N. 199 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 dicembre 1991

                                  N. 199
 Ordinanza emessa  il  9  dicembre  1991  dal  pretore  di  Parma  nel
 procedimento civile vertente tra Bandini Maria e l'I.N.P.S.
 Previdenza e assistenza sociale - Pensioni I.N.P.S. - Termine di
    decadenza   (dieci   anni)   per  l'impugnativa  in  giudizio  dei
    provvedimenti dell'I.N.P.S.  -  Prevista  retroattivita'  di  tale
    disposizione  tranne che per i processi gia' in corso alla data di
    entrata in vigore del d.-l. 29 marzo 1991, n. 103 - Ingiustificata
    disparita' di trattamento tra coloro che hanno presentato  domanda
    giudiziale  prima  di  detta  data e coloro che l'hanno presentata
    dopo, attesa la mancanza, prima di detta disposizione  innovativa,
    di  termini  di decadenza o prescrizione - Incidenza sul principio
    dell'assicurazione di mezzi adeguati alle  esigenze  di  vita  del
    lavoratore  in  caso  di  vecchiaia e sul principio dell'efficacia
    retroattiva delle pronunce di illegittimita' costituzionale  della
    Corte  costituzionale  (in  particolare della sentenza n. 314/1985
    cui si ricollega il caso di specie, riguardante  una  domanda  per
    integrazione   al   minimo)   -   Irrazionale   limitazione  della
    retroattivita' in conseguenza di  un  fatto  estrinseco  quale  la
    proposizione del giudizio.
 (D.-L. 29 marzo 1991, n. 103, art. 6, primo e secondo comma,
    convertito in legge 1› giugno 1991, n. 166).
 (Cost., artt. 3, 38 e 136).
(GU n.18 del 29-4-1992 )
                              IL PRETORE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nella causa promossa da:
 Bandini Maria nata a Sala Baganza il 28 maggio 1908,  e  residente  a
 Fraore  di S. Pancrazio, rappresentata e difesa nel presente giudizio
 dall'avv. Luciano Petronio presso  il  cui  studio  in  Parma  elegge
 domicilio  come  da  delega  a  margine  del ricorso, attrice, contro
 l'Istituto   Nazionale   della   Previdenza   Sociale   -    I.N.P.S.
 rappresentato  e  difeso  dall'avv.    D. Liveri in virtu' di procura
 generale allegata, elettivamente domiciliato in Parma, via Salnitrara
 n. 5, presso la Sede Provinciale dell'Istituto stesso, convenuto;
                            FATTO E DIRITTO
    Con ricorso del 14 maggio 1991 diretto  al  pretore  di  Parma  in
 funzione  di  giudice del lavoro, Bandini Maria conveniva in giudizio
 l'I.N.P.S., chiedendone la condanna  a  riliquidare  la  pensione  di
 riversibilita'   (Cat.  s.o.)  di  cui  e'  titolare  della  data  di
 insorgenza del relativo diritto, integrando la stessa al  trattamento
 minimo  di  tempo  in  tempo  vigente  e, in ogni caso, per l'art. 6,
 settimo comma, del decreto-legge n. 638/1983, con  il  "congelamento"
 dell'importo  per  il periodo successivo al 1› ottobre 1983, oltre al
 pagamento delle differenze fra i ratei liquidati e  quelli  di  fatto
 riscossi e cio', in esecuzione della sentenza n. 314/1985 della Corte
 costituzionale,    come    gia'    inutilmente   richiesto   in   via
 amministrativa.
    Dopo la notifica del ricorso  e  del  decreto,  si  costituiva  in
 giudizio l'I.N.P.S. chiedendo il rigetto delle domande.
    L'Istituto eccepiva che era irrimediabilmente trascorso il termine
 decennale  previsto  dagli  articoli  58,  primo comma della legge n.
 156/1969 e 47 del d.P.R. n. 639/1970 per cui  sulle  pensioni,  ormai
 intangibili, non potevano avere effetto le successive decisioni della
 Corte  costituzionale;  in  ogni  caso sosteneva che dopo la legge n.
 638/1983 non poteva piu' essere richiesta la doppia  integrazione  al
 minimo  neppure  per il periodo precedente e che, comunque, l'art. 6,
 settimo comma, e' norma applicabile solo all'ipotesi di  perdita  del
 diritto  all'integrazione  al  minimo  per  superamento del limite di
 reddito.
    Tanto premesso
                             O S S E R V A
    La ricorrente Bandini Maria e' titolare  dal  1›  giugno  1969  di
 pensione  diretta Cat. i.o., ed e' pure titolare dal 1› novembre 1974
 di  pensione  di  reversibilita'   cat.   s.o.,   di   cui   richiese
 l'integrazione  al  minimo  con domanda in sede amministrativa del 28
 febbraio 1986, successivamente respinta.
    In  relazione  a tale situazione, l'I.N.P.S. ha eccepito che nella
 specie si e' verificata la decadenza di carattere sostanziale  e  non
 solo  procedimentale dall'azione per effetto dell'art. 6 del d.-l. 29
 marzo 1991, n. 103, convertito in  legge  1›  giugno  1991,  n.  166,
 essendo  stato  il  ricorso presentato dopo il 2 aprile 1991, date di
 entrata in vigore del d.-l. citato.
    E' opportuno richiamare, sia pure per sommi capi, lo  stato  della
 questione.
    Dopo  che,  per quanto riguarda il periodo precedente l'entrata in
 vigore del  d.-l.  n.  462/1983,  la  Corte  costituzionale,  con  la
 sentenza   n.   314/1985   e   numerose   altre,   debba   dichiarare
 l'incostituzionalita' delle norme che escludevano  l'integrazione  al
 minimo  della  seconda  pensione per il titolare di piu' pensioni, si
 tento' in vari modi di limitare l'effetto retroattivo delle decisioni
 di incostituzionalita' che avrebbe importato per  l'I.N.P.S.  pesanti
 oneri finanziari.
    Si  e' cosi' sostenuto che le decisioni di incostituzionalita' non
 potevano avere effetto sulle situazioni per le quali era  decorso  il
 termine  decennale previsto dalle norme gia' citate che andava inteso
 come termine di decadenza con effetti di carattere sostanziale.
    Dopo alcune incertezze giurisprudenziali, con la sentenza n.  6245
 del  21 giugno 1990, le sezioni unite della Corte di Cassazione hanno
 chiarito che il termine previsto dall'art. 47 del d.P.R. n.  639/1970
 non  e'  di  prescrizione, bensi di decadenza, ma con effetti solo di
 tipo procedimentale  e  senza  effetti  sostanziali  nel  senso  che,
 decorso   il   decennio   senza   l'inizio  dell'azione  giudiziaria,
 l'interessato ha l'onere di proporre una nuova domanda amministrativa
 che,  avendo  effetto  interruttivo  della  prescrizione   decennale,
 consente  la richiesta delle differenze di importo delle pensioni per
 i dieci anni precedenti.
    Su questa interpretazione conviene anche la  Corte  costituzionale
 (sentenza n. 126 del 26 marzo 1991).
    Con  l'art.  11  della legge 11 marzo 1988, n. 67, fu interpretato
 autenticamente l'art. 129 r.d.-l. n.  1827/1935  nel  senso  che  "la
 prescrizione  (quinquennale)  ivi prevista si applica anche alle rate
 di pensione non poste in pagamento".
    Con la  sentenza  n.  283  del  17-25  maggio  1989,  della  Corte
 costituzionale,  la  norma  e'  stata  dichiarata  incostituzionale e
 quindi si e' continuato a richiedere gli arretrati non prescritti per
 prescrizione decennale.
    Anche per quanto riguarda il diritto al c.d. "congelamento" per il
 periodo successivo al 30 settembre 1983, la giurisprudenza  e'  ormai
 pacifica  nell'interpretare  il  settimo  comma dell'art. 6 del d.-l.
 463/1983 come riferito a qualunque ipotesi  di  perdita  del  diritto
 all'integrazione  al minimo e non limitato all'ipotesi di perdita del
 diritto per superamento del limite di reddito.
    La Corte di cassazione si e' pronunciata con numerose sentenze (19
 dicembre  1989,  n.  5720,  seguita  da  altre)  ed  anche  la  Corte
 costituzionale  ha  accolto  la  stessa  interpretazione  respingendo
 quella contraria proposta dal tribunale  di  Firenze  (sentenza  6-19
 novembre 1991, n. 418).
    Dopo  aver  inutilmente  seguito  la  strada  dell'interpretazione
 autentica del citato art. 47, (con il d.-l.  15  settembre  1990,  n.
 259,  poi  non convertito in legge e seguito da quelli nn. 338/1990 e
 28/1991 anch'essi non convertiti in legge), nel senso  di  attribuire
 alla  decadenza  effetti sostanziali, l'art. 6 del d.-l. n. 103/1991,
 convertito in legge n.  166/1991,  sotto  la  rubrica  "Regime  delle
 prescrizioni  delle  prestazioni  previdenziali",  cosi'  dispone: "I
 termini previsti dall'art. 47, secondo e terzo comma, del  d.P.R.  30
 aprile  1970,  n. 639, sono posti a pena di decadenza per l'esercizio
 del diritto alla prestazione previdenziale.
    La decadenza determina l'estinzione del diritto ai ratei pregressi
 delle prestazioni previdenziali e l'inammissibilita'  della  relativa
 domanda giudiziale.
    In  caso  di  mancata  proposizione  del ricorso amministrativo, i
 termini decorrono dall'insorgenza del diritto ai singoli ratei".
    "Le  disposizioni  di  cui  al   primo   comma   hanno   efficacia
 retroattiva,  ma  non si applicano ai processi che sono in corso alla
 data di entrata in vigore del presente decreto".
    La norma e' quanto mai oscura e la sua interpretazione non e' fac-
 ile.
    Innanzi tutto va escluso che si tratti  di  norma  interpretativa.
 Cosi'  era  stata definita solo quella contenuta nel d.-l. 259/1990 e
 lo dimostra anche l'espressa dichiarazione di retroattivita' peraltro
 esclusa per i giudizi in corso che per  le  norme  interpretative  e'
 inutile.
    In  secondo  luogo  si  deve  escludere  che  il decorso del tempo
 importi  l'intangibilita'  della  pensione  come  gia'  liquidata   e
 l'impossibilita' di richiederne anche per il futuro la riliquidazione
 con  l'integrazione  al  minimo  sia pure nell'importo cristallizzato
 alla data del 1› ottobre 1983. E' da tempo assolutamente pacifico che
 il diritto a pensione (e cioe' il diritto  a  percepire  la  pensione
 nell'importo    determinato    secondo    le    leggi   vigenti)   e'
 imprescrittibile perche' indisponibile,  in  base  alle  disposizioni
 dell'art.  2934  del c.c., coordinato con gli artt. 128, primo comma,
 del r.d.-l. 1827/1935 e 69 della legge n. 153/1969  che  escludono  o
 limitano  la  cedibilita',  sequestrabilita'  e  pignorabilita' delle
 pensioni e con l'art. 2115, terzo comma, del c.c.,  stante  anche  la
 rilevanza  costituzionale  ex art. 38 degli interessi protetti (Cass.
 s.u. n.  6245/1990  cit.).  E'  per  questo  che  gli  effetti  della
 "decadenza    per    l'esercizio   del   diritto   alla   prestazione
 previdenziale", di cui alla prima parte dell'art.  6  citato,  devono
 intendersi  limitati  a quanto dice in prosieguo lo stesso articolo e
 cioe' che "la decadenza determina (solo) l'estinzione del diritto  ai
 ratei  pregressi",  talche'  non  sembra lecito attribuire alla norma
 portata sostanziale piu' ampia.
    In base alle considerazioni fatte fino  a  questo  punto  si  puo'
 intanto  affermare  che  alla  ricorrente  compete  l'integrazione al
 minimo sulla pensione di reversibilita', nell'importo  cristallizzato
 alla  data  del 30 settembre 1983, a partire dalla preposizione della
 domanda amministrativa di applicazione  della  sentenza  della  Corte
 costituzionale  n.  314/1985,  che  ha  preceduto  la proposizione di
 questo giudizio.
    Essendo trascorso il decennio previsto dal  citato  art.  47,  era
 indispensabile   riproporre   la   domanda   amministrativa   essendo
 intervenuta quella decadenza procedimentale individuata da  cass.  n.
 6245/1990 cit. che non e' stata negata dalla norma in oggetto, che ad
 essa ha aggiunto la decadenza con effetti sostanziali.
    Poiche'   tale   domanda  amministrativa  ha  sicuramente  effetto
 interruttivo della prescrizione, la ricorrente, se  non  fosse  stata
 emanata  la  norma  di cui all'art. 6 della legge n. 166/1991 avrebbe
 avuto diritto a richiedere le differenze  arretrate,  a  partire  dal
 primo giorno del mese successivo al compimento del decennio anteriore
 alla domanda amministrativa.
    Ritiene  la  ricorrente che la recente innovazione legislativa non
 impedisce l'accoglimento della domanda.
    L'istanza da essa presentata  per  l'applicazione  della  sentenza
 della   Corte   costituzionale   n.   314/1985,   volta   al  riesame
 dell'originario provvedimento dell'I.N.P.S. con il  quale  era  stata
 liquidata  inizialmente  la pensione, andrebbe definita come "ricorso
 amministrativo", proponibile in ogni tempo  secondo  la  disposizione
 dell'art.  8  della legge n. 533/1973, con la conseguenza che, solo a
 partire da quando esso e' stato respinto e' iniziato a  decorrere  il
 termine  decennale  menzionato  nell'art. 47 citato che non e' ancora
 concluso.
    Questa interpretazione non puo' essere seguita.
    Non sembra si possa dubitare che lo  scopo  principale  propostosi
 dal  legislatore  del 1991 e' stato quello di limitare gli aggravi di
 spesa  conseguenti  all'effetto  retroattivo   delle   decisioni   di
 incostituzionalita';  secondo l'interpretazione proposta questo scopo
 non sarebbe di fatto raggiungibile.
    Va inoltre ricordato che l'art. 6 della legge n. 166/1991 menziona
 i termini previsti dall'art. 47 del d.P.R.  n.  639/1970,  ma  questa
 norma,  quando parla di "ricorso", non allude a quello proponibile in
 ogni tempo secondo l'art. 8 della legge  n.  533/1973,  ma  a  quello
 previsto  e regolato dalle norme che la precedono. Gli artt. 44, 45 e
 46  del  d.P.R.  n.  639/1970,  sotto  il  titolo  III   "Ricorsi   e
 controversie in materia previdenziale", prevedono termini precisi per
 la loro proposizione.
    Una  volta  ripudiato  il  sistema  della cosiddetta giurisdizione
 condizionata, il decorso di questi  termini  non  puo'  importare  la
 perdita  del  diritto  a  pensione  che e' imprescrittibile, cio' non
 toglie che, una volta prevista una procedura amministrativa diretta a
 provocare un controllo interno per  un'eventuale  composizione  della
 vertenza   in  modo  rapido  ed  economico,  abbia  ancora  senso  la
 previsione  di  termini  ristretti  decorsi  i  quali   la   pubblica
 amministrazione  possa  considerare le pratiche concluse dal punto di
 vista amministrativo.
    E'  anche  il  caso  di   ricordare   il   particolare   interesse
 dell'ordinamento  a  che  si  svolga  questa  procedura, tanto che il
 giudizio eventualmente iniziato  prima  della  sua  conclusione  deve
 essere sospeso (art. 443 del c.p.c.).
    Chiarito che il ricorso cui fa riferimento l'art. 6 della legge n.
 166/1991  e'  quello  previsto  dagli artt. 44, 45 e 46 del d.P.R. n.
 639/1970, va detto che la ricorrente non ebbe a presentarlo, ne'  del
 resto c'era motivo perche' l'originario provvedimento di liquidazione
 della pensione era conforme alle leggi all'epoca vigenti.
    Le  ipotesi  oggetto di questo giudizio sono quindi regolate dalla
 seconda parte del primo comma dell'art. 6 citato.
    La ricorrente, partendo dalla premessa che il diritto  a  pensione
 sorge  quando  se ne sono verificate le condizioni, mentre il diritto
 alla percezione dei  singoli  ratei  sorge  volta  per  volta  ed  in
 relazione  ad  ogni  rateo,  sostiene  che  il  termine  decennale di
 decadenza  sostanziale  in  relazione  ai  ratei pregressi, si sposta
 continuamente in avanti mese per mese, con la conseguenza che, avendo
 presentato la domanda  precedente  il  ricorso  giudiziario  potrebbe
 richiedere i ratei maturati anteriormente alla domanda medesima.
    Anche questa argomentazione non sembra possa essere accolta.
    Innanzitutto  si  verrebbe  a creare un'assoluta ed ingiustificata
 disparita' di trattamento fra chi  presento'  il  ricorso  contro  il
 provvedimento  di  liquidazione  della  pensione e chi vi fece invece
 acquiescenza. In secondo luogo  l'intento  del  legislatore,  che,  a
 differenza  delle espressioni usate che sono quanto mai equivoche, e'
 invece ben chiaro, sarebbe inspiegabilmente frustrato. In terzo luogo
 sembra da seguire l'interpretazione dell'I.N.P.S. (circolare  n.  244
 dell'11  ottobre  1991)  che  propone  di  distinguere  il  diritto a
 pensione "astrattamente esistente al verificarsi dei  presupposti  di
 legge   ed   indipendentemente  dalla  presentazione  della  relativa
 domanda", dal "diritto alla erogazione dei singoli ratei" che nasce a
 seguito dall'accoglimento della domanda di pensione.  La  conseguenza
 e'  che,  nell'ipotesi  in  cui  non sia stato presentato ricorso, il
 termine decennale inizia a decorrere dal  momento  in  cui  e'  stato
 emesso il provvedimento di liquidazione della pensione.
    Interpretata  in  questo  modo  la  disposizione di cui all'art. 6
 della legge n. 166/1991, i dubbi  sulla  sua  costituzionalita'  sono
 molti e fondati.
    Gia'   il  pretore  di  Sanremo  (ordinanza  14  giugno  1991)  ha
 sospettato di incostituzionalita' la norma in  relazione  all'art.  3
 della  Costituzione in quanto discrimina in relazione ad un fatto del
 tutto estrinseco  e  non  significativo,  ai  fini  della  necessaria
 salvaguardia  dei diritti quesiti, quale quello della proposizione di
 un giudizio.
    Ulteriore contrasto con l'art. 3 emerge dal fatto che, seppure  e'
 possibile  per  il legislatore emanare norme retroattive, nel caso di
 specie non  e'  stata  dettata  una  qualche  disciplina  transitoria
 diretta   a   salvare   quelle   situazioni   pregresse,   sia   pure
 caratterizzate da una certa inerzia ma per le  quali,  essendo  stata
 interrotta  la  prescrizione,  era  inconcepibile ed imprevedibile la
 perdita del  diritto  sostanziale,  da  ritenersi  gia'  entrato  nel
 patrimonio   del   titolare.   La   scelta   legislativa   oltre  che
 discriminatoria e' anche irrazionale perche' ricollega  l'effetto  di
 una irrimediabile perdita del diritto ad un fatto che quando fu posto
 in essere non poteva produrre tale effetto.
    Per  lo stesso motivo la norma sembra contrastare anche con l'art.
 38 della Costituzione perche' produce gli effetti  di  cui  sopra  in
 danno  di  soggetti  deboli  e riconosciuti meritevoli di particolare
 tutela.
    La stessa Corte costituzionale, con la  sentenza  n.  822  del  14
 luglio  1988,  ha  precisato  i  limiti  che  il legislatore incontra
 nell'intervenire    nei    rapporti    di    durata     modificandoli
 sfavorevolmente,  nel  senso  che  le  disposizioni  retroattive "non
 possono trasmodare in un regolamento irrazionale  ed  arbitrariamente
 incidere  sulle  situazioni  sostanziali  posta  in  essere  da leggi
 precedenti, frustrando cosi' anche l'affidamento del cittadino  nella
 sicurezza   pubblica   che   costituisce   elemento  fondamentale  ed
 indispensabile dello stato di diritto ..
    Anche  se deve ritenersi ammissibile un intervento legislativo che
 modifichi  l'ordinamento  pubblicistico  delle  pensioni,  non  puo',
 pero',    ammettersi   che   detto   intervento   sia   assolutamente
 discrezionale.  In  particolare  non  puo'   dirsi   consentita   una
 modificazione  legislativa che, intervenendo in una fase avanzata del
 rapporto di lavoro oppure quando gia'  sia  subentrato  lo  stato  di
 quiescenza,  peggiorasse,  senza una inderogabile esigenza, in misura
 notevole ed in maniera definitiva, un  trattamento  pensionistico  in
 precedenza  spettante, con la conseguente irrimediabile vanificazione
 delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il  tempo
 successivo alla cessazione della propria attivita' lavorativa".
    La  norma,  infine, sembra in contrasto anche con l'art. 136 della
 Costituzione giacche' limita ed anzi  di  fatto  esclude  l'efficacia
 retroattiva delle sentenze della Corte costituzionale.
    E'  il  caso  di  richiamare una fattispecie che presenta notevoli
 analogie con quella in oggetto.
    Con la sentenza n. 139 del 7 maggio 1984 la Corte  costituzionale,
 nel  dichiarare  illegittimo  l'art.  1,  terzo comma, della legge 10
 maggio 1978, n. 176, richiamato  dall'art.  15,  primo  comma,  della
 legge  3  maggio  1982,  n.  203, cosi' testualmente ha motivato: "Le
 sentenze di accoglimento, in base al  disposto  dell'art.  136  della
 Costituzione  confermato  dall'art.  30 della legge 11 marzo 1953, n.
 87, operano ex tunc  perche'  producono  i  loro  effetti  anche  sui
 rapporti   sorti   anteriormente  alla  pronuncia  di  illegittimita'
 sicche', dal giorno successivo  alla  loro  pubblicazione,  le  norme
 dichiarate  incostituzionali  non  possono  piu' trovare applicazione
 (salvo quanto discende dall'art. 25 della Costituzione per la materia
 penale)".
    "Il principio, che suole essere enunciato con il ricorso alla for-
 mula della  c.d.  'retroattivita''  di  dette  sentenze,  vale  pero'
 soltanto  per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente esclusione
 di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata
 invalida. Per rapporti esauriti debbono certamente  intendersi  tutti
 quelli  che  sul piano processuale hanno trovato la loro definitiva e
 irretrattabile conclusione mediante sentenza passata in giudicato,  i
 cui  effetti  non  vengono  intaccati  dalla  successiva pronuncia di
 incostituzionalita' (salvo quanto disposto per la materia penale  dal
 cit.   art.   30).   Secondo  l'orientamento  talvolta  emerso  nella
 giurisprudenza di questa Corte (cfr. sent.  n.  58  del  1967)  e  il
 prevalente  indirizzo  dottrinale, vanno considerati esauriti anche i
 rapporti rispetto ai quali sia decorso il termine di  prescrizione  o
 di  decadenza previsto dalla legge per l'esercizio di diritti ad essi
 relativi.
    Ma  quando,  come   nell'ipotesi   considerata   dalla   normativa
 denunciata,  detto termine e' pendente e quindi il creditore, secondo
 i principi generali puo' pretendere quanto ancora gli e' dovuto,  non
 e'  consentito al legislatore ordinario limitare la portata dell'art.
 136 della Costituzione,  sia  pure  ricorrendo,  come  nella  specie,
 all'espediente  di introdurre un nuovo onere, non previsto al momento
 dell'avvenuto pagamento parziale, e di escludere  percio'  l'acquisto
 del   diritto   successivamente   riconosciuto  dalla  legge  che  ha
 sostituito   quella   dichiarata   invalida.   Cosi'   operando,   il
 legislatore,  in  realta',  fa  in  modo  che il rapporto oggetto del
 giudizio principale e non ancora  esaurito  rimanga  illegittimamente
 regolato    dalla    norma    annullata,   riducendo   indebitamente,
 l'operativita' dell'art. 136 della Costituzione".
                               P. Q. M.
    Visti gli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1
 e 23 della legge 11 marzo 1953,  n.  87,  dichiara  rilevante  e  non
 manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 6, primo e secondo comma del d.-l. 29 marzo 1991,  n.  103,
 convertito  in  legge  1›  giugno  1991, n. 166 per contrasto con gli
 artt. 3, 38 e 136 della Costituzione;
    Sospende il presente giudizio e dispone la trasmissione degli atti
 alla Corte costituzionale;
    Ordina che a cura della cancelleria copia della presente ordinanza
 venga notificata al Presidente del Consiglio  dei  Ministri  e  venga
 comunicata ai Presidente delle due Camere del Parlamento;
    Si comunichi anche alle parti.
      Parma, addi' 9 dicembre 1991
                          Il pretore: FERRAU'

 92C0481