N. 33 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 1 aprile 1992

                                 N. 33
  Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
                     cancelleria il 1 aprile 1992
                        (della regione Toscana)
 Edilizia e urbanistica - Introduzione in materia urbanistica dei c.d.
    "programmi  integrati  di  intervento" al fine di riqualificare il
    tessuto urbanistico  edilizio  ed  ambientale  -  Possibilita'  di
    presentare  proposte  di  programmi integrati da parte di soggetti
    pubblici e privati relativamente "a  zone  in  tutto  o  in  parte
    edificate  o da destinare anche a nuova edificazione al fine della
    loro riqualificazione urbana  e  ambientale"  -  Previsione  della
    facolta'  delle  regioni  di  destinare  parte  delle  somme  loro
    attribuite dalla  legge  alla  formazione  di  detti  programmi  e
    dell'obbligo   di  concedere  finanziamenti  inerenti  al  settore
    dell'edilizia residenziale con priorita' ai comuni che  provvedano
    in  tal  senso  -  Asserita  indebita  invasione  della  sfera  di
    competenza regionale in materia  di  edilizia  e  urbanistica  con
    particolare riguardo all'aspetto della programmazione regionale.
 (Legge 17 febbraio 1992, n. 179, art. 16).
 (Cost., artt. 3, 115, 117, 118 e 128).
(GU n.16 del 15-4-1992 )
   Ricorso per la regione Toscana, in persona del presidente in carica
 pro-tempore  rappresentata e difesa per procura apposta a margine del
 presente atto dall'avv. Alberto Predieri ed elettivamente domiciliata
 nel suo studio in Roma, via G. Carducci, n. 4, contro  la  Presidenza
 del  Consiglio  dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio
 pro-tempore per la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale
 delle disposizioni dell'art. 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179,
 contenente   "Norme   per   l'edilizia   residenziale  pubblica"  per
 violazione degli artt. 115, 117, 118, 128 e 3 della Costituzione.
                               F A T T O
    La legge 17 febbraio 1992,  n.  179,  pubblicata  nel  supplemento
 ordinario  alla  Gazzetta  Ufficiale  n.  90  del  29 febbraio 1992 e
 contenente "Norme per l'edilizia residenziale  pubblica",  da  valere
 "fino all'entrata in vigore della norma di disciplina dell'intervento
 pubblico   nel  settore  dell'edilizia  residenziale"  (art.  1),  ha
 introdotto e minutamente disciplinato, all'art. 16,  nuovi  strumenti
 operativi  in  materia urbanistica denominati "programmi integrati di
 intervento". Detti programmi,  la  cui  formazione  e'  promossa  dai
 comuni  "al  fine  di riqualificare il tessuto urbanistico edilizio e
 ambientale", sono approvati dal consiglio comunale con gli effetti di
 cui all'art. 4 della legge 28 gennaio 1977, n.  10  (terzo  comma)  e
 sono  caratterizzati  "dalla  presenza di una pluralita' di funzioni,
 dalla integrazione di diverse tipologie di intervento,  ivi  comprese
 le opere di urbanizzazione, da una dimensione tale da includere sulla
 riorganizzazione  urbana e dal possibile concorso di piu' operatori e
 risorse finanziarie, pubblici e privati" (primo comma);  proposte  di
 programmi  di  integrati  possono essere presentate anche da soggetti
 pubblici  e  privati,   singolarmente   o   riuniti   in   consorzio,
 relativamente  "a  zone  in tutto o in parte edificate o da destinare
 anche a nuova edificazione al fine della loro riqualificazione urbana
 e  ambientale"  (secondo  comma);  ove,  poi,  il  programma  sia  in
 contrasto con gli strumenti urbanistici, e' prevista la presentazione
 di  osservazioni da parte di associazioni, di cittadini o di enti, da
 inviare al comune entro quindici giorni dall'esposizione nell'albo  e
 dalla  pubblicazione  sul  giornale  locale. Programma e osservazioni
 sono  poi  trasmessi   alla   regione   entro   dieci   giorni.   Nei
 centocinquanta  giorni successivi la regione provvede ad approvare il
 programma  o  a  richiedere  modifiche.  In  mancanza  di   qualsiasi
 provvedimento  regionale  nel  detto  termine il programma si intende
 approvato  (quarto  comma).  Si  precisa,  infine,  che  i  programmi
 integrati  possono  riguardare  anche  le  zone di cui all'art. 2 del
 decreto ministeriale 2 aprile 1968, in Gazzetta Ufficiale  16  aprile
 1968,  n.  97  (quinto  comma)  e  che  la  loro realizzazione non e'
 subordinata all'inclusione nei programmi pluriennali di attuazione di
 cui all'art. 13 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (sesto comma).
    La parte riservata alle regioni in tutto questo  e'  assolutamente
 marginale,  per non dire insignificante: per esse, invero, si prevede
 soltanto la facolta' di destinare parte delle somme  loro  attribuite
 dalla  legge alla formazione dei programmi integrati (ottavo comma) e
 l'obbligo  di  concedere  i   finanziamenti   inerenti   il   settore
 dell'edilizia residenziale con priorita' a quei comuni che provvedano
 in tal senso (settimo comma).
    La  normativa contenuta nell'art. 16 della legge 17 febbraio 1992,
 n. 179, invade chiaramente ambiti materiali riservati  alla  potesta'
 legislativa   delle  regioni.  Piu'  precisamente  essa  si  pone  in
 contrasto con gli artt. 117 e 118 oltre che con gli artt. 115, 128  e
 3  (sotto il profilo dell'irragionevolezza) della Costituzione e deve
 quindi  essere  dichiarata  costituzionalmente  illegittima   per   i
 seguenti motivi di
                             D I R I T T O
    1. - La normazione sui programmi, che dalla collocazione come capo
 di legge per l'edilizia residenziale pubblica sembra riferirsi a tali
 attivita',  a  ben  vedere  investe  l'intero  campo dell'urbanistica
 mentre riguarda soltanto di  striscio  l'edilizia  pubblica,  pur  se
 questo  e  solo  questo  e'  il  campo  della  legge  cosi'  come  e'
 determinato dal titolo (che si noti e'  stato  mutato  a  seguito  di
 votazione proprio per delimitare e circoscrivere l'area) per dire che
 le  regioni  possono  utilizzare una parte delle somme loro assegnate
 anche per formare i predetti programmi. Questi, peraltro, non vengono
 redatti dalla regione se non in  via  eventuale  considerando  questa
 come  soggetto pubblico che puo' presentare al comune una proposta di
 programma.
    A parte questa ed altre confusioni, sta  di  fatto  che  la  norma
 appare  un  corpo estraneo ed intruso nel capo della legge; il che e'
 rilevante per due  particolari  profili  che  vengono  sottoposti  al
 giudizio  della  Corte  ecc.ma:  la sua irragionevolezza (e quindi la
 violazione dell'art. 3 secondo l'insegnamento ormai  costante)  e  la
 violazione  di  un  ordine di competenze garantito anche alla regione
 dell'art. 128 della Costituzione, che viene perpetrata travestendo la
 norma.   Invero,   fingere   che  non  si  parli  di  urbanistica  e'
 testimonianza del fatto che il legislatore sa che la materia  di  cui
 parliamo  e' regolata dalla legge sulle autonomie locali con norme il
 cui significato e' stato chiarito dalla sentenza n. 343/1991 e  della
 cui violazione parleremo nei successivi punti 5 e 7.
    2.  -  I  programmi  integrati in intervento previsti dall'art. 16
 della legge n. 179/1992 appaiono conformati come strumenti di  natura
 ibrida,   riscontrandosi   in  essi  i  caratteri  del  programma  di
 attuazione di strumenti urbanistici  (primo  e  secondo  comma),  del
 progetto  edilizio  (terzo  comma),  e  del  vero e proprio strumento
 urbanistico  in  quanto  suscettibili,  in  sostanza,  di  introdurre
 varianti alla pianificazione urbanistica esistente (quarto comma).
    Come  si  e'  visto, la legge disciplina assai minuziosamente tali
 programmi stabilendone non solo l'oggetto e la finalita', i  soggetti
 promotori   e   l'efficacia,  ma  definendo,  altresi',  in  tutti  i
 particolari, il procedimento di formazione, nel quale e' indicata  la
 posizione  reciproca  del  comune  e  della regione, sono stabiliti i
 termini e le  modalita'  di  formazione  e  approvazione,  fino  alla
 previsione   del   silenzio-assenso   da   parte  della  regione  ove
 quest'ultima non  adotti  alcun  provvedimento  entro  centocinquanta
 giorni dalla trasmissione del programma.
    Appare  subito  evidente  come  nel  prevedere  e  disciplinare  i
 programmi  in  questione  il  legislatore  nazionale   non   si   sia
 minimamente preoccupato non si dice di salvagurdare, ma, quanto meno,
 di  tenere in qualche conto la posizione costituzionale e la potesta'
 legislativa delle regioni.
    Secondo la linea ormai prevalente anche in Parlamento  le  regioni
 vengono  condiderate  come  semplici  erogatori di finanziamenti, con
 facolta' di destinare parte delle somme  ad  essere  attribuite  alla
 formazione  dei  programmi integrati di intervento e con l'obbligo di
 assegnare    i    finanziamenti    per    l'edilizia     residenziale
 prioritariamente ai comuni che gia' siano dotati di tali programmi.
    3.   -  In  realta'  la  previsione  dei  programmi  integrati  di
 intervento e le disposizioni dettate  dall'art.  16  della  legge  n.
 179/1992  vengono  ad  incidere pesantemente e illegittimamente sulla
 potesta' legislativa regionale, innanzitutto con particolare riguardo
 alla materia dell'urbanistica.
    Tra quelle elencate nell'art. 117, come  e'  stato  autorevolmente
 osservato,  l'urbanistica  costituisce  una  materia  chiave  la  cui
 attribuzione alle regioni ne caratterizza peculiarmente la  posizione
 e la funzione istituzionale, costituzionalmente garantita, di enti di
 governo   del   territorio   sul   piano  normativo  (legislativo)  e
 programmatorio.
    Pur inizialmente intesa - anche da questa ecc.ma Corte - nel senso
 ristretto  e  tradizionale,  come  limitata  cioe'   all'"assetto   e
 all'incremento  edilizio  dei  centri abitati" (sentenza n. 141/1972)
 l'urbanistica,  come  materia  di  competenza  regionale,  ha  sempre
 ricompreso,  sin  dal  d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, di trasferimento
 delle relative funzioni alle regioni, tutti gli strumenti (dai  piani
 regolatori  generali  ai  piani  particolareggiati,  ai  programmi di
 fabbricazione, ai  piani  intercomunali,  ai  piani  territoriali  di
 coordinamento,  ai  piani per l'edilizia economica e popolare e cosi'
 via) variamente denominati e disciplinati di pianificazione e tutti i
 programmi  volti a darvi attuazione (cosi' ad esempio per i programmi
 pluriennali di  attuazione  previsti  dall'art.  13  della  legge  n.
 10/1977,  di  cui  la  regione disciplina con legge il contenuto e il
 procedimento di formazoine esercitando altresi' il potere sostitutivo
 nei confronti dei comuni inadempienti).
    La concezione comunque riduttiva dell'urbanistica,  quale  materia
 di  competenza  regionale, insita nel d.P.R. n. 8/1972 e' stata, poi,
 superata con il d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, che l'ha  identificata
 senz'altro  con  la  "disciplina  dell'uso  del  territorio"  e vi ha
 conseguentemente ricompreso (art. 80) "tutti gli aspetti conoscitivi,
 normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvagurdia e  di
 trasformazione   del  suolo  nonche'  la  protezione  dell'ambiente",
 riservando allo Stato (art. 81) oltre l'"identificazione delle  linee
 fondamentali dell'assetto del territorio nazionale", soltanto alcune
 ben   individuate   funzioni   (quale  ad  esempio  la  formazione  e
 l'aggiornamento degli elenchi delle zone dichiarate sismiche) per  lo
 piu'  da  esercitarsi  d'intesa con le regioni interessate (cosi' per
 l'accertamento di conformita' con  gli  strumenti  urbanistici  delle
 opere  da  eseguirsi da amministrazioni statali o comunque insistenti
 su aree del demanio statale e per la localizzazione e  le  scelte  di
 tracciato,  se  difformi  dalle  prescrizioni  dei piani urbanistici,
 delle opere publiche di interesse statale).
    A seguito, dunque, del d.P.R. n. 616/1977 non  puo'  esservi  piu'
 alcun dubbio che l'urbanistica, come materia di competenza regionale,
 debba essere intesa nel suo significato integrale comprendendo "tutto
 cio'  che  concerne  l'uso  dell'intero  territorio (e non solo degli
 aggregati urbani) ai fini della localizzazione e  tipizzazione  degli
 insediamenti  di  ogni  genere con le relative infrastrutture" (Corte
 costituzionale, sentenza n. 239/1982).
    Conseguentemente  le   regioni   sono   intervenute   in   materia
 urbanistica  con una legislazione imponente innovando la legislazione
 statale esistente, introducendo notevoli elementi di riforma.
    Non a caso la  Corte  nella  sentenza  n.  343/1991  ha  di  nuovo
 confermato decisamente che "poiche' la materia urbanistica appartiene
 alle  regioni,  a norma dell'art. 117 della Costituzione, sono esse a
 dover  stabilire  le  procedure  e  le   linee   fondamentali   della
 programmazione attinente a tale materia".
    Per  conto  lo  Stato  deve  limitarsi a emanare soltanto norme di
 principio  che  abbiano  riferimento   all'assetto   del   territorio
 nazionale e che, quantomeno, siano sorrette da un effettivo interesse
 nazionale.
    Con  le  norme  delle  quali  si  chiede  che l'ecc.ma Corte adita
 dichiari l'illegittimita' costituzionale, lo Stato,  invece,  non  e'
 affatto  intervenuto in via di principio (la legge che le contiene e'
 destinata a valere fino ad un futuro intervento organico  in  materia
 di  edilizia  residenziale  pubblica) a delimitare e a indirizzare le
 scelte del legislatore regionale; non ha  lasciato  alla  regione  la
 previsione  della programmazione, come esige la Corte, ma ha regolato
 un procedimento nel modo piu' minuzioso (il che non esclude  in  vizi
 logici  di  cui  parleremo  al  sub 6), e in definitiva ha operato al
 posto di quest'ultimo prevedendo strumenti e disciplinando  soluzioni
 funzionali  e  procedimenti  che  a  questo  ultimo  sarebbe spettato
 disciplinare a norma della Costituzione. Per di piu'  cio'  ha  fatto
 con  una  legge  che  e'  espressamente  destinata  a  valere  in via
 transitoria  fino  a  un  futuro  intervento  organico  in materia di
 edilizia  residenziale   pubblica   laddove,   ontologicamente,   una
 legislazione  transitoria  e  disorganica non puo' contenere norme di
 principio perche' essa stessa lo nega.
    4. - Cosi' facendo la legge n. 179/1992 ha invaso l'area riservata
 alla regione per quanto riguarda la disciplina  dei  procedimenti  di
 formazione  dello  strumento  urbanistico nella fase della formazione
 dell'adozione (comunale) cosi' come nella fase dell'approvazione  che
 le  e'  riservata  a  meno  che  la  regione  non esprima una diversa
 volonta'  sulla  configurazione   del   provvedimento.   Si   impone,
 oltretutto,   qui  un  meccanismo  di  silenzio-accoglimento  che  e'
 incongruo quando vi siano problemi complessi da  valutare,  tanto  da
 riconoscere  come  necessario  un intervento attivo. Ma la confusione
 della disposizione e' tale che non e' dato neppure di comprendere  la
 volonta'  del  legislatore,  con  una  serie di violazioni, di cui si
 dira' piu' precisamente al successivo paragrafo 8.
    5. - La lesione arrecata all'autonomia e alla potesta' legislativa
 regionale dalle disposizioni contenute nell'art. 16  della  legge  n.
 179/1992  si  constata,  altresi',  anche  se  si fa riferimento alle
 competenze   riconosciute   alle   regioni   nel   limitato   settore
 dell'edilizia residenziale pubblica cui e' specificamente dedicata la
 legge in questione.
    Pur   non   espressamente   indicata  come  materia  a  se  stante
 nell'elenco dell'art. 117 della Costituzione (ma prevista  da  taluni
 statuti  regionali  speciali  con  diverse  denominazioni,  "edilizia
 sovvenzionata", "case popolari" ecc., cosi' ad esempio  art.  11,  n.
 11,  dello  statuto  del  Trentino-Alto  Adige,  art. 5, n. 18, dello
 statuto del Friuli-Venezia Giulia), dopo iniziali incertezze  (dovute
 anche  al  mancato trasferimento alle regioni, ad opera del d.P.R. n.
 8/1972, delle sezioni e  dei  servizi  per  l'edilizia  popolare  dei
 provveditorati   per  le  opere  pubbliche)  l'edilizia  residenziale
 pubblica, in  quanto  "materia  essenzialmente  composita"  e'  stata
 ritenuta  da  questa  stessa ecc.ma Corte costituzionale (sentenza n.
 221/1975)  senz'altro  riconducibile  per  un  verso   alla   materia
 dell'"urbanistica"  e,  per  un  altro, a quella dei "lavori pubblici
 d'interesse regionale", "comprese  nell'elenco  dell'art.  117  senza
 riserve  o  ulteriori  distinzioni nel loro interno e senza, percio',
 che  sia   lecito   postulare   l'esclusione   di   quel   che   piu'
 particolarmente  concerne  l'edilizia residenziale pubblica nella sua
 accezione piu' ampia", pur "entro il limite (  ..)  della  dimensione
 regionale   degli   interessi  al  cui  soddisfacimento  le  relative
 attivita' sono rivolte".
    Conseguentemente,  col  d.P.R.  616/1977,  e'  stato  operato   il
 pressoche'  totale trasferimento alle regioni delle funzioni inerenti
 il settore, fra l'altro attribuendo alle stesse,  per  quel  che  qui
 piu'   direttamente   rileva,   tutte  le  funzioni  "concernenti  la
 programmazione  regionale,  la  localizzazione,   le   attivita'   di
 costruzione  e  la  gestione di interventi di edilizia residenziale e
 abitativa pubblica, di edilizia sovvenzionata, di edilizia  agevolata
 di  edilizia sociale, nonche' le funzioni connesse alle relative pro-
 cedure di finanziamento" (art. 93, primo comma).
   La sfera  della  competenza  regionale  in  materia  e'  stata  poi
 ulteriormente  arricchita  dalla successiva legge n. 457 del 5 agosto
 1978, con l'art. 4 in base al quale spetta, fra l'altro, alle regioni
 individuare il fabbisogno abitativo nel territorio  regionale  (lett.
 a)); formare programmi quadriennali e progetti biennali di intervento
 per l'utilizzazione delle risorse finanziarie disponibili (lett. b));
 ripartire  e coordinare gli interventi per ambiti territoriali (lett.
 c)); formare e  gestire  l'anagrafe  degli  assegnatari  (lett.  f));
 disporre   la   concessione   dei  contributi  pubblici  (lett.  l));
 esercitare il controllo sui soggetti incaricati  della  realizzazione
 dei programmi (lett. m)).
    Deve,  dunque,  ritenersi  venuta  meno ogni competenza statale in
 materia  di  realizzazione  di  programmi  di  edilizia  residenziale
 pubblica   mentre,   come   ha  riconosciuto  ancora  l'ecc.ma  Corte
 costituzionale  (sentenza  n.   727/1988),   "al   di   fuori   della
 formulazione dei criteri generali da osservare nelle assegnazioni, e'
 attribuita  alle  regioni  la  piu'  ampia potesta' legislativa sulla
 materia". Non vi e' chi  non  veda  come  non  possa  in  alcun  modo
 conciliarsi  con  quest'ampia  potesta' legislativa, che si pone come
 parte dell'ancor piu' ampia potesta' legislativa regionale in materia
 di  urbanistica  e  in  materia  di  lavori  pubblici  di   interesse
 regionale,  la  previsione,  da  parte  dell'art.  16  della legge n.
 179/1992, dei "programmi integrati  di  intervento",  riducendosi  le
 funzioni della regione a compiti di mero finanziamento e, al piu', di
 esame  amministrativo,  nel  quadro  di  una  procedura progammatoria
 interamente regolata dalla legge dello Stato.
    Anche  per  l'aspetto  ora  considerato  si   evidenzia,   dunque,
 l'illegittimita'costituzionale  delle  norme impugnate per violazione
 degli articoli della Costituzione  piu'  volte  indicati  laddove  il
 legislatore  nazionale  dettando disposizioni di estremo dettaglio in
 una materia attribuita alla competenza e  alla  potesta'  legislativa
 regionale, fino a stabilire i termini e le modalita' del procedimento
 di formazione dei "programmi integrati di intervento", ha sicuramente
 violato  l'art.  117  e  l'art.  118  della  Costituzione  nonche' il
 principio costituzionale di ragionevolezza (e dunque l'art.  3  della
 Costituzione)  il  quale,  nella  specie,  va inteso nel senso che le
 funzioni ricomprese nelle materie di  competenza  regionale  debbono,
 come  ha chiarito questa stessa ecc.ma Corte costituzionale (sentenza
 n. 39/1971), esaurire "per intero" le materie stesse in maniera  tale
 che "lo svolgimento concreto delle funzioni regionali abbia ad essere
 armonicamente  conforme  agli  interessi  unitari della collettivita'
 statale" restando, per converso, preclusa la "riserva allo  Stato  di
 settori di materie".
    6.  -  La  previsione  e la disciplina da parte dell'art. 16 della
 legge n. 179/1992 dei programmi integrati di intervento  formulati  e
 gestiti  dei  comuni  viene  ad incidere sull'ordine delle funzioni e
 delle competenze degli enti  locali  quale  definito  dalla  legge  8
 giugno 1990, n. 142, sul nuovo ordinamento delle autonomie locali che
 e'  legge  di  principio  (art.  1,  primo  comma)  e non puo' essere
 derogata, ai sensi dell'art. 128 della Costituzione, "se non mediante
 espressa modificazione delle sue disposizioni" (art. 1, terzo comma).
    Come e' noto l'art. 3  di  tale  legge  conferisce  alla  potesta'
 legislativa   regionale  inediti  ambiti  di  intervento,  di  ordine
 organizzativo e sostanziale, in vista della realizzazione di un nuovo
 "sistema delle autonomie locali". Per quel che qui piu'  direttamente
 rileva,  ai  sensi  del settimo comma dell'art. 3 "la legge regionale
 fissa i criteri e le procedure per la formulazione e attuazione degli
 atti  e  degli  strumenti  di  programmazione socio-economica e della
 pianificazione territoriale dei comuni e delle province, rilevanti ai
 fini  dell'attuazione  dei  programmi  regionali";  ai  sensi,   poi,
 dell'ottavo  comma,  "la  legge  regionale  disciplina, altresi', con
 norme di carattere generale, modi  e  procedimenti  per  la  verifica
 delle  compatibilita'  fra  gli strumenti di cui al settimo comma e i
 programmi regionali ove esistenti".
    Inoltre, ai sensi del quarto comma  dell'art.  15  della  medesima
 legge   n.  142/1990  "la  legge  regionale  detta  le  procedure  di
 approvazione nonche' norme che assicurino il concorso dei comuni alla
 formazione dei programmi pluriennali  e  dei  piani  territoriali  di
 coordinamento predisposti dalle province".
    Questa  ecc.ma  Corte costituzionale, a sua volta, con la sentenza
 n. 343/1991, ha fornito un  primo  essenziale  chiarimento  circa  la
 portata e il ruolo della potesta' legislativa regionale nella riforma
 delle  autonomie,  individuando nelle regioni "il centro propulsore e
 di coordinamento  dell'intero  sistema  delle  autonomie  locali",  e
 nell'esercizio  della  detta  potesta'  il presupposto essenziale per
 l'attuazione della riforma considerata.
    Le norme della legge n. 142/1990 che disciplinano  le  funzioni  e
 l'ambito  di  intervento  della legge regionale si pongono come norme
 interposte,   interpreative   e    direttamente    attuative    della
 Costituzione:   tali,   dunque,  vanno  considerate  le  norme  sopra
 ricordate inerenti la definizione del ruolo che la legge regionale e'
 chiamata a svolgere nella disciplina dell'esercizio delle funzioni di
 comuni e province in materia  di  pianificazione  territoriale  e  di
 programmazione  degli  interventi:  un  ruolo,  come si puo' rilevare
 anche dalla semplice lettura delle norme in questione,  assolutamente
 primario  ed  essenziale  per  quel  che  concerne  la  formazione  e
 l'attuazione dei  piani  e  dei  programmi  d'intervento  in  materia
 urbanistica  e  la  verifica  della compatibilita' di essi con quelli
 regionali.
    Il legislatore nazionale pertanto, prevedendo  e  disciplinando  -
 con  l'art.  16  della  legge  n. 179/1992 - i programmi integrati di
 intervento non ha neppure tenuto conto  delle  norme  della  legge  9
 giugno 1990, n. 142, ora considerate; norme, come si e' rilevato, in-
 terpretative   e   applicative   della  Costituzione,  fornite  della
 particolare garanzia  costituzionale  prevista  dall'art.  128  della
 Costituzione  che non ne consente la modificazione se non ad opera di
 legge generali e non di  leggi  settoriali  e  tanto  meno  di  rider
 inseriti  in  leggi settoriali, il contrasto con le quali, dunque, si
 risolve nella violazione di quest'ultima  con  specifico  riferimento
 agli artt. 115, 117, 118, 128 e 3. In particolare la possibilita' che
 per   i  programmi  si  apre  di  costituire  variante  di  qualsiasi
 previsione di strumentazione urbanistica sia comunale che provinciale
 che regionale, senza che vi sia un intervento provinciale e  rendendo
 minima  ed  imprecisa  l'attivita'  regionale, scardina il sistema di
 relazioni posto dalla legge n. 142/1990, lede il ruolo della  regione
 come   centro   del   sistema,  viola  le  competenze  regionali  sui
 procedimenti che consentono il concorso dei  comuni  alla  formazione
 dei  programmi  e dei piani territoriali, sostituendo alla riserva di
 legge regionale assicurata dall'art. 15, quarto comma, della legge n.
 142/1990,  e  garantita  dall'art.  128,  una   legge   statale   che
 illegittimamente  regola  le funzioni delle regioni, con un congegno,
 per di piu', irrazionale e impreciso.
    7.  -  Invero  la  regione, ricevuto il programma, puo' approvarlo
 oppure puo' richiedere modificazioni: ma la legge non dice  che  cosa
 avvenga  se  le  modificazioni  proposte  non  vengano apportate, non
 prevede disposizioni per dire a chi  spetta  la  decisione  finale  e
 ultima, lasciando il dubbio sul come avvenga la approvazione.
    8.  -  La Corte, nella sentenza n. 343/1991, gia' ricordata, aveva
 ammonito che la "mutata considerazione degli enti locali territoriali
 dara' luogo  ad  un  tessuto  organizzativo  cosi'  diversificato  da
 richiedere,  ad  avviso  del  legislatore nazionale, un piu' incisivo
 ruolo di coordinamento delle regioni nelle materie di loro spettanza,
 ancorche' si tratti di funzioni attribuite,  a  norma  dell'art.  118
 della  Costituzione,  da leggi dello Stato ai comuni ed alle province
 in quanto attinenti  ad  interessi  esclusivamente  locali"  e  aveva
 chiarito  che  "tale  qualificata  posizione  assunta  dalle regioni,
 rispetto  agli  enti  territoriali  minori,  emerge  in   particolare
 dall'art.  3  della  legge  in  esame.  Esso prevede che sia la legge
 regionale a disciplinare la cooperazione dei comuni e delle  province
 tra  di  loro  e  con la regione, al fine di realizzare un efficiente
 sistema delle autonomie locali (terzo comma); assegna alla regione il
 compito di determinare gli obiettivi generali della programmazione  e
 di  ripartire  le riserse destinate al funzionamento del programma di
 investimenti degli enti locali (quarto comma);  prevede  che  sia  la
 legge  regionale  a stabilire le forme ed i modi della partecipazione
 degli enti locali alla formazione dei piani e programmi  regionali  e
 degli  altri  provvedimenti della regione (sesto comma); demanda alla
 legge regionale di fissare i criteri per la formazione  e  attuazione
 degli  atti  e degli strumenti della programmazione socio-economico e
 della  pianificazione  territoriale  dei  comuni  e  delle  province,
 rilevanti  ai  fini  dell'attuazione dei programmi regionali (settimo
 comma); assegna, con la piu' ampia previsione, alla  legge  regionale
 di disciplinare, con norme di carattere generale, modi e procedimenti
 per  la  verifica  delle  compatibilita'  fra gli strumenti di cui al
 settimo  comma  ed  i  programmi  regionali,  ove  esistenti  (ottavo
 comma)". La Corte aveva insistito sulla "posizione di centralita' che
 in  tal  modo  le  regioni  vengono  ad  assumere  nel  sistema delle
 autonomie locali che consente di far ritenere salvaguardate, in  modo
 soddisfacente,  nel  quadro  della  legge  n. 142/1990, le competenze
 regionali nelle materie di cui all'art. 117 della Costituzione".
    Ora il legislatore nazionale, con le norme contenute nell'art.  16
 della  legge  n.  179/1992 non ha tenuto conto ne' della sua legge n.
 142/1990, ne' della sentenza della Corte,  ne'  della  ragionevolezza
 che   deve   presiedere   non  solo  alla  formazione  della  singola
 disposizione e alla singola norma che essa contiene, ma  al  contesto
 della  legge e al suo inserimento nel contesto della legislazione, in
 ogni caso, ma ancor piu' quando la generalita' della legge e' imposta
 dalla Costituzione come barriera alle leggine, agli scardinamenti con
 legge di settore, ai mascheramenti di una norma.  Il  legislatore  ha
 pervicacemente  proseguito  nell'erosione  delle funzioni legislative
 regionali  nel  quadro  troppo  noto  di  sottrazione  di  competenze
 regionali,   di   sostanziale   abolizione   del  potere  legislativo
 regionale, prima ridotto,  nella  sostanza,  a  produzione  di  norme
 regolamentari  ed  ora  privato  anche  di  quella  ridotta capacita'
 normativa che hanno i regolamenti, in modo  che  le  regioni  abbiano
 funzioni  amministrative di uffici periferici. La norma denunziata e'
 una  nuova  tappa  del   processo   involutivo   che   ha   distrutto
 l'architettura      costituzionale     dell'endiadi     legislazione-
 amministrazione  con  la  primazia  concettuale  ed  operativa  della
 legislazione,    tanto   che   la   configurazione   delle   funzioni
 amministrative partiva dallo zoccolo duro intangibile delle  funzioni
 legislative  (art.  118,  primo  comma)  al  quale si aggiungevano le
 funzioni  amministrative  non  coincidenti  con  quelle   legislative
 attribuite per delegazione (art. 118, secondo comma).
                               P. Q. M.
    Si   chiede   che   l'ecc.ma  Corte  costituzionale  adita  voglia
 dichiarare costituzionalmente illegittime per violazione degli  artt.
 115,  117, 118, 128 e 3 della Costituzione, anche in riferimento agli
 artt. 80 e 93 del d.P.R. 24 luglio 1977,  n.  616  e  agli  artt.  3,
 settimo  e  ottavo  comma,  e  15, quarto comma, della legge 9 giugno
 1990, n. 142, le disposizioni contenute nell'art. 16 della  legge  17
 febbraio 1992, n. 179.
      Roma, addi' 24 marzo 1992
                         Avv. Alberto PREDIERI

 92C0417