N. 39 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 8 aprile 1992

                                 N. 39
  Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
                      cancelleria l'8 aprile 1992
                    (della regione Emilia-Romagna)
 Edilizia e urbanistica - Introduzione in materia urbanistica dei c.d.
    "programmi  integrati  di  intervento" al fine di riqualificare il
    tessuto urbanistico  edilizio  ed  ambientale  -  Possibilita'  di
    presentare  proposte  di  programmi integrati da parte di soggetti
    pubblici e privati relativamente "a  zone  in  tutto  o  in  parte
    edificate  o da destinare anche a nuova edificazione al fine della
    loro riqualificazione urbana  e  ambientale"  -  Previsione  della
    facolta'  delle  regioni  di  destinare  parte  delle  somme  loro
    attribuite dalla  legge  alla  formazione  di  detti  programmi  e
    dell'obbligo   di  concedere  finanziamenti  inerenti  al  settore
    dell'edilizia residenziale con priorita' ai comuni che  provvedano
    in  tal  senso  -  Asserita  indebita  invasione  della  sfera  di
    competenza regionale in materia  di  edilizia  e  urbanistica  con
    particolare  riguardo all'aspetto della programmazione regionale -
    Sconvolgimento con una norma "intrusa" dei  principi  generali  in
    materia di urbanistica.
 (Legge 17 febbraio 1992, n. 179, artt. 1, secondo comma, e 16).
 (Cost., artt. 3, 9, 97 e 117).
(GU n.17 del 22-4-1992 )
   Ricorso  per  la  regione Emilia-Romagna, in persona del presidente
 della giunta regionale pro-tempore Enrico  Boselli,  autorizzato  con
 deliberazione  della  giunta  regionale  n.  1022  del 24 marzo 1992,
 rappresentata  e  difesa,  come  da  mandato  a  margine,   dall'avv.
 Giandomenico  Falcon  di Padova, con domicilio eletto in Roma, presso
 l'avv. Luigi Manzi, via Confalonieri  5,  contro  il  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri  per  l'annullamento della legge 17 febbraio
 1992, n. 179, recante "Norme per l'edilizia residenziale pubblica"  e
 precisamente  dell'articolo 16 di essa (e dell'art. 1, secondo comma,
 come si dira'), in quanto tale disposizione (che d'altronde nulla  ha
 a  che fare con l'edilizia residenziale pubblica) introduce ed impone
 alle  regioni  un  regime  di  privilegio  per  la  realizzazione  di
 interventi  edilizi  previsti da "programmi integrati di intervento",
 un regime  che  irragionevolmente  sovverte  l'intero  sistema  della
 disciplina urbanistica, in illegittima violazione dell'art. 117 della
 Costituzione, in collegamento con l'art. 3, primo comma, e con l'art.
 97,  primo  comma,  e  con  i  connessi  principi  costituzionali, in
 violazione  altresi'  dell'art.  9,  secondo   comma,   nonche',   in
 violazione dell'art. 119 della Costituzione;
                               F A T T O
    La legge n. 179 del 1992 detta nuove ed attese norme in materia di
 edilizia  residenziale pubblica, norme che, per quanto attengono alla
 specifica materia, non  formano  qui  oggetto  di  contestazione.  La
 stessa  legge  tuttavia,  contiene  all'art.  16  una disposizione in
 qualche  modo  "intrusa"  nel  corpo  normativo,  e   che   in   modo
 assolutamente estemporaneo introduce un vulnus di notevole dimensione
 nel  sistema  della disciplina urbanistica, compromettendolo nei suoi
 stessi fondamenti.
    Tale disposizioni, contenuta al Capo V della legge (che in realta'
 "Capo" della legge non e', ma e' semplicemente il formale contenitore
 dell'art. 16, egualmente avulso dal contesto della legge: ed  infatti
 esso non solo e' esaurito dal predetto articolo, ma persino ne ripete
 la  denominazione)  definisce  e  disciplina  progetti  di intervento
 edilizio denominati "progammi integrati di intervento".
    Detti  programmi  sono  caratterizzati   -   secondo   l'impugnata
 disposizione  -  dalla  "presenza  di  pluralita' di funzioni", dalla
 "integrazione di diverse tipologie di  intervento,  ivi  comprese  le
 opere  di  urbanizzazione", da una "dimensione tale da incidere sulla
 riorganizzazione urbana" e dal "possibile concorso di piu'  operatori
 e  risorse finanziarie pubblici e privati" primo comma. Questa stessa
 descrizione rende evidente la natura di  progetto  edilizio  generale
 propria  del  programma integrato, e l'assenza di qualunque specifico
 nesso o legame esclusivo con l'edilizia residenziale pubblica.
    Cio'  e'  confermato  dal  comma  successivo,  ove  si  afferma  i
 programmi  sono  "relativi  a zone in tutto o in parte edificate o da
 destinare  anche  a   nuova   edificazione   al   fine   della   loro
 riqualificazione  urbana  ed  ambientale".  In  pratica, il programma
 integrato  puo'  riguardare   qualunque   zona,   essendo   difficile
 immaginare  zone che gia' non siano "in tutto o in parte edificate" e
 nemmeno   siano   suscettibili   di   essere   destinate   "a   nuova
 edificazione".
    Chiarito  cosi'  l'oggetto  e l'ambito del programma integrato, si
 precisa poi  che  l'approvazione  da  parte  del  consiglio  comunale
 comporta  "gli effetti di cui all'art. 4 della legge 28 gennaio 1977,
 n. 10". Ora, benche' l'art.  4  richiamato  non  preveda  particolari
 "effetti",  ma  contenga in generale la disciplina della concessione,
 non sembra possibile interpretare  il  rinvio  in  modo  diverso  che
 attribuendo  all'approvazione  del  programma  integrato il valore di
 rilascio della  concessione  edilizia  per  gli  interventi  in  esso
 previsti  (anche  se  tanto  piu' semplice a tale scopo sarebbe stato
 sancire  che  l'approvazione  stessa  equivale   a   rilascio   della
 concessione edilizia).
    Sin  qui,  comunque,  le disposizioni esaminate non incidono sulla
 disciplina urbanistica se  non  in  quanto  prevedono  una  sorta  di
 speciale    concessione    edilizia   relativa   ad   un   intervento
 particolarmente ampio: e ci sarebbe semmai  da  chiedersi  per  quale
 ragione la legge sottragga per tale permesso la competenza all'organo
 che  normalmente  la  esercita  -  il  Sindaco  -  per attribuirla al
 consiglio comunale.
    Ma la ragione si  chiarisce  subito,  ed  e'  che  il  legislatore
 espressamente dispone che il programma possa essere "in contrasto con
 le  previsioni  della strumentazione urbanistica" (quarto comma): nel
 qual caso la delibera di approvazione e' soggetta  alle  osservazioni
 da  parte  di associazioni, cittadini e di enti, da presentarsi entro
 il  termine  di  quindici  giorni;  quindi  il   programma   con   le
 osservazioni  e'  trasmesso  alla  regione, la quale - testualmente -
 "provvede alla approvazione o alla richiesta  di  modifiche  entro  i
 successivi  centocinquanta  giorni,  trascorsi  i  quali  si  intende
 approvato" (e' da ritenere, ovviamente, il programma).
    Ancora,   la  realizzazione  del  programma  "non  e'  subordinata
 all'inclusione nei programmi pluriennali di attuazione di cui all'art
 13 della legge 28 gennaio 1977, n. 10".
    I  programmi  integrati  (che   corrispondono   evidentemente   ad
 interessi edilizi ed immobiliari "forti" godono dunque, rispetto agli
 interventi   ordinari,   di   un   regime   urbanistico  ed  edilizio
 assolutamente privilegiato  e  semplificato.  Essi  non  subiscono  i
 vincoli  posti  da  quale  che  sia strumento urbanistico, e derogano
 percio' al principio della previa regola; essi neppure sono  soggetti
 al   connesso  principio  della  distinzione  tra  il  momento  della
 pianificazione ed il momento della  verifica  della  conformita'  del
 progetto alla pianificazione attraverso la concessione edilizia; essi
 non   sono  soggetti  all'ulteriore  principio  della  pianificazione
 temporale degli interventi; per essi vale una procedura che vagamente
 imita le tipiche procedure di pianificazione, ma che e'  nell'insieme
 caratterizzata   da   un  andamento  sbrigativo,  che  culmina  nella
 previsione del silenzio-assenso per l'approvazione regionale.
    Dunque, tanto i comuni interventi edilizi,  quelli  di  dimensione
 tale   da   non   incidere   "sulla   riorganizzazione  urbana"  sono
 assoggettati a regole e verifiche, altrettanto, al contrario,  per  i
 grandi   progetti   integrati   e'   predisposta   una  via  larga  e
 confortevole.
    Al privilegio urbanistico-edilizio si collega inoltre un regime di
 preferenza finanziaria. Intanto,  lo  Stato  stesso  si  riserva  non
 meglio  precisati "contributi", a valre sui "fondi di cui all'art. 2"
 (anche essi non meglio precisati, anche se  e'  da  supporre  che  si
 tratti di quelli di cui al primo comma.
    Il secondo luogo, le regioni non solo sono autorizzate a destinare
 parte  delle  somme  loro  attribuite  "alla  formazione di programmi
 integrati" - secondo l'ottavo comma dell'art.  16  -  ma  addirittura
 vedono parte dei fondi ad esse assegnati "destinati prioritariamente,
 e  fino al limite del 30 per cento delle disponibilita', ai programmi
 di cui all'art. 16" (art. 2, secondo comma).
    In terzo luogo, la formazione dei programmi integrati da parte dei
 comuni  diventa  addirittura  criterio  generale  di  priorita'   per
 l'assegnazione   da   parte   regionale  dei  finanziamenti  relativi
 all'edilizia residenziale pubblica.
    E' evidente l'impatto della nuova normativa nel tessuto  complesso
 e   delicato   della  disciplina  urbanistica  e  dei  suoi  principi
 fondamentali,  che  pur  non  vengono  modificati  nel  loro   valore
 generale:  un impatto - ad avviso della ricorrente regione - non solo
 radicalmente  distruttivo  sul  piano   del   merito,   ma   altresi'
 costituzionalmente   illegittimo   nella   sostanza   dell'intervento
 normativo.
    Ed e' evidente altresi' che tale impatto gravemente intacca e lede
 il quadro dei poteri legislative  ed  amministrativi  della  regione,
 costringendo l'azione regionale sia legislativa che amministrativa in
 un  quadro di principi che nel loro insieme risultano - a causa delle
 nuove disposizioni  -  affetti  da  irragionevolezza,  disparita'  di
 trattamento,  non  solo  incapaci  di  garantire  il  buon  andamento
 dell'attivita' amministrativa, ma al  contrario  palesemente  atti  a
 promuoverne  il  cattivo  andamento, creando un "diritto urbanistico"
 diverso a seconda degli operatori, e per di piu' privilegiato per gli
 operatori forti.
    Inoltre,  le  disposizioni  finanziarie  violano,  come accennato,
 l'autonomia finanziaria delle regioni.
                             D I R I T T O
    I. - Illegittimita' costituzionale delle disposizioni dell'art. 16
 relative ai programmi integrati, ed in particolare del quarto  comma,
 in  quanto, vincolando le regioni, determina un regime urbanistico ed
 edilizio di privilegio. Eccesso di potere legislativo e  lesione  del
 principio   di   ragionevolezza;   contradditorieta'   ed  intrinseca
 incoerenza  del  quadro  complessivo  della  disciplina   urbanistica
 risultante   dal   nuovo  intervento  legislativo.  Violazione  degli
 articoli 3 e 97 della Costituzione.
    1.  -  All'esposizione  dei  singoli  motivi  di   illeggittimita'
 costituzionale  conviene  anteporre  alcune  considerazioni rivolte a
 chiarire meglio i particolari caratteri della presente  controversia.
 Come  esposto  in narrativa, con l'art. 16 della legge n. 179/1992 il
 legislatore statale con una  sola  disposizione,  di  una  legge  non
 dedicata  all'urbanistica, altera radicalmente il quadro dei principi
 fondamentali della materia, introducendo  ad  essi  deroghe  di  tale
 portata  da  vanificare il sistema costruito in oltre cinquantanni di
 legislazione urbanistica.
    Ma nel fare cio' le nuove disposizioni violano in  modo  grave  le
 regole   costituzionali   che  presiedono  alla  formulazione  ed  al
 mutamento dei principi fondamentali della materia, dei principi  che,
 a norma dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, costituiscono
 il  quadro  vincolante  di  riferimento  della  legislazione  e della
 amministrazione regionale.
    In tale  modo,  la  legislazione  (ed  amministrazione)  regionale
 vengono  costrette  in  un  quadro di principi illegittimi, dei quali
 dovrebbero comunque subire i  contenuti,  addividendo  a  statuizioni
 legislative   ed   amministrative   a   loro   volta  di  conseguenza
 illegittime. E' per evitare cio' che si rende necessario il ricorso a
 codesta ecc.ma Corte costituzionale, a  ripristino  di  un  legittimo
 quadro di riferimento per l'azione regionale.
    Nella  presente  controversia, dunque, non tanto si fa questione -
 come di frequente - di  una  invasione  di  competenza  per  materia,
 quanto  piuttosto  di illegittimo ed arbitrario esercizio del potere-
 dovere che spetta allo Stato di delineare e  mantenere  un  razionale
 quadro  di  principi  fondamentali  al cui interno possa svolgersi la
 legislazione (e l'amministrazione regionale);  si  fa  questione,  in
 altre parole, del "diritto" dello Stato di sfregiare esso stesso, con
 una  singola  ed estemporanea disposizione, quel razionale sistema da
 esso stesso predisposto e  creato,  e  di  imporre  alle  regioni  la
 gestione  -  sul  piano legislativo ed amministrativo - del cumulo di
 macerie che ne risulta.
    Conviene precisare, per chiarezza, che la ricorrente  regione  non
 contesta  affatto  il potere statale di mutare ed innovare i principi
 fondamentali della materia,  sostituendo  in  tutto  o  in  parte  il
 precedente   quadro  con  un  nuovo  quadro  dotato  di  una  diversa
 razionalita'  ispiratrice;  contesta  invece  il  potere  statale  di
 distruggere  il  quadro  dei  principi imponendo alle regioni deroghe
 illegittime, tali per qualita' e dimensione da  porre  nel  nulla  la
 razionalita'  complessiva  del sistema, sostituendolo di fatto con un
 sistema incoerente e confuso, discriminatore tra i diversi operatori,
 contraddittorio  con  le  esigenze  prime  di  un  ordinato  sviluppo
 urbanistico e territoriale, esse stesse costituzionalmente tutelare.
    2.  -  Venendo  ora  alle  specifiche  ragioni  di  illegittimita'
 costituzionale, conviene considerare in primo luogo -  per  priorita'
 logica,  non  per  priorita' di parametro costituzionale - l'evidente
 sproporzione tra il carattere  estemporaneo  dell'intervento  operato
 dall'art.  16 della legge n. 179/1992 e l'enormita' delle conseguenze
 che ne derivano sul piano della disciplina  urbanistica:  consistenti
 in  sintesi,  come esposto, nella creazione di un sistema urbanistico
 privilegiato, parallelo ed indipendente rispetto a quello  ordinario,
 per gli interventi di maggiore rilevanza urbanistica.
    La   ricorrente   regione   e'   ben   consapevole  che  l'attuale
 conformazione costituzionale del sistema delle fonti - che ancora non
 contiene per le materie regionali l'auspicato  livello  della  "legge
 organica",  gerarchicamente  intermedia  tra  la  Costituzione  e  la
 normale legge ordinaria - non consente di prospettare in  termini  di
 illegittimita' gerarchica la violazione del sistema organico da parte
 di  una  qualunque legge. Ma cio' non significa che non esistano gia'
 nell'attuale sistema principi costituzionali concernenti in  generale
 la potesta' legislativa ed in particolare la potesta' di legislazione
 di  principio  nelle materie regionali, che consentono di prospettare
 in termini di illegittimita' costituzionale almeno i casi estremi  di
 violazione di tali principi.
    Non   si   tratta   cioe'  qui  di  considerare  "gerarchicamente"
 intangibili  gli  attuali  consolidati  principi   della   disciplina
 urbanistica,   ma   piuttosto   di   richiedere  -  sul  piano  della
 legittimita'  costituzionale  -  che  la   posizione   dei   principi
 fondamentali  delle  materie  avvenga  (non importa da parte di quale
 legge  ordinaria,  generale  o   settoriale)   secondo   criteri   di
 consapevolezza e di coerenza complessiva.
    A  tali  criteri  pare evidentemente contraddire il fenomeno della
 norma "intrusa" nel corpo di una legge rivolta a oggetti e  fini  del
 tutto  diversi da quelli della norma, appunto, intrusa: almeno quando
 la norma intrusa non si limiti a mere integrazioni del sistema, ma ne
 comporti il complessivo sconvolgimento. A tali obiettivi e scopi essa
 e', proprio in quanto intrusa, impari a partire  dalla  conformazione
 stessa  dell'iniziativa legislativa, che non esprime un vero progetto
 legislativo in materia (tanto  a  maggior  ragione  quando,  come  in
 questo  caso,  la  legge  risulti  approvata  in semplice commissione
 parlamentare).
    Codesta eccellentissima Corte costituzionale, d'altronde, ha  gia'
 avuto  modo  di  affermare,  tra  gli argomenti capaci di comporre il
 complessivo giudizio di illegittimita' costituzionale,  la  rilevanza
 del carattere intruso di una disposizione: cio' ad esempio quando, in
 relazione  al  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 6
 della legge  9  gennaio  1991,  n.  19,  ha  stabilito  (sentenza  n.
 227/1992)  che la disposizione impugnata sia "per il suo oggetto" che
 "per la sua formulazione testuale" non poteva ritenersi collegata con
 le finalita' complessive della legge che la ospitava, e  che  proprio
 percio'  essa  si  risolveva  nell'attribuzione  di un ingiustificato
 privilegio ad una specifica regione rispetto alle altre, argomentando
 "l'ingiustificatezza e l'irragionevolezza" della soluzione  normativa
 in particolare dal suo essere "non coerente e comunque non necessaria
 rispetto alla stessa scelta di fondo della legge".
    Ma  tali considerazioni si rendono a maggior ragione necessarie in
 relazione alla questione qui posta, nella quale le conseguenze  della
 norma  intrusa  appaiono  ben  piu'  gravi, ben piu' estese, ben piu'
 durature, ben piu' irrazionali che un limitato privilegio concesso ad
 una singola citta', come nel caso allora in discussione della  citta'
 di Venezia.
    3. - Come sopra esposto, l'effetto delle disposizioni dell'art. 16
 della  legge  n.  179  e'  di  creare un doppio regime urbanistico ed
 edilizio.
    Da una parte, infatti, continuano ad esistere le regole  ordinarie
 per  le  "normali"  concessioni  edilizie,  in relazione alle quali i
 normali cittadini si trovano a percorrere la via  stretta,  ancorche'
 posta  a  giusta e rigorosa tutela di un interesse pubblico vitale ed
 essenziale (e gia' nel passato tanto maltrattato, proprio ad opera di
 quelle "convenzioni sostitutive della pianificazione"  vietate  dalla
 legge  ponte  del  1967,  convenzioni  cui  il  nuovo strumento tanto
 assomiglia, con l'aggravante che ora  la  pianificazione  urbanistica
 esiste dovunque) dei rigidi principi dell'urbanistica "ordinaria": il
 principio  di  previa  pianificazione, il principio della distinzione
 tra momento del piano e momento del permesso  edilizio  (quest'ultimo
 in  funzione  di  verifica  della conformita' al piano), il principio
 della programmazione temporale degli interventi.
    Dall'altra parte esiste invece - creata dall'art. 16 qui impugnato
 - la larga autostrada dei "programmi integrati", per la quale nessuno
 di tali principi e' piu' operante, ma opera invece il solo  principio
 che  gli  interessi forti sostanzialmente "contrattano" caso per caso
 la programmazione e nello stesso tempo  l'esecuzione  urbanistica  ed
 edilizia  direttamente  con  i  poteri  locali, a prescindere da ogni
 vincolo di razionalita' complessiva e di regola previa.
    E' evidente come tale situazione contraddica  in  primo  luogo  il
 principio  costituzionale  di  eguaglianza fissato dall'art. 3, primo
 comma, della Costituzione.
    Ne' varrebbe obbiettare che la  differenziazione  dei  due  regimi
 radicalmente   differenti  e'  giustificata  dalla  diversita'  degli
 interventi  cui  ciascuno  si  applica.  Al  contrario,  proprio   la
 considerazione  di  tale diversita' mette semmai in luce un ulteriore
 profilo della lesione del principio, in relazione al  secondo  comma,
 dello stesso art. 3.
    Infatti,  a  parte  che l'individuazione dei presupposti del nuovo
 regime semplificato e', come esposto in narrativa, talmente  generica
 da  attribuire  una  discrezionalita'  sostanzialmente  illimitata al
 Comune nella qualificazione del  progetto  come  progetto  integrato,
 risulta  paradossale  che  le ordinarie garanzie vengano meno proprio
 per quegli interventi nei quali, in relazione agli interessi in gioco
 ed alla loro forza, esse sarebbero piu' necessarie.
    Se un regime semplificato puo' razionalmente prevedersi esso  deve
 riguardare,  parrebbe,  gli interventi minori, quelli suscettibili di
 recare minor danno urbanistico; ed infatti, a questo criterio  si  e'
 sin  qui  tenuta la legislazione, ed in particolare quella successiva
 al 1977, che ha sostanzialmente liberalizzato le opere interne ed  ha
 semplificato  la  procedura  per  gli  interventi soggetti a semplice
 autorizzazione edilizia.
    La nuova disciplina fa esattamente il contrario, creando  una  via
 semplificata  proprio  per  quegli  interventi  e  quei  soggetti che
 largamente, gia' con le attuali rigorose garanzie, per  la  rilevanza
 stessa  delle  relazioni  economiche  che  esprimono  piu' facilmente
 ottengono   considerazione   particolare,   ed   ai  quali  la  nuova
 disposizione  toglie  persino  l'impaccio  del  doversi   confrontare
 comunque con i vincoli e le regole ordinarie.
    Le  considerazioni  ora  esposte  con riferimento all'art. 3 della
 Costituzione  mettono  tuttavia  in  rilievo  anche   la   violazione
 dell'art.  97,  primo  comma,  della  Costituzione, in relazione alla
 violazione del principio di  imparzialita'  e  buon  andamento  della
 pubblica amministrazione.
    Le  nuove  regole  privano infatti le autorita' locali e le stesse
 autorita' regionali della possibilita' di far valere - di fronte alle
 pressioni dei soggetti e degli interessi forti - l'impossibilita'  di
 un  immediato  accedere  alle  loro  esigenze,  per  la necessita' di
 conteperarle e comporle in un quadro urbanistico predefinito.
    Inoltre - cio' che e' altrettanto grave -  la  nuova  disposizione
 sottrae  tali  interventi al momento della verifica della conformita'
 del concreto progetto  alla  programmazione.  Non  solo  cioe',  come
 detto,  gli  interventi maggiori contrattano caso per caso il proprio
 piano da una evidente posizione  di  forza,  ma  sulla  realizzazione
 dell'intervento  manca  ancora  la  verifica moderatrice di un organo
 monocratico, nell'ambito di un procedimento nel quale trovi  adeguato
 spazio la componente tecnica della valutazione.
    Con  la verifica della conformita' del progetto al piano (sembrata
 forse inutile al legisaltore nel momento in cui  il  progetto  si  fa
 esso stesso piano del caso singolo) cade ogni adempimento procedurale
 normalmente  (e giustamente) necessario: dal parere della commissione
 edilizia al nulla  osta  dei  vigili  del  fuoco  e  delle  autorita'
 sanitarie. Tutto cio' e' sostituito dalla sola approvazione di organi
 politici, palesemente inidonei a compiere quelle imparziali verifiche
 tecnico-amministrative  di cui la fase attuativa della pianificazione
 evidentemente abbisogna (l'approvazione regionale e' poi  addirittura
 eventuale,   dato  il  meccanismo  del  silenzio  assenso,  anch'esso
 introdotto per gli interventi maggiori,  ad  ulteriore  scempio  alla
 disciplina urbanistica).
    Le   nuove   disposizioni,  percio',  non  solo  non  garantiscono
 l'imparzialita'  ed  il  buon  andamento   dell'amministrazione,   ma
 sembrano al contrario studiare per favorire l'opposto risultato della
 parzialita' e del cattivo andamento.
    II.  - Illegittimita' costituzionale dell'art. 16, primo, secondo,
 terzo,  quarto  comma,  in  quanto   essi   in   modo   irragionevole
 irrigidiscono   nel   dettaglio   la   conformazione   sostanziale  e
 procedurale dei programmi di intervento, completamente  ignorando  la
 potesta' legislativa regionale.
    All'interno   di   un   quadro   di   complessiva   illegittimita'
 costituzionale, specifiche ragioni di  illegittimita'  costituzionale
 investono   poi   singoli   elementi   sostanziali  e  procedimentali
 dell'istituto giuridico disciplinato dal  legislatore  statale.  Tali
 illegittimita'   costituzionali  rimangono  prive  di  rilievo  nella
 prospettiva  dell'accoglimento  dei  motivi  di   ricorso   sin   qui
 prospettati,  nel quale la ricorrente regione confisca: ma acquistano
 invece autonomo rilievo nell'ipotesi  che  l'istituto  del  programma
 integrato  di  intervento  in se' considerato venga ritenuto conforme
 alla Costituzione.
    Per  come  e' concepita, infatti, la disposizione sembra del tutto
 ignorare di muoversi in un settore costituzionalmente  affidato  alle
 regioni,  nel  quale  allo  Stato  spetta  la disciplina dei principi
 fondamentali, alle regioni stesse lo svolgimento dei principi posti.
    Nella disposizione, infatti, la regione non appare  affatto  quale
 titolare  di potesta' legislative, ma esclusivamente come titolare di
 un  potere  amministrativo  di  approvazione,   dal   cui   esercizio
 d'altronde  e'  sembrato  al  legislatore  statale  si  potesse anche
 prescindere ove la regione non si affretti a dare o a  esplicitamente
 negare l'approvazione richiesta.
    Ora  e' chiaro il potere legislativo regionale in materia discende
 da  norme  costituzionali,  e  che  esso  non  abbisogna  di   essere
 riconosciuto  dalla  singola legge statale: per cui il semplice fatto
 che il legislatore lo ignori o mostri di ignorarlo  non  preclude  la
 possibilita' di esercitarlo, all'interno dei principi comunque posti.
    Cio'  non  toglie, pero', che l'ignorare la competenza legislativa
 regionale in materia, oltre a costituire,  per  cosi'  dire,  riprova
 indiziaria    del    quadro   di   complessiva   estemporaneita'   ed
 irrazionalita' dell'intervento, conduce anche il legislatore  statale
 a  codificare  in  termini  rigidi  le  carateristiche  sostanziali e
 procedimentali del nuovo istituto, vincolando la regione ad un  ruolo
 -  neppure  previsto  e  necessario - di mera attuazione. L'eccessivo
 grado di dettaglio e compiutezza della disciplina, in  altre  parole,
 non  e'  qui giustificato dalla necessita' di dare immediata tutela a
 qualche valore di rango costituzionale,  ma  si  pone  esclusivamente
 quale   conseguenze   dell'errata   convinzione  degli  autori  della
 disposizione di disporre in materia  di  un  potere  legislativo  non
 soggetto  a regole, in relazione al riparto di competenze tra Stato e
 regioni.
    Risulta cosi' in contrasto con  la  divisione  di  competenze  tra
 Stato  e  regioni  il  tentativo - pure in sostanza fallito - di dare
 compiuta descrizione delle caratteristiche del nuovo istituto e della
 sua esatta portata, anziche' delinearne i  tratti  generali,  ponendo
 criteri  ed obbiettivi, lasciando poi alle Regioni di svilupparli nel
 concreto, curandone anche un armonioso inserimento nel  sistema,  sia
 componendo  le  esigenze di celerita' e flessibilita' con le esigenze
 di garanzia e di verifica tecnica proprie  del  sistema  urbanistico,
 sia modulando l'istituto derogatorio in modo non discriminante.
    Egualmente,   le   disposizioni   procedimentali,   pur   alquanto
 abborracciate (e certamente  suscettibili  sotto  questo  profilo  di
 essere  precisate  e  meglio formulate in sede regionale) pongono una
 serie di snodi, che non c'era evidentemente  ragione  di  fissare  al
 livello  del  "principio" statale: cosi' le previsioni dei termini (i
 15 giorni per le  osservazioni  e  i  10  per  la  trasmissione  alla
 regione,  i  150 per la regione stessa), la previsione del meccanismo
 di silenzio assenso regionale.
    III.  -  In   particolare.   Illegittimita'   costituzionale   del
 meccanismo  di  silenzio  assenso  per  l'approvazione  regionale del
 programma integrato, in quanto rende puramente evenutale la tutela di
 interessi costituzionalmente tutelati.
    Una  specifica   evidente   illegittimita'   e'   poi   costituita
 dall'introduzione  di  un meccanismo di silenzio assenso in relazione
 all'approvazione regionale. Con esso,  infatti,  si  rende  puramente
 eventuale    la   valutazione   sulla   compatibilita'   di   insieme
 nell'intervento proposto con i  valori  (di  rilievo  costituzionale)
 tutelati  in  via  ordinaria  dalle  diverse  forme di pianificazione
 sovracomunale, quale si esprime  nei  piani  urbanistici  provinciali
 (ora  previsti come necessari dalla stessa legislazione statale: art.
 15 della legge n. 142/1990) e  regionali,  nei  piani  paesistici  ed
 ambientali  e  nelle  altre  pianificazioni  di  settore  a rilevanza
 territoriale.
    IV.  -  Ulteriore  illegittimita'  costituzionale  degli   effetti
 direttamente permissivi dell'approvazione del programma integrato, in
 quanto  essi  privano  di  tutela  i  beni soggetti a speciale tutela
 architettonica o  paesistica,  in  violazione  dell'art.  9,  secondo
 comma, della Costituzione.
    Un  ulteriore  profilo di illegittimita' del meccanismo introdotto
 dall'art. 16, quarto comma, emerge agevolmente considerando che esso,
 direttamente   equiparando   l'approvazione   del   programma    alla
 concessione  edilizia,  non  fa  salva  nemmeno  la  necessita' degli
 speciali nulla osta o autorizzazioni che la legislazione  vigente,  a
 tutela   di   valori   costituzionali,   prevede  come  necessari,  e
 necessariamente  affidate  ad   autorita'   dotate   di   particolare
 competenza  tecnica,  quale  quelle  preposte  alla tutela dei valori
 architettonici, artistici, storici e paesistici.
    Se si considera che  i  programmi  integrati  sono  specificamente
 finalizzati    alla    "riorganizzazione    urbana",   e   si   tiene
 contemporaneamente  presente  il  particolare   valore   storico   ed
 artistico  della  quasi totalita' delle citta' e dei centri italiani,
 non si puo'  sfuggire  alla  constatazione  che  anche  sotto  questo
 profilo  la necessaria tutela dei beni costituzionalmente tutelati e'
 stata totalmente ed illegittimamente pretermessa.
    V. - Illegittimita' costituzionale delle disposizioni  finanziarie
 del  settimo  e nono comma dell'art. 16, nonche' dell'art. 1, secondo
 comma.
    Infine,  la  considerazione   dell'estraneita'   sostanziale   dei
 programmi  integrati alla materia dell'edilizia residenziale pubblica
 (non essendo prescritto che in essi  vi  sia  neppure  un  minimo  di
 interventi di tale tipo) rende ulteriormente viziate di incongruita',
 incoerenza  e,  se  si accetta l'espressione, da "sviamento di potere
 legislativo" le disposizioni che da una parte  addirittura  impongono
 alle   regioni   di   destinare  parte  dei  finanziamenti  assegnati
 all'edilizia residenziale pubblica ai programmi  integrati  (art.  1,
 secondo  comma),  dall'altra  impongono  ad  esse  una  irragionevole
 priorita' nell'assegnazione dei fondi ai  comuni  (art.  16,  settimo
 comma).
    Egualmente  illegittima  appare  poi la disposizione dell'art. 16,
 nono comma, sia in quanto prevede un intervento contributivo  statale
 privo  di  giustificazione  (la  stessa disposizione non lo collega a
 nessuna particolare ragione di interesse nazionale, ma si  limita  ad
 indicarne  la copertura finanziaria) sia in quanto egualmente svia la
 destinazione dei fondi propri dell'edilizia residenziale pubblica.
   Tutto cio' premesso, la  ricorrente  regione  Emilia-Romagna,  come
 sopra   rappresentanta   e   difesa   chiede   che  venga  dichiarata
 l'illegittimita'   costituzionale   delle   impugnate    disposizioni
 dell'art.  16 (e dell'art. 1, secondo comma), della legge 17 febbraio
 1992, n. 179, per violazione degli artt.  117,  primo,  terzo  comma,
 primo  comma,  e  2,  97,  primo  comma,  9  della Costituzione e dei
 connessi principi costituzionali sulla funzione legislativa.
      Padova-Roma, addi' 26 marzo 1992
                    Avv. prof. Giandomenico FALCON

 92C0457