N. 152 ORDINANZA 18 marzo - 1 aprile 1992

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Pena  - Pena pecuniaria - Insolvibilita' - Conversione nella sanzione
 sostitutiva - Fissazione di un tetto massimo  di  durata  -  Richiamo
 alla giurisprudenza della Corte (sentenze nn.  108/1987 e 131/1979) -
 Ragionevolezza  - Strumento di un possibile e tendenziale adeguamento
 al principio di eguaglianza - Preservazione del principio rieducativo
 della pena - Giustificazione della limitazione di una  sanzione  piu'
 afflittiva della pena pecuniaria originaria - Manifesta infondatezza.
 
 (Legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 102 e 103).
 
 (Cost., artt. 2, 3, 13, 24 e 27).
(GU n.15 del 8-4-1992 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
    CASAVOLA,  prof.  Antonio  BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,
    avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, dott. Renato GRANATA, prof.
    Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli  artt.  102  e  103
 della  legge  24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale),
 promosso con ordinanza emessa il 10 luglio  1991  dal  Magistrato  di
 sorveglianza di Napoli nel procedimento di sorveglianza nei confronti
 di Di Guida Salvatore, iscritta al n. 636 del registro ordinanze 1991
 e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima
 serie speciale, dell'anno 1991;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 19 febbraio 1992 il Giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
    Ritenuto  che  il  Magistrato  di  sorveglianza  di  Napoli,   nel
 procedere  alla conversione della pena pecuniaria irrogata a Di Guida
 Salvatore, condannato dal Tribunale di Napoli alle pene di anni sette
 di reclusione e  lire  25  milioni  di  multa  (pene  successivamente
 condonate nella misura di anni due di reclusione e lire 10 milioni di
 multa),  premesso  di aver accertato "l'insolvibilita' del condannato
 ai fini dell'esazione della pena pecuniaria, come  da  documentazione
 in  atti",  ha,  con  ordinanza  del  10  luglio  1991, sollevato, in
 riferimento agli  artt.  2,  3,  13,  24  e  27  della  Costituzione,
 questione  di  legittimita'  degli  artt.  102  e  103 della legge 24
 novembre 1981, n. 689, "nella parte in cui fissando un tetto  massimo
 di  durata", valido "erga omnes, della sanzione sostitutiva applicata
 in sede di conversione della pena pecuniaria", omettono di tenere "in
 debita considerazione la entita', rilevanza  e  gravita'  della  pena
 pecuniaria in concreto irrogata con sentenza di condanna";
      che,  secondo  il  giudice  a  quo  ,  la  ratio che ha ispirato
 l'introduzione dei limiti previsti dalle norme censurate "si presenta
 nell'attuale sistema penale processuale, alla luce  degli  artt.  660
 c.p.p.   e   101   e   segg.   legge  n.  689/81,  dove  le  garanzie
 giurisdizionali   abbondano   e   consentono   una    ampia    tutela
 costituzionale  in  ogni momento dell'esecuzione, come un'insolita ed
 inutile roccaforte";
      che  nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  Generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;
    Considerato  che  la previsione di un tetto massimo entro il quale
 puo' essere operata la conversione, lungi dal vulnerare i principi di
 eguaglianza e della funzione rieducativa della pena, risulta, invece,
 stabilita proprio  in  funzione  dell'osservanza  di  tali  parametri
 costituzionali;
      che,  piu'  in particolare, quanto al rispetto dell'art. 3 della
 Costituzione, questa Corte ha gia' avuto occasione di precisare  come
 le  norme  denunciate,  con  la fissazione di tetti massimi di durata
 delle misure, rappresentano uno degli  strumenti  "di  un  possibile,
 tendenziale  adeguamento al principio di eguaglianza" (v. sentenza n.
 108 del 1987 che, a sua volta, richiama la sentenza n. 131 del 1979);
      e che, ferma  l'esigenza  che  l'area  della  conversione  debba
 essere  comunque  delimitata,  derivandone  altrimenti  il rischio di
 porre a carico del condannato insolvente una sanzione che travalichi,
 quanto ad afflittivita',  ogni  proporzione  rispetto  alla  sanzione
 inflitta dal giudice della cognizione, non appare irrazionale - tanto
 intrinsecamente  quanto in rapporto alle concrete, diverse situazioni
 di fatto in cui deve operare la conversione - la  predisposizione  di
 limiti   normativi   che,   pur   rilevando   nell'esclusivo   ambito
 dell'esecuzione, esplicano  la  sola  funzione  di  circoscrivere  la
 portata  afflittiva,  per  il  condannato di cui pur sempre sia stata
 giudizialmente accertata l'insolvenza,  delle  conseguenze  derivanti
 dalla tramutazione della sanzione pecuniaria in sanzione detentiva;
      che,  al  contrario,  una  volta  ritenuta, come sembra ritenere
 anche il giudice a quo, la necessita' di un limite alla misura  della
 conversione,  risulterebbe  di dubbia compatibilita' con il principio
 della riserva di legge in materia penale un regime che demandasse  al
 giudice    -   pur   nell'ambito   di   una   procedura   rigidamente
 giurisdizionalizzata - il compito di determinare, di volta in  volta,
 in  relazione al disvalore del fatto, alla personalita' del colpevole
 ovvero ad altri parametri, il limite al di  la'  del  quale  la  pena
 pecuniaria  non e' piu' convertibile, oltre tutto considerando che lo
 stato di insolvibilita'  donde  deriva  il  ragguaglio,  non  potendo
 eccedere  dai limiti ragionevolmente stabiliti dal legislatore, e' in
 grado   di   realizzare   egualmente   quel   sistema   di    massima
 "individualizzazione" della sanzione penale auspicato dal rimettente;
      che,  di  conseguenza,  la  normativa  denunciata, limitando nel
 quantum la possibilita' di conversione in  una  sanzione  decisamente
 piu'  afflittiva  della  pena  pecuniaria  originaria,  tende anche a
 scongiurare che l'afflittivita' della pena sostitutiva travalichi dal
 perseguimento dell'esigenza rieducativa enunciata dall'art. 27, terzo
 comma, della Costituzione, in un sistema, per giunta, che  prevedendo
 talora   l'irrogazione   anche   di   pene  pecuniarie  proporzionali
 rischierebbe, in mancanza di una  delimitazione  certa  della  misura
 della  pena  da  convertire, di produrre effetti incompatibili con la
 funzione rieducativa della pena;
      che, a fugare  ogni  dubbio  in  ordine  all'effettiva  funzione
 assegnata  alle  norme  denunciate  ed  alla  loro  aderenza  ai  due
 parametri ora evocati resta anche da considerare che  il  sistema  e'
 predisposto  in  modo  tale  da  impedire  che  il  condannato  possa
 dolosamente  sottrarsi  all'esecuzione della pena pecuniaria (v. art.
 388- ter del codice penale, introdotto  dall'art.  109  della  stessa
 legge n. 689 del 1981);
      che nessuna compromissione deriva in conseguenza delle norme de-
 nunciate agli ulteriori parametri costituzionali assunti a raffronto,
 in  ordine  ai  quali,  peraltro,  il giudice a quo non adduce alcuno
 specifico argomento a sostegno della dedotta violazione;
      che, di conseguenza, la questione,  cosi'  come  proposta,  deve
 essere dichiarata manifestamente infondata;
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara la manifesta infondatezza della questione di  legittimita'
 costituzionale degli artt. 102 e 103 della legge 24 novembre 1981, n.
 689  (Modifiche  al  sistema  penale), sollevata, in riferimento agli
 artt. 2, 3, 13,  24  e  27  della  Costituzione,  dal  Magistrato  di
 sorveglianza di Napoli con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 18 marzo 1992.
                       Il presidente: CORASANITI
                        Il redattore: VASSALLI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 1› aprile 1992.
                       Il cancelliere: DI PAOLA
 92C0399