N. 155 SENTENZA 19 marzo - 2 aprile 1992

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Procedimento civile - Controversie individuali - Rito del lavoro
 -   Rapporto  di  lavoro  fra  socio  lavoratore  e  cooperativa  di
 produzione e lavoro - Applicabilita'  delle  disposizioni  -  Mancata
 previsione  - Insufficiente interpretazione della norma denunciata da
 parte del giudice  a quo non demandabile alla Corte costituzionale  -
 Inammissibilita'.
 
 (C.P.C., art. 409, n. 3).
 
 (Cost., artt. 3, 24 e 45).
(GU n.16 del 15-4-1992 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele  PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco Paolo
    CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,
    avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof.  Francesco  GUIZZI,
    prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 409, n. 3, del
 codice di procedura civile,  promosso  con  ordinanza  emessa  il  22
 maggio  1991  dal  Pretore di Milano nel procedimento civile vertente
 tra Carta Piero e S.r.l. Cooperativa Prodest, iscritta al n. 564  del
 registro  ordinanze  1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 22 gennaio 1992 il Giudice
 relatore Francesco Greco;
                           Ritenuto in fatto
   1. - Carta  Pietro  impugnava  dinanzi  al  Pretore  di  Milano  la
 risoluzione   del  rapporto  di  lavoro  intervenuto  con  la  S.r.l.
 Cooperativa  Prodest,  previo,  ove  occorresse,  annullamento  della
 delibera  di esclusione dalla societa', la quale, peraltro, era stata
 autonomamente impugnata ex art. 2527, terzo comma, del codice civile,
 dinanzi al locale tribunale.
    Con ordinanza del 22 maggio  1991  (R.O.  n.  564  del  1991),  il
 giudice  adito  sollevava  questione  di  legittimita' costituzionale
 dell'art. 409, n. 3 del codice di procedura  civile  nella  parte  in
 cui,  tra  i  rapporti  soggetti  al  rito  speciale  del lavoro, non
 comprende  anche  quello  tra  socio  lavoratore  e  cooperativa   di
 produzione e lavoro.
    Osservava che la Cassazione, la quale costantemente aveva ritenuto
 la  inapplicabilita'  della  disposizione  censurata  al  rapporto in
 esame, recentemente non aveva escluso la possibilita'  di  ricondurre
 detto rapporto nello schema della collaborazione.
    Ma egli non reputava di seguire nemmeno questo ultimo indirizzo in
 quanto i rapporti di collaborazione presuppongono uno scambio tra due
 centri di interessi distinti e separati.
    Rilevava,  pero',  che sussisteva disparita' di trattamento tra il
 rapporto de quo e altri  rapporti  associativi,  specie  quelli  c.d.
 parasubordinati; che, oltre all'art. 3, erano violati anche gli artt.
 24  e  45  della  Costituzione;  che la questione era rilevante e non
 manifestamente infondata.
    2. - L'ordinanza e' stata regolarmente  comunicata,  notificata  e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.
    3.  -  Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 ministri, rappresentato  dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  la
 quale  ha  eccepito  anzitutto  la  inammissibilita'  della questione
 perche', a suo parere, doveva essere  impugnato  l'art.  2527,  terzo
 comma,  del codice civile, essendo questa la norma che attribuisce al
 Tribunale la competenza  a  conoscere  della  opposizione  del  socio
 contro  la  delibera  di  esclusione  dalla  societa'.  Nel merito ha
 osservato che i rapporti posti in raffronto non  sono  omogenei,  non
 sussistendo  tra  socio lavoratore e cooperativa una contrapposizione
 di interessi; che non puo' escludersi la sussistenza di  un  rapporto
 di  lavoro  subordinato accanto a quello societario; e che, comunque,
 la scelta del rito rientra nella discrezionalita' del legislatore che
 nella  specie  non  e'  stata  arbitrariamente  esercitata,  per   la
 eterogeneita' delle situazioni poste a raffronto.
                        Considerato in diritto
    1.  -  La  Corte e' chiamata a verificare se l'art. 409, n. 3, del
 codice di procedura civile, nella parte in cui  fra  i  rapporti  ivi
 previsti   non   comprende   anche  quello  fra  socio  lavoratore  e
 cooperativa di produzione e lavoro, violi:
       a) l'art. 3 della Costituzione per la disparita' di trattamento
 che  si  determina  in danno di detto socio rispetto ai prestatori di
 lavoro, anche  non  subordinati,  che  fruiscono  del  rito  speciale
 siccome titolari di rapporti associativi o parasubordinati;
       b)  l'art.  24  della  Costituzione  in quanto si determina una
 diminuzione delle possibilita'  di  difesa  in  giudizio  del  socio-
 lavoratorepoiche' egli non puo' avvalersi dei piu' efficaci strumenti
 processuali propri del rito speciale;
       c)  l'art.  45  della Costituzione perche' assoggetta ad eguale
 trattamento processuale il socio delle  cooperative  e  quello  delle
 altre  societa'  senza  tener  conto  della  posizione di particolare
 subordinazione economica in cui versa il primo.
    2. - Si ritiene anzitutto che  non  e'  fondata  la  eccezione  di
 inammissibilita'   sollevata  dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato
 secondo cui non doveva essere censurato l'art. 409, n. 3, cod.  proc.
 civ.,  ma  l'art.  2527  del  codice  civile,  il  quale  prevede  la
 impugnazione dinanzi al Tribunale della deliberazione  di  esclusione
 dalla  societa'  cooperativa  del  socio lavoratore. Correttamente la
 censura investe la norma processuale in quanto proprio essa impedisce
 la estensione del  rito  speciale  del  lavoro  al  rapporto  di  cui
 trattasi.
    3. - Nel merito la questione e' inammissibile.
    Il  riferimento  agli  artt.  24  e  45  della Costituzione non e'
 pertinente perche' nel giudizio a quo,  alla  cui  decisione  sarebbe
 diretta  la  sollevata  questione  di legittimita' costituzionale, si
 controverte sul rito da applicarsi al  rapporto  instaurato  tra  una
 cooperativa di produzione e lavoro ed un socio lavoratore; se, cioe',
 sia  quello  speciale  di  cui  all'art. 409, n. 3, cod. proc. civ. o
 quello ordinario di cui all'art. 2527 cod. civ.
    La  diversita'  di  rito,  infatti,  non   incide   sulla   tutela
 giurisdizionale  dei diritti e degli interessi in maniera cosi' grave
 da renderla non effettiva o, comunque, da far venir meno la  garanzia
 assicurata dal precetto costituzionale.
    L'esclusione dell'applicabilita' del rito del lavoro, che, secondo
 la    prevalente    giurisprudenza,    consegue    alla   circostanza
 dell'esercizio  in  comune,  da  parte  di  lavoratori,  dell'impresa
 societaria  ed  alla  mancanza  di  centri  di  interessi  distinti e
 separati,  non  compromette  affatto  la   funzione   sociale   della
 cooperativa  di  produzione  e  lavoro  tutelata  dall'art.  45 della
 Costituzione.
    3.1 - Sulla violazione dell'art.  3  della  Costituzione,  per  la
 disparita'   di  trattamento  che,  secondo  il  giudice  a  quo,  si
 verificherebbe  tra  il  rapporto  controverso  ed   altri   rapporti
 associativi  o  cosiddetti parasubordinati, si rileva che, con l'art.
 409, n. 3, cod. proc. civ. (sent. n. 33 del 1976 e  ord.  n.  99  del
 1988),   il   legislatore,   nel   ragionevole  esercizio  della  sua
 discrezionalita', al fine di riequilibrare la  posizione  di  sfavore
 nella  quale  si  trova il lavoratore quale parte economicamente piu'
 debole (ord. n. 65 del 1978), ha esteso  il  trattamento  processuale
 previsto  per  i  lavoratori subordinati anche ad alcune categorie di
 lavoratori autonomi, specie se gravitano attorno all'impresa. E cioe'
 agli agenti, ai rappresentanti commerciali e a  quelli  che  svolgono
 attivita' di collaborazione le quali si concretino in una prestazione
 di  opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche
 se non a carattere subordinato;  tra  essi  si  comprendono  anche  i
 cosiddetti  lavoratori  parasubordinati,  i quali contraggono solo un
 vincolo di subordinazione economica.
    La valutazione dei requisiti perche' si effettui la estensione del
 rito speciale del lavoro ai  suddetti  (lavoratori)  e'  affidata  al
 giudice  della  controversia  il  quale, a tali fini, puo' utilizzare
 elementi diversi  da  quelli  richiesti  per  la  qualificazione  del
 rapporto  sostanziale,  dando  prevalenza  all'elemento  lavoro.  Per
 quanto riguarda i rapporti tra cooperativa di produzione e  lavoro  e
 socio  lavoratore,  si  deve  tener  conto  del modello organizzativo
 prescelto dalla societa' e dei rapporti concreti  che  si  instaurano
 tra  socio  e  cooperativa  in  modo  che  risultino  soddisfatte  le
 finalita' della tutela esterna, senza incidere  sulla  struttura  del
 rapporto.
    4.  -  Il  giudice remittente, al fine di decidere la questione di
 competenza sottoposta al  suo  esame,  ha  effettuato  la  necessaria
 indagine  interpretativa. Ha escluso la sussistenza di un rapporto di
 lavoro subordinato  accanto  al  rapporto  associativo  tra  socio  e
 cooperativa  ed  ha  qualificato  quello  dedotto  in  giudizio  come
 associativo, ma non ne ha ritenuto possibile la equiparazione con  il
 rapporto  di  collaborazione ex art. 409, n. 3, pur dando atto che la
 Cassazione (sent. n. 5780 del 1989), nella affermata  sussistenza  di
 una  tendenza  espansiva  del  diritto  processuale  del  lavoro,  ha
 ricondotto le prestazioni lavorative rese dal socio di  una  societa'
 cooperativa  di  lavoro  in adempimento del vincolo associativo nello
 schema della collaborazione ex art. 409, n. 3,  cod.  proc.  civ.  Ha
 osservato  che  mancava  il  richiesto  e  necessario scambio tra due
 centri di interesse  distinti  e  separati.  Ma,  anziche'  procedere
 ulteriormente  nello  svolgimento  del suo compito di interpretazione
 della  norma  de  qua,  ha  sollevato   questione   di   legittimita'
 costituzionale  al  fine  di  far  estendere  il  rito  del lavoro al
 rapporto sottoposto al suo esame, il quale, a suo avviso, non sarebbe
 diverso da rapporti associativi o  di  parasubordinazione,  cioe'  di
 sola subordinazione economica.
    In   sostanza,   quindi,   ha   demandato   alla  Corte  adita  la
 interpretazione  della  norma   denunciata   che,   invece,   secondo
 l'ordinamento, rientra nei suoi compiti istituzionali.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara   l'inammissibilita'   della   questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 409, n. 3, del codice di  procedura  civile,
 nella  parte  in  cui,  tra  i rapporti previsti, non comprende anche
 quello tra socio lavoratore e cooperativa di lavoro e di  produzione,
 in  riferimento  agli  artt. 3, 24 e 45 della Costituzione, sollevata
 dal Pretore di Milano con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 19 marzo 1992.
                       Il Presidente: CORASANITI
                          Il redattore: GRECO
                       Il cancelliere: FRUSCELLA
    Depositata in cancelleria il 2 aprile 1992.
                       Il cancelliere: FRUSCELLA
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