N. 41 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 8 aprile 1992

                                 N. 41
  Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
                      cancelleria l'8 aprile 1992
                       (della regione Lombardia)
 Edilizia e urbanistica - Termini per l'approvazione degli strumenti
    urbanistici - Qualificazione del  termine  di  centottanta  giorni
    previsto  dall'art.  9,  secondo  comma,  del  d.-l.  n.  702/1978
    (convertito  in  legge  n.  3/1979),  per   l'approvazione   degli
    strumenti  urbanistici, quale termine perentorio la cui decorrenza
    comporta  la  tacita  approvazione  dello  strumento   urbanistico
    adottato  con  l'esame  delle  osservazioni da parte del consiglio
    comunale - Attribuzione al Ministro  per  il  coordinamento  della
    protezione   civile   della  facolta'  di  stipulare  direttamente
    convenzioni con soggetti  anche  privati  (istituti  e  gruppi  di
    ricerca)   per   il   perseguimento  di  specifiche  finalita'  di
    protezione civile - Asserita indebita  invasione  della  sfera  di
    competenza  regionale  in  materia  di edilizia ed urbanistica, in
    contrasto  con  i  principi  della  legge  statale   n.   142/1990
    relativamente  all'attribuzione  alle regioni della programmazione
    socio-economica e pianificazione territoriale.
 (D.-L. 1› marzo 1992, n. 195, artt. 3 e 10, secondo comma).
 (Cost., artt. 3 e 117).
(GU n.17 del 22-4-1992 )
   Ricorso per illegittimita' costituzionale  proposto  dalla  regione
 Lombardia,   in  persona  del  presidente  pro-tempore  della  giunta
 regionale, dott. ing. Giuseppe Giovenzana,  a  cio'  autorizzato  con
 delibera  della  giunta  regionale,  n.  20448,  del  24  marzo 1992,
 rappresentata e difesa, per mandato in calce al presente atto,  dagli
 avvocati  Maurizio  Steccanella,  del  foro  di Milano, e Giovanni C.
 Sciacca, del foro di Roma, presso il quale ultimo, in Roma, via  G.B.
 Vico,  n.  29,  e'  eletto  il  domicilio;  contro e nei confronti di
 Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del  Presidente  in
 carica,  sedente in Roma, palazzo Chigi, piazza Colonna, e legalmente
 domiciliata presso la avvocatura generale dello Stato, in  Roma,  via
 dei   Portoghesi,  n.  12;  per  la  declaratoria  di  illegittimita'
 costituzionale degli artt. 3 e 10, secondo comma, seconda parte,  del
 d.-l.  1›  marzo  1992,  n.  195, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale
 della  Repubblica  italiana,  n.  52,  del  3  marzo  1992,   recante
 "differimento  dei  termini  previsti  da disposizioni legislative ed
 altre disposizioni urgenti".
                               F A T T O
    1.  -  Sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52 del 3 marzo
 1992, e' stato pubblicato il d.-l.  in  epigrafe,  il  quale  -  come
 d'altra   parte   attesta   la   genericita'   del   titolo   che  lo
 contraddistingue - contiene,  in  41  articoli  (l'ultimo  dei  quali
 relativo  alla  retroattivita'  di talune sue parti), una congerie di
 disposizioni, tra le piu' disparate e con  riferimento  alle  materie
 piu'  diverse  fra  loro:  dalla  durata massima della occupazione di
 urgenza nelle procedure di espropriazione per  causa  di  p.u.,  agli
 interventi  per  la  torre  di  Pisa,  alla  assistenza  sanitaria ai
 cittadini extracomunitari, alle provvidenze  per  le  maestranze  del
 cantiere  E.N.E.L.  di Gioia Tauro, alle funzioni dirigenziali presso
 l'A.N.A.S., e via dicendo ..
    2. - Tra le tante norme inserite in quel d.-l., vi e' l'art. 3, il
 quale reca il titolo "termine per  la  approvazione  degli  strumenti
 urbanistici",   e   recita   testualmente:  "Il  termine  massimo  di
 centottanta giorni previsto dall'art. 9, secondo comma, del d.-l.  10
 novembre  1978,  n. 702, convertito, con modificazioni, dalla legge 8
 gennaio 1979, n. 3, deve considerarsi perentorio e la sua  decorrenza
 comporta  la tacita approvazione dello strumento urbanistico adottato
 con l'esame delle osservazioni da parte del consiglio comunale".
    3. - Il termine reso, in tal modo, "perentorio", e  alla  scadenza
 del   quale   il   d.-l.  qui  impugnato  ha  inteso  ricollegare  il
 rilevantissimo e del tutto innovativo effetto di approvazione  tacita
 di   strumenti  urbanistici  generali  (il  richiamo  alla  lett.  b)
 dell'art. 9 del d.-l. del 1978 ed al secondo comma di  esso,  nonche'
 l'ulteriore  richiamo  all'esame  delle  osservazioni  da  parte  del
 consiglio comunale, non  possono  lasciare  alcun  dubbio  su  questo
 ultimo  punto|),  e'  -  in  realta'  -  un termine che le richiamate
 disposizioni (d.-l. e legge di  conversione)  del  1978  e  del  1979
 ponevano,  a livello di "principio", come criterio per ottemperare al
 contestuale obbligo delle regioni, di  legiferare  in  tal  senso  in
 materia (urbanistica) indiscutibilmente e interamente trasferita alla
 loro competenza legislativa ex art. 117 della Costituzione.
    4.  -  Infatti,  il  testo  del  d.-l. n. 702/1978, convertito con
 modificazioni nella legge n. 3/1979, cosi' si esprimeva:
      primo comma. Entro sei mesi dalla entrata in vigore della  legge
 di  conversione  del presente decreto le regioni, qualora non abbiano
 gia' provveduto, dovranno emanare norme per accelerare  le  procedure
 per la formazione e la approvazione degli strumenti urbanistici. Tali
 norme dovranno informarsi ai seguenti principi:
        a)  .. Omissis ..;
        b) stabilire il termine massimo entro il quale la regione deve
 adottare il provvedimento definitivo di approvazione;
        c)  .. Omissis ..;
     secondo  comma.  Il  termine  massimo di cui al precedente comma,
 lett. b), non puo'  essere  superiore  a  180  giorni  per  il  piano
 regolatore  generale e tale termine deve essere adeguatamente ridotto
 per gli altri atti urbanistici .. ecc.  ..
    5. - In altre parole, per il combinato disposto  dell'art.  9  del
 d.-l.  n.  702/1978, convertito in legge n. 3/1979, e dell'art. 3 del
 d.-l. 1› marzo 1992,  n.  195,  oggetto  del  presente  ricorso,  gli
 strumenti  urbanistici  generali  si riterranno tacitamente approvati
 dalla regione, decorsi 180 giorni dall'avvenuto esame - da parte  del
 consiglio  comunale - delle osservazioni, rectius: decorsi 180 giorni
 dalla data di invio alla regione (per la approvazione) della delibera
 del consiglio comunale che  abbia  preso  in  esame  le  osservazioni
 presentate  con  riferimento  ad  uno  strumento urbanistico generale
 precedentemente adottato.
    6. - Si determina, in tal modo, una serie di effetti giuridici  di
 estrema  rilevanza  ed  aventi  la portata di sovvertire in radice il
 sistema della pianificazione urbanistica e territoriale.
    Infatti:
       A) un termine, a  suo  tempo  posto  come  "principio"  per  la
 emananda  legislazione  delle  regioni  in materia di indiscussa loro
 competenza  primaria,  diventa,   viceversa,   un   termine   imposto
 direttamente  da un atto legislativo dello Stato, per il compimento e
 la  emanazione  di   un   determinato   e   specifico   provvedimento
 amministrativo regionale (approvazione dei piani regolatori generali)
 che    quella   emananda   legislazione   avrebbe   dovuto,   invece,
 regolamentare - come e' ovvio e come e' istituzionalmente  innegabile
 - essa stessa;
       B)   risulta   introdotto   nell'ordinamento  l'istituto  della
 approvazione tacita degli strumenti urbanistici generali, vale a dire
 il silenzio-assenso sulla formazione dei piani  regolatori  generali,
 ben  noto essendo che la approvazione regionale di questi ultimi (che
 ora si vuole ammettere in forma "tacita") e' - in realta' - una  "co-
 formulazione" dell'atto pianificatorio, in relazione alla quale si e'
 sempre  parlato di atti caratterizzati da procedimento di "formazione
 successiva (adozione comunale, approvazione regionale)".
    7. - La disposizione oggetto del presente ricorso si appalesa,  in
 tal  modo,  costituzionalmente illegittima, per gravissima violazione
 dell'art.  117  della  Costituzione,  risolvendosi  nella   autentica
 espropriazione della funzione - tipicamente regionale - di sottoporre
 ad  approvazione  i piani regolatori generali, adottati dai comuni, e
 nella  conseguente  vanificazione  potenziale  del  contenuto   della
 funzione   di  pianificazione  di  piu'  vasta  area  (sovracomunale,
 territoriale,  regionale),  la  quale,  come   e'   evidente,   sara'
 condizionata,   nel   suo   concreto   esercizio,  da  gia'  avvenute
 pianificazioni comunali  che  la  regione  -  in  realta'  -  non  ha
 approvato ..
    Il   caso,  pur  collocandosi  all'interno  di  un  insistente  ed
 inquietante tendenza del legislatore statale alla "riapprovazione" di
 funzioni trasferite alle regioni e  a  queste  ultime  spettanti  per
 dettato  della  Carta costituzionale, appare talmente macroscopico da
 potersi quasi definire - sino ad oggi - senza precedenti ..
    8. - Il d.-l. 1› marzo 1992, n. 195,  poi,  all'art.  10,  secondo
 comma,  ultima  parte,  attribuisce  direttamente  ad un organo dello
 Stato (Ministro per il  coordinamento  della  protezione  civile)  la
 potesta'  di  "stipulare  apposite  convenzioni con istituti, gruppi"
 (anche  privati,  quindi|)  "ed  enti   di   ricerca"   ..   per   il
 "perseguimento"  (in  genere|) "di specifiche finalita' di protezione
 civile".
                             D I R I T T O
    I. - In  ordine  alla  prima  delle  disposizioni  del  d.-l.  qui
 impugnate (art. 3), si deduce e si rileva quanto segue.
    La  prima  legge  urbanistica  generale  apparsa nello ordinamento
 italiano - 17 agosto 1942, n. 1150 - introducendo  con  carattere  di
 generalita'  l'istituto  del  piano  regolatore  generale  di livello
 comunale (in precedenza vi erano stati  taluni  esempi  di  strumenti
 urbanistico-edilizi di grandi citta', adottati ed approvati con leggi
 speciali  ad  hoc,  quale  quello  per il risanamento della citta' di
 Napoli, ecc.), prevedeva, all'art. 10, che ciascun  piano  regolatore
 generale,  una volta adottato, pubblicato e sottoposto alle eventuali
 "osservazioni", fosse approvato con decreto del Ministro per i lavori
 pubblici, sentito  il  parere  del  consiglio  superiore  dei  lavori
 pubblici.
    Tale  funzione  di  approvazione  e' stata quindi, trasferita alle
 regioni, in attuazione dell'art. 117 della Costituzione (che  include
 la  urbanistica  nelle  materie  di  piena competenza regionale), con
 l'art. 1, lett. d), del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8 ("l'approvazione
 dei piani regolatori generali").
    Successivamente, l'art. 80 del d.P.R. 24 luglio 1977, n.  616,  ha
 avuto  cura  di specificare che nelle funzioni in materia urbanistica
 rientrano "tutti gli  aspetti  conoscitivi,  normativi  e  gestionali
 riguardanti  le  operazioni  di  salvaguardia e di trasformazione del
 suolo ..", laddove, il susseguente art. 81 non opera alcuna riserva a
 favore dello Stato in materia di vigilanza, controllo e  approvazione
 degli strumenti urbanistici generali adottati dai comuni.
   Sebbene  trattisi  di  nozioni  di  comune  conoscenza,  non guasta
 rammentare   che   l'attribuzione   -   operata    dal    legislatore
 "accentratore"  e  "statalista"  del  1942 - di un generale potere di
 "vigilanza sulla attivita' urbanistica" (secondo  comma  dell'art.  1
 della  legge  n. 1150/1942, la cui estrinsecazione piu' palese e piu'
 incisiva consisteva, proprio,  nella  potesta'  di  approvazione  dei
 piani regolatori generali ex art. 10 della medesima legge) rispondeva
 alla  dichiarata esigenza di "assicurare .. il rispetto dei caratteri
 tradizionali, di favorire il disurbanamento  e  frenare  la  tendenza
 all'urbanesimo ..". Poteva trattarsi di finalita' socio-politiche del
 regime dell'epoca, ma sta di fatto che nel momento storico nel quale,
 viceversa,  in  attuazione  della  Costituzione  della Repubblica, la
 funzione urbanistica venne -  con  il  d.P.R.  n.  8  gia'  citato  -
 trasferito  alle regioni, codesta ecc.ma Corte costituzionale, con la
 sua sentenza n. 141 dello stesso anno (1972), ebbe cura di  precisare
 che   trattavasi   di   funzione   avente  ad  oggetto  "l'assetto  e
 l'incremento edilizio dei centri abitati",  laddove  la  gia'  citata
 norma  - per cosi' dire "confermativa" del trasferimento gia' operato
 nel 1972 - di cui all'art. 80 del  d.P.R.  n.  616/1977  dava,  della
 funzione   trasferita,  una  definizione  amplissima,  riassunta  nel
 concetto di "disciplina dell'uso  del  territorio"  e  articolata  in
 poteri   regionali   "conoscitivi,   normativi  e  gestionali"  delle
 attivita' che innovano e modificano - appunto - l'utilizzo (uso)  del
 "suolo".
    Il  coronamento  di siffatta evoluzione sistematico-interpretativa
 e' dato dalla legge 28 gennaio 1977, n. 10, sulla "edificabilita' dei
 suoli", la quale ha praticamente reso obbligatoria la predisposizione
 di uno strumento urbanistico generale da  parte  di  tutti  i  comuni
 della Repubblica.
    Quale - allora - la ratio di un sistema che, sia prima che dopo la
 regionalizzazione  della  funzione in argomento, vi pone al centro un
 potere di approvazione degli  strumenti  urbanistici,  la  redazione-
 adozione  dei  quali  resta  pur  sempre  funzione  squisitamente  ed
 essenzialmente comunale?
    La risposta non e' difficile.
    Allo Stato (nella vigilanza del regime statalista ed accentratore)
 e, poi - dopo la modifica dell'assetto istituzionale della Repubblica
 -  alle  regioni  compete, infatti, una funzione di pianificazione di
 vasta   area,   gia'   individuata   nei   "piani   territoriali   di
 coordinamento",  previsti dall'art. 5 della legge n. 1150/1942 (anche
 se, in concreto, rimasti lettera morta in quella fase storica),  allo
 scopo di "orientare e coordinare la attivita' urbanistica da svolgere
 in determinate parti del territorio ..".
    Tale  funzione  (pianificazione  di  vasta area) risulta semmai ..
 rinvigorita dopo l'avvento dell'ordinamento regionale,  in  occasione
 del  quale  la  pianificazione  "territoriale  di  coordinamento"  di
 livello sovracomunale e' stata anch'essa pacificamente trasferita con
 il d.P.R. n. 8/1972 e ridisegnata in chiave "estensiva" dall'art.  80
 del  d.P.R. n. 616/1977, sempre facendone titolare la regione (non ve
 ne e' traccia, infatti, nell'art. 81 del citato d.P.R.  n.  616/1977,
 sulle "riserve" statali, che si occupa solo della realizzazione delle
 opere pubbliche).
    Da  ultimo,  la legge 8 giugno 1990, n. 142, allorche' attribuisce
 alla provincia (art. 15,  secondo  comma)  una  "nuova"  potesta'  di
 redigere ed adottare essa stessa piani territoriali di coordinamento,
 demanda - tuttavia - alla regione (terzo e quarto comma) il potere di
 "approvare"  anche  quei  piani  di piu' vasta area (provinciali) per
 assicurarne  la   "conformita'   agli   indirizzi   regionali   della
 programmazione  socio-economica  e  territoriale",  senza  far venire
 meno, comunque, il potere della regione di formulare un proprio  "pi-
 ano territoriale di coordinamento".
    Questo  ultimo  istituto  appare  "recuparato" nelle singole leggi
 urbanistiche regionali, e la ricorrente regione Lombardia  vi  dedica
 gli  artt.  da 4 a 7 della propria legge regionale 15 aprile 1975, n.
 51, assegnando ad  esso  il  ruolo  di  stabilire  norme,  criteri  e
 parametri  per  la  pianificazione di livello comunale (art. 4, lett.
 f),  nonche'  quello  -  fondamentale  -  di   inserirvi   previsioni
 "prevalenti" sulla pianificazione urbanistica comunale (art. 4, lett.
 h),  nonche'  "immediatamente  vincolanti  anche  nei  confronti  dei
 privati" (il che dubitavasi, in dottrina, che fosse  possibile  nella
 vigenza  del  .. disapplicato art. 5 della legge urbanistica generale
 del 1942).
    Per poter esercitare queste complesse  funzioni  di  coordinamento
 della  pianificazione  urbanistica  e  di  pianificazione urbanistica
 "diretta"  di  vasta  area,  dunque,  la  "approvazione"  dei   piani
 regolatori   generali   comunali   diventa   momento   essenziale   e
 insopprimibile, che  si  identifica  nella  possibilita'  di  operare
 scelte  -  anche  a  livello  di  pianificazione  comunale  - che non
 contraddicano  ne'   al   detto   coordinamento   territoriale,   ne'
 all'esercizio della pianificazione regionale diretta di vasta area.
    Si  tratta, infatti, di una autentica "approvazione nel merito" (e
 non di mero esercizio della vigilanza e del  controllo),  comprensiva
 della  facolta'  di  accogliere-respingere  "osservazioni" fatte allo
 strumento  adottato  nei  confronti  del  comune  e  da  quest'ultimo
 accolte,  respinte,  o  non  esaminate,  e comprensiva altresi' della
 facolta'  di  apportare  modificazioni  ex  officio  allo   strumento
 comunale.
    Cio'  ha  portato  - da sempre - la dottrina e la giurisprudenza a
 riconoscere che, in definitiva, il piano regolatore generale comunale
 e' atto "a formazione successiva" ed e' atto "complesso" (se pure  si
 parli di complessita' "diseguale").
    Orbene,  la  introduzione di una approvazione tacita, cioe' di una
 approvazione  per  silenzio-assenso  (silenzio-approvazione),   quale
 quella  operata  con  l'art.  3  del d.-l. n. 195/1992, quale effetto
 "automatico" della  "scadenza"  di  un  termine  che  le  sole  leggi
 regionali avrebbero dovuto prevedere e che, viceversa, il legislatore
 statale  (in  sede  di decretazione governativa di urgenza) ha inteso
 definire direttamente come "perentorio", si risolve  nella  effettiva
 espopriazione  della  funzione  regionale  di "governo" (nel senso di
 coordinamento)  dell'uso  del  territorio,  dal  momento  che   piano
 regolatore generale approvati per "silenzio" a seguito della scadenza
 di un termine che potrebbe essere reso oggettivamente non osservabile
 (si  pensi solo alla occasionale contemporaneita' di molteplici piani
 regolatori  generali  adottati  da  vari  comuni,  anche  capoluogo),
 renderebbero  lo sviluppo urbanistico dei comuni della regione una ..
 "pelle  di  leopardo"  urbanisticamente  "casual"  (duplicazioni   di
 insediamenti,  concomitanze incompatibili, compromissioni ambientali,
 lacerazione del  sistema  trasportistico  e  della  mobilita',  ecc.,
 ecc.),  rispetto  alla  quale  cesserebbe di aver senso e significato
 ogni .. velleitario proposito di esercitare funzioni di coordinamento
 territoriale di vasta area, e che si traduce, dunque, nella autentica
 "soppressione" della  funzione  urbanistica  regionale  che  in  cio'
 principalmente (se non esclusivamente) consiste.
    La   approvazione   dei  piani  regolatori  generali  risulterebbe
 "declassata" a mera funzione di "controllo eventuale" ..
    Cio'  costituisce  indubbia   violazione   dell'art.   117   della
 Costituzione,  in  quanto  "svuota"  di  fatto di qualunque rilevante
 contenuto la  materia  "urbanistica",  quale  materia  di  competenza
 regionale,  e  costituisce  altresi'  indiretta  violazione  di legge
 dichiarata    di    "principi    fondamentali",    emandabile    solo
 "espressamente",  quale  la  legge  n. 142/1990, con riferimento agli
 artt. 1, terzo comma, e 15, terzo e quarto comma.
    D'altra parte, se pure e' costante insegnamento di codesta  ecc.ma
 Corte  che  non compete alle regioni ricorrenti dedurre, in chiave di
 illegittimita' costituzionale,  eventuali  violazioni  dell'art.  77,
 secondo  comma,  della  Costituzione,  con  riferimento ai limiti del
 potere di decretazione di urgenza, non si puo' non  rilevare,  se  si
 vuole  come  notazione  ad  colorandum,  che - nella fattispecie - la
 detta gravissima manomissione del contenuto della funzione  spettante
 alle   regioni   e'   operata   con  un  d.-l.  che  interviene  "per
 straordinaria necessita' ed urgenza" (?) dopo .. dodici anni e  mezzo
 dalla  "scadenza"  di  quel  "termine"  che  era stato assegnato alle
 regioni per legiferare esse stesse.
    Cio' che, viceversa, costituisce autentico problema  di  rilevanza
 giuridico-costituzionale,  del  quale  si investe la Corte ecc.ma, e'
 quello di verificare se possasi,  in  via  generale,  modificare  con
 d.-l.   i   "principi"   posti,  con  legge  c.d.  "quadro",  per  la
 legislazione regionale attuativa.
    Infatti,  quel  termine  di  180  giorni per la approvazione degli
 strumenti urbanistici generali era  stato  espressamente  dichiarato,
 dall'art.  9 del d.-l. n. 702/1978, convertito nella legge n. 3/1979,
 un  "principio",  al  quale  avrebbe  dovuto  attenersi  la  emananda
 legislazione   regionale,   e   davvero   non  sembra,  in  punto  di
 legittimita' costituzionale, che possasi - da  parte  dello  Stato  -
 modificare  i  "principi" che esso stesso ha dettato a quel fine, con
 proprio  "d.-l."  recante  disposizioni  puntuali  determinative   di
 effetti nuovi e diversi (la approvazione-tacita degli strumenti).
    Infine,  deve  essere  opportunamente  dedotto  e  rilevato che la
 regione Lombardia, ricorrente in questa sede, ebbe ad emanare propria
 legge 12 marzo 1984, n. 14, intitolata  "Norme  per  la  approvazione
 degli  strumenti  urbanistici attuativi", recante - dopo l'entrata in
 vigore della legge statale 8 gennaio 1979, n. 3 (di  conversione  del
 d.-l.  n.  702/1978)  -  la  disciplina delle modalita' e dei termini
 temporali di approvazione di taluni strumenti urbanistici attuativi.
    Orbene, quella legge  regionale  non  faceva  alcuna  menzione  di
 "termini"  per l'approvazione degli strumenti generali, ma il Governo
 della  Repubblica  nulla  ebbe  ad  eccepire  od  osservare,  e   non
 "rinvio'",  ne'  impugno'  quella  legge  regionale  che,  pure,  non
 recepiva il "principio" posto nel 1978-79, per cui non  trova  alcuna
 logica  giustificazione (canone della ragionevolezza previsionale) la
 attuale  decretazione   di   urgenza   disposta   nei   termini   che
 costituiscono l'oggetto del presente ricorso.
    II. - Il d.-l. n. 52/1992, inoltre, contiene, all'art. 10, secondo
 comma,  ultima  parte,  la  previsione  di  una facolta' del Ministro
 c.p.c. di stipulare direttamente convenzioni  con  soggetti  di  ogni
 specie  (istituti,  gruppi  ed  enti di ricerca), evidentemente anche
 privati, "per il perseguimento di specifiche finalita' di  protezione
 civile".
    Nonostante   la   genericita'   della  dizione,  la  norma  lascia
 comprendere  che   si   tratterebbe   di   "supporti   consulenziali,
 informativi e conoscitivi" dei quali lo Stato intende avvalersi per -
 poi  -  attuare  iniziative  od  operare  interventi  in  materia  di
 protezione civile, ovvero ai quali demandare interventi ed iniziative
 che esso stesso non ritiene di eseguire direttamente.
    Orbene, per siffatte finalita', la legge 8 dicembre 1970, n.  996,
 gia'  prevede,  al suo art. 7, secondo, terzo, quarto e quinto comma,
 la  istituzione  di  comitati  regionali,  ciascuno  presieduto   dal
 presidente della giunta regionale, ai quali e' affidato, tra l'altro,
 il  coordinamento  degli  interventi  non  di competenza dello Stato,
 nell'ambito della protezione civile.
    A sua volta, l'art. 53 del d.P.R. 6 febbraio 1981, n. 66, oltre  a
 richiamare  quei comitati regionali e le loro funzioni, si riallaccia
 alle funzioni trasferite o delegate  alle  regioni  dai  decreti  del
 Presidente della Repubblica nn. 8/1972 e 616/1977.
    Non  e'  chi  non  veda  che  il  libero affidamento, da parte del
 Ministro c.p.c., mediante semplici atti di convenzione dei quali  non
 si  precisano  ne' limiti, ne' contenuti, di funzioni "concorrenti" o
 suscettibili di interferenza, ad organismi esterni ed anche  privati,
 e'  ipotesi  che  vulnera,  ovvero  condiziona o vanifica l'esercizio
 delle funzioni trasferite alle regioni, laddove, quando  trattisi  di
 funzioni  delegate, viene in gioco la nozione di "deleghe organiche",
 vale a dire strettamente  connesse  alle  funzioni  trasferite,  che,
 secondo l'insegnamento di codesta ecc.ma Corte (sentenza 11-19 maggio
 1989,  n. 559, presidente Saja, relatore Baldassarre), sono anch'esse
 oggetto di tutela costituzionalmente  rilevante  allorche'  lo  Stato
 pretenda   di   conclucarne   l'esercizio   o  di  comprometterne  la
 effettivita'.
                               P. Q. M.
    Per  tutti  questi  motivi,  la  regione  Lombardia,  come   sopra
 impersonata,  rappresentata, difesa e domiciliata, chiede che codesta
 Corte  costituzionale  ecc.ma  voglia  dichiarare  costituzionalmente
 illegittimi,  per  violazione  dell'art.  117  della  Costituzione  e
 altresi' per violazione  di  principi  fondamentali  dell'ordinamento
 giuridico, oltre che per palese irragionevolezza previsionale, l'art.
 3, nonche' l'art. 10, secondo comma, ultima parte, del d.-l. 1› marzo
 1992,  n.  195,  pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 italiana n. 52 del 3 marzo 1992, con ogni conseguente statuizione.
    Si deposita  copia  autentica  della  deliberazione  della  giunta
 regionale  della  Lombardia, concernente la proposizione del ricorso,
 nonche' del d.-l. oggetto della  impugnazione,  sebbene  trattisi  di
 atto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
      Milano-Roma, addi' 26 marzo 1992
         Avv. Maurizio STECCANELLA - Avv. Giovanni C. SCIACCA

 92C0459