N. 141 SENTENZA 17 - 30 marzo 1992

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Opere  pubbliche  -  Edilizia  popolare  -  Attuazione  dei  piani  -
 Acquisizione  di aree ed interventi - Scadenza dei termini - Proroghe
 -  Insussistenza  della  violazione  e  della  tutela  di   posizioni
 soggettive  fondamentali  -  Non  fondatezza  nei  sensi  di  cui  in
 motivazione.
 
 (D.-L. 22 dicembre 1984, n. 901, art. 1- bis, primo e secondo  comma,
 aggiunto dalla legge 1› marzo 1985, n. 42).
 
 (Cost., artt. 3 e 42).
(GU n.15 del 8-4-1992 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
    CASAVOLA,  prof.  Antonio  BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,
    avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  prof.
    Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1- bis, primo e
 secondo  comma,  aggiunto  al  decreto-legge 22 dicembre 1984, n. 901
 (Proroga della  vigenza  di  taluni  termini  in  materia  di  lavori
 pubblici),  dalla  legge di conversione 1 marzo 1985, n. 42, promosso
 con ordinanza emessa il 22 novembre 1990 dal Tribunale amministrativo
 regionale per il Lazio nel ricorso proposto  da  Paolo  Stramacci  ed
 altra  contro  il  Comune  di  Roma  iscritta  al n. 633 del registro
 ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 41, prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visto l'atto di costituzione di Paolo Stramacci ed altra,  nonche'
 l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  4  febbraio  1992  il  Giudice
 relatore Gabriele Pescatore;
    Udito l'avvocato Giuseppe Lavitola e l'Avvocato dello Stato Plinio
 Sacchetto per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Il Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Lazio,  con
 ordinanza  22  novembre  1990, ha sollevato questione di legittimita'
 costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e  42,  secondo  e  terzo
 comma,  della  Costituzione  dell'art.  1-  bis, aggiunto al d.-l. 22
 dicembre 1984, n. 901, dalla legge di conversione 1  marzo  1985,  n.
 42.  Il  primo  comma  di tale articolo dispone che "l'attuazione dei
 piani di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167 e successive modifiche
 e integrazioni, i quali scadono  entro  il  31  dicembre  1987,  puo'
 essere  portata  a  compimento  qualora  entro sei mesi dalla data di
 scadenza siano adottati gli atti o iniziati i  procedimenti  comunque
 preordinati    all'acquisizione    delle    aree   o   all'attuazione
 degl'interventi"; il  secondo  comma  stabilisce  che,  per  i  piani
 scaduti  prima  della data di entrata in vigore della legge n. 42 del
 1985, il termine di sei mesi decorre da tale data e sono fatti  salvi
 gli atti e i procedimenti precedentemente adottati o iniziati.
    Nell'ordinanza  si premette che il giudizio a quo aveva ad oggetto
 l'impugnativa di una deliberazione della giunta del Comune  di  Roma,
 in data 7 agosto 1985, con la quale si era avviato il procedimento di
 espropriazione  per  pubblica  utilita'  delle aree occorrenti per la
 realizzazione di un piano di zona destinato ad edilizia  economica  e
 popolare,  con  l'autorizzazione  del  deposito  presso la segreteria
 comunale  dell'elenco  dei  proprietari  interessati,  nonche'  della
 planimetria  catastale  del  piano  regolatore generale e della mappa
 catastale, sulla quale sono indicate le aree da espropriare. Il piano
 suddetto era stato approvato  l'11  agosto  1964;  la  sua  efficacia
 temporale,  -  pari  a  diciotto anni in base all'art. 51 L. 5 agosto
 1978, n. 457, con l'aggiunta di ulteriori due anni  per  effetto  del
 decreto  del  presidente  della  Giunta  regionale  del Lazio n. 1383
 dell'8 luglio 1982 -, era scaduta l'11 agosto 1984.
    Secondo il giudice a quo, mentre  non  e'  sindacabile  la  scelta
 legislativa  di  ritenere idoneo alla reviviscenza o al protrarsi dei
 vincoli preordinati all'espropriazione, un  qualunque  atto  relativo
 all'acquisizione  delle  aree o all'attuazione degl'interventi, viola
 l'art. 42 Cost. la  mancata  previsione  di  termini  entro  i  quali
 concludere  la  procedura  espropriativa,  a  pena  di  decadenza dei
 vincoli costituiti sulle proprieta' interessate.
    Inoltre, secondo  il  giudice  remittente,  anche  se  la  diversa
 finalita'  che  possono  avere  i  vincoli  non  consente di ritenere
 violato, in linea di principio, l'art.  3  Cost.  per  la  differente
 durata  della loro validita' (cinque anni per i vincoli derivanti dai
 piani  regolatori;  dieci  per  i   vincoli   derivanti   dai   piani
 particolareggiati; diciotto anni, fino alla legge n. 42 del 1985, per
 i  vincoli  derivanti  dai  piani  di edilizia economica e popolare),
 tuttavia l'art. 1- bis impugnato, violerebbe anche l'art. 3 Cost., in
 quanto  attribuisce  ai  vincoli  derivanti  dai  piani  di  edilizia
 economica  e  popolare  una  durata  cosi' notevolmente differenziata
 rispetto al piano particolareggiato,  cui  e'  pure  legislativamente
 equiparato.
    Davanti  a questa Corte e' intervenuto il Presidente del Consiglio
 dei ministri, eccependo in via pregiudiziale l'inammissibilita' della
 questione per difetto di motivazione sulla rilevanza. Nel  merito  ne
 ha  dedotto  la  non fondatezza, osservando che, a norma dell'art. 1-
 bis  del  d.-l.  n.  901  del  1984,  poiche'  il   procedimento   di
 espropriazione  e' composto da atti tipici, soltanto questi atti sono
 in grado di restituire efficacia ai piani  di  edilizia  economica  e
 popolare,  e  sono  i  tempi  della  loro  sequenza procedimentale ad
 assicurare la tutela della proprieta'.
    Nell'atto di costituzione si afferma al riguardo che non esiste un
 principio  costituzionale  che  imponga di delimitare temporalmente i
 procedimenti espropriativi e - anche se esistesse - "l'ordinanza  del
 tribunale  amministrativo regionale risulterebbe viziata da un errore
 di prospettiva, perche' l'illegittimita' riguarderebbe non  la  norma
 censurata,  ma  la  normativa di rinvio che concerne l'esecuzione dei
 procedimenti  espropriativi".  Ne'  sarebbe  fondata  l'eccezione  di
 costituzionalita' basata sull'art. 3 Cost., poiche' la diversa natura
 e  la  diversa  finalita'  dei  vari vincoli giustificano una diversa
 durata   degli   stessi,    secondo    valutazioni    rimesse    alla
 discrezionalita' del legislatore.
    Si  sono costituiti dinanzi a questa Corte i proprietari dei suoli
 inseriti nei piani di edilizia economica e popolare,  ricorrenti  nel
 giudizio  a  quo,  concludendo  per  la declaratoria d'illegittimita'
 costituzionale della disposizione impugnata.
    Nell'atto di  costituzione  si  sottolinea  che  la  questione  e'
 certamente  rilevante  nel  giudizio  a  quo;  essa,  poi non sarebbe
 manifestamente infondata, sulla base della giurisprudenza  di  questa
 Corte  che ha sancito, in riferimento all'art. 42 della Costituzione,
 l'illegittimita' di una mancata delimitazione nel tempo  dei  vincoli
 preordinati   all'espropriazione.      Se   ne   sostiene,  altresi',
 l'illegittimita' costituzionale  in  riferimento  all'art.  3  Cost.,
 sotto il profilo che non sarebbe ragionevole la indefinita durata del
 piano  per  l'edilizia economica e popolare rispetto agli altri piani
 di  edilizia,  considerata  anche  la  sua  equiparazione  al   piano
 particolareggiato.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Questa  Corte  e'  chiamata  a  decidere  se l'art. 1- bis,
 aggiunto  al  d.-l.  22  dicembre  1984,  n.  901,  dalla  legge   di
 conversione  1  marzo  1985,  n. 42 - disponendo che l'attuazione dei
 piani di cui alla l. 18 aprile 1962, n. 167 e successive modifiche  e
 integrazioni,  i quali scadono entro il 31 dicembre 1987, puo' essere
 portata a compimento qualora entro sei mesi dalla  data  di  scadenza
 siano   adottati   gli   atti  o  iniziati  i  procedimenti  comunque
 preordinati   all'acquisizione   delle    aree    o    all'attuazione
 degl'interventi  e  che,  per  i  piani scaduti prima dell'entrata in
 vigore di essa legge n. 42 del 1985, il termine di sei  mesi  decorre
 da tale data - contrasti:
       a)  con  l'art.  42  Cost.,  avendo  disposto il protrarsi o la
 reviviscenza   dei   vincoli   preordinati   all'espropriazione,   in
 connessione   al   compimento   di   un  qualunque  atto  preordinato
 all'acquisizione delle aree e all'attuazione  degl'interventi,  senza
 la  previsione  di  alcun  termine per la conclusione della procedura
 espropriativa, a pena  di  decadenza  dei  vincoli  costituiti  sulle
 proprieta' interessate;
       b)  con  l'art.  3  Cost.,  in  quanto  attribuisce  ai vincoli
 derivanti dai piani di edilizia economica e popolare una durata cosi'
 notevolmente differenziata, rispetto a quelli derivanti  dagli  altri
 piani di zona, da apparire priva di ragionevolezza.
    2. - In via preliminare va respinta l'eccezione d'inammissibilita'
 della questione, sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato sotto
 il  profilo  del  difetto  di motivazione circa la rilevanza, per non
 avere il giudice remittente tenuto conto dell'eccezione, proposta nel
 giudizio a quo, d'inammissibilita' del ricorso,  in  quanto  promosso
 contro  un atto preparatorio, inidoneo a produrre una lesione attuale
 dell'interesse dedotto in giudizio.
    Invero,  ogni  valutazione  in  proposito  e' riservata al giudice
 remittente  che,  affermando  l'idoneita'  degli  atti  impugnati   a
 determinare la "reviviscenza" del piano, sul quale si controverte nel
 giudizio a quo, ha implicitamente rigettato l'eccezione suddetta.
    Sotto   tale   profilo  appare  esauriente  l'apprezzamento  circa
 l'attitudine a produrre tale effetto della deliberazione della giunta
 municipale  di  Roma  in  data   7   agosto   1985,   relativa   alla
 espropriazione  delle  aree occorrenti per la realizzazione del piano
 di zona n. 18, e dell'avviso di espropriazione ex art. 10 della l. 22
 ottobre 1971, n. 865.
    In relazione all'impugnazione di essi  il  giudice  remittente  ha
 adeguatamente motivato la rilevanza della questione, deducendo che il
 piano  in questione e' scaduto l'11 agosto 1984 e la previsione della
 sua "reviviscenza" rientra nell'ambito e negli  effetti  della  norma
 impugnata, in correlazione con gli atti suddetti.
    3.  -  Nell'esame  del  merito  appaiono  superabili  i  dubbi  di
 violazione degli artt. 3 e 42 della Costituzione.
    E' stato rilevato che l'art. 1-bis del d.l. 22 dicembre  1984,  n.
 901  (dal  quale  trarrebbe  base  la illimitata estensione temporale
 dell'efficacia  dei  piani  per  l'edilizia  economica  e   popolare)
 connette la prosecuzione dell'efficacia di tali piani all'adozione di
 atti  o  all'inizio di procedimenti qualificati, entro sei mesi dalla
 data di entrata in vigore della legge impugnata. Cosi' disponendo, la
 norma "impone l'osservanza  di  limiti  cronologici  ben  determinati
 entro  i  quali  debbono  esplicarsi  gli  adempimenti dell'autorita'
 amministrativa,  intesi  a  mantenere  in  vita   la   procedura   di
 attuazione'; quindi "il timore di un vincolo della proprieta' privata
 protratto  indefinitamente nel tempo non ha ragione di essere" (Cass.
 15 maggio 1990, n. 4177).
    E' da aggiungere che ai nuovi adempimenti previsti dalla legge  si
 collegano  atti  e  procedimenti  successivi  e  conseguenti idonei a
 garantire  la  tutela   delle   posizioni   soggettive   interessate.
 L'Avvocatura  generale  dello  stato  ha segnalato questa situazione,
 riferendosi, nel suo intervento, ad atti tipici,  che  caratterizzano
 il  procedimento  di  espropriazione, con i tempi della loro sequenza
 procedimentale, idonei a tutelare la proprieta'.
    Tra tali atti e' da richiamare quello di  fissazione  dei  termini
 per  l'inizio  e  l'ultimazione  delle  espropriazioni  e dei lavori,
 connaturale ad ogni procedimento  espropriativo  secondo  una  regola
 rimasta ferma anche dopo l'entrata in vigore della l. n. 865 del 1971
 (cfr. Corte costituzionale sent. 21 dicembre 1985, n. 355).
    L'esigenza  di  delimitare nel tempo l'esercizio della potesta' di
 espropriazione si pone con particolare  vigore  nell'ipotesi  che  la
 dichiarazione  di  pubblica utilita' sia contenuta direttamente nella
 legge o si riferisca a determinate categorie di opere, quando manchi,
 cioe', uno specifico atto amministrativo  che  dichiari  la  pubblica
 utilita'.
    In  tali  casi, secondo un fondato indirizzo giurisprudenziale, la
 fissazione dei termini e' legittimamente contenuta in un atto il piu'
 possibile  coevo   all'inizio   dell'attivita'   amministrativa   con
 finalita' ablatorie.
    Non   sfugge   a   questa  Corte  il  diffuso  orientamento  della
 giurisprudenza (richiamato anche nell'ordinanza di rimessione)  circa
 la  non applicabilita' del principio della fissazione dei termini nei
 procedimenti inerenti ai piani per l'edilizia economica e popolare.
    E' da rilevare in contrario che, in questo  settore,  l'osservanza
 della  determinazione  cronologica  non e' esclusa da alcuna espressa
 norma; ne' una tale esclusione si puo'  dedurre  da  quella  -  o  da
 quelle norme - che stabiliscono la durata globale del piano, dato che
 cosi'   si  provvede  non  gia'  a  regolare  fasi  del  procedimento
 espropriativo, ma a  determinare  effetti  concernenti  programmi  di
 intervento  nei  confronti  di  tutti  gli  eventuali interessati. La
 fissazione del termine iniziale e finale si deve,  invece,  esplicare
 necessariamente  nella fase di concreta realizzazione del piano (che,
 com'e' noto, e' di lunga proiezione temporale), nella sua funzione di
 elemento intrinseco alle modalita'  attuative,  a  fini  di  garanzia
 specifica dei soggetti individuati e in concreto implicati.
    L'"emergenza abitativa" ha dato luogo, con l'adozione dei piani di
 edilizia,  dei  quali  e' questione, ad una previsione programmata ed
 estesa di interventi, con obiettivi qualitativi e quantitativi talora
 non compiutamente definiti, anche in riferimento ai modi e  ai  mezzi
 della  loro  realizzazione,  si'  che  nella  fase  attuativa occorre
 garantire  il  rispetto  delle  regole  di  tutela  delle   posizioni
 soggettive fondamentali.
    Poiche' dal sistema sono deducibili regole per tale garanzia, puo'
 concludersi  per  la non fondatezza, nei sensi di cui in motivazione,
 delle  censure  di  illegittimita'  costituzionale  prospettate   dal
 Tribunale  amministrativo regionale per il Lazio, relative agli artt.
 3 e 42 della Costituzione, connesse alla  affermazione  della  durata
 indefinita  del piano per quanto concerne l'acquisizione delle aree e
 l'attuazione degli interventi di edilizia economica e popolare.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
 di legittimita' costituzionale dell'art.  1-  bis,  primo  e  secondo
 comma,  aggiunto  al  decreto-legge 22 dicembre 1984, n. 901 (Proroga
 della vigenza di taluni termini in materia di lavori pubblici)  dalla
 legge  di  conversione  1  marzo 1985, n. 42, sollevata dal Tribunale
 amministrativo regionale per il Lazio in riferimento agli artt.  3  e
 42 della Costituzione, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 17 marzo 1992.
                       Il Presidente: CORASANITI
                        Il redattore: PESCATORE
                       Il cancelliere: FRUSCELLA
    Depositata in cancelleria il 30 marzo 1992.
                       Il cancelliere: FRUSCELLA
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