N. 192 SENTENZA 13 - 22 aprile 1992

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Reato in genere - Reati tributari - Deroga al principio speciale
 della  ultrattivita'  della norma penale tributaria - Subordinazione
 al previo esperimento della  regolarizzazione  tributaria  -  Sistema
 analogo  a  quello  dell'oblazione  nel contesto dell'esercizio della
 generale potesta' di clemenza statuale - Non fondatezza.
 
 (D.-L. 16 marzo 1991, n. 83, art. 7,  secondo  comma,  convertito  in
 legge 15 maggio 1991, n. 154).
 
 (Cost., artt. 3 e 53).
(GU n.18 del 29-4-1992 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
    CASAVOLA,  prof.  Antonio  BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,
    avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  7,  comma
 secondo, del decreto legge 16 marzo 1991, n. 13, convertito in  legge
 15 maggio 1991, n. 153 ("Modifiche al decreto legge 10 luglio 1982 n.
 429, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982 n. 516,
 in  materia di repressione delle violazioni tributarie e disposizioni
 per definire le relative pendenze") promosso con ordinanza emessa  il
 1›  agosto  1991  dal  Tribunale  di Pesaro nel procedimento penale a
 carico di Paolini Paolo iscritta al n.  650  del  registro  ordinanze
 1991  e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42,
 prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del  18 marzo 1992 il Giudice
 relatore Renato Granata;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Con ordinanza del 1› agosto 1991 il Tribunale di Pesaro - nel
 procedimento penale contro Paolini Paolo, imputato del reato previsto
 dall'art. 2, ultimo comma, decreto legge.  10  luglio  1982  n.  429,
 convertito  nella  legge  7 agosto 1982 n. 516 per aver omesso, quale
 sostituto d'imposta, di versare nei termini di cui agli artt. 7  e  8
 d.P.R. n. 602 del 1973 (e quindi, nella specie, nel dicembre 1984) le
 ritenute d'acconto operate sulle retribuzioni dei propri dipendenti -
 ha  sollevato  questione  incidentale  di legittimita' costituzionale
 dell'art. 7, secondo comma, decreto  legge.  16  marzo  1991  n.  83,
 convertito  in  legge  15  maggio  1991  n.  154,  nella parte in cui
 subordina la deroga all'art. 20 legge 7 gennaio 1929 n. 4,  e  quindi
 l'applicabilita' della nuova normativa piu' favorevole, quale dettata
 dal  medesimo  decreto  legge  n.  83,  al  previo  esperimento della
 regolarizzazione nei modi di cui al successivo art. 8.
    Premesso in punto di fatto che  l'imputato,  a  seguito  di  ruolo
 esattoriale,  aveva effettuato in data 11 novembre 1987 il versamento
 di L. 108.000 a titolo di ritenute d'acconto omesse e di altre  somme
 per sanzioni pecuniarie, soprattasse ed interessi (per complessive L.
 200.000),  il  tribunale  rimettente  osserva in diritto che l'art. 7
 cit. - nel ribadire al primo comma il principio (sancito dall'art. 20
 della legge 7 gennaio 1929 n. 4) della non retroattivita' delle nuove
 norme penali tributarie piu' favorevoli,  introdotte  con  lo  stesso
 decreto  legge n.  83 del 1991 - prevede una deroga limitata (perche'
 riguardante soltanto alcuni reati, quelli  contemplati  dall'art.  1,
 sesto  comma,  e art. 2, commi 2 e 3, decreto legge 10 luglio 1982 n.
 429,  convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  n.    516/82  e
 successivamente  modificato dello stesso decreto legge n. 83/91; art.
 3, quinto comma, decreto legge 19 dicembre 1984  n.  853,  convertito
 dalla   legge   n.   17/85)   e   condizionata   (perche'  presuppone
 l'esperimento della  procedura  di  "regolarizzazione"  prevista  dal
 successivo art. 8).
 Quest'ultima   norma   richiama   la  procedura  di  sanatoria  delle
 irregolarita' formali, prevista dall'art. 21 decreto  legge  2  marzo
 1989  n.  69, convertito con modificazioni nella legge 24 aprile 1989
 n. 154, sanatoria con la quale, versando un milione di lire per  ogni
 anno  di imposta, si otteneva l'estinzione ad ogni effetto, penale ed
 amministrativo, del contenzioso fiscale.
    Il giudice rimettente ricorda  che  la  giurisprudenza  di  questa
 Corte   ha  piu'  volte  ribadito  che  la  deroga  al  principio  di
 eguaglianza che si concreta nella previsione, contenuta nell'art.  20
 della  legge  n.  4  del  1929,  di  ultrattivita' della legge penale
 finanziaria  puo'  ritenersi  costituzionalmente  legittima  solo  in
 quanto la diversita' di trattamento in  materia  tributaria  rispetto
 alla   regola   generale  della  retroattivita'  della  legge  penale
 favorevole trovi specifica  giustificazione  nell'interesse  primario
 alla  riscossione  dei  tributi,  costituzionalmente differenziato ex
 art.  53   della   Costituzione   e   pertanto   idoneo,   in   linea
 costituzionale,  a legittimarne una tutela particolare differenziata.
 Nella specie tale interesse primario sarebbe perseguito e  realizzato
 attraverso la "regolarizzazione" fiscale, di cui all'art. 8. Tuttavia
 -  osserva  il  giudice  rimettente - tale regolarizzazione ha natura
 fiscale solo apparente e cio' in quanto la sua  rilevanza  penale  e'
 stata  disciplinata  indipendentemente  dalla vicenda fiscale essendo
 richiesta  a  prescindere  degli  interessi  fiscali  ed  anche   nei
 confronti  di  chi  non abbia nulla da sanare in sede tributaria. Nel
 caso di specie, infatti, il Fisco era stato integralmente soddisfatto
 anche  di  ogni  altra  pretesa  accessoria   a   quella   tributaria
 (interessi,  soprattasse,  pene  pecuniarie) e, nel momento in cui e'
 intervenuta la nuova normativa penale, non residuava  alcuna  pretesa
 tributaria,  diretta  o  indiretta.  In  realta'  il  legislatore  ha
 previsto una  regolarizzazione  o  sanatoria  ai  puri  fini  penali,
 prescindendo   anche  dall'esistenza  e  dall'attualita'  di  pretese
 tributarie come tali.
    Da cio' consegue che la "regolarizzazione" richiamata dall'art.  7
 cit.  ,  e quindi il pagamento della somma di un milione per anno per
 fruire di una normativa penale migliore, non trova giustificazione in
 interessi rilevanti ex art. 53 della Costituzione. Pertanto,  non  e'
 giustificato,  in  mancanza del presupposto che e' a fondamento della
 deroga prevista dall'art. 20  della  legge  n.  4  del  1929,  l'aver
 condizionato l'applicabilita' della norma penale piu' favorevole alla
 suddetta "regolarizzazione".
    Conseguentemente  risulta  anche  un  secondo  profilo di sospetta
 incostituzionalita'  dell'art.  7  censurato,   rappresentato   dalla
 disparita'   di  trattamento  penale  tra  chi  abbia  effettuato  la
 "regolarizzazione" pagando  la  somma  suddetta  e  chi  non  l'abbia
 effettuata,  apparendo  lesivo  del  principio  di eguaglianza di cui
 all'art. 3 della Costituzione  il  fatto  che  la  medesima  identica
 situazione tributaria gia' definita ed esaurita, riferita al medesimo
 pregresso periodo d'imposta, comporti conseguenze penali radicalmente
 diverse  sol  perche' non si sia ritenuto o si sia invece ritenuto di
 ottemperare ad  un  esborso  aggiuntivo,  imposto  successivamente  e
 indipendentemente dalla vicenda tributaria.
    La    conclusione   del   giudice   rimettente   e'   quindi   che
 l'applicabilita' della piu' favorevole disposizione penale tributaria
 successiva non puo' essere subordinata al pagamento di una  somma  di
 danaro   del   tutto  sganciata  da  ogni  e  qualsiasi  obbligazione
 tributaria.
    2. - E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
 sostenendo che il tribunale rimettente,  piuttosto  che  rilevare  un
 contrasto con norme costituzionali, censura il criterio discrezionale
 seguito  dal legislatore nel determinare le scelte sull'apprezzamento
 dei comportamenti  riparatori  che  meritino  una  mitigazione  delle
 sanzioni.   In   particolare  l'Avvocatura  ritiene  non  fondata  la
 questione  sostenendo che nella specie il legislatore ha previsto una
 sorta di depenalizzazione che  costituisce  quella  via  mediana  tra
 ultrattivita' assoluta della legge penale tributaria e retroattivita'
 assoluta  della  legge  penale  ordinaria.  Ne' l'aver subordinato il
 beneficio dell'applicazione della legge  penale  piu'  favorevole  al
 pagamento  di  una somma di danaro crea disuguaglianza tra coloro che
 hanno provveduto alla regolarizzazione e coloro  che  volontariamente
 non   vi   hanno  provveduto  attesa  la  evidente  diversita'  delle
 situazioni.
    Inoltre l'Avvocatura contesta  che  il  tardivo  versamento  delle
 ritenute  fiscali  possa  far  venire  meno  l'interesse fiscale alla
 repressione di comportamenti che, seppur non direttamente connessi al
 versamento dei  contributi,  mettono  in  pericolo  l'accertamento  e
 l'adempimento  degli obblighi tributari. D'altra parte e' possibile e
 legittimo  che  il  legislatore  ricorra  a  mezzi  straordinari   di
 estinzione   dei  reati  tributari  (oblazione,  condono,  sanatoria)
 condizionandoli all'adempimento di oneri economici.
                        Considerato in diritto
    1. - E' stata  sollevata  questione  incidentale  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  7,  secondo  comma, decreto legge 16 marzo
 1991 n. 83, convertito in legge  15  maggio  1991  n.  154,  (recante
 "Modifiche  al  decreto  legge 10 luglio 1982 n. 429, convertito, con
 modificazioni, dalla legge 7  agosto  1982  n.  516,  in  materia  di
 repressione  delle  violazioni tributarie e disposizioni per definire
 le relative pendenze") nella parte in  cui  subordina  la  deroga  al
 principio  speciale della ultrattivita' della norma penale tributaria
 (art. 20 legge 7  gennaio  1929  n.  4)  -  e  quindi  il  ripristino
 dell'operativita'  del  principio generale della retroattivita' della
 successiva norma penale piu' favorevole (art. 2  c.p.)  -  al  previo
 esperimento della regolarizzazione nei modi di cui al successivo art.
 8 per sospetto contrasto:
       a)  con  l'art.  53  della  Costituzione,  perche'  l'interesse
 primario  al  regolare  pagamento   dei   tributi,   che   giustifica
 l'eccezionale  deroga  al  principio  posto dal cit. art. 2 c.p., non
 sussiste  (se  non  apparentemente)  nella   "regolarizzazione"   che
 condiziona  l'applicabilita',  o  meno, della successiva norma penale
 piu' favorevole;
       b)  con  l'art.  3  della  Costituzione   per   disparita'   di
 trattamento  tra l'imputato che ha effettuato la "regolarizzazione" e
 l'imputato che non l'abbia effettuata.
    2. - Va premesso che l'art. 3 del cit. decreto  legge  n.  83  del
 1991,  convertito  nella  legge  n.  154  del 1991, ha previsto - nel
 quadro di una piu' ampia  modifica  dell'impianto  repressivo  penale
 degli illeciti tributari - una nuova formulazione del reato di omesso
 tempestivo  versamento  delle  ritenute  alle  quali  e' obbligato il
 sostituto d'imposta.
    Il precedente art. 2, ultimo comma, del cit. decreto legge n.  429
 del 1982, contemplava come delitto la condotta dell'omesso versamento
 delle  ritenute  effettivamente  operate  a  titolo  d'acconto  o  di
 imposta. La medesima norma, come novellata dal successivo art. 3  del
 cit.  decreto  legge  n.  83 del 1991, ha operato (al secondo e terzo
 comma)  una  distinzione  nell'ambito   dell'unica   condotta   presa
 indistintamente    in    considerazione    dalla   precedente   norma
 incriminatrice.  Ed  infatti  costituisce   reato   contravvenzionale
 l'omesso   tempestivo  versamento  delle  ritenute  che  superano  un
 determinato ammontare (lire cinquanta milioni per ciascun periodo  di
 imposta,  senza  peraltro  tener  conto  di quelle inferiori al 5 per
 cento delle ritenute relative al singolo percipiente); al di sotto di
 tale  soglia  la  condotta  non  e'  penalmente  rilevante.  Ove  poi
 all'omesso  versamento  delle imposte si accompagni anche il rilascio
 della relativa certificazione  attestante  le  ritenute  operate  dal
 sostituto, il fatto integra rispettivamente gli estremi di un delitto
 se  le  ritenute  omesse  superano  l'ammontare  di  lire venticinque
 milioni per ciascun periodo di imposta  ovvero  gli  estremi  di  una
 contravvenzione  in  caso  di  ritenute omesse per piu' di lire dieci
 milioni (ma meno di venticinque). Anche in tale  fattispecie  risulta
 di  conseguenza una soglia di non punibilita' al di sotto della quale
 il  fatto  non  e'  penalmente  rilevante.  Complessivamente   quindi
 all'unica  condotta prevista dal legislatore del 1982 come delitto si
 e' sostituito ad opera della novella del 1991 un sistema modulare  di
 piu'  fattispecie,  taluna  sanzionata  come  delitto,  talaltra come
 contravvenzione, talaltra ancora  penalmente  irrilevante  (ancorche'
 costituente illecito tributario).
    Il  raccordo  poi  tra  la  vecchia  e  la  nuova disciplina (piu'
 favorevole) e' operato dagli artt. 7 e 8 del cit. decreto legge n. 83
 del 1991.
    Il legislatore ha innanzi tutto confermato  (al  primo  comma  del
 cit.  art.7)  il  principio  del  tempus  regit  actum secondo cui le
 disposizioni penali delle leggi finanziarie  si  applicano  ai  fatti
 commessi  nel  periodo  della  loro  vigenza anche se successivamente
 queste stesse siano state modificate od abrogate  (art.  20  legge  7
 gennaio  1929  n.  4). Ha pero' altresi' contemplato alcune eccezioni
 (tra cui, appunto, il reato di  omesso  tempestivo  versamento  delle
 ritenute  da  parte  del  sostituto  d'imposta)  prevedendo viceversa
 l'applicazione della meno severa normativa del 1991  in  ragione  del
 generale  principio  della retroattivita' della piu' favorevole legge
 penale successiva, di cui al secondo e terzo comma dell'art. 2  c.p..
 Tale  deroga  all'art. 20 cit. (con conseguente ripristino del regime
 ordinario dettato dall'art. 2 c.p. in tema di successione della legge
 penale nel tempo) non e' pero' incondizionata, ma e'  subordinata  al
 fatto  che  l'autore  della  condotta  provveda,  per ciascun periodo
 d'imposta cui le violazioni si riferiscono,  alla  "regolarizzazione"
 nei  modi  di  cui all'art. 8 cit. Tale norma a sua volta prevede (al
 primo comma) la definizione della violazione mediante pagamento,  per
 ciascuno periodo di imposta, di lire un milione, da versarsi entro il
 31   luglio   1991   ovvero  entro  sessanta  giorni  dalla  notifica
 dell'avviso di garanzia. Il successivo comma  della  medesima  norma,
 che  ripete  il  disposto del sesto comma dell'art. 21, contempla poi
 che, se il sostituto d'imposta  paga  le  ritenute  omesse  entro  il
 termine  del  31  dicembre  1990  (e  a maggior ragione se le ha gia'
 pagate), beneficia dell'esenzione da sanzioni amministrative  e,  per
 quelle  eventualmente gia' iscritte a ruolo, del relativo sgravio con
 la conseguenza che, se viceversa non effettua il  versamento,  rimane
 non  solo  tenuto  al  pagamento delle ritenute, ma gli saranno anche
 irrogate le pene pecuniarie.
    3. - Questa premessa in ordine al complesso normativo  in  cui  si
 inserisce  la  disposizione censurata evidenzia che la qualificazione
 di  disposizione  piu'  favorevole  della  nuova   disciplina   posta
 dall'art.  3  del decreto legge n. 83 del 1991 cit., va riscontrata e
 valutata    tenendo    conto    del    trattamento   progressivamente
 differenziato,  come  appena  descritto,  dell'unica  condotta   gia'
 prevista  dall'art.  2,  secondo comma, decreto legge n. 429 del 1982
 cit.
    Il  thema  decidendum  all'esame  di  questa   Corte   va   quindi
 puntualizzato in riferimento alla fattispecie descritta dal giudice a
 quo  nell'ordinanza  di rimessione (per la quale soltanto sussiste la
 rilevanza  della  questione  di  costituzionalita'),   e   alla   sua
 riconducibilita' ad una delle ipotesi previste dall'art. 3 cit.; tale
 fattispecie  consiste  in  una condotta (omesso tempestivo versamento
 della ritenuta di L. 108.000) che nel regime del decreto legge n. 429
 del 1982 costituiva reato, mentre non e' piu' tale  dopo  il  decreto
 legge  n.  83  del  1991,  perche'  ben  al  di sotto della soglia di
 punibilita' di cui sia al secondo che al  terzo  comma  dell'art.  2,
 come novellato.
    Il carattere di disposizione piu' favorevole di quest'ultima norma
 consiste  nell'intervenuta  depenalizzazione  della condotta in esame
 sicche' - ove non operasse il regime speciale  dettato  dall'art.  20
 della  legge n. 4 del 1929 - troverebbe applicazione il secondo comma
 dell'art. 2 c.p., secondo cui nessuno puo' essere punito per un fatto
 che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato e, se vi  e'
 stata  condanna,  ne  cessano  gli  effetti.  Non  vengono  invece in
 rilievo, perche' estranei  alla  fattispecie  all'esame  del  giudice
 rimettente  e quindi non rilevanti nel giudizio di costituzionalita',
 altri profili  (diversi  da  quello  consistente  nella  sopravvenuta
 abolitio  criminis)  che  consentono  di qualificare non di meno come
 legge posteriore piu' favorevole la normativa  del  1991  rispetto  a
 quella  del  1982,  profili quali quelli che discendono dalla diversa
 configurazione   del   reato   (previsto   in   taluni   casi   quale
 contravvenzione  e  non  piu'  quale  delitto)  ovvero  dalla diversa
 entita' della pena ed in relazione ai quali  troverebbe  applicazione
 il terzo comma dell'art. 2 c.p., ove non derogato dall'art. 20 cit.
    La   verifica   della   legittimita'  costituzionale  dell'art.  7
 censurato va quindi condotta con riferimento alla parte in  cui  tale
 norma  condiziona l'applicabilita' del secondo comma dell'art. 2 c.p.
 (cioe' l'abolitio criminis) al pagamento di una somma di  danaro;  e'
 invece  fuori dal thema decidendum l'esame della medesima norma nella
 parte in cui condiziona  allo  stesso  pagamento  l'operativita'  del
 terzo  comma dell'art. 2 c.p. (cioe' l'applicabilita' della normativa
 successiva piu' favorevole all'imputato  quanto  alla  qualificazione
 del reato e alla misura della pena).
    4.  -  La  censura  del  giudice rimettente, cosi' delimitata, non
 tocca la legittimita' costituzionale - peraltro  ritenuta  da  questa
 Corte  in  numerose  pronunce  (fin  dalla  sentenza n. 164 del 1974,
 ripetutamente confermata in seguito: v., ex plurimis, ord. n. 256 del
 1985, ord. n. 166 del 1980, sent. n. 30 del 1979)  -  dello  speciale
 regime di deroga all'art. 2 c.p. previsto dall'art. 20 della legge n.
 4  del  1929  per  le disposizioni penali delle leggi finanziarie, ma
 attinge esclusivamente il presupposto al  quale  e'  condizionato  il
 ripristino  dell'ordinario regime del secondo comma del medesimo art.
 2, ossia la "regolarizzazione" effettuata dal sostituto d'imposta nei
 modi di cui all'art.8 cit.
    Tenendo   quindi  presente  l'ipotesi  dell'abolitio  criminis  (e
 pretermettendo quella dell'incriminazione per un  reato  meno  grave)
 puo'  dirsi  che  nella  fattispecie in esame la "regolarizzazione" -
 termine questo ellittico e, probabilmente, improprio - rappresenta un
 meccanismo complesso (perche' opera attraverso una norma - l'art. 7 -
 di deroga all'art. 20, che  a  sua  volta  pone  un  regime  speciale
 rispetto  a  quello  generale  dettato  dall'art.  2 c.p.), diretto a
 realizzare una situazione non dissimile dall'oblazione (di  oblazione
 tout  court  si  parla infatti ripetutamente negli atti parlamentari)
 nell'ambito  della  variegata  tipologia  delle  misure  di  clemenza
 condizionate,  materia  in  cui  "ampia"  e'  la discrezionalita' del
 legislatore (ord.   n. 548 del  1987)  che  puo'  creare  "del  tutto
 inediti  meccanismi  di funzionamento" nell'esercizio della "generale
 potesta' di clemenza dello Stato" (v. sent.  n.  369  del  1988,  che
 peraltro, seppur in diversa fattispecie, ha ritenuto che il pagamento
 fatto  per  beneficiare  del condono edilizio di cui alla legge n. 47
 del 1985 fosse imputabile a titolo di oblazione).  L'imputato  quindi
 in  realta' non "regolarizza" la sua posizione fiscale (che, come nel
 caso di specie, potrebbe essere del  tutto  esaurita  per  aver  egli
 versato  le  ritenute  e  pagato  le  pene  pecuniarie talche' non ci
 sarebbe  nulla  da  "regolarizzare")   si'   da   poter   beneficiare
 dell'abolitio   criminis   come   conseguente  effetto  premiale  del
 comportamento meritevole tenuto; bensi'  definisce  la  sua  pendenza
 penale,  che  tale  rimane  anche  nel caso di intervenuto versamento
 delle  ritenute  e  di  pagamento  delle  sanzioni,   accettando   di
 assoggettarsi  al  pagamento  di  una somma di danaro e in tal modo -
 cosi' come nell'oblazione -  gli  e'  dato  sottrarsi  alla  sanzione
 penale.  Ne',  ai fini che interessano, e' apprezzabile la differenza
 per cui, con il pagamento suddetto, si ha che in caso di oblazione il
 reato e' estinto, mentre nel caso previsto dalla norma  censurata  il
 fatto non costituisce reato.
    Che  rilevi autonomamente tale profilo di clemenza trova ulteriori
 indiretti riscontri: da una parte il termine per "regolarizzare"  non
 e'  rigidamente  ancorato  unicamente  alla data fissa (del 31 luglio
 1991), ma e' posto in relazione ad un atto del  processo  penale  (60
 giorni  dalla  notifica  dell'avviso  di  garanzia); d'altra parte il
 profilo   fiscale   relativo   al   versamento   delle   ritenute   e
 all'applicazione  delle  sanzioni  amministrative corre su un binario
 distinto  che  e'  quello  del  cit.  secondo  comma   dell'art.   8,
 disposizione   questa   che   contempla   l'esonero   dalle  sanzioni
 amministrative in favore del sostituto in caso  di  versamento  delle
 ritenute  omesse  entro  il termine (questo, si', fisso e disancorato
 dalla data di notifica dell'avviso di garanzia) del 31 luglio 1991.
    L'evidenziato aspetto di  clemenza  si  coniuga  con  l'obiettivo,
 perseguito  dal legislatore del 1991, di deflazionare il carico degli
 uffici giudiziari prevedendo una possibilita' di  rapida  definizione
 della  pendenza  penale, profilo questo che peraltro la Corte ha gia'
 evidenziato come caratterizzante l'istituto dell'oblazione (sent.  n.
 207  del  1974)  e non estraneo agli stessi provvedimenti di clemenza
 (sent. n. 369 del 1988).
    5. - Tale speciale meccanismo normativo, che condiziona l'abolitio
 criminis al pagamento di una somma di danaro, non collide con  l'art.
 53 della Costituzione.
    L'interesse  (differenziato)  al  regolare pagamento dei tributi -
 che e' riconducibile al citato canone costituzionale e che secondo la
 citata   giurisprudenza   della   Corte   giustifica   il   principio
 dell'ultrattivita'  della  norma penale tributaria di cui all'art. 20
 della  legge  n.  4  del  1929  -  e'  liberamente  apprezzabile  dal
 legislatore, il quale puo' giungere anche a ritenere che esso, in de-
 terminate  fattispecie,  sfumi  del  tutto (cosi' gli artt. 4 decreto
 legge 870 del 1970 e 7 legge n. 724 del 1975, che  prevedono  ipotesi
 di  deroghe  incondizionate  all'art.  20).  Tra  questi  due estremi
 (conferma dell'art. 20 e persistenza del reato, oppure incondizionata
 applicazione  del  secondo  comma  dell'art.  2  c.p.  e  conseguente
 depenalizzazione) il legislatore puo' optare per una soluzione inter-
 media,  qual  e'  quella espressa dalla depenalizzazione condizionata
 alla "regolarizzazione".
    La somma corrisposta dall'imputato quindi va  posta  in  relazione
 alla  permanente (ancorche' attenuata) valutazione di disvalore dello
 Stato per il comportamento illecito tenuto; essa ha una  funzione  in
 senso  lato  sanzionatoria  e rappresenta un momento di bilanciamento
 tra l'interesse al regolare pagamento dei tributi  (che  di  per  se'
 giustificherebbe   la   piu'  rigida  applicazione  dell'art.  20)  e
 l'interesse ad innescare un meccanismo  di  deflazione  dei  numerosi
 processi    penali    pendenti    (che    farebbe    propendere   per
 un'incondizionata applicabilita' del secondo comma dell'art. 2  c.p.,
 cosi'   come  del  resto  originariamente  previsto  dalla  legge  di
 conversione nel testo licenziato  dalla  Camera  dei  deputati  prima
 delle  modifiche  apportate dal Senato). In questa prospettiva l'art.
 53 non e' violato perche' permane - come gia' rilevato -  l'interesse
 al  regolare  pagamento  dei tributi come ratio sottesa al meccanismo
 della regolarizzazione, anche se esso e' affievolito  in  ragione  di
 una  diversa  valutazione  del  ruolo  della  sanzione  penale  nella
 repressione degli illeciti tributari e del concorrente interesse alla
 deflazione dei processi penali pendenti.
    In conclusione quindi, nel momento in cui il  legislatore  formula
 diversamente il suo giudizio di disvalore in ordine a taluni illeciti
 fiscali,  gia'  ritenuti  penalmente  rilevanti,  e  li  depenalizza,
 mantenendone pero'  la  qualificazione  di  illegittimita'  sotto  il
 profilo  tributario, non viene meno, rispetto alla loro prevenzione e
 repressione, la configurabilita'  dell'interesse  tributario  di  cui
 all'art.  53. della Costituzione; ne' puo' dirsi che a tale interesse
 non siano  correlati,  o  da  esso  siano  del  tutto  sganciati,  la
 eventuale  limitazione,  in  qualche  modo  prevista, della deroga al
 principio di cui  all'art.  20  cit.  e,  al  positivo,  il  parziale
 mantenimento della irretroattivita' della legge successiva.
    6.  - Va infine affermata l'infondatezza della censura del giudice
 rimettente anche sotto il profilo dell'art. 3 della Costituzione  per
 disparita'  di  trattamento  in  quanto conseguenziale a quanto sopra
 esposto in relazione all'art. 53 della Costituzione; ed infatti,  una
 volta  ritenuta la compatibilita' della "regolarizzazione" de qua con
 quest'ultimo parametro, la disciplina differenziata prevista per  chi
 tale  regolarizzazione  abbia operato e per chi viceversa non l'abbia
 effettuata non viola il principio di eguaglianza  per  la  diversita'
 delle situazioni poste in comparazione.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 7, secondo comma,  decreto  legge  16  marzo  1991  n.  83,
 convertito in legge 15 maggio 1991 n. 154 (Modifiche al decreto legge
 10  luglio  1982 n. 429, convertito, con modificazioni, dalla legge 7
 agosto 1982 n.  516,  in  materia  di  repressione  delle  violazioni
 tributarie  e  disposizioni  per  definire  le relative pendenze), in
 riferimento agli artt. 3  e  53  della  Costituzione,  sollevata  dal
 Tribunale di Pesaro con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, 13 aprile 1992.
                       Il presidente: CORASANITI
                         Il redattore: GRANATA
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 22 aprile 1992.
                       Il cancelliere: DI PAOLA
 92C0500