N. 174 SENTENZA 2 - 15 aprile 1992

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Tribunale - Pretore -    G.I.P.  -    Richiesta  di
 proroga del termine per le indagini preliminari formulata dal p. m. -
 Potere autorizzatorio del giudice subordinato alla  condizione che il
 termine    non  sia  gia'  scaduto - Ulteriori proroghe " prima della
 scadenza   del    prorogato"    -    Irragionevole    condizionamento
 dell'esercizio dell'azione penale - Illegittimita' costituzionale.
 
 (C.P.P., artt. 406, primo comma, e 553, secondo comma)
 
 (Cost., artt. 3 e 112).
(GU n.17 del 22-4-1992 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Giuseppe BORZELLINO;
 Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
    SPAGNOLI,   prof.   Francesco   Paolo   CASAVOLA,   prof.  Antonio
    BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.  Mauro  FERRI,  prof.
    Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato GRANATA, prof.
    Giuliano VASSALLI, prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale  degli  artt.  406,  primo
 comma, e 553, secondo comma, del codice di procedura penale, promossi
 con  tre ordinanze emesse da varie autorita' giudiziarie, iscritte ai
 nn. 467, 477 e 558 del registro ordinanze  1991  e  pubblicate  nelle
 Gazzette  Ufficiali  della  Repubblica  nn.  28  e  36,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1991;
    Visti gli atti di intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 22 gennaio 1992 il Giudice
 relatore Mauro Ferri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di
 Ivrea  solleva   questione   di   legittimita'   costituzionale,   in
 riferimento  agli artt. 3, 97, primo comma, 101, secondo comma, e 112
 della  Costituzione,  dell'art.  406,  primo  comma,  del  codice  di
 procedura  penale, nella parte in cui consente la proroga del termine
 per le indagini preliminari solo "prima della scadenza"  del  termine
 stesso.
    Dopo  aver  premesso  che,  nel  caso  sottoposto al suo esame, la
 richiesta di  proroga  pur  tempestivamente  formulata  dal  pubblico
 ministero e' stata notificata alle parti dopo la scadenza del termine
 semestrale  previsto  dalla  norma  impugnata,  il giudice remittente
 osserva che un siffatto sistema appare irrazionale e contrastante con
 il buon andamento dell'amministrazione giudiziaria  (art.  97,  primo
 comma,  della  Costituzione), imponendo al P.M. vincoli e impedimenti
 all'esercizio dell'azione penale, pur obbligatoria  (art.  112  della
 Costituzione),  non  stabiliti  dalla legge (art. 101, secondo comma,
 della Costituzione), ma determinati da situazioni esterne contingenti
 e non prevedibili, quali un ritardo nella trasmissione a mezzo  posta
 dell'atto  notificato  (come  nel caso di specie) o la difficolta' di
 eseguire la notificazione.
    Osserva il giudice a quo che, nel caso di  persona  sottoposta  ad
 indagini  che  risulti  irreperibile  all'indirizzo  noto al pubblico
 ministero, la necessita' di  disporre  ricerche  e  di  reiterare  la
 notifica  ad  altro  indirizzo  puo' comportare, quasi certamente, il
 superamento del termine per le indagini preliminari,  che,  solo  per
 questo,   non   potrebbero   piu'   essere  prorogate.  Ne'  potrebbe
 pretendersi dal pubblico ministero, prosegue l'Autorita'  remittente,
 di  formulare  la  richiesta di proroga con un anticipo maggiore, che
 consenta di esaurire entro il termine tutte le ricerche eventualmente
 necessarie, perche' allora egli dovrebbe formularla quando ancora non
 ne ravvisa l'esigenza.
    Sussisterebbe, infine, una grave disparita' di trattamento (art. 3
 della Costituzione) tra persone sottoposte ad indagini per  fatti  ed
 in   situazioni  processuali  sostanzialmente  identici,  perche'  la
 possibilita' di proroga del termine per  le  indagini,  e  quindi  di
 esercizio   dell'azione   penale,   discende   irragionevolmente   da
 condizioni che nulla hanno a che vedere con il fatto addebitato,  ne'
 con  l'attivita'  svolta  dal  pubblico  ministero,  ma da situazioni
 contingenti, o persino dalla condotta dello stesso indagato.
    2. - E' intervenuto nel giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
 ministri,   rappresentato   dall'Avvocatura   generale  dello  Stato,
 concludendo per l'infondatezza della sollevata questione.
    Ad   avviso   dell'Avvocatura   una   ragionevole   e    razionale
 interpretazione  dell'art.  406, primo comma, del codice di procedura
 penale porterebbe ad escludere che il giudice non  possa  -  come  si
 sostiene nel provvedimento di rimessione - autorizzare la proroga del
 termine  anche  "oltre  la  scadenza"  di  questo quando, malgrado la
 tempestivita' della richiesta del pubblico ministero, non  sia  stato
 possibile,  per  ragioni  connesse  a  fatti  organizzativi  (come le
 carenze  degli  organi  di  notificazione),  completare  l'iter   del
 procedimento che lo stesso art. 406 del codice di procedura penale ha
 elaborato  al  fine  di  consentire  all'"indagato"  ed alla "persona
 offesa" di presentare memorie al riguardo.
    Non sarebbe quindi ragionevole una  interpretazione  che  da  meri
 fatti  organizzativi  e  materiali  facesse  dipendere le conseguenze
 segnalate nell'ordinanza in  tema  di  violazione  del  principio  di
 obbligatorieta'   dell'azione   penale;  laddove,  viceversa,  nessun
 sostanziale pregiudizio  consegue  al  fatto  che  il  giudice  possa
 provvedere anche dopo la scadenza del termine quando un provvedimento
 prima  di  tale  scadenza  non sia attuabile per ragioni indipendenti
 dalla volonta' delle parti.
    3. - Anche il  giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  la
 Pretura  di  Verona solleva questione di legittimita' costituzionale,
 in riferimento agli artt. 3, 97 e 112 della  Costituzione,  dell'art.
 406,  primo comma, del codice di procedura penale "nella parte in cui
 prevede che il giudice possa adottare  l'ordinanza  di  proroga  solo
 prima della scadenza del termine previsto dall'art. 405 del codice di
 procedura  penale,  anziche'  entro  quindici  giorni dal decorso dei
 cinque  giorni  dalla  notificazione  della  richiesta  del  pubblico
 ministero alla persona sottoposta alle indagini".
    Dopo aver formulato, nel merito, rilievi del tutto simili a quelli
 espressi  dal  G.I.P. presso il Tribunale di Ivrea, il remittente, in
 ordine  alla  dedotta  violazione  degli  artt.  112   e   97   della
 Costituzione, osserva che l'attuale disciplina comporta, di fatto, la
 paralisi  nell'esercizio  dell'azione  penale  senza che cio' dipenda
 dalla  mancanza  di  diligenza  del  pubblico   ministero   o   dalla
 soddisfazione  di  altri interessi costituzionalmente garantiti. Ove,
 invece, si ritenesse che detto grave  inconveniente  potrebbe  essere
 superato  con  una  richiesta  di  archiviazione  ed  una  successiva
 richiesta  di  riapertura  delle  indagini,  evidente  sarebbe, a suo
 avviso, la irrazionale lesione  degli  elementari  principi  di  buon
 andamento  dell'amministrazione. In via subordinata, il giudice a quo
 ritiene  sussistente  anche   la   violazione   dell'art.   3   della
 Costituzione:  "in un'esasperata lettura del processo quale confronto
 di parti necessariamente contrapposte".
    Infine, il  remittente  osserva  che  dal  sistema  generale  puo'
 ricavarsi  il  termine  che  il  giudice  deve  osservare  per la sua
 decisione:  una  volta  che  la  richiesta  di  proroga   sia   stata
 tempestivamente  proposta  dal  pubblico  ministero,  il giudice, per
 prendere la sua decisione, dovrebbe osservare  il  termine  residuale
 previsto  dall'art.  121,  secondo  comma, c.p.p. e quindi provvedere
 entro quindici giorni dallo spirare  del  termine  di  cinque  giorni
 dalla  notifica  della  richiesta  di proroga alla persona sottoposta
 alle indagini.
    4. - E' intervenuto nel giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
 ministri,  rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha
 concluso per l'infondatezza della questione in base ad argomentazioni
 identiche a quelle  gia'  formulate  nella  questione  sollevata  dal
 G.I.P. presso il Tribunale di Ivrea.
    5.  -  Con  ordinanza emessa l'11 maggio 1991, il G.I.P. presso la
 Pretura  di   Matera   ha   sollevato   questione   di   legittimita'
 costituzionale, in riferimento all'art. 112 della Costituzione, degli
 artt. 406 e 553 del codice di procedura penale.
    Rileva  il  remittente che l'esigenza a cui corrispondono i limiti
 cronologici  della  fase  delle   indagini   preliminari   non   deve
 necessariamente  implicare  che in detti limiti debba anche svolgersi
 l'attivita'   del   requirente   finalizzata   alla    partecipazione
 all'indagato  della propria esigenza di ampliare la durata della fase
 delle investigazioni, specie se si consideri  l'imprevedibilita'  dei
 tempi  che  tale  attivita'  puo'  richiedere,  in relazione sia alle
 possibili difficolta' di reperimento dei destinatari della  notifica,
 sia  al  caso  che  si  tratti  di una pluralita' non indifferente di
 soggetti.
    Non sarebbe  pertanto  ammissibile  ne'  che  venga  in  tal  modo
 accollato  al requirente l'onere di formulare, in ogni procedimento e
 con  istituzionalizzata  pessimistica   perspicacia,   una   prognosi
 sull'eventualita'   che  i  termini  ordinari  possano  non  essergli
 bastevoli, ne' che egli sia di fatto obbligato non solo a  provvedere
 a   tutelarsi,  richiedendo  la  proroga,  con  un  anticipo  la  cui
 congruita' sia subordinata, in modo assolutamente aleatorio, ai tempi
 dell'attivita' di notifica, ma anche a "scoprirsi", cioe' a  svelare,
 prima  del necessario, l'esistenza delle investigazioni nei confronti
 dell'indagato.
    Inoltre, nel caso in cui l'esigenza di svolgimento di  determinate
 investigazioni  sopravvenga  in un momento prossimo alla scadenza del
 periodo normalmente destinato alla fase delle  indagini  preliminari,
 verrebbe  precluso  al pubblico ministero di proseguire solo perche',
 pur avendo provveduto a  depositare  nella  cancelleria  del  giudice
 richiesta  di  proroga  nei  termini,  non  gli  sia  stato possibile
 provvedere,  nello  stesso  termine,  alle  attivita'   di   notifica
 impostegli dalla legge.
    In   conclusione  il  giudice  a  quo  ritiene  che  il  principio
 costituzionale di  obbligatorieta'  dell'azione  penale  verrebbe  ad
 essere  fortemente vulnerato dal combinato disposto degli artt. 553 e
 406 del codice di procedura penale, dovendo ritenersi  probabile  che
 il  requirente, una volta preso atto di non essere stato autorizzato,
 per via della mancata proroga, ad espletare ulteriori  attivita'  in-
 vestigative  necessarie  ed  indispensabili, ed anzi, d'esser tenuto,
 pur in mancanza di quelle, a presentare le proprie richieste  conclu-
 sive,  si  senta  costretto, per via della insufficenza del materiale
 raccolto, a postulare l'archiviazione, ossia a porre in essere quella
 che nel nuovo  codice  e'  la  negazione  dell'esercizio  dell'azione
 penale.
    6.  - Anche nel presente giudizio e' intervenuto il Presidente del
 Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale  dello
 Stato,  concludendo  per  l'infondatezza della questione in base alle
 gia' riferite argomentazioni.
                        Considerato in diritto
    1. - Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di
 Ivrea  sottopone  al  vaglio  di   questa   Corte   la   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  406,  primo comma, del codice di procedura
 penale, in riferimento agli artt. 3, 97, primo  comma,  101,  secondo
 comma,  e  112  della Costituzione, nella parte in cui prevede che il
 giudice possa prorogare il termine per le indagini  preliminari  solo
 "prima della scadenza" del termine stesso.
    La   medesima   disciplina,  applicabile  anche  nei  procedimenti
 pretorili, come risulta dal combinato disposto degli artt. 406 e 553,
 secondo comma, viene impugnata anche  dal  giudice  per  le  indagini
 preliminari presso la Pretura di Verona, in riferimento agli artt. 3,
 97   e  112  della  Costituzione,  e  dal  giudice  per  le  indagini
 preliminari presso la Pretura di Matera, in riferimento all'art.  112
 della Costituzione.
    I  relativi  giudizi,  poiche' sollevano questioni sostanzialmente
 coincidenti, possono essere  riuniti  per  essere  decisi  con  unica
 sentenza.
    2.  -  Tutti  i  giudici  a  quibus  dubitano  della  legittimita'
 costituzionale dell'art. 406, primo comma, del  codice  di  procedura
 penale  (e,  per  quanto  concerne  i procedimenti avanti al Pretore,
 anche dell'art. 553, secondo comma) nella  parte  in  cui  il  potere
 autorizzatorio  del  giudice, in ordine alla richiesta di proroga del
 termine per le indagini preliminari formulata dal pubblico ministero,
 viene subordinato alla condizione che il termine stesso non sia  gia'
 scaduto.
    In  particolare,  i giudici remittenti rilevano che il terzo comma
 dell'art. 406 pone obbligo al pubblico  ministero  di  notificare  la
 richiesta  di  proroga  alla persona sottoposta alle indagini ed alla
 persona offesa dal reato che abbia chiesto di esserne  informata,  ed
 attribuisce ai loro difensori la facolta' di presentare memorie entro
 cinque   giorni   da  detta  notifica;  il  sistema  complessivamente
 delineato dall'art. 406, pertanto, impone al giudice di verificare la
 regolare notifica della richiesta di proroga alle altre  parti  e  di
 attendere  il  decorso  del  termine  loro  assegnato  per presentare
 memorie, prima di poter  decidere  sull'istanza;  ma  soltanto  se  a
 questo  momento  il  termine non sia ancora scaduto il giudice potra'
 autorizzare  la  proroga  richiesta.  Il  giudice  per  le   indagini
 preliminari  presso il Tribunale di Ivrea, dopo aver premesso che nel
 caso   sottoposto   al   suo  esame  la  richiesta  di  proroga,  pur
 tempestivamente formulata dal pubblico ministero, e' stata notificata
 alle parti dopo la scadenza del termine semestrale previsto dall'art.
 405, osserva che a fronte del chiaro tenore letterale dell'art.  406,
 il  quale  riconosce  al giudice il potere di prorogare detto termine
 "prima  della  scadenza",  risulta  impossibile   qualsiasi   diversa
 soluzione  interpretativa  che riferisca, ad esempio, il termine alla
 formulazione della richiesta da parte del pubblico ministero, o  alla
 sua trasmissione al giudice per le indagini preliminari.
     Cio'  posto,  il  giudice remittente ritiene, in primo luogo, che
 tale sistema sia del tutto irragionevole, ed  in  contrasto  con  gli
 artt.  3 e 112 della Costituzione, in quanto l'attivita' del pubblico
 ministero, (e quindi la possibilita' di esercizio dell'azione  penale
 nei  confronti  di  persone  sottoposte  ad  indagini per fatti ed in
 situazioni    processuali    sostanzialmente    identici)     risulta
 condizionata,  e  suscettibile  di  dare  luogo a gravi disparita' di
 trattamento, a causa di fattori accidentali e non prevedibili  (quali
 un  ritardo  nella  trasmissione  a mezzo posta dell'atto notificato,
 come nel caso di specie) che nulla hanno a che vedere  con  il  fatto
 addebitato, ne' con la diligenza dello stesso pubblico ministero.
    3. - La questione e' fondata.
    Il  soddisfacimento  della  duplice esigenza a cui corrispondono i
 limiti   cronologici   della   fase   delle   indagini   preliminari,
 individuabile   nella  necessita'  di  imprimere  tempestivita'  alle
 investigazioni e di contenere in un lasso di tempo predeterminato  la
 condizione  di  chi a tali indagini e' assoggettato, non comporta che
 in detti limiti debba anche svolgersi l'attivita'  di  notifica  alla
 persona  stessa  ed alla persona offesa dal reato della richiesta del
 pubblico ministero di protrarre la fase delle investigazioni.
    Una siffatta previsione mentre non soddisfa esigenze di tutela  di
 interessi  apprezzabili  delle  altre  parti  - in quanto l'interesse
 sostanziale di queste ad interloquire  sulla  durata  delle  indagini
 preliminari  e'  pienamente soddisfatto dal contraddittorio garantito
 dalla norma - fa si'  che  il  pubblico  ministero  sia  costretto  a
 valutare  la  eventualita'  di  non  concludere  le indagini entro il
 termine, e quindi di doverne richiedere la proroga, con  un  anticipo
 determinato,  non  gia'  o non soltanto dal verificarsi della "giusta
 causa" prevista dal legislatore (che ben potrebbe  sopraggiungere  al
 limite  della  scadenza),  bensi'  dalla  necessita'  di cautelarsi a
 fronte di eventuali difficolta' nel reperimento dei destinatari della
 notifica o della contingenza che si  tratti  di  una  pluralita'  non
 indifferente di soggetti.
    In  definitiva, la ratio che sorregge la disciplina in esame, che,
 cioe',  il  pubblico  ministero  entro  il  termine  concessogli  per
 l'espletamento  delle  indagini  formuli  le sue richieste (art. 405,
 primo comma) ovvero chieda in base a validi motivi  una  proroga  del
 termine  stesso,  trova  esaustiva  realizzazione nel fatto che entro
 quel termine la richiesta di proroga sia presentata; che debba  anche
 intervenire  la  decisione  del  giudice  entro  il termine stesso e'
 regola del tutto diversa, assente dalle  previsioni  della  legge  di
 delega  (cfr.  art.  2,  n.  48 della legge 16 febbraio 1987 n. 81) e
 suscettibile   di    condizionare    irragionevolmente    l'esercizio
 dell'azione  penale  subordinando  la  concessione  della  proroga ad
 evenienze imponderabili ed accidentali. Si pensi ad  esempio  che,  a
 fronte di una medesima richiesta, la proroga potrebbe essere concessa
 nell'ipotesi  di  cui al quarto comma dell'art. 406 (ordinanza emessa
 in camera  di  consiglio  senza  l'intervento  delle  parti),  ovvero
 risultare   impossibile,   a   causa   della  scadenza  dei  termini,
 nell'ipotesi di cui al quinto comma della  stessa  norma  (fissazione
 dell'udienza  in camera di consiglio con avviso notificato alle parti
 e conseguente ritardo della decisione).
    4. - Va pertanto dichiarata l'illegittimita'  costituzionale,  per
 contrasto  con gli artt. 3 e 112 della Costituzione, degli artt. 406,
 primo comma, e 553, secondo comma, del codice  di  procedura  penale,
 nella  parte in cui entrambi prevedono che il giudice possa prorogare
 il termine stabilito per la durata delle  indagini  preliminari  solo
 "prima  della  scadenza";  restano  assorbite  le  ulteriori  censure
 sollevate in riferimento ad altri parametri costituzionali.
    Val la pena sottolineare che, una volta  riconosciuta  illegittima
 la  previsione  che consente al giudice di autorizzare la proroga del
 termine per le indagini preliminari solo "prima della scadenza" dello
 stesso, il pubblico ministero rimarra' comunque obbligato a formulare
 la sua istanza  entro  il  medesimo  termine  in  base  al  principio
 generale  secondo cui in tanto puo' essere richiesta la proroga di un
 termine in quanto lo stesso  non  sia  gia'  scaduto.  Presentata  la
 richiesta,  e  notificata senza indugio alle altre parti ai sensi del
 terzo  comma  dell'art.  406,  il  giudice  provvedera'  nel  termine
 generale   previsto   dall'art.   121,  secondo  comma,  che  diviene
 applicabile anche all'ipotesi in esame una volta caducata, a  seguito
 della  presente  decisione,  la  specifica previsione di cui all'art.
 406; e quindi entro quindici giorni  decorrenti  dalla  scadenza  del
 termine di cinque giorni concesso alle parti, per la presentazione di
 memorie, dal ricordato terzo comma dell'art. 406.
    Ai  sensi  dell'art.  27  della  legge  11  marzo  1953  n. 87, la
 dichiarazione  d'illegittimita'   costituzionale   va   estesa   alla
 previsione  di  cui  all'art.  406,  secondo  comma,  del  codice  di
 procedura penale, nella parte in cui parimenti prevede che il giudice
 possa  autorizzare  ulteriori  proroghe  "prima  della  scadenza  del
 termine prorogato".
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  degli  artt. 406, primo
 comma, e 553, secondo comma, del codice  di  procedura  penale  nelle
 parti  in cui prevedono che il giudice possa prorogare il termine per
 le indagini preliminari  solo  "prima  della  scadenza"  del  termine
 stesso;
    Visto l'art. 27 della legge 11 marzo 1953 n. 87;
    Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 406, secondo
 comma, del codice di procedura penale nella parte in cui prevede  che
 il  giudice  possa  concedere  ulteriori  proroghe del termine per le
 indagini  preliminari  solo  "prima  della   scadenza   del   termine
 prorogato".
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 2 aprile 1992.
                       Il Presidente: BORZELLINO
                          Il redattore: FERRI
                       Il cancelliere: FRUSCELLA
    Depositata in cancelleria il 15 aprile 1992.
                       Il cancelliere: FRUSCELLA
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