N. 203 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 febbraio 1992

                                 N. 203
 Ordinanza emessa il 21 febbraio  1992  dal  pretore  di  Catania  nel
 procedimento penale a carico di Panzera Nino
 Processo penale - Procedimenti speciali - Applicazione della pena su
    richiesta  delle  parti  -  Equiparazione  della  sentenza  ad una
    pronuncia di condanna - Lamentata  impossibile  valutazione  delle
    prove  di responsabilita' - Mancata garanzia del diritto di difesa
    in ordine a tale giudizio.
 (C.P.P. 1988, art. 444).
 (Cost., art. 24).
(GU n.18 del 29-4-1992 )
                              IL PRETORE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nel  procedimento  penale  n.
 1775/91  nei  confronti  di  Panzera Nino, imputato del reato p. e p.
 dall'art. 10, sesto e decimo comma, della legge 18  aprile  1975,  n.
 110, e art. 20, terzo e quarto comma, della legge n. 110/1975.
    La   Corte   Costituzionale  con  sentenza  del  26  giugno  1990,
 pubblicata il 2 luglio 1990, ha chiarito che il rito speciale di  cui
 all'art.  444  del  c.p.p.  non  esclude  che il giudice eserciti una
 funzione giurisdizionale.Ed invero al  giudice  viene  sottoposto  un
 progetto  (di  sentenza), progetto che puo' accogliere, assumendolo a
 contenuto  della  propria  sentenza,  ovvero  procedere  nelle  forme
 ordinarie.
    Nel  procedimento  ex  art.  444  del  c.p.p.  dunque, anche se la
 decisione non si forma, come nel procedimento ordinario,  sulla  base
 della discussione, il confronto dialettico tra accusa e difesa non e'
 escluso,  essendo  il contraddittorio fra le parti garantito, se pure
 in materia atipica, dall'accordo.
    Il giudice, da parte sua, non e' vincolato  alla  richiesta  delle
 parti,  che  puo'  rigettare,  ma  solo  in quanto ritenga diversa la
 qualificazione del fatto e  con  le  parti  non  concordi  in  ordine
 all'esistenza  o  meno di circostanze, al giudizio di comparazione, o
 (a seguito della citata sentenza) non ritenga congrua la pena.
    Il giudizio  sulla  responsabilita',  come  puo'  desumersi  dalla
 citata  sentenza,  deve  considerarsi  sostanzialmente  formulata dal
 giudice nel momento in  cui,  senza  che  la  difesa  intervenga  con
 proprie  deduzioni in ordine alla valutazione degli elementi in atti,
 egli valuta se pronunciare sentenza di proscioglimento  ex  art.  129
 del c.p.p. o applicare la pena (sul punto vedi il seguente passo: "va
 richiamato  il  modello  generale di sentenza di cui all'art. 546 del
 c.p.p. e le prescrizioni della lettera e) del primo  comma,  dove  si
 esige  che il giudice indichi le prove che intende porre a base della
 sua  decisione  ed  enunci  le  ragioni  per  le  quali  non  ritiene
 attendibili  le  prove  contrarie.  Dal  che  si  evince che anche la
 decisione di cui all'art. 444 del c.p.p., quando non e' decisione  di
 proscioglimento,    non    puo'    prescindere    dalle    prove   di
 responsabilita'").
    Il diritto  di  difesa  viene  quindi  garantito  in  ordine  alla
 qualificazione  del  fatto,  all'esistenza  o meno di circostanze, al
 giudizio di comparazione e alla determinazione della pena, ma non  in
 ordine al giudizio di responsabilita', che non puo' essere oggetto di
 un accordo.
    E'  ben  vero  che,  come  esattamente  avverte  la Corte, bisogna
 guardarsi dal  pericolo  di  confondere  il  diritto  di  difesa  con
 l'assoluto  diritto di esercitarlo. La rinuncia al diritto di difesa,
 che e' una facolta', puo' pero' solo  ammettersi  all'interno  di  un
 procedimento  e  non  puo' essere imposta dalla legge come condizione
 per accedere ai  benefici  derivanti  dalla  attuazione  di  un  rito
 speciale.
    L'art. 24, secondo comma, della Costituzione, definisce infatti la
 difesa  diritto  inviolabile  in ogni stato e grado del procedimento;
 puo'  certamente  essere  limitato,  come  ad  esempio   nella   fase
 istruttoria,   dovendosi   intimamente   correlare,   come  e'  stato
 esattamente rilevato, alla natura dell'attivita' svolta, ma,  proprio
 per   questa   ragione,  non  puo'  essere  escluso  in  ordine  alla
 valutazione degli  elementi  su  cui  viene  affermata  o  negata  la
 responsabilita'.
    E'  stato  rilevato  che  l'imputato  con la scelta di rito di cui
 all'art.  444  del   c.p.p.   non   nega   sostanzialmente   la   sua
 responsabilita'.  Cio'  non sembra pero' rilevante, poiche', se cosi'
 fosse, il giudice non potrebbe limitare il suo  giudizio  sulla  base
 degli atti, ma dovrebbe anche tenere conto di un comportamento avente
 valore  di  confessione  e  darne  conto  in  motivazione, il che' e'
 escluso dalla legge; in ogni  caso  la  confessione  non  costituisce
 prova  legale  e  pertanto,  anche in presenza di essa, il diritto di
 difesa deve essere ugualmente garantito.
    Va infine rilevato che la rinuncia al diritto di difesa  non  puo'
 essere giustificata dal fatto che la sentenza di cui all'art. 444 del
 c.p.p.  non  avrebbe  valore  di  vera  e  propria  condanna, essendo
 soltanto alla condanna equiparata.
    A prescindere infatti dal senso che puo'  essere  attribuito  alla
 equiparazione,   effetto   tipico   della   sentenza  di  condanna  e
 l'applicazione ed esecuzione della pena e tali  effetti  ha  pure  la
 sentenza  ex  art.  444  del  c.p.p. La natura di quest'ultima non e'
 quindi  diversa,  anche  se  conseguono  per  legge  taluni   effetti
 secondari,  trattandosi  di  aspetti premiati al pari della riduzione
 della pena.
    Ritiene pertanto  il  decidente  di  riproporre  la  questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 444 del c.p.p. in relazione al
 solo art. 24, secondo comma, della Costituzione, non apparendo, sulla
 base delle superiori considerazioni,  irrilevante  (la  rilevanza  e'
 data  dal  fatto  che  e'  stata  formulata  a  richiesta  di un rito
 alternativo  regolato  dalla  norma  ritenuta   incostituzionale)   e
 manifestamente infondata la questione stessa.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 444 del  c.p.p.,  in  relazione
 all'art. 24, secondo comma, della Costituzione;
    Dispone  la  sospensione  del  presente giudizio e la trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina che a cura della  cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
 notificata  al  Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai
 Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Catania, addi' 21 febbraio 1992
                           Il pretore: COSTA

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