N. 133 SENTENZA 16 - 27 marzo 1992

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Stupefacenti  -  Detenzione  in  misura  superiore  alla  dose  media
 giornaliera  - Punibilita' - Spacciatore e tossicodipendente - Stessa
 pena - Offensivita' del reato - Dubbia lesione di un bene
 giuridico - Predeterminazione in via amministrativa al di fuori
 della  riserva  di  legge in materia penale - Responsabilita' penale
 correlata  a  fattore  (misurazione)   suscettibile   di   errore   -
 Antigiuridicita'   del   comportamento   -   Disvalore  difficilmente
 percepibile dal soggetto - Variabilita' delle dosi sul mercato -
 Disparita' di trattamento con le droghe leggere - Richiamo alle
 sentenze nn. 333 e 364 del 1988 - Razionalita' della  ratio  sottesa
 alla   parcellizzazione   dello   spaccio   -   Discrezionalita'  del
 legislatore - Manifesta infondatezza e non fondatezza.
 
 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309)).
 
 (Cost., artt. 3, 13, 25, 27, primo e terzo comma).
(GU n.15 del 8-4-1992 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele  PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco Paolo
    CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,
    avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.
    Renato GRANATA, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt.  71,  72,  72
 quater  della  legge  22  dicembre  1975,  n.  685 ("Disciplina degli
 stupefacenti   e   sostanze   psicotrope.   Prevenzione,    cura    e
 riabilitazione   dei  relativi  stati  di  tossicodipendenza"),  come
 modificati dalla  legge  26  giugno  1990,  n.  162  ("Aggiornamento,
 modifiche  ed  integrazioni  della  legge  22  dicembre  1975 n. 685,
 recante  disciplina  degli  stupefacenti   e   sostanze   psicotrope,
 prevenzione, cura e riabilitazione degli stati di tossicodipendenza")
 e  trasfusi negli artt. 73, 75 e 78 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309
 ("Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti
 e sostanze psicotrope") e dell'art. 90 dello stesso  d.P.R.  promossi
 con  n.  8  ordinanze  di varie autorita' giudiziarie iscritte ai nn.
 282, 283, 289, 394, 441, 493, 498 e 610 del registro ordinanze 1991 e
 pubblicate nelle Gazzette Ufficiali della Repubblica nn. 17, 18,  23,
 27, 33 e 40, prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visto l'atto di costituzione di Bizzarri Giuseppe nonche' gli atti
 di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 22 gennaio 1992 il Giudice
 relatore Renato Granata;
                           Ritenuto in fatto
     1.  -  Con  due  distinte  ordinanze  del  12  marzo  1991   (nel
 procedimento penale a carico di Santurri Umberto imputato di illecito
 acquisto   di  gr.  0,120  di  eroina)  e  del  13  marzo  1991  (nel
 procedimento  penale  a  carico  di  Bizzarri  Giuseppe  imputato  di
 illecita  detenzione  di  gr.  60 di hashish) il Tribunale di Roma ha
 sollevato questione di legittimita' costituzionale degli artt. 73, 75
 e 78 del d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 (Testo  unico  delle  leggi  in
 materia di disciplina degli stupefacenti) - corrispondenti agli artt.
 71,  72  e  72 quater della legge 22 dicembre 1975 n. 685 (Disciplina
 degli  stupefacenti  e  sostanze  psicotrope.  Prevenzione,  cura   e
 riabilitazione   dei   relativi   stati   di  tossicodipendenza),come
 modificata  dalla  legge  26  giugno  1990  n.  162   (Aggiornamento,
 modifiche  ed  integrazioni  della  legge  22  dicembre  1975 n. 685,
 recante  disciplina  degli  stupefacenti   e   sostanze   psicotrope,
 prevenzione,  cura e riabilitazione degli stati di tossicodipendenza)
 - in relazione all'art. 3 Cost.  (per  violazione  del  principio  di
 ragionevolezza  e  di  eguaglianza),  nonche'  all'art. 25 Cost. (per
 insussistenza  della  necessaria   offensivita'   dei   comportamenti
 punibili  e  per  essere  gli  elementi costitutivi della fattispecie
 penale posti con decreto del Ministro della sanita'  con  conseguente
 sospetta  violazione  del  principio  di  riserva di legge in materia
 penale).
    2. - Con  ordinanza  dell'11  febbraio  1991  il  giudice  per  le
 indagini   preliminari   presso   il   Tribunale   di  Camerino,  nel
 procedimento penale nei confronti di Antolini Gianluca,  imputato  di
 illecita   detenzione  di  1,533  grammi  di  hashish,  ha  sollevato
 questione di legittimita' costituzionale degli  artt.  71,  72  e  72
 quater  della  legge  22  dicembre 1975 n. 685, come modificata dalla
 legge 26 giugno 1990 n. 162 in relazione all'art. 25 Cost. per essere
 gli elementi costitutivi della fattispecie penale posti  con  decreto
 del  Ministro  della  sanita' con conseguente sospetta violazione del
 principio di riserva di legge in materia penale.
    In  particolare,  secondo  il  giudice  a  quo,  nessun   criterio
 predeterminato   e'  previsto  quale  limite  della  discrezionalita'
 amministrativa nella  determinazione  della  dose  media  giornaliera
 delle singole sostanze stupefacenti.
    3.  -  Con  ordinanza  dell'11  aprile  1991  il  g.i.p. presso il
 Tribunale  di  Roma  -  nel  corso  del  procedimento  penale  contro
 Gabrielli  Marco  e  Mastropietro  Leonardo,  imputati  del  reato di
 detenzione (per uso personale) di sostanze stupefacenti in  quantita'
 superiore  alla  dose  media  giornaliera  -  ha  sollevato questione
 incidentale di costituzionalita' degli artt. 73 e 75 d.P.R. 9 ottobre
 1990 n. 309 per contrasto con gli artt. 3 e 25, 2 co., Cost.
    Secondo il giudice rimettente la nuova  fattispecie  delittuosa  -
 che  prescinde  dalla  verifica  della  pericolosita' oggettiva della
 condotta - viola l'art. 3 Cost. sia  perche'  la  previsione  di  una
 presunzione iuris et de iure di spaccio per la detenzione di sostanze
 stupefacenti  in quantita' superiore alla "dose media giornaliera" e'
 irragionevole in quanto  contraria  all'esperienza  giudiziaria  (che
 insegna  che  non  e'  dato escludere a priori in modo radicale ed in
 termini di certezza che il tossicomane ricorra  all'accumulazione  di
 sostanze  stupefacenti  destinate  al  soddisfacimento del fabbisogno
 quotidiano);  sia  perche',  ove  si  ritenga  che   sia   sanzionato
 penalmente  anche  il  consumo  di sostanze stupefacenti, e' altresi'
 irragionevole   l'estensione   al   tossicomane    del    trattamento
 sanzionatorio penale applicabile allo spacciatore.
    Il  giudice  rimettente lamenta inoltre che la condotta penalmente
 rilevante (detenzione per uso personale di plus  di  d.m.g.)  non  e'
 lesiva  di  alcun  bene  tutelato e quindi contrasta con il principio
 dell'offensivita' desumibile dall'art. 25 Cost.
   4. - Con ordinanza del 23 aprile 1991 il Tribunale di Torino -  nel
 corso del procedimento penale contro Luini Renato, imputato del reato
 di  detenzione  (per  uso  personale)  di  sostanze  stupefacenti  in
 quantita' superiore alla dose media giornaliera (mg. 136,3 di eroina)
 - ha sollevato questione incidentale di costituzionalita' degli artt.
 71, 72 e 72  quater  della  legge  22  dicembre  1975  n.  685,  come
 modificata   dalla  legge  26  giugno  1990  n.  162  (corrispondenti
 rispettivamente agli artt. 73, 75 e 78 del T.U.  9  ottobre  1990  n.
 309)  per  contrasto  con  gli  artt.  3,  25  e  27 Cost. Osserva il
 Tribunale  rimettente  che  in  base  alla   comune   esperienza   e'
 irragionevole  ritenere con presunzione assoluta che la detenzione da
 parte di un consumatore "medio", di una quantita' di  droga  di  poco
 superiore al fabbisogno quotidiano possa essere posta a fondamento di
 una prognosi legale di pericolo di spaccio.
    Lamenta  inoltre la disparita' di trattamento (nella forma di pari
 trattamento  di   situazioni   diverse)   atteso   che   l'acquirente
 consumatore  di una quantita' di droga appena superiore alla dose me-
 dia giornaliera potrebbe essere assoggettato  alla  stessa  pena  del
 venditore.
    Altresi'  - osserva il tribunale rimettente - nella detenzione per
 uso personale di droga in quantita' di poco superiore alla dose media
 giornaliera non e' configurabile lesione o esposizione a pericolo  di
 un bene giuridico che possa giustificare la sanzione penale.
    Inoltre  il  meccanismo attraverso cui il legislatore individua la
 fattispecie penalmente rilevante appare in contrasto con  la  riserva
 di  legge  sancita  dall'art.  25  Cost. atteso che la determinazione
 della dose media giornaliera (e percio' del discrimine  fra  illecito
 amministrativo e reato) e' rimessa alla totale discrezione della P.A.
 In  particolare  fissare il limite massimo di principio attivo per le
 dosi  medie   giornaliere   in   maniera   tassativamente   tabulata,
 ricollegandovi  la  linea  di demarcazione fra illecito penale e non,
 significa far discendere la responsabilita' penale del soggetto da un
 fattore  (la  misurazione)  che  per  definizione  presenta   margini
 pressoche' imprescindibili di errore.
    Il  Tribunale rimettente invoca inoltre il principio del carattere
 personale della responsabilita' penale (art. 27, 1  co.,  Cost.).  In
 particolare,   dopo   la   sentenza  n.  364  del  1988  della  Corte
 costituzionale puo' enuclearsi un piu' generale principio secondo cui
 non puo' esservi punibilita' per un reato se il soggetto  agente  non
 e'  in  condizione  di percepire l'antigiuridicita' del comportamento
 tenuto. Altresi' occorre tener conto delle finalita' di  rieducazione
 cui  la  pena  deve necessariamente tendere (art. 27, 30 co., Cost.),
 finalita' che sarebbero frustrate ove si sottoponga a responsabilita'
 penale chi non versi (almeno) in una situazione di colpa, perche'  in
 tal caso il soggetto non puo' cogliere, ne' condividere il bisogno di
 essere rieducato.
    Le   norme   censurate   contrastano  altresi'  con  il  principio
 fondamentale di uguaglianza di  cui  all'art.  3  Cost.  giacche'  la
 previsione di un'identica sanzione per chi detenga un quantitativo di
 sostanza  stupefacente  superiore alla dose media giornaliera a scopo
 di cessione, rispetto a chi, nelle stesse  condizioni  dal  punto  di
 vista   oggettivo,   dispone   della   sostanza   al  fine  di  farne
 esclusivamente   uso   individuale   e'    priva    di    ragionevole
 giustificazione  essendo  diverso  il  grado  di  consapevolezza  del
 disvalore della condotta da parte dei due soggetti.
    5. - Con ordinanza del 31 maggio 1991 il Tribunale  di  Sassari  -
 nel  corso  del procedimento penale contro De Martis Walter, imputato
 del reato di importazione e detenzione di  sostanze  stupefacenti  in
 quantita'  superiore  alla  dose  media  giornaliera  -  ha sollevato
 questione incidentale di costituzionalita' dell'art. 78  del  T.U.  9
 ottobre  1990  n.  309 per contrasto con l'art. 25 Cost., considerato
 che non sono stati determinati dalla legge i criteri  che  dovrebbero
 essere  seguiti  dalla  autorita'  amministrativa  sanitaria  per  la
 determinazione dei limiti  quantitativi  di  principio  attivo  delle
 sostanze  stupefacenti e che - conseguentemente - e' stata attribuita
 alla autorita' amministrativa la  facolta'  di  creare  gli  elementi
 normativi della fattispecie penale, che invece devono essere previsti
 solo ed esclusivamente dalla legge.
    6.  -  Con  ordinanza  dell'11  aprile  1991  il  g.i.p. presso il
 Tribunale di Campobasso - nel corso del  procedimento  penale  contro
 Agrippi  Antonio  ed  Evangelista  Massimo,  imputati  del  reato  di
 detenzione (per uso personale) di sostanze stupefacenti in  quantita'
 superiore  alla  dose  media  giornaliera  (mg. 136,3 di eroina) - ha
 sollevato questione incidentale di costituzionalita' degli artt.  71,
 72  e  72 quater della legge 22 dicembre 1975 n. 685, come modificata
 dalla legge 26 giugno 1990  n.  162  (corrispondenti  rispettivamente
 agli  artt.  73,  75  e  78  del T.U. 9 ottobre 1990 n. 309), nonche'
 dell'art. 90 del cit. T.U. per contrasto con gli artt.  3,  13  e  25
 Cost.
    In  particolare  il  giudice  rimettente  prospetta  la violazione
 dell'art. 3 della Costituzione sotto il profilo del pari  trattamento
 legislativo   delle   situazioni  diverse  dello  spacciatore  e  del
 consumatore, nonche' la possibile violazione degli artt.  3,  13,  25
 della  Costituzione  per la mancanza di offensivita' della detenzione
 finalizzata al consumo. Infatti la legge n. 162 del 1990 punisce  con
 la   sanzione   penale   la   detenzione   di  sostanze  stupefacenti
 indipendentemente da una situazione di pericolo (concreto o presunto)
 di destinazione delle stesse allo spaccio, venendo cosi ad equiparare
 due situazioni  sicuramente  difformi,  quella  dello  spacciatore  e
 quella del consumatore.
    La  d.m.g.  costituisce poi nozione irreale, non sorretta da alcun
 valido sostegno dal punto di  vista  tecnico-scientifico,  posto  tra
 l'altro  che  la maggiore o minore efficacia stupefacente di una data
 sostanza varia a seconda del modo di assunzione della  stessa  e  del
 grado di tolleranza del soggetto assuntore. L'accertamento giudiziale
 circa l'effettiva destinazione di una determinata sostanza al consumo
 o  allo  spaccio  dovrebbe  basarsi,  dunque, non sulla nozione della
 "dose  media  giornaliera",  ma  sull'effettivo  tipo   di   condotta
 dell'agente.
    Inoltre  il  giudice rimettente lamenta la violazione dell'art. 25
 Cost. atteso che il rinvio - contenuto nell'art. 78 censurato - ad un
 decreto del Ministro della Sanita' per la determinazione della d.m.g.
 in  relazione  alle  singole  sostanze  stupefacenti  e'   totale   e
 dismissorio   e   non   individua,   ne'   determina  in  alcun  modo
 concretamente,  la  nozione  di  "dose  media  giornaliera",  ne'  il
 contenuto  di  questo  concetto  ovvero  i  criteri, i presupposti, i
 caratteri o i parametri alla cui luce ricostruirlo, onde  ne  risulta
 violata  la  riserva di legge in materia penale, imposta dall'art. 25
 Cost.
    Infine il giudice rimettente prospetta la violazione  dell'art.  3
 Cost. sotto il profilo del piu' grave trattamento normativo riservato
 a  situazioni  meno  gravi  (detenzione di droghe leggere) rispetto a
 quello previsto per  situazioni  piu'  gravi  (detenzione  di  droghe
 pesanti); altresi' lamenta analoga disparita' di trattamento in danno
 dei  consumatori  occasionali  (situazione  meno  grave)  rispetto ai
 consumatori abituali (situazione piu' grave).  Premesso  che  le  cd.
 droghe leggere non danno assuefazione, il giudice a quo ritiene ancor
 piu' gravi i dubbi di costituzionalita', sopra indicati, ove riferiti
 al  consumatori di droghe leggere, per le quali piu' evidenti sono la
 mancanza di offensivita' della condotta incriminata e  la  violazione
 del  principio  di  riserva di legge, essendo del tutto arbitraria la
 determinazione della  d.m.g.  in  mancanza  di  dati  epidemiologici.
 Inoltre  l'istituto  della  sospensione  dell'esecuzione  della  pena
 detentiva previsto dall'art. 90 cit. non  sara'  mai  applicabile  ai
 consumatori  di  cannabis,  essendo  detta  sospensione  condizionata
 all'attuazione di un "programma terapeutico e socioriabilitativo" che
 presuppone una tossicodipendenza non ipotizzabile  nei  confronti  di
 detti  consumatori.  Altresi'  -  non  risultando  necessaria  alcuna
 riabilitazione anche nel caso di uso occasionale - verrebbe a crearsi
 una  disparita'  tra il trattamento meno grave riservato dall'art. 90
 alla  piu'  grave  situazione  di  chi  fa  un  uso  ininterrotto   e
 continuativo  di  droga,  ed  il  trattamento  piu'  grave  riservato
 dall'art. 90 (in ragione  dell'esclusione  dell'applicabilita'  della
 sospensione in esso prevista) alla meno grave situazione di chi ne fa
 un uso solo occasionale.
    7.  -  Con  ordinanza  del  24  aprile  1991  il  g.i.p. presso il
 Tribunale di Crotone -  nel  corso  del  procedimento  penale  contro
 Dornio Francesco e Viscomi Giovanni, imputati del reato di detenzione
 (per  uso  personale) di sostanze stupefacenti in quantita' superiore
 alla dose media giornaliera - ha sollevato questione  incidentale  di
 costituzionalita'  dell'art.  73, primo comma, e 75, primo comma, del
 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309  per  contrasto  con  l'artt.  3,  primo
 comma, Cost.
    Il   giudice   a   quo   ritiene  che  il  differente  trattamento
 sanzionatorio dettato dall'art. 75, 1 comma, d.P.R. n. 309 cit., (con
 sanzioni amministrative per i detentori  per  uso  personale  di  una
 certa  sostanza  stupefacente  entro  i  limiti  massimi tabellati) e
 quello dettato dall'art. 73, commi 1, 4 e 5 (con pena criminale per i
 detentori sempre per uso personale, ma oltre il predetto limite)  sia
 ingiustificatamente  differenziato  e che il primo comma dell'art. 75
 T.U. 309/90 sia incostituzionale nella parte in cui  non  prevede  in
 ogni  caso  l'assoggettamento  alla  sanzione  amministrativa in essa
 dettata  di  chi  detenga  sostanza  stupefacente  o  psicotropa   in
 quantita'  anche  superiore  a  quella per la stessa specificatamente
 individuata dal D.M. n. 180 del 12.7.1990, ma tale che, anche per  le
 modalita'  ed i termini dell'accertamento dell'illecito, sia evidente
 l'imminente e totale assunzione della stessa da parte del detentore.
    8. - In tutti i giudizi e' intervenuto il Presidente del Consiglio
 dei Ministri a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato,  rilevando
 che  trattasi di questioni identiche a quelle sollevate dal Tribunale
 di Roma con ordinanze in data 12 ottobre 1990, 31  dicembre  1990,  9
 gennaio  1991,  nonche' dal Pretore di Bergamo, Sezione distaccata di
 Grumello del Monte, con ordinanza dell'8 gennaio  1991,  dal  giudice
 per  le  indagini  preliminari  presso  il  Tribunale di Camerino con
 ordinanze dell'11 febbraio 1991, questioni  decise  dalla  Corte  con
 sentenza n. 333 del 1991.
    Ha concluso pertanto per la manifesta infondatezza delle questioni
 medesime  (salvo  che  per  la  questione  sollevata dal Tribunale di
 Sassari, per la quale - non tenendo ancora conto della cit. sent.  n.
 333/91  -  ha  concluso per una pronuncia di non fondatezza ritenendo
 rispettato il principio costituzionale della  riserva  di  legge  per
 essere  la  fattispecie  incriminatrice  compiutamente definita dalla
 legge).
    In  particolare,  poi,   con   riferimento   alla   questione   di
 costituzionalita' sollevata dal Tribunale di Crotone, l'Avvocatura ha
 anche  chiesto,  in  via  subordinata,  la restituzione degli atti al
 giudice a quo per jus superveniens
 (d.l. 8 agosto 1991 n. 247).
    9. - Si e' costituito l'imputato Bizzarri sostenendo la fondatezza
 delle  censure  di  costituzionalita'  contenute  nell'ordinanza  del
 giudice rimettente (Tribunale di Roma).
                         Considerato in diritto
    1.  -  Va  premessa  la  riunione  dei  singoli  procedimenti  per
 l'identita' delle norme impugnate, e - sempre preliminarmente in rito
 - va confermata la trattazione in camera di consiglio delle questioni
 di costituzionalita' sollevate dal Tribunale di  Roma  con  ordinanza
 del   13   marzo  1991,  ancorche'  in  quel  giudizio  (relativo  al
 procedimento penale a carico di Bizzarri Giuseppe) vi  sia  stata  la
 costituzione  della  parte privata, atteso che - come meglio si dira'
 in seguito -  le  censure  mosse  da  quel  giudice  rimettente  alla
 normativa  impugnata  sono  gia' state delibate nella sentenza n. 333
 del 1991 di questa Corte.
    2.  -  In  via  preliminare   va   poi   respinta   la   richiesta
 dell'Avvocatura  di  Stato  di  restituzione  degli  atti  al giudice
 rimettente (richiesta formulata  con  riferimento  all'ordinanza  del
 g.i.p.  presso  il  Tribunale  di  Crotone)  atteso  che le modifiche
 introdotte con il decreto legge 8  agosto  1991  n.  247,  convertito
 dalla  legge  5  ottobre  1991 n. 314, hanno riguardato la disciplina
 dell'arresto  in  flagranza  e  quindi  non  incidono  sugli  aspetti
 sostanziali  della  normativa sulle sostanze stupefacenti, alla quale
 si riferisce l'ordinanza del Tribunale  di  Crotone,  nonche'  quelle
 degli altri giudici rimettenti.
    3.  -  La  prima  delle  numerose  questioni  di costituzionalita'
 sollevate, che si vengono ad esaminare separatamente,  suddividendole
 secondo   le   norme  impugnate  ed  i  parametri  costituzionali  di
 riferimento, ha ad oggetto gli artt. 71, 72 e 72 quater  della  legge
 22  dicembre  1975 n. 685, come modificati dalla legge 26 giugno 1990
 n. 162 (corrispondenti rispettivamente agli artt. 73,  75  e  78  del
 T.U.  approvato con d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309, norme alle quali di
 seguito si fara' esclusivo riferimento); tali disposizioni -  secondo
 i  giudici  rimettenti (g.i.p. presso il Tribunale di Roma, Tribunale
 di Torino) - violano l'art. 3 Cost. perche'  prevedono  un'arbitraria
 ed   irragionevole   presunzione  assoluta  di  spaccio  di  sostanze
 stupefacenti nel caso di detenzione in misura superiore alla dose me-
 dia  giornaliera  (di  seguito   d.m.g.)   in   quanto   l'esperienza
 giudiziaria  mostra che non e' dato escludere che i tossicodipendenti
 ricorrano all'accumulazione di  sostanze  stupefacenti  in  quantita'
 superiore  a  tale  parametro  per  il soddisfacimento del fabbisogno
 quotidiano.
    La questione e' manifestamente infondata.
    Nella sentenza n. 333 del 1991 questa Corte ha gia' affermato  che
 "le incriminazioni di pericolo presunto non sono incompatibili in via
 di  principio  con  il  dettato  costituzionale",  purche'  non siano
 irrazionali od  arbitrarie.  Ha  quindi  individuato  la  ratio  (non
 arbitraria,   ne'  irragionevole)  della  norma  incriminatrice,  che
 prevede come reato la detenzione di  sostanze  stupefacenti  per  uso
 personale   in   misura   superiore   alla  d.m.g.,  nell'esigenza  -
 conseguente ad una piu' rigorosa valutazione del fenomeno-droga e dei
 suoi effetti - sia  di  rendere  "estremamente  improbabile"  che  il
 detentore  possa  spacciare,  od anche solo cedere a terzi, pur se in
 piccola parte, la sostanza detenuta, sia di  limitare  l'accumulo  di
 droga  per uso personale al fine di contrastarne l'illecito traffico,
 "costretto dalla parcellizzazione  della  domanda  a  moltiplicare  i
 rivoli dell'ultima fase dello spaccio".
    Tale principio, piu' ampiamente argomentato nella citata sentenza,
 non  puo'  che  essere  ribadito  anche  in questa sede, non avendo i
 giudici rimettenti prospettato profili nuovi  e  diversi  rispetto  a
 quelli gia' valutati da questa Corte.
    4.  -  E'  stata  poi sollevata (dal Tribunale di Roma, dal g.i.p.
 presso il Tribunale di Roma, dal  Tribunale  di  Torino,  dal  g.i.p.
 presso  il Tribunale di Campobasso, dal g.i.p. presso il Tribunale di
 Crotone) questione di costituzionalita' degli artt. 73, 75 e  78  del
 T.U.  citato  per contrasto con l'art. 3 Cost. sotto il profilo della
 disparita'  di  trattamento  nella  forma  di  pari  trattamento   di
 situazioni  diverse  perche',  in  caso  di  detenzione  di  sostanze
 stupefacenti in misura superiore alla d.m.g., sarebbero  assoggettati
 alla  stessa  pena  sia lo spacciatore che ha ceduto la droga, sia il
 tossicodipendente o tossicofilo che l'ha consumata.
    Anche tale seconda questione e' manifestamente infondata.
    Ha gia' affermato questa Corte, nella cit. sentenza n. 333/91, che
 le due fattispecie poste a raffronto (spaccio e mera  detenzione  per
 uso  personale  di  sostanze stupefacenti), ove aventi ad oggetto una
 quantita' appena superiore alla d.m.g. non sono affatto  entrambe  al
 limite  minimo  della  soglia  di punibilita', atteso che lo spaccio,
 essendo sanzionato anche se relativo a  quantitativi  inferiori  alla
 d.m.g.,  non  rappresenta  la  condotta  di  minor  disvalore  penale
 destinata in linea di principio all'applicazione della  pena  minima,
 salva   la   possibile   incidenza   in  concreto  della  valutazione
 discrezionale del giudice ex artt. 132  e  133  c.p.  al  fine  della
 quantificazione   della   pena.   Tale   differenziazione  sul  piano
 sanzionatorio  -  progressivamente  piu'   rilevante   in   caso   di
 quantitativi  che  superano  in  misura maggiormente considerevole la
 d.m.g. - esclude la disparita' di trattamento prospettata dai giudici
 rimettenti, mentre la configurazione in tal caso di un solo reato con
 plurime  condotte  alternative  non   e'   in   se'   arbitraria   od
 irragionevole  in  considerazione  del fatto che "offerta (spaccio) e
 domanda (consumo) sono profili interagenti di un unico fenomeno".
    D'altra parte la posizione del "consumatore XX non spacciatore" si
 differenzia ulteriormente perche' - come  ha  gia'  affermato  questa
 Corte  -  l'inequivoca  destinazione  all'uso  personale  della droga
 detenuta anche in quantita' "non lieve" puo' essere  valorizzata  dal
 giudice  penale  al  fine  di  ritenere  non  di  meno  integrato  il
 presupposto del fatto di "lieve entita'",  di  cui  al  quinto  comma
 dell'art.  73, con conseguente applicazione delle meno severe pene da
 tale  disposizione  previste,  atteso   che   tra   le   "circostanze
 dell'azione"  ivi  menzionate  sono  comprese  anche  le "circostanze
 soggettive" tutte, e quindi anche le finalita' della condotta  tenuta
 dall'agente;  infatti,  come  risulta  inequivocabilmente  dagli atti
 parlamentari (v.  soprattutto  l'intervento  del  rappresentante  del
 Governo,  sen.  Castiglione,  Senato  della Repubblica, seduta del 12
 giugno  1990),  la  sostituzione,  nel  quinto  comma  dell'art.  73,
 dell'originario  riferimento  "alle circostanze inerenti alla persona
 del colpevole" con quello alle "circostanze  dell'azione"  era  stata
 dettata  dall'esigenza  di  ampliare  (e  non gia' di restringere) la
 rilevanza delle circostanze  per  comprendervi  quelle  soggettive  e
 quelle oggettive.
    5.  - Un'ulteriore questione di costituzionalita' ha investito gli
 artt. 73, 75 e 78 del T.U. citato per contrasto con gli artt. 13 e 25
 Cost. per violazione del principio della necessaria offensivita'  del
 reato,  quale  limite  alla  discrezionalita' del legislatore penale,
 giacche'  nel  caso  della  detenzione  destinata  al  consumo  o  di
 effettivo consumo di sostanze  stupefacenti  in  quantita'  superiore
 alla  d.m.g.  non  sarebbe configurabile la lesione o l'esposizione a
 pericolo di alcun bene giuridico che possa giustificare  la  sanzione
 penale.
    Anche tale questione - sollevata dal Tribunale di Roma, dal g.i.p.
 presso  il  Tribunale  di  Roma,  dal Tribunale di Torino, dal g.i.p.
 presso il Tribunale di Campobasso - e' manifestamente  infondata;  ed
 infatti  questa  Corte, dopo aver precisato che la condotta punita e'
 la detenzione per uso personale di sostanze stupefacenti e  non  gia'
 il   consumo  (ne'  tanto  meno  -  puo'  aggiungersi  -  il  consumo
 pregresso), ha gia' ritenuto, nella piu' volte citata sentenza n. 333
 del 1991, che il principio della necessaria  offensivita'  del  reato
 non  e' stato leso, essendo l'apprezzamento del legislatore in ordine
 alla  condotta  prevista  nella  fattispecie  penale   astratta   ne'
 irrazionale,  ne'  arbitrario in ragione della (gia' ricordata) ratio
 sottesa all'incriminazione della  detenzione  per  uso  personale  di
 quantita' di droga superiore alla d.m.g.; ratio che e' quella "per un
 verso,  di  ridurre il pericolo che una parte della sostanza detenuta
 possa essere venduta o ceduta a terzi, e, per altro verso, di indurre
 la domanda, e di riflesso l'offerta,  a  modellarsi  su  quantitativi
 minimi in guisa da costringere lo spaccio a parcellizzarsi al massimo
 e  da  renderne  cosi'  piu'  difficile  la  pratica"; tutto cio' per
 perseguire  l'obiettivo  di  tutela  di   valori   costituzionalmente
 rilevanti (salute pubblica, sicurezza pubblica, ordine pubblico).
    Invece  l'offensivita'  della condotta concreta tenuta dall'agente
 costituisce oggetto di accertamento (caso per caso)  del  giudice  di
 merito.
    6.  -  Si e' poi ritenuto (dal Tribunale di Roma, dal Tribunale di
 Camerino, dal Tribunale di Torino,  dal  Tribunale  di  Sassari,  dal
 g.i.p. presso il Tribunale di Campobasso) che i medesimi artt. 73, 75
 e  78  del T.U. citato contrastino con l'art. 25 Cost. per violazione
 della riserva di legge in materia penale in quanto e' demandato ad un
 decreto del Ministro  della  sanita'  la  determinazione  dei  limiti
 quantitativi   massimi   di   principio  attivo  per  le  dosi  medie
 giornaliere   senza   che   risulti   soddisfatta    l'esigenza    di
 predeterminazione   ad  opera  della  norma  primaria  del  contenuto
 essenziale della fattispecie penale.
    Tale questione e' stata  gia'  esaminata  da  questa  Corte  nella
 sentenza  n.  333  del  1991,  in  cui  le norme censurate sono state
 ritenute compatibili con l'obbligo della riserva  di  legge,  essendo
 sufficientemente   determinato   dalla  norma  primaria  il  precetto
 penalmente sanzionato, mentre -  in  funzione  di  mera  integrazione
 dello  stesso - e' demandato al Ministro della sanita' l'esercizio di
 una discrezionalita' meramente tecnica,  tenendo  conto  dello  stato
 attuale  delle  conoscenze  scientifiche,  senza  che  sia consentita
 alcuna valutazione in chiave di prevenzione o di repressione.
    Invece l'eventuale illegittimita'  in  concreto  dell'integrazione
 amministrativa  della  norma  incriminatrice  non pone un problema di
 compatibilita' con il precetto costituzionale della riserva di legge,
 ma  radicherebbe  il   potere-dovere   del   giudice   ordinario   di
 disapplicare caso per caso il decreto ministeriale suddetto.
    7.   -   Connessa   a   quest'ultima   questione  e'  poi  quella,
 specificamente sollevata dal Tribunale di  Torino,  che  investe  gli
 artt.  73,  75  e  78  del  T.U.  citato, ulteriormente censurati per
 contrasto con gli artt. 3 e 25 Cost. sotto i profili della disparita'
 di trattamento di situazioni analoghe, della violazione del principio
 di offensivita' e della violazione del  principio  della  riserva  di
 legge, perche' la quantificazione in maniera tassativamente tabellata
 della   d.m.g.   comporta   la   conseguenza  di  far  discendere  la
 responsabilita' del soggetto da un fattore (la misurazione)  che  per
 definizione presenta margini pressoche' imprescindibili di errore.
    Anche  in  tal  caso  soccorrono  le  valutazioni gia' fatte nella
 sentenza  n.  333/91  per  ritenere   manifestamente   infondata   la
 questione.  Dovendo  la soglia quantitativa (la d.m.g.), che scrimina
 tra la detenzione punibile e quella non punibile, essere  "media"  ed
 essere  riferita all'arco di una giornata, e' conseguenziale - ma non
 per cio' solo irragionevole - che  tale  criterio  presenti  "margini
 inevitabili  di  approssimazione", cosi' come ogni standardizzazione.
 E'  sufficiente  pero',   per   ritenere   rispettato   il   precetto
 costituzionale  della  riserva  di  legge,  che la determinazione del
 suddetto parametro avvenga secondo le attuali conoscenze scientifiche
 e tecniche di campionatura e  di  accertamento,  mentre  la  prevista
 variabilita'  delle  tabelle  "in  relazione  alla  evoluzione  delle
 conoscenze del settore " (art.  78,  secondo  comma)  rappresenta  un
 sufficiente  correttivo  del possibile errore statistico del criterio
 adottato.
    8.  -  Un'ulteriore  questione  di  costituzionalita'   (anch'essa
 sollevata dal Tribunale di Torino) riguarda i medesimi artt. 73, 75 e
 78  del T.U. citato per contrasto con il principio della personalita'
 della responsabilita' penale, posto dall'art. 27, 1 co., Cost., e con
 il principio della finalita' di rieducazione cui la pena deve tendere
 (art. 27, 3 co., Cost.) perche' il soggetto agente non  e'  posto  in
 condizione  di  percepire l'antigiuridicita' del comportamento tenuto
 per essere il discrimine quantitativo  (della  detenzione  penalmente
 rilevante),   correlato   non  gia'  alle  sue  personali  necessita'
 quotidiane di droga, ma ad una misura rigidamente  predeterminata  in
 via  generale,  non  suscettibile  di adattamento al caso concreto; e
 perche' inoltre, la variabilita' dei quantitativi  di  sostanza  pura
 presente  nelle  singole  dosi  "da  strada"  viene a determinare una
 situazione  di  rischio  alla  quale  l'agente  deve   soggiacere   a
 prescindere    da    ogni   effettiva   componente   individuale   di
 prevedibilita' e consapevolezza.
    Entrambi i profili di censura non sono fondati.
    Ed infatti la coscienza  dell'antigiuridicita'  della  condotta  -
 valorizzata  da  questa  Corte nella sentenza n. 364 del 1988, che ha
 dichiarato l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  5  c.p.  nella
 parte  in  cui  non esclude dall'inescusabilita' dell'ignoranza della
 legge penale l'ignoranza inevitabile - attiene al precetto  normativo
 e  non  gia'  al  giudizio  di  disvalore  ad  esso  sotteso,  che e'
 espressione della scelta di politica criminale  del  legislatore,  in
 astratto  sindacabile  sotto i profili finora esaminati, ma non certo
 censurabile ove in concreto  difforme  dall'apprezzamento  soggettivo
 del singolo autore della condotta vietata.
    In  particolare  la citata sentenza n. 364/88, dopo aver giudicato
 corretta la tesi della "inesistenza nella Costituzione di un  vincolo
 per  il  legislatore  ordinario  di  non  sanzionare penalmente fatti
 carenti  di  effettiva  conoscenza  dell'antigiuridicita'",  ha   poi
 ravvisato   come   requisito   subiettivo  minimo  costituzionalmente
 necessario la possibilita' della conoscenza della legge penale ed  ha
 conseguentemente  elevato  a ragione di esclusione della colpevolezza
 l'ignoranza inevitabile della stessa, pur qualificando tale  soltanto
 quella  che  l'agente  non  ha  potuto  evitare nemmeno adempiendo ai
 doveri strumentali di informazione e conoscenza.
    La coscienza dell'antigiuridicita' richiesta dalla Costituzione si
 risolve quindi nella conoscibilita' del precetto penale da parte  del
 soggetto  agente, con la precisazione che anche "in relazione a reati
 sforniti di disvalore sociale" deve ritenersi che "l'agente versi  in
 evitabile  e,  pertanto, rimproverabile ignoranza della legge penale"
 quando la mancata percezione dell'illeceita' derivi dalla  violazione
 degli  obblighi di informazione della normativa vigente che sono alla
 base di ogni convivenza civile.
    Escluso il denunciato vizio di  incostituzionalita'  della  norma,
 rimane pero' affidato al giudice di merito - nei limiti puntualizzati
 dalla  citata  sentenza  n.  364/88 - stabilire in concreto se - alla
 stregua  delle  informazioni  in   proposito   fornite   al   singolo
 nell'attuale  contesto  storico  -  debba  dirsi  percepibile  o  non
 percepibile dall'agente, anche a livello di mero dubbio, l'illiceita'
 della condotta tenuta, quale detentore  di  una  quantita'  di  droga
 superiore alla d.m.g.
    Quanto  al secondo profilo questa Corte, nella sentenza n. 333/91,
 ha   gia'    affermato    che    l'eventuale    errore    dell'agente
 nell'apprezzamento  della  quantita'  di  principio  attivo contenuto
 nella sostanza  stupefacente  detenuta  non  e'  privo  di  rilevanza
 perche', al fine dell'integrazione dell'elemento soggettivo del dolo,
 e'   necessario  che  egli  sia  consapevole  di  detenere  (per  uso
 personale) una quantita' totale di  sostanza  stupefacente  tale  che
 contenga  il  relativo  principio attivo in misura superiore a quella
 tabellata nel decreto ministeriale.
    9. - Gli artt. 73, 75 e 78 del T.U.  citato  sono  poi  sospettati
 (dal  g.i.p.  presso  il  Tribunale di Campobasso) di contrastare con
 l'art. 3 Cost., per disparita' di trattamento  nella  forma  di  pari
 trattamento  di  situazioni  diverse  dei  vari possibili consumatori
 perche', in caso di detenzione di  sostanze  stupefacenti  in  misura
 superiore alla d.m.g., la condotta penalmente rilevante dipende da un
 dato  quantitativo  oggettivo  senza tener conto ne' della maggiore o
 minore efficacia stupefacente  della  sostanza  secondo  il  modo  di
 assunzione, ne' del grado di tolleranza del soggetto assuntore.
    Anche tale questione e' manifestamente infondata.
   Questa  Corte  nella sentenza n. 333/91 ha riconosciuto - come gia'
 rilevato - l'offensivita'  della  condotta  del  tossicodipendente  o
 tossicofilo che, per il suo personale consumo differito, accumuli una
 quantita'  di  sostanza  stupefacente  superiore  a quella tabellata.
 Superata tale soglia di punibilita',  le  circostanze  soggettive  ed
 oggettive  (che in concreto connotano la detenzione per uso personale
 e tra cui rientrano il grado di  tolleranza  del  soggetto  assuntore
 ovvero  la  maggiore  o  minore  efficacia  stupefacente  del modo di
 assunzione) possono essere non di meno apprezzate dal giudice  penale
 ex   artt.  132  e  133  c.p.  Pertanto  il  fatto  che  il  medesimo
 quantitativo di  esubero  della  droga  accumulata  possa  avere  una
 diversa  valenza in ragione del maggiore o minore grado di tolleranza
 del  soggetto assuntore, ovvero delle modalita' di assunzione, non e'
 privo di rilevanza e puo' condurre ad un trattamento differenziato in
 termini di gravita' del fatto accertato, non  senza  considerare  che
 l'offensivita'  della  condotta  non  viene  meno  per  il  fatto che
 l'accumulo - in ragione dello stato di  assuefazione  particolarmente
 accentuata  del  tossicodipendente - risulti essere di minima (ma non
 nulla) entita'.
    10. - Infine il medesimo giudice rimettente censura l'art. 90  del
 T.U.  citato  perche' contrastante con l'art. 3 Cost., per disparita'
 di trattamento nella forma di pari trattamento riservato a situazioni
 meno gravi (droghe leggere ovvero  consumo  occasionale)  rispetto  a
 quello  previsto  per  situazioni  piu'  gravi (droghe pesanti ovvero
 consumo abituale ), applicandosi in particolare solo a queste  ultime
 la  sospensione dell'esecuzione della pena detentiva per l'attuazione
 di un programma terapeutico o socio-riabilitativo.
    La questione non e' fondata.
    L'art. 90 T.U. approvato con d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309  prevede
 che  nei  confronti  di  persona condannata ad una pena detentiva non
 superiore a tre anni, anche se congiunta a pena pecuniaria, per reati
 commessi in relazione  al  proprio  stato  di  tossicodipendente,  il
 tribunale   di   sorveglianza   puo'   sospendere  (una  sola  volta)
 l'esecuzione della pena  per  cinque  anni  qualora  accerti  che  la
 persona  si e' sottoposta o abbia in corso un programma terapeutico e
 socioriabilitativo, sempre che dopo l'inizio di  tale  programma  non
 abbia  commesso altro delitto non colposo punibile con la reclusione.
 La soglia di applicabilita' del beneficio e' portata a  quattro  anni
 di  pena  detentiva  inflitta,  ove  i  reati  accertati siano quelli
 previsti dal quinto comma dell'art. 73.
    Il presupposto di applicabilita' del beneficio (che, all'esito del
 programma terapeutico e sempre che il  tossicodipendente  nei  cinque
 anni  successivi al provvedimento non commetta un delitto non colposo
 punibile con la sola reclusione, comporta l'estinzione della  pena  e
 di  ogni altro effetto penale) e' quindi duplice: mancato superamento
 di un tetto massimo di pena inflitta (ed a tal fine il tribunale puo'
 tener conto cumulativamente  di  pene  detentive  inflitte  con  piu'
 condanne  gia'  divenute  definitive);  effettuazione di un programma
 terapeutico e socioriabilitativo. Ed e' essenzialmente questa seconda
 condizione che costituisce la ratio dell'istituto volto a favorire il
 recupero dei tossicodipendenti, che in tal modo abbiano concretamente
 e meritevolmente mostrato di volersi adoperare per sottrarsi al giogo
 della droga e nello stesso tempo si  siano  astenuti  dal  commettere
 altri  delitti  (non  colposi).  Sicche'  questa speciale sospensione
 dell'esecuzione della pena detentiva assume  un  carattere  latamente
 premiale  (che  l'accomuna alla disciplina altrettanto speciale della
 custodia   cautelare   e   dell'affidamento   in    prova    prevista
 rispettivamente   dagli   artt.   89   e   94   T.U.   cit.   ove  il
 tossicodipendente  si  sottoponga  ad  un  programma  terapeutico  di
 recupero)  ed  una  connotazione  incentivante  del  recupero  stesso
 (perche' la mancata prosecuzione del programma comporta la revoca del
 beneficio).
    Secondo il giudice rimettente, pero', l'ammissione al beneficio  -
 proprio  perche'  e'  condizionato  alla  praticabilita' da parte del
 soggetto  di  un  programma  terapeutico   e   socioriabilitativo   -
 presuppone uno stato di tossicodipendenza non ipotizzabile in caso di
 consumatori  occasionali,  o di consumatori di droghe leggere che non
 inducono dipendenza.
    Deve pero' rilevarsi che la norma censurata non contiene, nel  suo
 tenore  testuale, nessuna limitazione in ragione del tipo di sostanza
 stupefacente che abbia determinato nel soggetto condannato  lo  stato
 di  dipendenza (inteso come limitazione dell'area del libero arbitrio
 e   della   piena   capacita'    di    autodeterminazione,    indotta
 dall'abitualita'  del  consumo  di  sostanze stupefacenti), stato che
 costituisce l'unico elemento giuridicamente rilevante. L'accertamento
 in concreto dello stato di tossicodipendenza del soggetto  condannato
 unitamente   a   quello   del   correlato   carattere  terapeutico  e
 socioriabilitativo  del  programma  di  recupero  e'   demandato   al
 tribunale di sorveglianza. Nessuna disparita' di trattamento sussiste
 quindi  in  ragione  del  tipo  di  sostanza  stupefacente  che abbia
 determinato lo stato di dipendenza.
    Nel caso invece di consumo occasionale ovvero di consumo  abituale
 che non abbia causato alcuno stato di tossicodipendenza viene meno il
 presupposto   della   misura   premiale  nel  senso  che  l'eventuale
 persistere del  soggetto  nel  consumo  di  droga  e'  pienamente  ed
 integralmente  nella  sfera  del  suo libero arbitrio, sicche' non e'
 ingiustificatamente discriminante per la diversita' delle  situazioni
 poste  in  comparazione che non trovi applicazione la speciale misura
 della   sospensione   dell'esecuzione   della   pena,   non   essendo
 ipotizzabile  alcuna  terapia  o  riabilitazione del "tossicofilo-non
 tossicodipendente" da incoraggiare e sostenere. In tali casi pero'  -
 ricorrendone  i  presupposti  - puo' trovare applicazione (in sede di
 pronuncia della condanna) il  generale  beneficio  della  sospensione
 condizionale della pena.
    Se   pero'  la  disciplina  differenziata  contenuta  nella  norma
 censurata non confligge con il canone costituzionale dell'eguaglianza
 di trattamento, non di meno - nel quadro della globale verifica,  sul
 concreto  terreno  applicativo,  degli effetti della legge n. 162 del
 1990, anche al fine di "individuare le linee  di  ogni  possibile  ed
 utile  modifica  migliorativa"  (sent.  333/91)  -  e'  rimessa  alla
 discrezionalita'  del  legislatore  pure  la  eventuale   valutazione
 dell'opportunita'  di  introdurre,  in  relazione  ai  reati previsti
 dall'art. 73, quinto comma, cit., una parallela misura premiale anche
 in favore del mero tossicofilo.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
     a)  Dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art. 82 bis della legge 22 dicembre 1975 n. 685,
 come modificata dalla legge 26 giugno  1990  n.  162  (corrispondente
 all'art. 90 del d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, Testo unico delle leggi
 in  materia  di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope),
 sollevata in relazione all'art. 3 della Costituzione dal giudice  per
 le  indagini  preliminari  presso  il  tribunale  di  Campobasso  con
 l'ordinanza in epigrafe;
    b)   Dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale degli artt. 71, 72 e 72 quater della legge 22 dicembre
 1975  n.  685,  come  modificata  dalla  legge  26 giugno 1990 n. 162
 (corrispondenti rispettivamente agli artt. 73, 75 e 78 del  d.P.R.  9
 ottobre 1990 n. 309, Testo unico delle leggi in materia di disciplina
 degli  stupefacenti  e  sostanze  psicotrope), sollevata in relazione
 all'art. 27, primo e terzo comma, della Costituzione dal tribunale di
 Torino con l'ordinanza in epigrafe;
     c) Dichiara manifestamente infondate le questioni di legittimita'
 costituzionale degli artt. 71, 72 e 72 quater della legge 22 dicembre
 1975 n. 685, come modificata  dalla  legge  26  giugno  1990  n.  162
 (corrispondenti  rispettivamente  agli artt. 73, 75 e 78 del d.P.R. 9
 ottobre 1990 n. 309, Testo unico delle leggi in materia di disciplina
 degli stupefacenti e sostanze  psicotrope),  sollevate  in  relazione
 agli  artt.  3, 13 e 25 della Costituzione dal tribunale di Roma, dal
 giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di  Camerino,
 dal  giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Roma,
 dal tribunale di Torino, dal Tribunale di Sassari, dal giudice per le
 indagini preliminari presso il tribunale di Campobasso,  dal  giudice
 per  le  indagini  preliminari  presso il tribunale di Crotone con le
 ordinanze in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 16 marzo 1992
                       Il Presidente: CORASANITI
                         Il redattore: GRANATA
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 27 marzo 1992.
                       Il cancelliere: DI PAOLA
 92C0376