N. 187 ORDINANZA (Atto di promovimento) 31 gennaio 1992

                                N. 187
        Ordinanza emessa il 31 gennaio 1992 dal pretore di Pisa
 nel procedimento civile vertente tra Barbi Norina e I.N.P.S. ed altro
 Previdenza e assistenza sociale - Pensione di invalidita' e pensione
    sociale  -  Ultrasessantacinquenni - Non consentito riconoscimento
    della invalidita' - Possibilita' di ottenere la  pensione  sociale
    ma  a condizioni reddituali meno favorevoli di quelle previste per
    la  pensione  di  invalidita'  -  Sanatoria  per   le   situazioni
    relativamente   alle   quali   l'I.N.P.S.   abbia   gia'  adottato
    provvedimenti  -  Ingiustificata  disparita'  di  trattamento   di
    situazioni identiche, in base ad un elemento estrinseco dipendente
    dalla   maggiore   o   minore   solerzia   dell'ufficio   I.N.P.S.
    territorialmente    competente    -    Incidenza    sul    diritto
    all'assicurazione  di mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso
    di invalidita' - Riferimento alle sentenze nn. 286/1990 e 75/1991,
    di non fondatezza di analoghe questioni, ritenute  superabili  dal
    giudice a quo.
 (Legge 21 marzo 1988, n. 93, art. 1, secondo comma; legge 30 dicembre
    1991, n. 412, art. 13).
 (Cost., artt. 3 e 38).
(GU n.16 del 15-4-1992 )
                              IL PRETORE
    A  scioglimento della riserva di cui al verbale di udienza in data
 24 gennaio 1992, nel giudizio promosso da Barbi Norina c.  l'I.N.P.S.
 ed il Ministero dell'interno.
                             O S S E R V A
    Nel  presente  giudizio  Norina  Barbi reclama la pensione sociale
 c.d. sostitutiva ai sensi dell'art. 19 della legge n. 118  del  1971,
 avendo    presentato    la    domanda    dopo   il   compimento   del
 sessantacinquesimo anno di eta' ed avendo offerto in comunicazione la
 prova documentale (v. mod. 740 in atti) della  percezione,  nell'anno
 di  riferimento, di un reddito inferiore a quello previsto come tetto
 massimo per la concessione della pensione di invalidita' civile.
    La materia e' oggi regolata dall'art. 13, terzo comma, della legge
 n. 412 del 1991 che ha autenticamente interpretato l'art. 1,  secondo
 comma,  della  legge  21 marzo 1988, n. 93; tale ultima, a sua volta,
 nel convertire in legge - con modificazioni -  il  d.-l.  n.  25  del
 1988,  aveva fatto salvi gli atti posti in essere nella vigenza di un
 precedente d.-l. (n. 495/88) non convertito e che  disponeva  per  il
 diritto  alla  pensione di invalidita' civile (trasformata) anche per
 chi  avesse  presentato   la   domanda   dopo   il   compimento   del
 sessantacinquesimo anno di eta'.
    Essendosi verificato un contrasto interpretativo sull'art. 1 della
 legge  n.  93  del  1998 in particolare se per "atti salvi" dovessero
 intendersi  le  domande  presentate  in  via   amministrativa   o   i
 provvedimenti  concessori  intervenuti, la sezione Lavoro della s.c.,
 con ordinanza 27  settembre  1991,  n.  712  (pres.  Menichino,  est.
 Amore), inedita, aveva rimesso la questione alle Sezioni Unite; nelle
 more,  come  accennato,  e'  intervenuta la legge n. 412 la quale con
 norma di interpretazione autentica e quindi retroattiva, ha stabilito
 che "gli atti salvi" coincidono con quelli "adottati  dal  competente
 ente  erogatore".  E  dunque  la  pensione  di invalidita' civile sul
 presupposto di reddito proprio di tale provvidenza (e non  su  quello
 della  pensione  sociale)  compete  oggi solo a chi abbia ottenuto un
 provvedimento  dell'I.N.P.S.  di  concessione  della  pensione,   non
 essendo neppure sufficiente il provvedimento del C.P.A.B.P. presso le
 prefetture  (proprio  perche' il Ministero dell'interno non e' l'ente
 erogatore: in tal senso v. da ultimo Cass. n. 10262 del 1991  che  ha
 escluso  la  legittimazione  passiva del Ministero dell'interno sulla
 domanda di pensione civile avanzata dall'ultrasessantacinquenne).
    La disposizione interpretativa contenuta all'art. 13  della  legge
 n.  412  del 1991 si pone, a parere di questo giudice, palesemente in
 contrasto con l'art. 3 della Costituzione nella parte in  cui  intro-
 duce un discrimine ricollegato non al momento di manifestazione della
 volonta'  di  avvalersi  del diritto da parte dall'assistito bensi' a
 quell'altro,   estremamente   variabile,   di   adozione   da   parte
 dell'I.N.P.S.   del   provvedimento   di   assegnazione,   tutto,  in
 definitiva, dipendendo dalla buona volonta' e dalla tempestivita' del
 complesso  apparto  burocratico   alla   cui   attenzione   l'istanza
 dell'avente  diritto  e'  sottoposta (Commissione medica, C.P.A.B.P.,
 I.N.P.S.).
    Se, infatti, appare incensurabile la volonta' del  legislatore  di
 modificare  o  sopprimere un istituto (sempre nell'ovvio rispetto dei
 limiti  costituzionali),  e'  da   ritenersi   che   la   innovazione
 legislativa  non  possa  introdurre (come ha fatto la legge n. 412 di
 interpretazione autentica della legge n. 93 del 1988) un criterio che
 faccia  salve  per  il  passato  alcune  posizioni  ricollegando   la
 sanatoria  ad  un  evento  assolutamente  indipendente dalla volonta'
 dell'avente  diritto,  come  e' indubbiamente quello in cui l'istanza
 dell'interessato  trovi  formale  accoglimento  da  parte   dell'ente
 erogatore. Se, pertanto, e' possibile che il legislatore si determini
 per  la soppressione di una provvidenza non appare costituzionalmente
 corretto  escludere  dal  nuovo  assetto  normativo  solo  chi,   per
 avventura,  fosse  destinatario  di  un  provvedimento  definitivo di
 assegnazione  e  non  anche  chi  avesse  presentato  l'istanza  alla
 pubblica  amministrazione competente in guisa da divenire parte di un
 procedimento amministrativo in corso di  definizione  al  momento  di
 entrata  in  vigore  del  nuovo  regime  normativo. E tanto piu' vale
 questa regola quanto  piu'  si  rifletta  sulla  circostanza  che  la
 provvidenza  in  favore  dell'invalido  civile,  una  volta concessa,
 decorre, quanto alla concreta prestazione, dal primo giorno del  mese
 successivo  a  quello di presentazione della domanda, per la evidente
 ragione di far si' che i tempi  tecnici  (a  volte  lunghissimi)  non
 finiscano  per  pregiudicare  il  diritto  alla  percezione dei ratei
 pregressi: opportunamente, dunque, la decorrenza del diritto e  dalla
 prestazione  e'  dalla  legge ricollegata al momento di presentazione
 della domanda e non a quello,  variabilissimo  ed  imprevedibile,  di
 decisione da parte dell'ente preposto al pagamento (qui l'I.N.P.S.).
    Non  corrisponde,  poi, alle esigenze di un ordinamento progredito
 l'uso  indiscriminato  da  parte  del  legislatore  del   potere   di
 interpretazione  autentica, le volte che, come nel caso di specie, la
 volonta' normativa sia nel senso  di  sopprimere  un  certo  istituto
 (cosa che, per altro, per quanto concerne la normativa sugli invalidi
 civili  ultrasessantacinquenni, si e' verificata con il d.lgt. n. 509
 del 1988 che ha disposto per il futuro); ma posto che  tale  volonta'
 appare  inequivoca,  sicuramente irrazionale (art. 3 Cost.) appare la
 codificata intenzione (art. 13 cit.) di far salve,  per  il  passato,
 quelle  posizioni  che, per una delle tantissime ragioni che avessero
 indotto la p.a. a far  presto,  fossero  state  formalmente  definite
 mediante il provvedimento di erogazione e non tutte le altre che, per
 una  delle  tantissime  ragioni  che  avessero  indotto la p.a. a far
 tardi, si trovassero ancora in una fase  del  complesso  procedimento
 amministrativo  cui  e' sottoposta la domanda dell'interessato. Senza
 dire che la legge, cosi' facendo,  finisce  per  il  premiare  quegli
 assistiti che avessero avuto la fortuna di rivolgersi, per ragioni di
 competenza  territoriale,  ad un apparato burocratico particolarmente
 solerte e per punire quegli altri che avessero inoltrato la domanda a
 diversi apparati piu' lenti, magari per oggettive ragioni  di  carico
 di lavoro.
    Per  obbedire  a criteri di razionalita' e per non creare evidenti
 situazioni di disparita' di trattamento fra  soggetti  meritevoli  di
 pari  tutela  (poniamo  fra  i  cittadini  di  Gorizia  e  quelli  di
 Benevento, i primi - secondo recenti notizie di stampa  -  avendo  la
 fortuna di interloquire con una sede I.N.P.S. lestissima ed i secondi
 con  una sede I.N.P.S. meno veloce) la legge avrebbe dovuto disporre,
 dunque, la salvezza di tutte le domande introdotte nella vigenza  del
 d.-l.  n.  495 non convertito (ed in pratica di quelle avanzate sulla
 base della legge n. 118 del 1971, poiche'  il  d.-l.  non  convertito
 conteneva  una  norma  di  interpretazione autentica della disciplina
 integrativa della legge n. 118 cit.).
    Non  sfugge  a  questo  giudice che su identica questione la Corte
 costituzionale si e' gia' pronunciata nella sentenza n.  286  dell'11
 giugno  1990  e nella n. 75 del 1991; tuttavia la questione merita di
 essere riproposta, poiche' in  tale  ultima  pronuncia  la  Corte  ha
 ritenuto   manifestamente   infondata   la   questione  muovendo  dal
 presupposto che la regola portata nel d.-l. n.  495/1988  costituisse
 una  mera  sanatoria  di  una  prassi amministrativa illegittima; ove
 invece si muova dal presupposto che sulla base della legge n. 118 del
 1971 la pensione di invalidita' civile competeva anche a  chi  avesse
 presentato  la  domanda dopo il compimento del sessantacinquesimoanno
 e' evidente come la funzione del  d.-l.  non  convertito  non  poteva
 ritenersi  di  sanatoria  di  una  prassi illegittima, bensi' di mera
 conferma di un comportamento della p.a.  in  linea  con  il  disposto
 legislativo  vigente.  Qui,  allora,  non e' piu' e solo questione di
 "convalida integrale degli effetti concretamente prodotti dal decreto
 decaduto"  (Corte  cost.  n.  286   cit.)   ricadente   nella   sfera
 discrezionale  del  legislatore, ma bensi' di una norma (art. 1 della
 legge n. 93 del 1988 come autenticamente  interpretata  dall'art.  13
 della  legge  n.  412  del 1991) che nel ritenere l'insussistenza del
 diritto alla pensione di invalidita' per  gli  ultrasessantacinquenni
 ha   fatto  salve  solo  alcune  posizioni  utilizzando  un  criterio
 connotato della irragionevolezza della quale fin qui si e'  detto.  E
 che  la  pensione  di  invalidita' civile agli ultrasessantacinquenni
 competesse sulla base della legge n. 118 del 1971 (e succ. modd.)  si
 ricava  dalla  interpretazione  letterale  di  quelle  norme  in essa
 contenute secondo cui per  le  ipotesi  di  invalidita  parziale  era
 previsto  il  diritto  alle  provvidenze  per i cittadini inabili dal
 diciottesimo al  sessantacinquesimo  anno  di  eta',  mentre  per  le
 ipotesi  (come  quella  di  specie)  degli  invalidi  totali  non era
 previsto  il   limite   del   sessantacinquesimo   anno,   salva   la
 trasformazione della pensione di invalidita' in pensione sociale (con
 un  mero  mutamento  del  titolo di spesa ma senza trasformazione del
 titolo sostanziale della provvidenza).
    Se cosi' e', allora, la c.d.  sanatoria  risultante  dal  disposto
 dell'art.  1  della  legge  n.  93  del  1988,  in  riferimento  alla
 perdurante  vigenza  del  d.-l.  n.  495  non  si   configura   quale
 provvedimento   eccezionale   non  utilizzabile  quale  parametro  di
 riferimento  nel  giudizio  di  costituzionalita'  ex  art.  3  della
 Costituzione;  e  per  questo  motivo,  sul  diverso  presupposto, la
 questione di costituzionalita' deve essere nuovamente proposta.
    Valutera'  altresi'  la  Corte  se,  infine,  complessivamente  il
 sistema oggi risultante dalla normativa denunciata non si ponga anche
 in  contrasto con le indicazioni dalla stessa fornite (nella sentenza
 n. 286 cit., nonche' nelle sentenze n. 769 del 1988 e n.75 del  1991)
 e  secondo  le  quali  il  legislatore  avrebbe  dovuto provvedere ad
 uniformare il trattamento per gli invalidi e per i pensionati sociali
 c.d.  puri   equiparando   i   rispettivi   requisiti   di   reddito,
 originariamente,  come  e'  noto,  eguali  per  l'una  o  per l'altra
 provvidenza, e se per tale  omessa  omogeneizzazione  non  sussistano
 ragioni di contrasto con l'art. 38 della Costituzione.
    La  rilevanza  e'  in  re  ipsa avendo la ricorrente presentato la
 domanda di pensione nel dicembre del 1987.
                               P. Q. M.
    Visto  l'art.  23  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87, ritiene
 rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 1, secondo comma, della legge 21 marzo 1988,
 n. 93, come autenticamente interpretata dall'art. 13 della  legge  30
 dicembre  1991,  n.  412,  in  riferimento  agli  artt.  3 e 38 della
 Costituzione;
    Dispone che la presente ordinanza sia notificata  alle  parti,  al
 Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  e  che  sia  comunicata ai
 Presidenti delle due Camere;
    Dispone la sospensione del presente procedimento.
      Pisa, addi' 31 gennaio 1992
                          Il pretore: NISTICO
    Depositato in cancelleria il 1 febbraio 1992.
                  Il cancelliere: (firma illeggibile)

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