N. 142 SENTENZA 17 - 30 marzo 1992

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Assegno bancario - Protesto - Prova  documentale  -
 Verbale  - Fascicolo dibattimentale - Inclusione - Mancata previsione
 - Erronea premessa interpretativa del giudice
 remittente - Non fondatezza nei sensi di cui in motivazione.
 
 (C.P.P., art. 431).
 
 (Cost., artt. 24, 76 e 97).
(GU n.15 del 8-4-1992 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele  PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco Paolo
    CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,
    avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof.  Francesco  GUIZZI,
    prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 431 del codice
 di procedura penale promosso con ordinanza emessa  l'11  aprile  1991
 dal  Pretore  di  Brescia  -  Sezione  distaccata di Montichiari, nel
 procedimento penale a carico di Fiorangela Moreni iscritta al n.  635
 del  registro  ordinanze  1991  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio del 5 febbraio 1992 il Giudice
 relatore Enzo Cheli;
                           Ritenuto in fatto
    Nel procedimento penale a carico di  Fiorangela  Moreni,  imputata
 del reato previsto e punito dall'art. 116, n. 2, del regio decreto 21
 dicembre 1933, n. 1736, il Pretore di Brescia - Sezione distaccata di
 Montichiari,   con   ordinanza  dell'11  aprile  1991,  ha  sollevato
 d'ufficio questione di legittimita' costituzionale -  in  riferimento
 agli  artt. 76, 24 e 97 della Costituzione - dell'art. 431 del codice
 di procedura penale nella parte in cui non prevede l'inserimento  nel
 fascicolo  per  il  dibattimento del verbale di protesto dell'assegno
 bancario.
    Il giudice remittente - dopo aver rilevato che nel  fascicolo  del
 dibattimento  si  trova  inserito il verbale di protesto dell'assegno
 bancario privo di copertura  -  ritiene  di  non  poter  prendere  in
 considerazione  tale documento, dal momento che lo stesso non risulta
 compreso nell'elenco degli atti che concorrono a formare il fascicolo
 per il dibattimento (art. 431 c.p.p.) e dei quali  e'  consentita  la
 lettura (art. 511 c.p.p.).
    Ad  avviso  del giudice a quo il verbale di protesto non potrebbe,
 d'altro canto, essere acquisito come prova documentale  giacche'  "se
 e'  vero  che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 234, 495 e
 515 del codice di  procedura  penale,  possono  essere  ammessi  come
 documenti,  anche  a  richiesta  del pubblico ministero o addirittura
 d'ufficio
  ex art. 507 del codice di procedura penale, atti non  contenuti  nel
 fascicolo  del  dibattimento  ....  per  tale  via non possono essere
 ammessi  atti  implicanti  una  dichiarazione  di  scienza  nel  loro
 contenuto  testimoniale"  mentre  "il  verbale  di  protesto,  in  un
 processo per assegni a vuoto, puo' essere utile a fini probatori solo
 nel  suo  contenuto   testimoniale,   oltre   tutto   indiretto   (la
 dichiarazione,   resa   al  notaio  o  ad  altro  pubblico  ufficiale
 dall'istituto trattario, circa l'insufficienza dei fondi)".
   Il  giudice  a quo osserva anche che l'inserzione nel fascicolo per
 il dibattimento del verbale di protesto non potrebbe neppure derivare
 dal preteso carattere di "atto non ripetibile" del protesto stesso: e
 cio' in quanto al dibattimento potrebbe, comunque,  essere  acquisita
 con   facilita'   la  prova  della  mancanza  dei  fondi  al  momento
 dell'emissione dell'assegno ascoltando come testimone  il  dipendente
 della banca cui l'assegno fu presentato per il pagamento.
    Richiedere  tale  testimonianza  per  ogni  procedimento penale in
 materia di assegni a  vuoto  comporterebbe  pero'  un  appesantimento
 dell'attivita' giudiziaria, non giustificabile rispetto alle esigenze
 di difesa dell'imputato.
    Sulla base di queste premesse interpretative il giudice remittente
 solleva  il  dubbio  che  l'art. 431 del codice di procedura penale -
 nella parte in cui non prevede l'inserimento, nel  fascicolo  per  il
 dibattimento,   del  verbale  di  protesto  dell'assegno  bancario  -
 contrasti:
       a) con l'art. 76 della Costituzione per violazione dell'art. 2,
 nn. 1 e 103, della legge 16 febbraio 1987, n. 81,  dove  si  pone  il
 criterio  direttivo  della  massima  semplificazione,  poiche', nella
 fattispecie in esame, si realizzerebbe una complicazione  processuale
 non giustificata da concrete esigenze di difesa dell'imputato;
       b)  con l'art. 24 della Costituzione, in quanto si verrebbero a
 porre ingiustificati ostacoli al pubblico ministero  nel  fornire  la
 prova di uno degli elementi essenziali del reato;
       c)  con l'art. 97 della Costituzione, per il fatto di apportare
 un inutile appesantimento ed un intralcio all'attivita'  giudiziaria,
 contrastanti con il principio del buon andamento dell'amministrazione
 della giustizia.
    Nel   giudizio  dinanzi  alla  Corte  ha  spiegato  intervento  il
 Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
 dall'Avvocatura  generale  dello Stato, per chiedere che la questione
 sia dichiarata infondata.
                        Considerato in diritto
    1. - La questione sollevata investe la legittimita' costituzionale
 - in riferimento  agli  artt.  76,  24  e  97  della  Costituzione  -
 dell'art.  431 del codice di procedura penale, nella parte in cui non
 consente l'inclusione del verbale di protesto  dell'assegno  bancario
 tra gli atti che compongono il fascicolo per il dibattimento.
    2. - La questione non e' fondata.
    Nel  sollevarla  il  giudice  remittente  prende  le  mosse da due
 presupposti, tra loro connessi.
    Il primo e' che  il  verbale  di  protesto  dell'assegno  bancario
 emesso  senza  provvista non si trova ricompreso tra gli atti che, in
 base all'art. 431  del  codice  di  procedura  penale,  concorrono  a
 formare il fascicolo per il dibattimento.
    Il  secondo  e'  che  il suddetto verbale di protesto non potrebbe
 neppure essere acquisito come prova documentale  ai  sensi  dell'art.
 234 dello stesso codice di procedura.
    Secondo  il  giudice  remittente,  infatti, il verbale di protesto
 sarebbe  inutilizzabile  a  fini   probatori   "nel   suo   contenuto
 testimoniale",  cioe'  nella  parte relativa alla dichiarazione sulla
 insufficienza di fondi, dal momento che tale  dichiarazione  potrebbe
 trovare  correttamente  ingresso  nel  processo  solo  attraverso una
 testimonianza  del  soggetto  che,  presso  l'istituto  trattario, ha
 constatato la mancanza di fondi.
    L'interpretazione che sorregge questa seconda  premessa  non  puo'
 essere, peraltro, condivisa.
    L'art.   234  del  codice  di  procedura  penale,  nel  consentire
 l'acquisizione nel processo come prove documentali "di scritti  o  di
 altri  documenti  che rappresentano fatti, persone o cose mediante la
 fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo"
 identifica e definisce il documento  -  cosi'  come  precisato  nella
 Relazione  al  progetto  preliminare  del  nuovo codice - "in ragione
 della sua attitudine a rappresentare". E cio' senza discriminare  tra
 i   diversi   mezzi  di  rappresentazione  e  le  differenti  realta'
 "rappresentate" e, in particolare,  senza  operare  una  distinzione,
 quale quella adombrata nell'ordinanza di rinvio, tra rappresentazione
 di fatti e rappresentazione di dichiarazioni.
    In linea di principio, pertanto - contrariamente a quanto asserito
 dal  giudice  remittente  - puo' costituire prova documentale e, come
 tale, puo'  trovare  ingresso  nel  processo  penale  il  verbale  di
 protesto  dell'assegno  bancario,  che riproduce, unitamente ad altri
 dati, la richiesta di pagamento del pubblico ufficiale e la  risposta
 del  trattario  sulla  insussistenza dei fondi necessari a soddisfare
 tale richiesta.
    Si rivela, pertanto, priva di fondamento l'affermazione  del  pre-
 tore  remittente  secondo  cui,  in  tutti  i procedimenti penali per
 assegni a  vuoto,  il  giudice  potrebbe  acquisire  la  prova  della
 mancanza  di fondi solo ascoltando come testimone il dipendente della
 banca cui l'assegno fu presentato per il pagamento. Al contrario,  la
 non  inclusione del verbale di protesto dell'assegno bancario tra gli
 atti che concorrono a formare, ai sensi dell'art. 431 del  codice  di
 procedura  penale,  il  fascicolo per il dibattimento non preclude in
 alcun modo l'utilizzabilita' nel processo  del  verbale  stesso,  che
 potra'  essere  assunto  come prova documentale secondo la disciplina
 sancita, in generale, nell'art. 190 del codice di procedura penale.
    Caduta  la  premessa  interpretativa  seguita  dall'ordinanza   di
 rinvio,  cadono  di  conseguenza  tutte  le  argomentazioni dirette a
 giustificare, sulla base di tale premessa, i  dubbi  di  legittimita'
 costituzionale  prospettati nei confronti dell'art. 431 del codice di
 procedura penale in  relazione  agli  articoli  76,  24  e  97  della
 Costituzione.  La  disciplina in esame - ove correttamente coordinata
 con quella posta dall'art. 234 in tema di  prove  documentali  -  non
 confligge, infatti, con alcuno dei parametri costituzionali invocati,
 dal  momento  che  non  incide sui criteri di semplificazione dettati
 dalla legge di delega, non crea  al  pubblico  ministero  particolari
 ostacoli  nel  fornire  la prova di uno degli elementi essenziali del
 reato, ne' reca all'attivita' giudiziaria - anche a  voler  ammettere
 la  possibilita'  di  far  valere  in materia il richiamo all'art. 97
 della Costituzione - intralci incompatibili con il principio del buon
 andamento dell'amministrazione della giustizia.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
 di legittimita' costituzionale dell'art. 431 del codice di  procedura
 penale,  sollevata,  in  riferimento  agli  artt.  76,  24 e 97 della
 Costituzione,  dal  Pretore  di  Brescia  -  Sezione  distaccata   di
 Montichiari, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 17 marzo 1992.
                       Il Presidente: CORASANITI
                          Il redattore: CHELI
                       Il cancelliere: FRUSCELLA
    Depositata in cancelleria il 30 marzo 1992.
                       Il cancelliere: FRUSCELLA
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