N. 46 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 13 aprile 1992

                                 N. 46
  Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
                     cancelleria il 13 aprile 1992
                       (della regione Lombardia)
 Impresa e imprenditore - Azioni positive per l'imprenditoria
    femminile  -  Previsione  di  benefici, tra gli altri, a favore di
    imprese individuali gestite  da  donne  che  operino  nei  settori
    dell'industria, dell'artigianato, dell'agricoltura, del commercio,
    del  turismo e dei servizi nonche' a favore di enti che promuovono
    corsi di formazione imprenditoriale e servizi di consulenza  e  di
    assistenza tecnica e manageriale per donne - Contributi alle spese
    per   impianti   ed  attrezzature  sostenute  per  l'avvio  o  per
    l'acquisto di attivita' commerciali e turistiche  o  di  attivita'
    nel  settore dell'industria, dell'artigianato, del commercio e dei
    servizi - Denunciata invasione della sfera di competenza regionale
    in  materia  di  artigianato,  agricoltura,  turismo  e  industria
    alberghiera   e  servizi  -  Mancata  previsione  della  copertura
    finanziaria - Riferimenti alle sentenze della Corte costituzionale
    nn. 307/1983, 517/1987, 912/1988 e 116/1991.
 (Legge 25 febbraio 1992, n. 215, artt. 2, 3, 4, 6, 8 e 12).
 (Cost., artt. 81, 117, 118 e 119).
(GU n.17 del 22-4-1992 )
   Ricorso della regione Lombardia, in persona  del  presidente  della
 giunta   regionale   ing.   Giuseppe   Giovenzana,   autorizzato  con
 deliberazione della giunta regionale n. 20494  del  1›  aprile  1992,
 rappresentato e difeso dagli avvocati prof. Valerio Onida e Gualtiero
 Rueca,  ed  elettivamente  domiciliato  presso  quest'ultimo in Roma,
 largo della Gancia, 1, come da delega  in  calce  al  presente  atto,
 contro  il  Presidente  del Consiglio dei Ministri pro-tempore per la
 dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli artt. 2,  3,  4,
 6,  8  e 12 della legge 25 febbraio 1992, n. 215, concernente "azioni
 positive per l'imprenditoria femminile",  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale n. 56 del 7 marzo 1992.
    La  legge  n.  215/1992  si  presenta come un ennesimo episodio di
 legislazione statale di ausilio finanziario alle imprese operanti  in
 ambiti di competenza regionale e provinciale, che fa seguito ad altre
 leggi   gia'   per  questo  motivo  talora  impugnate  dalla  regione
 ricorrente: si veda da ultimo  il  ricorso  iscritto  al  n.  50/1991
 (legge n. 317/1991 sulle piccole imprese).
    Legislazione   chiaramente   impregnata   di   forti   motivazioni
 "elettorali". Legislazione che mette in luce una  volta  di  piu'  il
 paradosso  di  uno  Stato  centrale che da un lato lamenta il deficit
 crescente del proprio bilancio, e individua  nella  spesa  decentrata
 attraverso  regioni  ed  enti  locali  una  fonte  di  espansione del
 disavanzo pubblico, e dall'altro lato, anziche' responsabilizzare  le
 autonomie territoriali attraverso la estensione dei poteri impositivi
 degli enti autonomi, continua a erogare risorse dal proprio bilancio,
 direttamente  a  favore  dei  beneficiari  (e  cosi'  delle imprese),
 sovrapponendosi agli interventi che le regioni e le province autonome
 effettuano nei rispettivi ambiti di competenza, e  cosi'  violando  i
 criteri costituzionali di riparto delle attribuzioni.
    La   legge  n.  215/1992,  pur  caratterizzata  dalla  particolare
 finalita' della promozione delle "pari  opportunita'"  per  uomini  e
 donne  nell'attivita'  economica  e  imprenditoriale  (art.  1, primo
 comma), di fatto prevede una serie di benefici finanziari a  imprese,
 enti  operanti  nei  settori  economici  di competenza regionale e di
 benefici  concessi  per  attivita'  -  come  quelle   di   formazione
 professionale  -  a  loro volta di stretta competenza provinciale, in
 ogni caso  senza  alcun  riferimento  a  circostanze  o  a  programmi
 straordinari:  benefici  direttamente  concessi  ed erogati da organi
 centrali senza alcun coinvolgimento delle regioni  e  delle  province
 autonome.
    Le  finalita'  della  legge  -  nell'ambito  del generico scopo di
 promozione   dell'imprenditoria   femminile   -   sono   estremamente
 generiche:  favorire  "la  creazione e lo sviluppo dell'imprenditoria
 femminile, anche in forma  cooperativa",  promuovere  "la  formazione
 imprenditoriale"  e  "qualificare  la  professionalita'  delle  donne
 imprenditrici", agevolare "l'accesso  al  credito  per  le  imprese",
 favorire  "la  qualificazione  imprenditoriale  e  la  gestione delle
 imprese familiari da parte delle donne", promuovere la presenza delle
 imprese "nei comparti piu' innovativi dei diversi settori produttivi"
 (art. 1, secondo comma, lettere da a) ad e)).
    Nulla vi e' dunque nella  legge  -  al  di  la',  si  ripete,  del
 generico riferimento alla presenza femminile nell'imprenditoria - che
 qualifichi  specifici  interessi  unitari  al cui soddisfacimento gli
 interventi siano finalizzati.  Si  tratta  di  generici  ausili  allo
 svolgimento  e  allo  sviluppo dell'attivita' imprenditoriale, estesi
 all'intero territorio e accessibili per tutti i soggetti che svolgono
 tali attivita'.
    L'art. 2 della legge  precisa  le  categorie  di  destinatari  dei
 benefici.  Da un lato si tratta delle cooperative e delle societa' di
 persone o di capitali con certe  caratteristiche  della  composizione
 societaria  e  della  composizione  degli  organi di amministrazione,
 nonche' delle imprese individuali gestite da donne, che operino  "nei
 settori   dell'industria,   dell'artigianato,  dell'agricoltura,  del
 commercio, del turismo e dei servizi" (primo comma, lett. a)).
   Dall'altro lato si tratta  delle  imprese,  consorzi  associazioni,
 enti,   societa'   di  promozione,  centri  di  formazione  e  ordini
 professionali, che "promuovono corsi di formazione imprenditoriale  o
 servizi  di  consulenza e di assistenza tecnica e manageriale" (primo
 comma, lett. b)).
    Da  una  parte  dunque  sono  espressamente  contemplate   fra   i
 beneficiari  le  imprese  operanti  in  settori ricadenti nell'ambito
 delle competenze primarie della  regione:  artigianato,  agricoltura,
 turismo  e  industria  alberghiera,  nonche' servizi, quanto meno con
 riferimento ai servizi di trasporto.
    Dall'altra  parte  (art.  2,  primo comma, lett. b)) si finanziano
 attivita' di  formazione  professionale  delle  donne  imprenditrici,
 ossia ancora una volta attivita' rientranti pienamente nella sfera di
 competenza della regione.
    Gli artt. 4 e 8 precisano le tipologie dei benefici previsti.
    In  particolare  l'art.  4  prevede,  per le imprese individuali o
 societarie (art. 2, primo comma, lett. a)),  contributi  in  capitale
 fino  al  50% delle spese "per impianti ed attrezzature sostenute per
 l'avvio o per l'acquisto di attivita' commerciali e turistiche  o  di
 attivita' nel settore dell'industria, dell'artigianato, del commercio
 e  dei  servizi"  (come  si vede, ad evitare ogni dubbio, si elencano
 espressamente anche comparti di attivita' che sono, come si e' detto,
 di piena competenza regionale), e "per i progetti aziendali  connessi
 all'introduzione  di  qualificazione  e  di  innovazione di prodotto,
 tecnologica  ed  organizzativa"  (primo  comma,  lett.  a));  nonche'
 contributi  (in  capitale)  fino  al  30%  delle spese sostenute "per
 l'acquisizione di servizi destinati all'aumento della  produttivita',
 all'innovazione  organizzativa,  al  trasferimento  delle tecnologie,
 alla ricerca di nuovi  mercati  per  il  collocamento  dei  prodotti,
 all'acquisizione  di  nuove  tecniche di produzione, di gestione e di
 commercializzazione, nonche' per lo sviluppo di sistemi di  qualita'"
 (primo comma, lett. b)).
    Come e' facile vedere, non vi e' praticamente tipo di investimento
 delle  imprese  che  non  sia  suscettibile  di essere finanziato. La
 misura  del  contributo  puo'  essere   elevata   fino   al   60%   e
 rispettivamente  al  40%  per  i  soggetti  costituiti e operanti nei
 territori colpiti di fenomeni di declino industriale (secondo comma).
    Sempre ai medesimi soggetti imprenditori, ai  sensi  dell'art.  8,
 primo  e  secondo  comma,  possono  essere concessi dagli istituti di
 credito finanziamenti agevolati per gli stessi fini, di importo  fino
 a  300  milioni  e di durata fino a cinque anni, con abbattimento del
 tasso di interesse al 50% (o al 40% nei territori colpiti da  declino
 industriale)  del  tasso  di  riferimento in vigore per il settore di
 appartenenza dell'impresa.
    Per quanto riguarda i soggetti di cui  all'art.  2,  primo  comma,
 lett. b) (imprese o enti che promuovono corsi di formazione o servizi
 di   consulenza   e  assistenza),  l'art.  4,  terzo  comma,  prevede
 contributi fino al 50% delle spese  sostenute  per  le  attivita'  in
 questione.
    Gli  artt.  3,  6  e  8,  terzo  e  quarto  comma, disciplinano le
 modalita' di erogazione e di finanziamento delle agevolazioni.
    Precisamente l'art.  3  istituisce  il  "Fondo  nazionale  per  lo
 sviluppo  dell'imprenditoria  femminile", con apposito capitolo nello
 stato di previsione della spesa del Ministero dell'industria,  e  con
 una  dotazione  di  dieci  miliardi  annui per il triennio 1992-94. A
 valere su tale fondo (che di "fondo" propriamente detto non ha nulla,
 trattandosi semplicemente di un capitolo di spesa nel bilancio  dello
 Stato)  sono concessi sia i contributi in capitale ai soggetti di cui
 all'art. 2, primo comma, lett. a) (per impianti  e  attrezzature  per
 l'avvio  o  l'acquisto  di  attivita'  per  progetti  aziendali,  per
 l'acquisizione di servizi o per lo sviluppo di sistemi  di  qualita':
 art.  4,  primo  comma);  sia i contributi ai soggetti che promuovono
 corsi  di formazione o servizi di consulenza e di assistenza (art. 4,
 terzo comma).
    Il medesimo "fondo" finanzia  anche  le  agevolazioni  al  credito
 previste dall'art. 8. Infatti il terzo comma dell'art. 8 autorizza il
 Mediocredito   centrale   a   effettuare  le  operazioni  finanziarie
 necessarie per porre gli istituti e le aziende di credito  "in  grado
 di  praticare  i  tassi  di  interesse agevolati previsti dal primo e
 secondo comma"; e il successivo quarto comma  prevede  che  per  tali
 interventi  sia  "conferito  annualmente  al Mediocredito centrale il
 dieci per cento delle disponibilita' del fondo di cui all'art. 3".
    Infine l'art. 6 demanda ad un decreto del Ministro  dell'industria
 di  concerto con quello del tesoro la statuizione dei criteri e delle
 modalita' per la presentazione delle domande  e  per  la  concessione
 delle  agevolazioni  previste dall'art. 4 (primo comma); e stabilisce
 che  "le  agevolazioni  sono  concesse  con  decreto   del   Ministro
 dell'industria,  del  commercio e dell'artigianato, di concerto con i
 Ministri  competenti  per  i  settori  cui  appartengono  i  soggetti
 beneficiari" (secondo commma).
    Dunque  non  solo  le  agevolazioni in questione sono direttamente
 erogate dagli organi centrali dello Stato, con  spesa  a  carico  del
 bilancio  dello  Stato,  non  solo ogni criterio e ogni modalita' del
 procedimento e' rimessa a determinazioni degli stessi organi centrali
 (senza alcuna predisposizione di  criteri  legali  e  quindi  con  la
 massima  discrezionalita');  ma  la  stessa  concessione  dei singoli
 contributi alle imprese o agli altri soggetti avviene  con  atto  del
 Ministro,  di concerto, si noti, volta a volta con gli altri Ministri
 interessati (del turismo, dell'agricoltura, dei trasporti,  ecc.),  e
 senza  invece il minimo coinvolgimento nemmeno formale delle regioni,
 vuoi singolarmente, vuoi nell'ambito di  organismi  di  consultazione
 come la conferenza per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le prov-
 ince  autonome:  e cio' anche qualora si tratti di imprese operanti e
 di attivita' svolte in settori e ambiti di competenza delle regioni.
    La logica della legge e' infatti  quella  del  pieno  "dominio"  e
 della  libera gestione statale degli interventi (che pure, come si e'
 detto,  appartengono  in  larga  parte  all'ambito  delle  competenze
 regionali),  con  l'unica  partecipazione  dei  Ministeri di settore,
 anche e proprio per i settori in cui la competenza regionale e' piena
 e primaria (logica pienamente confermata dall'art.  10  della  stessa
 legge,  che  nell'istituire  presso  il  Ministero  dell'industria un
 "comitato per l'imprenditoria  femminile"  prevede  che  ne  facciano
 parte  unicamente  rappresentanti  dei  Ministeri  -  fra  cui quello
 dell'agricoltura - degli istituti di credito, e delle  organizzazioni
 della   cooperazione,   della   piccola   industria,  del  commercio,
 dell'artigianato, dell'agricoltura, del turismo e dei servizi:  anche
 la  partecipazione  delle categorie e' realizzata dunque unicamente a
 livello degli organi centrali).
    La previsione di  interventi  diretti,  di  amministrazione  e  di
 finanziamento,  degli  organi  centrali  dello  Stato  in  settori di
 competenza regionale e provinciale viola, fuori di  ogni  dubbio,  la
 competenza  della regione (cfr. in proposito, ad esempio, le sentenze
 di questa Corte nn. 307/1983, 517/1987, 921/1988 e 116/1991).
    Cosi' la Corte ha affermato chiaramente, ad esempio nella sentenza
 n. 116/1991, che non si giustifica costituzionalmente  un  intervento
 statale  che  "pone a proprio obiettivo fondamentale una finalita' ..
 che non  appare  limitata  nel  tempo"  (e  tale  e'  sicuramente  la
 finalita' di promozione dell'imprenditoria femminile), sostanziantesi
 in  finanziamenti  e  contributi  che  "si vengono tutti a inquadrare
 nell'ordinaria azione di sostegno  pubblico  a  favore  di  attivita'
 economiche   socialmente  rilevanti,  senza  alcun  collegamento  con
 fattori di carattere straordinario riconducibili  al  quadro  di  una
 particolare emergenza".
    Nella  presente  fattispecie nessuna ragione di presunto interesse
 nazionale,  nessuna  esigenza  straordinaria   vi   e',   che   possa
 giustificare  in  ipotesi  una deroga all'ordine costituzionale delle
 competenze.
    Si puo' ammettere che  il  legislatore  statale  eserciti  i  suoi
 poteri  di  statuizione  di  principi  e  di  indirizzo  per indicare
 l'obiettivo del sostegno dell'imprenditoria femminile; si puo' forse,
 al  limite,  concepire  che  lo  Stato  configuri  a  tale  fine  dei
 meccanismi   di   programmazione  delle  risorse  cui  si  colleghino
 trasferimenti a destinazione vincolata a favore di regioni e di prov-
 ince autonome. Ma non si puo' certo  ammettere  che  in  nome  di  un
 qualsiasi  generico  obiettivo  come  quello in questione lo Stato si
 riappropri  puramente  e  semplicemente  di  funzioni  di   sostegno,
 finanziamento,  agevolazione  creditizia  relativamente  a settori di
 competenza  regionale,  senza  realizzare  nemmeno   alcun   raccordo
 programmatorio,  procedimentale  e  finanziario  con  le  regioni ne'
 riconoscere ad esse alcun ruolo, nemmeno istruttorio o consultivo.
    La legge in questione  e'  dunque  palesemente  illegittima  nella
 parte  in cui prevede interventi - interamente disciplinati e gestiti
 dagli organi centrali - a favore di imprese operanti  in  settori  di
 competenza   regionale   (come   agricoltura,  artigianato,  turismo,
 trasporti,  ecc.),  nonche'  la'  dove  prevede  interventi  per   il
 finanziamento  di attivita' di formazione professionale, a loro volta
 di competenza regionale.
    L'art. 12 della legge identifica le uniche, residue iniziative che
 le regioni e le  province  autonome  potrebbero  realizzare  "per  le
 finalita' coerenti" con la legge medesima.
    Si  tratta  dell'attuazione  "in  accordo  con  le associazioni di
 categoria", di "programmi che prevedano la diffusione di informazioni
 mirate, nonche' la  realizzazione  di  servizi  di  consulenza  e  di
 assistenza  tecnica, di progettazione organizzativa, di supporto alle
 attivita' agevolate" dalla legge stessa (primo comma).
    Per la realizzazione di tali programmi, le regioni e  le  province
 autonome  "possono stipulare apposite convenzioni con enti pubblici e
 privati che abbiano caratteristiche di  affidabilita'  e  consolidata
 esperienza  in  materia  e  che siano presenti sull'intero territorio
 nazionale" (secondo comma).
    Infine il terzo comma stabilisce che  "per  la  realizzazione  dei
 programmi  di  intervento  di  cui al primo comma, le regioni possono
 ottenere contributi dal  fondo  di  cui  all'art.  3  in  misura  non
 superiore al trenta per cento della spesa prevista".
    Ora,  se  quella  del  primo  comma fosse da intendersi come norma
 meramente  facoltizzante  (ad  attuare  interventi   che,   peraltro,
 rientrano nella piena competenza delle regioni), non vi sarebbe forse
 motivo  di  dolersi  da  parte  della  ricorrente,  salvo  che per la
 previsione, palesemente  lesiva  dell'autonomia  anche  organizzativa
 della  medesima,  che  vincola,  nel  caso  di  convenzioni  con enti
 pubblici  e  privati,  a  scegliere  soggetti  che  non  solo abbiano
 "caratteristiche  di  affidabilita'  e  consolidata   esperienza   in
 materia",  ma  che  inoltre  "siano  presenti  sull'intero territorio
 regionale".  Non  si  vede  infatti  a  che  titolo  lo  Stato  possa
 vincolare,  nella  scelta dei soggetti da convenzionare, a rivolgersi
 unicamente a soggetti "nazionali".
    Ma ove la  disposizione  del  primo  comma  dell'art.  12  dovesse
 intendersi  nel  senso  che  imponga  alle  regioni  e  alle province
 autonome un vero obbligo di attuare i programmi ivi  previsti  -  che
 comportano  ovviamente  spese  -  sarebbe  allora palesemente violata
 anche l'autonomia finanziaria e di spesa  della  regione,  e  sarebbe
 violato il principio costituzionale di cui all'art. 81, quarto comma,
 della  Costituzione (ribadito dall'art. 27 della legge 4 agosto 1978,
 n. 468 e dell'art. 3, sesto comma, della legge  14  giugno  1990,  n.
 158),  secondo  cui  le  leggi  statali  che  impongono  nuovi  oneri
 finanziari alle regioni  debbono  altresi'  provvedere  i  mezzi  per
 affrontare tali oneri.
    Infatti  il  terzo  comma  dell'art.  12 in esame, da un lato, non
 garantisce alle regioni di ottenere i contributi statali previsti,  e
 tanto  meno  di  ottenerli in una misura minima precisata; dall'altro
 lato, comunque, il finanziamento statale di  tali  programmi  sarebbe
 insufficiente  a  soddisfare  l'obbligo  di  copertura,  in quanto e'
 espressamente previsto che esso non possa superare il 30% della spesa
 sostenuta dalla regione.
    Anche le disposizioni dell'art. 12 sono dunque illegittime.
                               P. Q. M.
    Chiede  che  la  Corte   voglia   dichiarare   la   illegittimita'
 costituzionale degli artt. 2, 3, 4, 6, 8 e 12 della legge 21 febbraio
 1992,  n.  215,  in  riferimento  agli  artt.  117,  118  e 119 della
 Costituzione, nonche' all'art. 81, quarto comma, della  Costituzione,
 e  anche  in  riferimento  all'art. 109 del d.P.R. 24 luglio 1977, n.
 616, e all'art. 27 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e  all'art.  3,
 sesto comma, della legge 14 giugno 1990, n. 158.
      Roma, addi' 3 aprile 1992
            Avv. prof. Valerio ONIDA - Avv. Gualtiero RUECA

 92C0468