista amministrativo.
    E'  anche  il  caso  di   ricordare   il   particolare   interesse
 dell'ordinamento  a  che  si  svolta  questa  procedura, tanto che il
 giudizio eventualmente iniziato  prima  della  sua  conclusione  deve
 essere sospeso (art. 443 del c.p.c.).
    Chiarito che il ricorso cui fa riferimento l'art. 6 della legge n.
 166/1991  e'  quello  previsto  dagli artt. 44, 45 e 46 del d.P.R. n.
 639/1970, va detto che la ricorrente non ebbe a presentarlo, ne'  del
 resto c'era motivo perche' l'originario provvedimento di liquidazione
 della pensione era conforme alle leggi all'epoca vigenti.
    Le  ipotesi  oggetto di questo giudizio sono quindi regolate dalla
 seconda parte del primo comma dell'art. 6 cit.
    La ricorrente, partendo dalla premessa che il diritto  a  pensione
 sorge  quando  se ne sono verificate le condizioni, mentre il diritto
 alla percezione dei  singoli  ratei  sorge  volta  per  volta  ed  in
 relazione  ad  ogni  rateo,  sostiene  che  il  termine  decennale di
 decadenza sostanziale in relazione  ai  ratei  pregressi,  si  sposta
 continuamente in avanti mese per mese, con la conseguenza che, avendo
 presentato  la  domanda  precedente  il  ricorso giudiziario potrebbe
 richiedere i ratei maturati anteriormente alla domanda medesima.
    Anche questa  argomentazione  non  sembra  possa  essere  accolta.
 Innanzitutto  si  verrebbe  a  creare  un'assoluta  ed ingiustificata
 disparita' di trattamento fra chi  presento'  il  ricorso  contro  il
 provvedimento  di  liquidazione  della  pensione e chi vi fece invece
 acquiescenza. In secondo luogo  l'intento  del  legislatore,  che,  a
 differenza  delle espressioni usate che sono quanto mai equivoche, e'
 invece ben chiaro, sarebbe inspiegabilmente frustrato. In terzo luogo
 sembra da seguire l'interpretazione dell'I.N.P.S. (circolare  n.  244
 dell'11  ottobre  1991)  che  propone  di  distinguere  il  diritto a
 pensione "astrattamente esistente al verificarsi dei  presupposti  di
 legge   ed   indipendentemente  dalla  presentazione  della  relativa
 domanda", dal "diritto alla erogazione dei singoli ratei" che nasce a
 seguito dell'accoglimento della domanda di pensione.  La  conseguenza
 e'  che,  nell'ipotesi  in  cui  non sia stato presentato ricorso, il
 termine decennale inizia a decorrere dal  momento  in  cui  e'  stato
 emesso il provvedimento di liquidazione della pensione.
    Interpretata  in  questo  modo  la disposizione di cui all'art. 6d
 della legge n. 166/1991, i dubbi  sulla  sua  costituzionalita'  sono
 molti e fondati.
    Gia'   il  pretore  di  Sanremo  (ordinanza  14  giugno  1991)  ha
 sospettato di incostituzionalita' la norma in  relazione  all'art.  3
 della  Costituzione in quanto discrimina in relazione ad un fatto del
 tutto estrinseco  e  non  significativo,  ai  fini  della  necessaria
 salvaguardia  dei diritti quesiti, quale quello della proposizione di
 un giudizio.
    Ulteriore contrasto con l'art. 3 emerge dal fatto che, seppure  e'
 possibile  per  il legislatore emanare norme retroattive, nel caso di
 specie non  e'  stata  dettata  una  qualche  disciplina  transitoria
 diretta   a   salvare   quelle   situazioni   pregresse,   sia   pure
 caratterizzate da una certa inerzia ma per le  quali,  essendo  stata
 interrotta  la  prescrizione,  era  inconcepibile ed imprevedibile la
 perdita del  diritto  sostanziale,  da  ritenersi  gia'  entrato  nel
 patrimonio   del   titolare.   La   scelta   legislativa   oltre  che
 discriminatoria e' anche irrazionale perche' ricollega  l'effetto  di
 una irrimediabile perdita del diritto ad un fatto che quando fu posto
 in essere non poteva produrre tale effetto.
    Per  lo stesso motivo la norma sembra contrastare anche con l'art.
 38 della Costituzione perche' produce gli effetti  di  cui  sopra  in
 danno  di  soggetti  deboli  e riconosciuti meritevoli di particolare
 tutela.
    La  stessa  Corte  costituzionale,  con  la sentenza n. 822 del 14
 luglio 1988, ha  precisato  i  limiti  che  il  legislatore  incontra
 nell'intervenire     nei    rapporti    di    durata    modificandoli
 sfavorevolmente, nel  senso  che  le  disposizioni  retroattive  "non
 possono  trasmodare  in un regolamento irrazionale ed arbitrariamente
 incidere sulle  situazioni  sostanziali  posta  in  essere  da  leggi
 precedenti,  frustrando cosi' anche l'affidamento del cittadino nella
 sicurezza  pubblica  che   costituisce   elemento   fondamentale   ed
 indispensabile dello stato di diritto ..
    Anche  se deve ritenersi ammissibile un intervento legislativo che
 modifichi  l'ordinamento  pubblicistico  delle  pensioni,  non  puo',
 pero',    ammettersi   che   detto   intervento   sia   assolutamente
 discrezionale.  In  particolare  non  puo'   dirsi   consentita   una
 modificazione  legislativa che, intervenendo in una fase avanzata del
 rapporto di lavoro oppure quando gia'  sia  subentrato  lo  stato  di
 quiescenza,  peggiorasse,  senza una inderogabile esigenza, in misura
 notevole ed in maniera definitiva, un  trattamento  pensionistico  in
 precedenza  spettante, con la conseguente irrimediabile vanificazione
 delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il  tempo
 successivo alla cessazione della propria attivita' lavorativa.
    La  norma,  infine, sembra in contrasto anche con l'art. 136 della
 Costituzione giacche' limita ed  anzi  di  fatto  esclude  l'efficaia
 retroattiva delle sentenze della Corte costituzionale.
    E'  il  caso  di  richiamare una fattispecie che presenta notevoli
 analogie con quella in oggetto.
    Con la sentenza n. 139 del 7 maggio 1984, la Corte costituzionale,
 nel dichiarare illegittimo l'art. 1,  terzo  comma,  della  legge  10
 maggio  1978,  n.  176,  richiamato  dall'art. 15, primo comma, della
 legge 3 maggio 1982, n. 203,  cosi'  testualmente  ha  motivato:  "Le
 sentenze  di  accoglimento,  in  base al disposto dell'art. 136 della
 costituzione confermato dall'art. 30 della legge 11  marzo  1953,  n.
 87,  operano  ex  tunc  perche'  producono  i  loro effetti anche sui
 rapporti  sorti  anteriormente  alla  pronuncia   di   illegittimita'
 sicche',  dal  giorno  successivo  alla  loro pubblicazione, le norme
 dichiarate incostituzionali non  possono  piu'  trovare  applicazione
 (salvo quanto discende dall'art. 25 della Costituzione per la materia
 penale).
    "Il principio, che suole essere enunciato con il ricorso alla for-
 mula  della  c.d.  'retroattivita''  di  dette  sentenze,  vale pero'
 soltanto per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente  esclusione
 di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata
 invalida.  Per  rapporti esauriti debbono certamente intendersi tutti
 quelli che sul piano processuale hanno trovato la loro  definitiva  e
 irretrattabile  conclusione mediante sentenza passata in giudicato, i
 cui effetti non  vengono  intaccati  dalla  successiva  pronuncia  di
 incostituzionalita'  (salvo quanto disposto per la materia penale dal
 cit.  art.  30).  Secondo  l'orientamento   talvolta   emerso   nella
 giurisprudenza  di  questa  Corte  (cfr.  sentenza  n.  58/1967) e il
 prevalente indirizzo dottrinale, vanno considerati esauriti  anche  i
 rapporti  rispetto  ai quali sia decorso il termine di prescrizione o
 di decadenza previsto dalla legge per l'esercizio di diritti ad  essi
 relativi.
    Ma   quando,   come   nell'ipotesi   considerata  dalla  normativa
 denunciata, detto termine e' pendente e quindi il creditore,  secondo
 i  principi generali puo' pretendere quanto ancora gli e' dovuto, non
 e' consentito al legislatore ordinario limitare la portata  dell'art.
 136  della  Costituzione,  sia  pure  ricorrendo,  come nella specie,
 all'espediente di introdurre un nuovo onere, non previsto al  momento
 dell'avvenuto  pagamento  parziale, e di escludere percio' l'acquisto
 del  diritto  successivamente  riconosciuto  dalla   legge   che   ha
 sostituito   quella   dichiarata   invalida.   Cosi'   operando,   il
 legislatore, in realta', fa in  modo  che  il  rapporto  oggetto  del
 giudizio  principale  e  non ancora esaurito rimanga illegittimamente
 regolato   dalla   norma    annullata,    riducendo    indebitamente,
 l'operativita' dell'art. 136 della Costituzione".
                               P. Q. M.
   Visti gli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1,
 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 6, primo e secondo  comma,  del
 d.-l.  29  marzo  1991, n. 103, convertito in legge 1 giugno 1991, n.
 166, per contrasto con gli artt. 3, 38 e 136 della Costituzione;
    Sospende il presente giudizio e dispone la trasmissione degli atti
 alla Corte costituzionale;
    Ordina che a cura della cancelleria copia della presente ordinanza
 venga notificata al Presidente del Consiglio  dei  Ministri  e  venga
 comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento;
    Si comunichi anche alle parti.
      Parma, addi' 11 dicembre 1991
                          Il pretore: FERRAU'

 92C0317