N. 223 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 febbraio 1992

                                N. 223
 Ordinanza emessa il 27 febbraio 1992 dal tribunale di sorveglianza di
 Ancona sull'istanza di riduzione di pena per liberazione anticipata,
                       proposta da Pagano Guido
 Ordinamento penitenziario - Beneficio della liberazione anticipata -
    Condannati  per  delitti  di  sequestro  di  persona  a  scopo  di
    estorsione e partecipazione ad associazione di  stampo  mafioso  -
    Possibilita'  di concedere il beneficio solo in assenza di attuali
    collegamenti con la criminalita' organizzata -  Ritenuta  ininflu-
    enza  di  tale condizione, peraltro difficilmente verificabile, ai
    fini della concessione del beneficio da ritenersi semplice  premio
    per  la  buona  condotta  del condannato all'interno dell'istituto
    penitenziario - Ingiustificata disparita' di trattamento  rispetto
    ad   altre   categorie   di   condannati  (per  omicidio,  rapina,
    estorsione, ecc.) per i quali  la  concessione  del  beneficio  e'
    subordinata  a  condizioni  dal  punto  di  vista  probatorio meno
    onerose - Prospettata  violazione  del  principio  della  funzione
    rieducativa della pena.
 (Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 4-bis, primo comma, p.p. e succ.
    mod.;  d.-l.  13  maggio  1991,  n.  152,  art.  1,  primo  comma,
    convertito in legge 12 luglio 1991, n. 203).
 (Cost., artt. 3 e 27).
(GU n.19 del 6-5-1992 )
                     IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
    Ha  pronunciato  la  seguente   ordinanza   di   sospensione   del
 procedimento e di rimessione degli atti alla Corte costituzionale.
    Riunito   in   camera   di  consiglio  per  deliberare  in  merito
 all'istanza  di  riduzione  di  pena  per   liberazione   anticipata,
 pervenuta   presso   la   cancelleria   dell'intestato  tribunale  di
 sorveglianza in data  28  ottobre  1991,  presentata  dal  condannato
 Pagano  Guido,  nato  il  14  maggio  1962  a  San  Cipriano D'Aversa
 (Caserta), ivi domiciliato in corso Umberto  I  n.  225,  attualmente
 ristretto  presso  la casa di reclusione di Fossombrone in espiazione
 della pena detentiva di anni sei  di  reclusione,  siccome  inflitta,
 congiuntamente  a  quella  pecuniaria di L. 2.500.000 di multa, dalla
 Corte di appello, sezione settima penale,  di  Napoli,  con  sentenza
 pronunziata  in  data  22  marzo  1989,  la quale acclarava la penale
 responsabilita' del prevenuto in  ordine  ai  reati  di  concorso  in
 violazione   della   legislazione   sulle   armi   ed  altro  (organo
 dell'esecuzione: procura generale della Repubblica presso la Corte di
 appello di Napoli - ordine di esecuzione n.  164/90  r.e.  emesso  in
 data 14 marzo 1991) (f.p.: 8 ottobre 1997);
    Letta  l'istanza  con  cui  Pagano  Guido,  meglio  qualificato in
 epigrafe, chiedeva a questo collegio il  riconoscimento  del  proprio
 diritto  alla  concessione  di  una riduzione di pena per liberazione
 anticipata, ai sensi e per gli  effetti  del  disposto  dell'art.  54
 della   legge   26  luglio  1975,  n.  354  e  successive  modifiche,
 commisurata al periodo detentivo  sofferto  a  far  data  dall'ultima
 valutazione a fini analoghi effettuata;
    Accertata  la  propria  competenza territoriale, essendo il Pagano
 ristretto, in virtu' di assegnazione  ministeriale,  all'epoca  della
 presentazione  della  domanda, presso la casa circondariale di Ascoli
 Piceno;
    In  esito  all'odierna  udienza,  svoltasi  nel   rispetto   delle
 formalita'  di  rito, ed a scioglimento della riserva nel corso della
 stessa formulata;
    Ascoltati  il  p.g. ed il difensore di fiducia del condannato, che
 concludevano come da separato verbale;
                          CONSIDERA IN FATTO
    Tratto in arresto in data 27 gennaio 1980,  Pagano  Guido,  meglio
 qualificato  in epigrafe, veniva condannato da vari uffici giudiziari
 all'espiazione di svariate  pene  detentive  inflitte  per  reati  di
 concorso in minacce aggravate, in violazione della legislazione sulle
 armi, in danneggiamento, in tentativo di evasione, in ricettazione ed
 altro;  la carcerazione, iniziata il giorno sopra individuato, subiva
 una interruzione in data 7 marzo 1988, allorche' il Pagano non faceva
 rientro alla casa circondariale di  Ariano  Irpino  in  seguito  alla
 fruizione   di   un   permesso  premiale:  la  latitanza  conseguente
 all'evasione di protraeva sino al giorno 14 aprile 1988, allorche' il
 Pagano veniva riappreso e nuovamente  incarcerato;  la  soluzione  di
 continuita'  della  esecuzione, pertanto, aveva, durata di mesi uno e
 giorni sette. Tratto dinanzi al giudizio  del  tribunale  di  Napoli,
 sezione  settima  penale,  per  rispondere  dei  reati di concorso in
 detenzione e porto abusivo di armi  da  guerra,  in  ricettazione  ed
 altro,  nella  cui  flagranza il Pagano venne colto in data 14 aprile
 1988, all'atto della  riapprensione  suddetta,  il  prevenuto  veniva
 condannato  alle pene di anni 7 di reclusione e L. 3.000.000 di multa
 (v. copia dell'estratto della sentenza di condanna pubblicata in data
 6 ottobre 1988 dalla settima sezione penale del tribunale di  Napoli,
 in atti); in esito all'interposizione di appello avverso la pronunzia
 surrichiamata,  veniva instaurata la fase di gravame, la quale veniva
 definita, in data 22 marzo 1989, dalla settima sezione  penale  della
 corte di appello di Napoli, la quale riformava il verdetto emesso dai
 giudici  di  prime  cure,  riducendo le pene inflitte al Pagano nella
 misura di anni 6 di reclusione e di L. 2.500.000 di multa.
    Divenuta irrevocabile, in data 23 novembre 1989, a  seguito  della
 declaratoria  di  inammissibilita'  del  ricorso  per  cassazione, la
 condanna summenzionata, veniva emesso in data  14  marzo  1991  dalla
 procura  generale  della  Repubblica  presso  la  corte di appello di
 Napoli ordine di esecuzione n. 164/90 r.e.
    Associato a vari istituti del circuito penitenziario nazionale, il
 condannato assumeva una condotta discontinua, alternando  periodi  di
 osservanza   della   normativa  disciplinare  e  di  correttezza  nei
 confronti  di  operatori  penitenziari   a   periodi   di   manifesta
 insofferenza  nei  confronti  del regime intramurario, di difficolta'
 nella  gestione  dei  rapporti  con  gli  operatori  penitenziari  e,
 soprattutto,  con i condetenuti (della quale testimonia la domanda di
 autoisolamento  effettuata  il  22  febbraio  1991  presso  la   casa
 circondariale  di Livorno; v. in atti); l'episodio di mancato rientro
 dal permesso premiale, verificatosi nel marzo del 1988  si  inserisce
 nel   quadro   comportamentale  appena  delineato.  La  condotta  del
 condannato veniva fatta oggetto di valutazione, ai fini di  eventuale
 concessione di riduzione di pena per liberazione anticipata, da parte
 del  tribunale  di  sorveglianza  di Torino, che con ordinanza n. 391
 resa  in  data  26   gennaio   1990   rigettava   l'istanza,   intesa
 all'ottenimento  del  prefato  beneficio,  presentata dal condannato;
 successivamente, in data 5 ottobre 1990, il tribunale di sorveglianza
 di Firenze, con ordinanza n. 3214/90, respingeva  analoga,  ulteriore
 istanza  avanzata  dal  Pagano,  con  valutazione  che  si  spingeva,
 presumibilmente, sino al 3 (o  4)  settembre  1990  (v.  copie  delle
 surrichiamate  ordinanze dei tribunali di sorveglianza di Torino e di
 Firenze, in atti). In  data  27  settembre  1991,  il  Pagano  veniva
 assegnato  al reparto di isolamento della sezione a maggior indice di
 vigilanza cautelativa della  casa  circondariale  di  Ascoli  Piceno,
 nella   quale   il   detenuto  osservava  una  condotta  generalmente
 osservante dei canoni di disciplina intramuraria, tale  da  non  dare
 adito  a  rimarchi  di sorta, anche se l'assegnazione all'isolamento,
 per  motivi  di  tutela  dell'incolumita'  fisica,  ne  limitava   la
 possibilita'  di  partecipazione ai momenti di socialita' svolgentisi
 all'interno dell'istituto di pena; tale situazione cominciava  a  far
 sentire  i  propri  effetti  sulla  psiche  del  condannato, il quale
 manifestava i  sintomi  dell'insofferenza  nei  confronti  della  sua
 particolare  condizione  chiedendo reiteratamente di essere assegnato
 ad altro istituto; cio' che avveniva, in effetti, in data 5  febbraio
 1992, allorche' il condannato veniva tradotto alla casa di reclusione
 di  Fossombrone  (v.  relazioni  comportamentali  redatte  in date 17
 dicembre 1991 e 12  febbraio  1992  dall'e'quipe  di  osservazione  e
 trattamento della casa circondariale di Ascoli Piceno, in atti).
    In   data   28   ottobre  1991  perveniva  presso  la  cancelleria
 dell'intestato  tribunale  di  sorveglianza  istanza   con   cui   il
 condannato,  all'epoca  ristretto  anche  in  espiazione  della  pena
 detentiva (anni 4 di reclusione, scadenti il giorno 8 novembre  1991;
 v.   estratto  della  cartella  biografica  contenente  la  posizione
 giuridica, in atti) inflitta in data  3  luglio  1986  dalla  seconda
 sezione  penale della corte di appello di Napoli, la quale apprezzava
 la penale responsabilita' del prevenuto  in  relazione  al  reato  di
 concorso  in  partecipazione  ad  associazione per delinquere di tipo
 mafioso, presentava richiesta di riduzione di  pena  per  liberazione
 anticipata  commisurata  al  periodo detentivo intercorso dall'ultima
 valutazione analoga, effettuata  dal  tribunale  di  sorveglianza  di
 Firenze, sopra richiamata, alla data di scadenza dell'ultimo semestre
 utilmente  valutabile.  Veniva esperita l'istruttoria di rito, che si
 compendiava nell'acquisizione delle relazioni  comportamentali  e  di
 quelle   di   sintesi   redatte  dalle  e'quipes  di  osservazione  e
 trattamento degli  istituti  di  pena  di  assegnazione  del  Pagano,
 nonche'  delle informative del comitato provinciale per l'ordine e la
 sicurezza pubblica competente in ordine al luogo di  restrizione,  il
 quale attestava circa l'assenza di elementi atti a comprovare, per la
 parte   di  propria  competenza,  l'attualita'  di  collegamenti  del
 condannato  con  la   criminalita'   organizzata   e   riportava   le
 acquisizioni  informative  della  prefettura  di  Caserta,  la quale,
 viceversa,  asseriva  che  il  Pagano,  pluripregiudicato  per  reati
 commessi    anche   in   eta'   minore,   era   notoriamente   legato
 all'organizzazione camorristica "nuova camorra  organizzata"  ed,  in
 particolare  al clan facente capo a tale Francesco Tessitore, nel cui
 ambito il condannato aveva  svolto  mansioni  di  killer,  e  che  il
 detenuto  manteneva  ancora  contatti  con  tale  sodalizio criminoso
 tramite i propri familiari (v. nota n. 1307/9B-1 redatta in  data  10
 gennaio 1992 dalla prefettura di Ascoli Piceno, in atti); cio' fatto,
 anche a seguito di rinvio a nuovo ruolo effettuato in occasione della
 prima  udienza  di  discussione,  stabilita per il giorno 19 dicembre
 1991, il presidente di questo collegio  provvedeva  alla  fissazione,
 per  la discussione dell'istanza summenzionata, dell'udienza odierna,
 nel corso della quale, verificata la regolarita' delle  notificazioni
 degli avvisi di procedimento di sorveglianza, in esito alla relazione
 compiuta  dal  giudice  delegato,  p.g.  e  difensore  fiduciario del
 condannato concludevano come da separato verbale.
    Il Tribunale si riserva.
                          OSSERVA IN DIRITTO
    Sciogliendo la surrichiamata riserva, opina  questo  collegio  che
 risulti pregiudiziale alla risoluzione della presente causa sollevare
 d'ufficio  eccezione  di  illegittimita'  costituzionale del disposto
 della prima parte del primo comma dell'art. 4-  bis  della  legge  26
 luglio 1975, n. 354 e succ. mod., siccome interpolato nell'originario
 corpus  della  legge  di  riforma  dell'ordinamento penitenziario dal
 primo comma dell'art. 1 del d.-l. 13 maggio 1991, n. 152,  convertito
 senza  modifiche,  relativamente  alla  normativa  de qua agitur, con
 legge 12 luglio 1991, n. 203.
    La  prefata  normativa  testualmente  recita:  "L'assegnazione  al
 lavoro  all'esterno,  i  permessi premio e le misure alternative alla
 detenzione  previste  dal  capo  sesto  possono  essere  concessi  ai
 condannati  per  delitti  commessi  per  finalita' di terrorismo o di
 eversione  dell'ordinamento  costituzionale,  per  delitti   commessi
 avvalendosi  delle  condizioni previste dall'art. 416- bis del codice
 penale ovvero al fine di  agevolare  l'attivita'  delle  associazioni
 previste  dallo  stesso  articolo,  nonche' per i delitti di cui agli
 articoli 416- bis e 630 del codice penale e  all'art.  74  del  testo
 unico  delle  leggi  in  materia  di  disciplina degli stupefacenti e
 sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei  relativi
 stati  di  tossicodipendenza, approvato con d.P.R. 9 ottobre 1990, n.
 309,  solo  se  sono  stati  acquisiti  elementi  tali  da  escludere
 l'attualita'  di  collegamenti  con  la  criminalita'  organizzata  o
 eversiva. Quando si tratta di condannati per i delitti  di  cui  agli
 artt.  575, 628, terzo comma, 629, secondo comma, del codice penale e
 all'art.  73,  limitatamente  alle   ipotesi   aggravate   ai   sensi
 dell'articolo  80, secondo comma, del predetto testo unico, approvato
 con d.P.R. n. 309/1990, i benefici suddetti possono  essere  concessi
 solo  se  non vi sono elementi tali da far ritenere la sussistenza di
 collegamenti con la criminalita' organizzata o eversiva.
    Ai fini della concessione dei benefici di cui al  primo  comma  il
 magistrato  di  sorveglianza  o  il  tribunale di sorveglianza decide
 acquisite  dettagliate  informazioni  per  il  tramite  del  comitato
 provinciale  per  l'ordine  e  la  sicurezza  pubblica  competente in
 relazione al luogo di detenzione del  condannato.  In  ogni  caso  il
 giudice   decide   trascorsi  trenta  giorni  dalla  richiesta  delle
 informazioni. Al suddetto comitato provinciale puo' essere chiamato a
 partecipare  il  direttore  dell'istituto  penitenziario  in  cui  il
 condannato e' detenuto".
    Gia'  in epoca immediatamente successiva all'entrata in vigore del
 d.-l. 12 gennaio 1991, n. 5, che, per la prima volta introduceva,  in
 relazione   alle   istanze   intese   all'ottenimento   dei  benefici
 disciplinati nella legge di riforma  dell'ordinamento  penitenziario,
 l'obbligo  di  adizione  del  comitato  provinciale per l'ordine e la
 sicurezza pubblica, al fine di vagliare la  sussistenza  di  elementi
 atti  a  comprovare  la  presenza  ovvero  l'assenza  di collegamenti
 attuali del richiedente, condannato per  le  particolari  fattispecie
 criminose  sopra  menzionate,  con  la  criminalita'  organizzata  od
 eversiva, questo collegio si era espresso nel senso che l'espressione
 "misure  alternative  alla  detenzione",  contenuta  nel  primo comma
 dell'art. 4- bis o.p., interpolato dal primo comma  dell'art.  1  del
 d.-l. n. 5/1991, non dovesse essere intesa quale comprensiva, ai fini
 de quibus agitur, della riduzione di pena per liberazione anticipata,
 si' che le istanze dei condannati per i particolari titoli delittuosi
 sopra  ricordati,  intese  ad  ottenere  la  concessione  del prefato
 beneficio, dovevano essere istruite,  pur  nella  vigenza  del  nuovo
 testo  di  legge,  senza  previamente  acquisire  le  informative del
 comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica.
    Appare  opportuno,  giunti  a  tal  punto  della  motivazione  del
 presente  provvedimento, chiarire le ragioni sottese all'orientamento
 esegetico adottato da questo collegio in relazione alla necessita' di
 procedere all'acquisizione delle informative del comitato provinciale
 per l'ordine e la sicurezza pubblica al fine di istruire  le  istanze
 intese   all'ottenimento   di   riduzioni  di  pena  per  liberazione
 anticipata,  presentate  dai  condannati  per  i  particolari  titoli
 delittuosi  elencati  dal primo comma dell'art. 4- bis del o.p.; come
 gia' esposto, ancora nella fase di vigenza dei  precedenti  testi  di
 legge  (i quali prevedevano la competenza del c.p.o.s.p. del luogo di
 residenza del condannato,  a  differenza  del  testo  attualmente  in
 vigore, il quale, come ricordato, radica la competenza del c.p.o.s.p.
 del  luogo  di  detenzione  del  richiedente)  questo collegio si era
 espresso circa l'inopportunita' di ricondurre, sic et simpliciter, lo
 strumento trattamentale della liberazione anticipata (rectius:  della
 riduzione  di  pena  per  deliberazione anticipata) nell'ambito delle
 misure alternative  alla  detenzione,  menzionate  nel  surrichiamato
 primo  comma  dell'art.  4-  bis o.p., per far luogo alla concessione
 delle  quali  era  richiesta  l'adizione  del   competente   Comitato
 provinciale  per  l'ordine  e la sicurezza pubblica, allo scopo sopra
 individuato (ordinanze nn. 83/1991 - pres. Galassi, est.    Semeraro,
 cond.  Pecorari  -  e  464/1990 L.A. - pres. Galassi, est.  Semeraro,
 cond. Gerace - rispettivamente pronunziate in date 14 febbraio 1991 e
 9 maggio 1991): e' d'uopo premettere,  in  limine  litis,  una  breve
 esposizione  delle  motivazioni  sottese  al  convincimento di questo
 collegio   (espresso   nei   surrichiamati    provvedimenti)    circa
 l'obbligatorieta',  per  la magistratura di sorveglianza, di adizione
 dell'istanza rappresentata dal comitato provinciale per l'ordine e la
 sicurezza pubblica allorche' si debba decidere il merito  di  istanze
 di  riduzione  di  pena  per deliberazione anticipata, presentata, ai
 sensi e per gli effetti del disposto dell'art. 54 o.p., da condannati
 che debbano  espiare  pene  inflitte  per  alcune  delle  fattispecie
 criminose  individuate  dalla  disciplina recentemente introdotta dal
 primo comma dell'art. 4-bis o.p.: il problema, a giudizio  di  questo
 tribunale  di  sorveglianza, si presentava coessenziale alla quaestio
 juris inerente alla sussumibilita' dell'istituto giuridico di cui  al
 prefato  art.  54 o.p.  tra le " ..misure alternative alla detenzione
 .." ai fini sopra indicati.
    Si rammenti, a tal proposito, che i primi testi di  decreto  legge
 (d.-l.  12  gennaio  1991  n.  5  e  d.-l.  13  marzo  1991,  n.  76,
 successivamente decaduti poiche' non  tempestivamente  convertiti  in
 legge)  operavano  un generico riferimento, ai fini de quibus agitur,
 alle " ..misure  alternative  alla  detenzione  .."  senza  ulteriori
 specificazioni.  L'opinione  di  questo  tribunale,  a  tal proposito
 espressa nei summenzionati provvedimenti, era orientata nel senso che
 la  riduzione  di  pena per liberazione anticipata di cui al disposto
 dell'art. 54 della legge 26 luglio 1975 n.  354  e  succ.  mod.,  non
 potesse  essere sussunta nel novero delle " ..misure alternative alla
 detenzione  ..",  la  cui  concessione,   allorche'   richiesta   dai
 condannati  in espiazione di pena per i particolari titoli delittuosi
 di cui al primo comma dell'art. 1 dei dd.-ll. 12 gennaio 1991 n. 5  e
 13 marzo 1991, n. 76, era subordinata, ai sensi del combinato dettato
 del  primo  e  secondo  comma, dell'art. 4- bis della legge 26 luglio
 1975, n. 354 e succ. mod.,  all'accertamento  che  "  ..non  vi  sono
 elementi   tali  da  far  ritenere  attuali  i  collegamenti  con  la
 criminalita'  organizzata  o  eversiva  .."  (accertamento  esperendo
 mediante   l'obbligatoria   adizione  del  comitato  provinciale  per
 l'ordine e la sicurezza pubblica competente in  ordine  al  luogo  di
 abituale  residenza  -  poi  di  detenzione,  nel vigore del d.-l. n.
 152/1991 - del condannato).  Orbene,  tale  normativa  richiede  alla
 magistratura  di sorveglianza una particolare indagine, inerente alla
 pericolosita'  sociale  (rectius:   alla   sussistenza   di   attuali
 collegamenti  con  organizzazioni criminose comuni e/o politiche) dei
 detenuti condannati per qualificati titoli delittuosi al fine di pro-
 cedure  all'accoglimento  di  istanze  rivolte  all'ottenimento   dei
 particolari   "benefici"  penitenziari,  indicati  nell'ambito  della
 prefata  normativa.  La  quaestio  juris   che,   nell'ambito   delle
 surrichiamate   processure,  appariva  di  preliminare  rilevanza  si
 incentrava sul  quesito  se  la  dizione  generica  del  primo  comma
 dell'art.  4- bis o.p., il quale operava (quanto meno nei primi testi
 di decreto legge e, comunque, con variazioni lessicali, apportate dal
 testo  normativo   attualmente   in   vigore,   tali   da   lasciare,
 nell'opinione   di  questo  collegio,  inalterata  la  questione)  un
 indistinto  richiamo  alle  "misure  alternative  alla   detenzione",
 potesse  essere  riferita,  altresi', all'istituto della riduzione di
 pena   per   liberazione   anticipata   e,   conseguentemente,    se,
 nell'eventualita'  di richieste avanzate da detenuti condannati per i
 titoli delittuosi di cui al ridetto primo comma dell'art. 4- bis o.p.
 ed intese all'ottenimento di tale  beneficio,  occorresse,  comunque,
 acquisire  le  dettagliate  informative  del comitato provinciale per
 l'ordine e la sicurezza pubblica. Riteneva  questo  collegio  di  non
 poter  condividere  tale  orientamento interpretativo: la formula, di
 cui al primo comma  dell'art.  4-  bis  o.p.  aveva  inteso  operare,
 secondo  l'opinione  di  questo  tribunale di sorveglianza, un chiaro
 riferimento  ad  istituti   caratterizzati   da   un   minimo   comun
 denominatore,  costituito  dalla natura giuridica di "misure alterna-
 tive alla detenzione", stricto sensu intese.
    A tal proposito, appariva significativo  che  la  circostanza  che
 l'obbligo   di   adizione  dell'istanza  rappresentata  dal  comitato
 provinciale per l'ordine e  la  sicurezza  fosse  stato  imposto,  in
 relazione  alle  domande  di liberazione condizionale, nell'ambito di
 separato articolo della medesima  normativa  (art.  2  del  d.-l.  n.
 5/1991):  tale  considerazione non poteva esser utilizzata, in chiave
 di ricostruzione esegetica,  per  inferirne  la  conclusione  che  il
 richiamo  operato  dall'art.  1  dello  stesso  decreto  legge avesse
 esclusivo riferimento a quelle misure, definite quali alternative dal
 legislatore del 1975,  e  prescindere  dalla  loro  effettiva  natura
 giuridica:  secondo  tale  tesi  l'espresso richiamo alla liberazione
 condizionale in diverso loco della medesima normativa si sarebbe reso
 necessario   a  cagione  dell'esclusione,  dal  novero  delle  misure
 disciplinate nel 1975,  del  prefato  istituto,  mentre,  laddove  il
 legislatore  del  1991  avesse  inteso  far  riferimento  alla natura
 giuridica degli istituti, il richiamo stesso  avrebbe  costituito  un
 superfetazione,   alla   stregua   dell'accertata  natura  di  misura
 alternativa alla detenzione, propria della liberazione condizionale.
    Riteneva  e,  conseguentemente,  esponeva,  per  converso,  questo
 tribunale  che  l'opportunita'  di disciplinare in senso analogo alle
 altre  misure  alternative  alla  detenzione  anche  la   liberazione
 condizionale,   sia   pure   nell'ambito  di  differente  articolato,
 derivasse proprio dall'attenta considerazione della natura  giuridica
 dell'istituto  de  quo: costituisce, infatti, argomento ormai noto la
 querelle, insorta tanto  in  ambito  dottrinario,  quanto  in  ambito
 giurisprudenziale,   sulla   natura   giuridica   della   liberazione
 condizionale e della conseguente liberta' vigilata, sul quale neanche
 vale la pena di  soffermarsi,  se  non  per  il  tempo  necessario  a
 rammentarlo.  Basti  soltanto  sottolineare,  in  questa sede ed agli
 scopi che ne occupano, che neanche  la  Corte  costituzionale,  nella
 piu'  recente  pronunzia  in  materia  di  effetti della revoca della
 liberazione condizionale (sentenza 17-25 maggio 1989  n.  282,  pres.
 Saja,  rel.    Dell'Andro,  in  Gazzetta  Ufficiale 1989, prima serie
 speciale, n. 22, pag. 13 e segg.), con decisione  apprezzata  per  la
 sua   ponderazione   dall'unanime  dottrina,  ha  ritenuto  opportuno
 dirimere  il  contrasto  tra  coloro  che  sostengono  la  natura  di
 modalita'  di  esecuzione  alternativa  alla  pena detentiva, propria
 della liberazione condizionale, e coloro che, viceversa, ne predicano
 la natura di istituto di carattere sospensivo probatorio (v. sentenza
 predetta, pagg.  15,  16  e  17).  L'irrisolto  nodo  interpretativo,
 senz'altro  ben noto al legislatore, era sotteso, nella ricostruzione
 esegetica di  questo  collegio,  alla  necessita'  di  provvedere  ad
 espressa  menzione  della  liberazione condizionale nell'ambito di un
 differente articolo di legge proprio in  virtu'  dell'impossibilita',
 allo     stato    attuale    dell'interpretazione    dottrinaria    e
 giurisprudenziale, di equiparare, sic et simpliciter,  l'istituto  di
 cui  all'art.  176  del  c.p. alle misure alternative alla detenzione
 stricto sensu. Donde dovevasi desumere  la  piena  controvertibilita'
 dell'argomentazione logica suddetta.
    Che,  anzi, proprio la constatazione che il legislatore, allorche'
 aveva inteso estendere gli oneri procedurali previsti per  le  misure
 alternative  alla  detenzione  anche  ad  un  istituto, la cui natura
 giuridica appare ancora oggi di incerta definizione, aveva provveduto
 espressamente alla  menzione  dello  stesso,  addirittura  in  ambito
 testuale  separato, induceva a concludere che la locuzione " ..misure
 alternative alla detenzione  .."  utilizzata  nell'ambito  del  primo
 comma  dell'art.  4-  bis  o.p.,  sopra mentovato, avesse una propria
 specificita' tecnica, nel senso  che  il  legislatore  avesse  inteso
 operare  un  riferimento  preciso  solo  e  soltanto a quelle misure,
 introdotte per la prima volta, nell'ambito dell'ordinamento giuridico
 italiano,  dalla  legge  di  riforma  penitenziaria  del   1975   (e,
 successivamente,  integrate nel 1986), che rivestano natura di vera e
 propria alternativa alla pena detentiva ordinaria.
    Aggiungeva, a tal proposito, questo Collegio un excursus  inerente
 alla genesi delle misure alternative alla detenzione: a tal riguardo,
 occorre sottolineare come sia, ormai, noto, dal dibattito dottrinario
 che   ha  travagliato  la  penalistica  italiana  ed  internazionale,
 risalente,  addirittura,  al  periodo  terminale  del  diciannovesimo
 secolo,  ad  epoca,  id  est,  in  cui,  attraverso  la  formulazione
 dell'ormai  classico  paradosso  di  Von  Liszt, venne individuata la
 necessita' di definire e giuridicizzare misure alternative alla  pena
 detentiva  breve ed ai suoi inevitabili correlati di stigmatizzazione
 e  desocializzazione,  che  la  misura  alternativa  alla  detenzione
 costituisce una sorta di tertium genus tra la pena detentiva classica
 ed  i  cosiddetti  sostitutivi  penali:  la  misura  alternativa alla
 detenzione,  infatti,  non  implica  una  totale  deprivazione  della
 liberta'  personale,  ma una piu' o meno pregnante compressione della
 stessa, accompagnata da forme di assistenza  risocializzatrice;  alla
 pena   detentiva   classica,  viceversa,  le  misure  alternative  si
 avvicinano,  alla  stregua  del  loro  carattere  di   afflittivita',
 positivamente  sanzionato,  a  tutt'oggi,  da  autorevoli  interventi
 giurisprudenziali (v. sent. Corte costituzionale 15 ottobre 1987,  n.
 347, pres. Andrioli, rel. Spagnoli, in Gazzetta Ufficiale 1987, prima
 serie  speciale,  n.  46, pag. 50 e segg.). Su tali conclusioni si e'
 attestata la dottrina unanime, anche in seguito  agli  interventi  di
 autorevolissimi  esponenti,  sin  dai  tempi  dell'introduzione della
 legge di riforma penitenziaria.
    Orbene, data tale premessa, secondo cui le misure alternative alla
 detenzione, stricto sensu intese, sono connotate da  un  coessenziale
 carico  di  afflittivita', si inferiva logicamente che l'istituto, di
 cui all'art. 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354 e succ. mod.,  non
 poteva  rettamente  essere  annoverato tra le misure alternative alla
 detenzione: concorde  alla  conclusione  che  precede  e',  altresi',
 autorevole  dottrina, la quale, sin dall'epoca dell'entrata in vigore
 della legge di riforma  dell'ordinamento  penitenziario,  sottolineo'
 l'improprieta'   della   collocazione   sistematica  della  normativa
 concernente  le  riduzioni  di  pena   per   liberazione   anticipata
 nell'ambito  del capo ove trovansi disciplinate le misure alternative
 alla detenzione:  cio',  stante  la  natura  giuridica  dell'istituto
 prefato,  il  quale consiste non nella sostituzione di un trattamento
 "penale"   ad   altro   tipo   di   trattamento   (quello   detentivo
 tradizionale),  bensi'  nella  mera  remissione  di  parte della pena
 detentiva stessa alla  stregua  della  verificazione  giudiziale  dei
 parametri   comportamentali   delineati   dal  legislatore  (positiva
 rispondenza agli interventi trattamentali).
    La natura giuridica dell'istituto  della  riduzione  di  pena  per
 liberazione anticipata consiste nell'abbreviazione della durata della
 pena    detentiva    quale    riconoscimento    (sanzione   positiva)
 dell'adozione,   da   parte   del   condannato,   di    comportamenti
 normorientati:  dalla  lettera  della  legge  emerge  palesemente  la
 pregnanza spiccatamente premiale dell'istituto, il quale consiste  in
 un  incentivo alla condivisione di metodiche trattamentali, orientate
 alla progressiva acquisizione di stadi rieducativi del  soggetto.  La
 ratio  sottesa all'istituto de quo risulta chiaramente evincibile dal
 tenore testuale dell'art. 54 o.p., il quale delinea per la  riduzione
 di  pena  una  finalita'  pedagogica, desumibile dall'indicazione del
 semestre quale unita' di valutazione della condotta  del  condannato,
 operata  in  virtu'  della  recezione  delle  conclusioni  delle piu'
 avvedute   dottrine    psico-pedagogiche    (siccome    riconosciuto,
 oggigiorno,  anche dalla suprema Corte; v. Cassazione, sezione prima,
 15  marzo 1989, pres. Molinari, rel. Savoi Colombis, cond. Comune, in
 Cassazione penale 1989, p. 2267, m. 1854): d'altro canto,  lo  stesso
 Ministro  guardasigilli,  nella  relazione  al  disegno  di  legge di
 riforma dell'ordinamento penitenziario, sottolineava le potenzialita'
 incentivanti dell'istituto nello stimolare il detenuto  nello  sforzo
 di  adeguamento  e  di  mantenimento  di  "  .. una positiva tensione
 psicologica ..".
   La natura giuridica  dell'istituto  della  riduzione  di  pena  per
 liberazione  anticipata,  siccome  poc'anzi  delineata, fa si' che lo
 stesso non possa essere assimilato, sic et simpliciter,  alle  misure
 alternative   alla   detenzione,   stricto  sensu  intese,  dovendosi
 ravvisare nello stesso un istituto dalla spiccata  valenza  premiale,
 ispirato  a  parametri  pedagogici  di incentivazione all'adozione di
 comportamenti di retta  progressione  nell'acquisizione  di  mete  di
 rieducazione:   il   riscontro   rispetto  al  quale  commisurare  la
 valutazione  giudiziale  dovra'   essere,   pertanto,   eminentemente
 fattuale, indipendentemente dal raggiungimento del fine dell'avvenuta
 rieducazione   sociale   del   condannato;   altrimenti  opinando  si
 perverrebbe al risultato di  sovrapporre  l'istituto  in  disamina  a
 quello della liberazione condizionale, in ordine al quale, viceversa,
 il legislatore richiede espressamente l'intervenuta emenda del reo.
    Il   reinserimento   sociale   e'   prospettato  dal  legislatore,
 nell'ambito della disciplina dell'istituto di cui all'art.  54  o.p.,
 quale  finalita'  al  cui raggiungimento sono orientati gli incentivi
 premiali intesi a stimolare l'adozione di comportamenti (carcerari  e
 sociali)  normorientati; d'altro canto, la conclusione che precede si
 consolida alla luce del recenziore orientamento  esegetico,  adottato
 dalla  suprema  Corte  in  materia  di  frazionabilita'  del  periodo
 detentivo soggetto alla valutazione giudiziale ai fini de quibus e di
 semestralizzazione della concessione  delle  riduzioni  di  pena  (v.
 Cassazione  sezione  prima,  15  marzo 1989, gia' citata; Cassazione,
 sezione prima, 19 aprile 1989, pres. Carnevale, rel.  Pirozzi,  cond.
 Ferro,  in  Cassazione  pen.  1990,  pag.  1800, m. 1473; Cassazione,
 sezione prima, 29 maggio 1989,  Ognibene,  in  Mass.  uff.  1989,  m.
 181516; cassazione, sezione prima, 16 maggio 1989, Borsone, ivi 1989,
 m.  181914;  Cassazione,  sezione  prima,  27 dicembre 1989, n. 2914,
 pres. Aiello rel. Buogo, cond. Bassi; Cassazione, sezione  prima,  18
 gennaio 1990, n. 3192, pres. Carnevale, rel. Serianni, cond. Ierardi;
 Cassazione,  sezione  prima,  13 aprile 1990, n. 758, pres. Molinari,
 rel. Pompa, cond. Carbone), il quale, secondo le considerazioni della
 piu' avveduta dottrina, implica una  maggiore  oggettivizzazione  del
 giudizio proprio della magistratura di sorveglianza.
    Occorreva,   nella   ricostruzione  esegetica  fornita  da  questo
 collegio, porre mente alla considerazione che il parametro normativo,
 alla cui stregua valutare il comportamento del condannato ai fini  de
 quibus,  e' la partecipazione del detenuto all'attivita' rieducativa,
 sostanziantesi, secondo il testuale disposto dell'art. 94 del  d.P.R.
 29  aprile  1976,  n.  431  e  succ.  mod.,  nel  particolare impegno
 dimostrato dal  ristretto  nel  trarre  profitto  dalle  opportunita'
 offertegli  nel  corso  del  trattamento,  id  est nell'atteggiamento
 manifestato  nei  confronti  degli  operatori   penitenziari,   nella
 qualita'  dei  rapporti  intrattenuti  con  i  condetenuti  e  con  i
 familiari, oltre che, ovviamente, nella spontanea e proficua adizione
 degli  elementi  del  trattamento  rieducativo  (lavoro,  istruzione,
 religione,  etc.). Rebus sic stantibus, non si poteva non condividere
 l'orientamento predicato da autorevole dottrina, nonche',  in  ultima
 analisi,   sotteso   alla   stessa   giurisprudenza  del  giudice  di
 legittimita' delle leggi (v. Corte costituzionale sent. 23-31  maggio
 1990,  n. 276, pres. Saja, rel. Gallo, Calore ed altro, in Cass. pen.
 1991, m. 2, pag. 4 e  segg.),  secondo  cui  il  presupposto  per  la
 concessione  (rectius,  per  il riconoscimento giudiziale del diritto
 alla concessione) della riduzione di pena per liberazione  anticipata
 consiste  in  un  dato  squisitamente  fattuale,  il cui primo ed, in
 sostanza, pieno riscontro  deve  logicamente  essere  demandato  agli
 operatori che quotidianamente, con profusione di impegno e sacrificio
 personale,  nonche'  di  esperienza cognitiva e scientifica, hanno la
 possibilita' di osservare e studiare  la  rispondenza  eventuale  del
 condannato  agli  interventi  trattamentali,  id  est  agli operatori
 penitenziari.
    Ne'  poteva  dirsi  che  siffattamente  opinando  ci   si   priva,
 volontariamente,  di  uno  strumento  cognitivo atto a vagliare, piu'
 oculatamente, il reale grado di rispondenza del detenuto all'opera di
 rieducazione: era ben consapevole questo collegio  che  una  regolare
 condotta intramuraria, la quale dissimuli, in realta', una permanenza
 del vincolo associativo con organizzazioni criminali od eversive, non
 potesse   correttamente   essere   qualificata   come  partecipazione
 all'attivita' trattamentale, si' da integrare il presupposto  per  il
 riconoscimento   giudiziale   del   diritto  alla  concessione  della
 riduzione di pena per liberazione anticipata.
    Gli era, peraltro, che dati  di  riscontro  realmente  attendibili
 circa  la sussistenza dei predetti legami ben difficilmente avrebbero
 potuto essere forniti, sol che alla circostanza si ponesse mente  per
 un  giudizio sereno e disincantato, da organismi statuali estranei al
 sistema penitenziario, i quali, per loro  composizione  e  competenza
 specifica,   non   possiedono   gli   elementi   di   giudizio   piu'
 significativi, ai fini che ne occupano, id est i dati  inerenti  alla
 condotta   intramuraria   del   condannato;  in  realta',  e'  sempre
 l'amministrazione penitenziaria, tramite i  suoi  organi  periferici,
 deputati  all'osservazione  della  condotta  ed,  in senso piu' lato,
 della personalita' del ristretto, a  possedere  un  quadro  d'insieme
 imprescindibile   e   di  primaria  rilevanza  anche  ai  fini  della
 valutazione  della   circostanza   della   sussistenza   attuale   di
 collegamenti  con  la  criminalita'  organizzata, siccome e', d'altro
 canto, dimostrato dalla particolare attenzione profusa  dalla  stessa
 amministrazione   nel  rilevare  e  segnalare  alla  magistratura  di
 sorveglianza  tutti  quegli  elementi  di  riscontro  che,  ai   fini
 predetti,  potrebbero  rivelarsi  significativi  (rimesse  di  denaro
 sospette,  necessita'  od  opportunita'  di  sottoporre  a  visto  di
 controllo   la  corrispondenza  epistolare  del  detenuto,  natura  e
 frequenza dei colloqui, natura e contenuto  di  colloqui  telefonici,
 soggetti  all'ascolto  di personale penitenziario, eccezion fatta per
 quelli con i difensori, natura e qualita' della restante  popolazione
 detenuta  frequentata, etc.). Viceversa, assegnare, come desumesi dal
 testo normativo  dell'art.  4-  bis  o.p.,  primaria  rilevanza,  cui
 subordinare  l'accertamento  degli altri presupposti comportamentali,
 alle  informazioni  fornite  da  un  organismo  estraneo  al  sistema
 penitenziario,   il   quale,   tra  l'altro,  il  piu'  delle  volte,
 soprattutto  nelle  ipotesi  di  detenzioni  protraentisi  da   lungo
 periodo,  non  potra'  che fondare i propri giudizi sui comportamenti
 extramurari   antecedenti   all'instaurazione   della   carcerazione,
 appariva  decisamente  incongruo in riferimento alla natura giuridica
 dell'istituto in disamina, laddove si fosse fatta mente  locale  agli
 orientamenti della stessa consolidata giurisprudenza di legittimita',
 secondo  cui,  ai  fini  della  liberazione  anticipata, occorre aver
 riguardo al comportamento tenuto  dal  condannato  all'interno  degli
 istituti  penitenziari,  mentre  rilevanza  del  tutto  secondaria ed
 accessoria assumono i precedenti penali  e  giudiziari,  ed,  ancora,
 laddove  l'istituto  della  liberazione  condizionale  si  correla al
 sicuro ravvedimento del condannato,  desunto  dal  suo  comportamento
 globale, senza limitare l'osservazione alla sola condotta carceraria,
 quello  della  liberazione anticipata, invece, esige semplicemente la
 partecipazione  all'opera   di   rieducazione,   cioe',   l'adesione,
 ancorche'   attiva,  a  tutte  le  opportunita'  risocializzanti  che
 l'espiazione   della   pena   offre,   senza   che   cio'    comporti
 necessariamente una revisione critica del passato e l'abbandono delle
 spinte  criminali  manifestate  con  la  commissione  del  reato  (v.
 Cassazione, sezione  prima,  7  luglio  1989,  pres.  Molinari,  rel.
 Lapenna,  cond.  De  Risi,  in  Cassazione penale 1990, pag. 1991, m.
 1618; in  senso  sostanzialmente  conforme,  v.  Cassazione,  sezione
 prima,  2  ottobre  1989, pres. Carnevale, rel. Del Vecchio, cond. De
 Gregori, in Cassazione penale 1990, pag. 2196, m. 1769).
    La Corte suprema sottolinea  in  maniera  icastica  la  natura  di
 premio per l'adozione di una condotta orientata verso una tensione di
 consentaneita'  a parametri di adesione all'opera trattamentale ed al
 contempo  di   incentivazione   verso   il   mantenimento   di   tale
 comportamento  propria  dell'istituto  in  disamina, la quale sarebbe
 stata  inevitabilmente  ridimensionata  da   un'interpretazione   del
 disposto  del  primo  comma  del  nuovo  art. 4- bis o.p., che avesse
 indotto ad includere nel novero delle " ..  misure  alternative  alla
 detenzione  ..",  alla stregua del mero dato testuale (rectius, della
 mera   classificazione   operata    dal    legislatore    nell'ambito
 dell'intitolazione di un capo della legge di riforma dell'ordinamento
 penitenziario,  alla quale, certamente, non possono assegnarsi valore
 e dignita' superiori di quelle proprie di una semplice rubrica legis,
 la quale, secondo l'antico brocardo, non est lex),  anche  l'istituto
 della  riduzione  di  pena  per liberazione anticipata; viceversa, la
 ritenuta ambiguita' del dato testuale, che non menziona espressamente
 l'istituto prefato, operando un vago riferimento alle misure alterna-
 tive alla detenzione, induceva a concludere che, nella necessita'  di
 assegnare  un  significato concreto ed operativo al dato normativo in
 via esegetica, fosse da preferire l'orientamento che,  oltre  il  pur
 doveroso  ossequio  al mero tenore testuale della legge, si spingesse
 sino ad indagare la reale natura giuridica degli istituti  sottoposti
 a  disamina,  onde  inferirne conseguenze relative alla disciplina ed
 agli effetti giuridici,  secondo,  d'altro  canto,  le  piu'  recenti
 indicazioni di metodo fornite dal giudice di legittimita' delle leggi
 (v.  Corte costituzionale sent. 23-31 marzo 1988, n. 369, pres. Saja,
 rel. Dell'Andro, in Gazzetta Ufficiale, prima serie speciale,  n.  15
 del  13  aprile  1988,  pagg.  11 e segg.; Corte costituzionale sent.
 17-25 maggio  1989,  n.  282,  in  Gazzetta  Ufficiale,  prima  serie
 speciale,  n.  22  del 31 maggio 1989, pagg. 13 e segg.): cio' detto,
 appare  conseguente  concludere  che  l'accertata  natura  "premiale-
 incentivante"  della riduzione di pena per liberazione anticipata, la
 quale non sostituisce al regime detentivo ordinario  un  regime  allo
 stesso  alternativo,  bensi' consiste in una mera decurtazione di una
 parte della pena detentiva, alla stregua dell'accertamento giudiziale
 di dati parametri, non consentiva un  inquadramento  dommatico  della
 stessa  nell'ambito  delle  misure  alternative stricto sensu intese,
 alle quali si riteneva facesse riferimento il  richiamo  operato  dal
 primo  comma  dell'art.  4- bis o.p.  e che, pertanto, la concessione
 della stessa non potesse essere subordinata all'acquisizione di  dati
 di  riscontro  provenienti  da autorita' statuali estranee al sistema
 penitenziario (siccome, viceversa, opportuno  in  ordine  alle  altre
 misure  ed  agli altri benefici menzionati, che, tutti, comportano, a
 differenza della liberazione anticipata, quale  effetto  immediato  e
 necessario,  il  ripristino,  sia  pure  temporaneo,  di  uno  status
 libertatis,  piu'   o   meno   compresso),   pena   lo   snaturamento
 dell'istituto stesso.
    Dunque,  la natura giuridica dell'istituto della riduzione di pena
 per liberazione anticipata differisce da quella propria delle  misure
 alternative  alla  detenzione strictu sensu intese, siccome delineata
 nell'ambito del vasto e risalente dibattito dottrinario  sviluppatosi
 intorno  alla  stessa  e secondo quanto riconosciuto, peraltro, dalla
 stessa Consulta (v. ord. 18-26 gennaio 1990, n. 35, pres. Saja,  rel.
 Dell'Andro,  in  Gazzetta Ufficiale 1990, prima serie speciale, n. 6,
 pag. 12 e segg.): da cio' dovendosi desumere, secondo  l'opinione  di
 questo   collegio,   che   la   dizione  utilizzata  dal  legislatore
 nell'ambito del primo comma dell'art. 4- bis o.p. non potesse  essere
 legittimamente estesa sino ad includere l'istituto di cui all'art. 54
 o.p.:  risultavano  gia'  acquisiti, infatti, i motivi secondo cui la
 formulazione "misure  alternative  alla  detenzione",  adoperata  nel
 comma sopra richiamato, doveva intendersi utilizzata in senso proprio
 e   non  in  senso  atecnico:  discendeva  dagli  stessi  in  maniera
 conseguenziale che la riduzione di pena  per  liberazione  anticipata
 non  poteva  essere  inclusa nel novero delle misure alternative alla
 detenzione, neanche al limitato fine  di  osservare  gli  adempimenti
 istruttori  imposti,  per gli altri benefici, sicuramente sussumibili
 nel genus delle  misure  alternative  strictu  sensu,  dal  combinato
 disposto del primo e del secondo comma dell'art. 4- bis o.p.
   D'altro canto, si pensi alle conseguenze di carattere dommatico che
 l'accoglimento  della  tesi opposta a quella sostenuta nei richiamati
 provvedimenti avrebbe comportato sulla natura giuridica dell'istituto
 de quo: si e' gia'  avuta  occasione  di  evidenziare  la  natura  di
 incentivo  di  carattere  pedagogico  della riduzione di pena, intesa
 quale sanzione positiva atta a  suscitare  una  tensione  psicologica
 orientata    all'adozione    di   comportamenti   normorientati.   La
 subordinazione  della  concessione  della  riduzione  di   pena   per
 liberazione anticipata non piu' soltanto al riscontro di una positiva
 rispondenza  agli  interventi trattamentali operati dalle e'quipes di
 osservazione e trattamento, bensi' anche, in  relazione  ai  detenuti
 condannati  per  le fattispecie delittuose richiamate dal primo comma
 dell'art. 4- bis o.p., all'acquisizione  di  informative  dettagliate
 per  il  tramite del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza
 pubblica  circa  la  sussistenza  attuale  di  collegamenti  con   la
 criminalita' organizzata avrebbe finito per privare l'istituto di cui
 si  discute di qualsivoglia valenza incentivante e pedagogica, quanto
 meno in relazione alla categoria di condannati menzionata nella prima
 parte del primo comma dell'art. 4- bis o.p.: il legislatore del 1991,
 infatti,   prefigura,   in  capo  agli  stessi  una  vera  e  propria
 presunzione di pericolosita'  sociale  (rectius:  di  persistenza  di
 collegamenti con organizzazioni criminali politiche e/o comuni); tale
 presumptio   legis  appare  rivestire  un  carattere  di  relativita'
 (presumptio  juris  tantum),  essendo  suscettibile  di   superamento
 attraverso la prova contraria.
    Cio'  non  toglie  che  il condannato, il quale abbia osservato un
 comportamento rispettoso della disciplina carceraria ed adesivo  alle
 modalita'  trattamentali e si veda respingere un'istanza di riduzione
 di pena per liberazione anticipata per la mera assenza di  una  prova
 positiva  di  mancanza dei collegamenti con organizzazioni malavitose
 (pur  non  sussistendo  una  prova   di   attualita'   dei   predetti
 collegamenti)   non   provera'   alcuno  stimolo  a  perseverare  nel
 mantenimento dei comportamenti suddetti: occorre,  a  tal  proposito,
 porre  mente  alla  considerazione  che la formulazione adoperata dal
 legislatore appare chiara nel richiedere,  ai  fini  del  superamento
 della  presunzione  di  pericolosita'  sociale, che potremmo definire
 "qualificata", una prova positiva di assenza di collegamenti  attuali
 con  la  malavita organizzata, non essendo sufficiente, agli scopi de
 quibus, la mera mancanza di prova dell'attualita' di connessioni.
    La  peculiare  difficolta'  di  reperimento  della  prefata  prova
 positiva (la quale finisce, per tal via, nel trasformarsi in una vera
 e  propria  probatio diabolica), desumibile dalla considerazione che,
 eccezion fatta per alcune tipologie di  criminalita'  organizzata  di
 tipo  politico-ideologico,  l'esperienza criminologica attesta la non
 congenialita'   alle   organizzazioni   malavitose    di    riscontri
 (documentali  e non) di intervento recesso dalle stesse, indurrebbe a
 svalutare pesantemente,  sin  quasi  ad  obliterarla  del  tutto,  la
 valenza  di  incentivo pedagogico proprio della riduzione di pena per
 liberazione anticipata.
    Il problema posto dall'interpretazione del disposto del richiamato
 primo comma dell'art. 4- bis o.p. si presentava, id est, strettamente
 ed  ineludibilmente  connesso  a  quello   della   natura   giuridica
 dell'istituto   della   liberazione  anticipata.  Cio'  opinando,  si
 perveniva  alla  conseguenziale  conclusione  che  la   summenzionata
 difficolta'  di  reperimento  della  prova  positiva  dell'assenza di
 collegamenti con la malavita  organizzata  implicava  un  sostanziale
 svilimento   del   finalismo  rieducativo  della  pena,  proprio  nel
 particolare momento (quello dell'esecuzione  e  del  trattamento)  in
 cui,   per   unanime   e  risalente  riconoscimento  (v.  la  copiosa
 giurisprudenza della Consulta in materia  di  finalita'  della  pena,
 sviluppatasi a partire dalla sentenza n. 12/1966 in poi), il predetto
 finalismo  avrebbe dovuto trovare il massimo dispiegamento operativo.
 L'introduzione di elementi di  giudizio,  improntati  ad  una  tutela
 della  finalita' di difesa sociale, sarebbe, invero, stata di per se'
 stessa, pienamente lecita, in virtu' della coessenzialita'  di  detto
 carattere  al  momento  punitivo,  se  non  fosse  per  la preminente
 considerazione che la formulazione della presunzione di pericolosita'
 sociale "qualificata" e della necessita' di prova positiva di assenza
 di collegamenti attuali con la criminalita' organizzata, nei  termini
 in cui risultano prospettati nell'ambito del primo comma dell'art. 4-
 bis  o.p.,  avrebbero  condotto  all'inevitabile conseguenza, laddove
 applicati  anche all'istituto della riduzione di pena per liberazione
 anticipata, di realizzare l'eventualita'  di  "  ..  privilegiare  la
 soddisfazione di bisogni collettivi di stabilita' e sicurezza (difesa
 sociale),  sacrificando  il  singolo  attraverso l'esemplarita' della
 sanzione   ..",   gia'   saggiamente   deprecata   dal   giudice   di
 costituzionalita'  delle  leggi  (v.  Corte  costituzionale  sent. 26
 giugno-2 luglio 1990, n. 313, pres. Saja,  rel.  Gallo,  in  Gazzetta
 Ufficiale  1990,  prima serie speciale, n. 27, pag. 15): il finalismo
 rieducativo, che la Consulta, nella predetta pronunzia,  ha  indicato
 come  carattere  ontologicamente  proprio della pena, in tutte le sue
 manifestazioni, dall'astratta comminatoria, all'irrogazione  ed  alla
 conseguente  esecuzione, trova amplissimo ambito operativo nella fase
 del  trattamento,  di  cui  la  liberazione  anticipata   costituisce
 peculiare   strumento,  con  carattere  di  sanzione  positiva  della
 partecipazione ad esso del condannato, e l'introduzione  di  elementi
 di  valutazione  non  intranei  alla  logica  ed  alle  finalita' del
 suddetto trattamento (le informative  del  comitato  provinciale  per
 l'ordine  e  al  sicurezza  pubblica)  avrebbe prodotto l'ineludibile
 conseguenza di  alterare  la  natura  guridica  di  quel  particolare
 strumento  - la riduzione di pena per liberazione anticipata - che la
 stessa   Consulta   indica   come   coessenziale    al    trattamento
 penitenziario,  alla sua logica ed alla sua finalita' (v. sentenza 26
 giugno-2 luglio 1990, gia' citata, pag. 16).
    Per  tale  via  si  giungeva  alla   conclusione   che   l'obbligo
 istruttorio  imposto  alla  magistratura  di sorveglianza dal secondo
 comma dell'art. 4- bis o.p. fosse inteso a  restringere  l'ambito  di
 operativita',  nei  confronti  di soggetti condannati per fattispecie
 delittuose tali da destare un rilevante allarme sociale, di  benefici
 che  hanno  come  conseguenza,  diretta  e necessaria, l'acquisizione
 immediata di un ambito, sia pur in vario modo compresso, di  liberta'
 personale,  mentre  tale  conseguenza  non  si  pone con caratteri di
 necessita' in ordine all'istituto di cui all'art. 54 o.p.
   L'opinione espressa da questo collegio nel vigore  dei  dd.-ll.  12
 gennaio  1991,  n.  5  e  13 marzo 1991, n. 76, non mutava neanche in
 seguito  all'emanazione  del  d.-l.  13  maggio  1991,  n.  152,  poi
 convertito,  senza  modificazioni  sul  punto che interessa in questa
 sede, dall'articolo unico della legge 12  luglio  1991,  n.  203:  il
 testo  normativo, introdotto dal primo comma dell'art. 1 del d.-l. 13
 maggio  1991,  n.  152,  apporta  delle  innovazioni  rispetto   alle
 precedenti  dizioni:  anzitutto,  laddove  il riferimento operato dal
 primo comma degli artt. 1 del d.-l. 12 gennaio 1991, n. 5  ed  1  del
 d.-l.  13 marzo 1991, n. 76, era operato, genericamente, alle "misure
 alternative alla detenzione", oggi, l'art.  1  del  d.-l.  13  maggio
 1991,  n.  152,  richiama,  testualmente, le "misure alternative alla
 detenzione previste dal capo sesto" della legge 26  luglio  1975,  n.
 354  e  succ.  mod.  Si rammenti, a tal proposito, che la liberazione
 anticipata e' istituto  espressamente  disciplinato  nell'ambito  del
 prefato  capo  VI,  del  titolo  I,  della  legge  n.  354/1975. Tale
 innovazione legislativa ha indotto, in un primo momento,  a  dubitare
 della   riproponibilita',   nel   vigore   della   nuova  disciplina,
 dell'orientamento esegetico sostenuto in epoca precedente  da  questo
 collegio,  siccome  sopra  ricordato:  a  tal  riguardo,  ha ritenuto
 opportuno questo tribunale di dover confermare  le  conclusioni  gia'
 adottate  ed  esposte. E' apparso, infatti, alquanto singolare che il
 legislatore  abbia  adottato  la  soluzione  di  tecnica  redazionale
 prospettata proprio da questo collegio nelle ordinanze surrichiamate,
 allorche' ha introdotto la nuova dizione compresa nel testo dell'art.
 4- bis o.p., indicando, in maniera esplicita, le "misure  alternative
 alla  detenzione  previste  dal  capo  VI"  della  legge  di  riforma
 dell'ordinamento  penitenziario,  laddove  il  testo  previgente   si
 limitava  a  richiamare  le  "misure  alternative  alla  detenzione";
 ciononostante, questo collegio  ha  ritenuto  fondato  giungere  alla
 conclusione  che  la  nuova  formulazione  letterale,  adoperata  dal
 legislatore del maggio 1991, non fosse di portata e  significativita'
 tali  da  indurre ad un revirement radicale rispetto alle conclusioni
 gia'  adottate.  Infatti,  la  dizione  testuale  continuava  a   far
 riferimento  alle  misure  alternative  alla  detenzione  ed  era  da
 presumere che il richiamato normativo fosse rivolto alla  nozione  di
 "misure  alternative" stricto sensu intese, siccome individuate dalla
 dottrina, ormai risalente, gia' menzionata  nella  parte  motiva  dei
 provvedimenti sopra mentovati.
    Come gia' esposto, la riduzione di pena per liberazione anticipata
 costituisce  particolare  metodica  trattamentale,  ispirata  ad  una
 logica di chiara premialita' incentivante, eccentrica  rispetto  alla
 natura  giuridica  delle  cd.  "misure  alternative  alla detenzione"
 stricto  sensu,  in  quanto  non  sostituisce   alla   pena   espiata
 nell'ordinaria  forma carceraria un regime alternativo, connotato, al
 contempo, da afflittivita' minore rispetto alla detenzione  ordinaria
 e  dall'intervento degli organi di sostegno sociale, bensi' si limita
 a  decurtare  l'originaria  sanzione,  inflitta  dal  giudice   della
 cognizione,  in virtu' della rispondenza della condotta osservata dal
 condannato a parametri di partecipazione all'opera di rieducazione.
    Cio' dato, ricondurre l'istituto, di cui  all'art.  54  o.p.,  nel
 novero  delle  misure  alternative alla detenzione avrebbe costituito
 rilevante forzatura della natura giuridica dello stesso,  oltre  che,
 ovviamente,  di quella delle misure alternative stricto sensu intese,
 siccome venutasi storicamente delineando,  in  virtu'  di  contributi
 dottrinari,  legislativi  e  giurisprudenziali  (a  meno di non voler
 sostenere che l'unica alternativa alla  detenzione  e'  ..  l'assenza
 della   stessa|).   L'indicazione   legislativa,   pertanto,   doveva
 intendersi  riferita  alle  misure   alternative   alla   detenzione,
 disciplinate  nell'ambito del capo sesto del titolo primo della legge
 di riforma dell'ordinamento penitenziario, le quali rivestano  natura
 giuridica   di   vere  e  proprie  alternative  alla  pena  detentiva
 tradizionale.
    A cio' si doveva, ancora, secondo questo collegio, aggiungere  che
 lo  stesso  testo  del  decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, offriva
 spunti che rafforzavano le conclusioni poc'anzi  esposte,  tanto  sul
 piano  di  criteri  esegetici  strettamente  letterali,  quanto  alla
 stregua di parametri di interpretazione sistematica.
    Anzitutto,   in   relazione   al   primo   ordine   di   strumenti
 ricostruttivi,  doveva  sottolinearsi che, allorquando il legislatore
 aveva inteso fare riferimento concreto alle singole  misure  alterna-
 tive   aveva  adoperato,  in  altra  parte  del  decreto  legge,  una
 differente  tecnica  redazionale,  procedendo  ad   una   dettagliata
 elencazione,   la   quale   prevedeva  nominatim  le  singole  misure
 interessate dalla medesima disciplina: occorreva  por  mente,  a  tal
 proposito,  a  quanto  previsto  dal  primo comma dell'art. 58-quater
 o.p., siccome interpolato nel corpus dell'originaria legge di riforma
 dell'ordinamento  penitenziario dal sesto comma dell'art. 1 del d.-l.
 13 maggio 1991, n. 152, che introduce un divieto  di  concessione  di
 alcuni   particolari   strumenti  trattamentali  (permessi  premiali,
 assegnazione al lavoro extramurario) e di alcune  misure  alternative
 alla   detenzione   (affidamento   in   prova   al  servizio  sociale
 esclusivamente  nei  casi  previsti  dall'art.  47  o.p.,  detenzione
 domiciliare   e  semiliberta')  per  i  condannati  in  relazione  ai
 particolari titoli delittuosi di cui al primo comma dell'art. 4-  bis
 o.p.,  che  abbiano  posto in essere una condotta punibile ai sensi e
 per gli effetti del disposto dell'art. 385  del  c.p.:  orbene,  tale
 norma  provvede  ad  indicare nominatim i singoli "benefici" cui deve
 applicarsi la particolare regolamentazione dalla  stessa  introdotta,
 costituendo  chiaro indice dell'intenzione del legislatore di operare
 riferimenti   precisi   alla   natura   giuridica   degli    istituti
 disciplinati.   Il   mero   richiamo  alle  misure  alternative  alla
 detenzione, infatti, non sarebbe stato  pertinente,  poiche'  avrebbe
 comportato la conseguenza di includere nel novero anche l'affidamento
 in  casi  particolari,  previsto  dall'art.  47-  bis  o.p.,  laddove
 l'intendimento del legislatore era chiaramente orientato nel senso di
 escludere dalla normativa, ispirata a criteri di  draconiano  rigore,
 soggetti  particolarmente  bisognosi  di terapie atte a soddisfare le
 esigenze poste dalla tossicomania e da peculiari sociopatie, si'  che
 si  e'  reso  necessario  ricorrere  ad  una  tecnica redazionale che
 provvedesse all'elencazione delle singole  misure  interessate  dalla
 nuova   discipina.   Cio'   induceva  a  ritenere  che,  laddove  per
 qualsivoglia motivo,  il  legislatore  avesse  voluto  equiparare  la
 disciplina  delle  misure  alternative  stricto  sensu intese e della
 riduzione di pena per liberazione  anticipata  avrebbe  provveduto  a
 contemplare  espressamente  l'istituto di cui all'art. 54 della legge
 26 luglio 1975, n. 354 e succ. mod. accanto alla dizione "misure  al-
 ternative  alla  detenzione",  la  quale,  come  gia' detto, non puo'
 ritenersi, sic et simpliciter, comprensiva  anche  della  liberazione
 anticipata.
    Quanto   precede   veniva   ulteriormente   corroborato   da   una
 considerazione di ordine  sistematico,  tale  da  assumere  rilevanza
 assorbente  rispetto a qualsiasi altro apprezzamento: in particolare,
 il quarto comma dell'art. 58-quater  o.p.,  sopra  richiamato,  nella
 versione  introdotta dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, testualmente
 recita: "I condannati per i delitti di cui agli artt. 289- bis e  630
 del  codice penale che abbiano cagionato la morte del sequestrato non
 sono  ammessi  ad  alcuno  dei  benefici  indicati  nel  primo  comma
 dell'art.  4-  bis se non abbiano effettivamente espiato almeno i due
 terzi della pena irrogata o, nel caso dell'ergastolo, almeno ventisei
 anni". Orbene, laddove il testo del prefato  quarto  comma  dell'art.
 58-quater,   nella  versione  previgente,  estendeva  il  divieto  di
 fruizione, per  i  condannati  in  relazione  ai  particolari  titoli
 delittuosi  sopra  richiamati,  in  maniera  onnicomprensiva  ("  ..I
 condannati per i delitti  (  ..)  non  sono  ammessi  ad  alcuno  dei
 benefici previsti dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, come modificata
 dalla  legge  10  ottobre  1986  n.  663  .."),  la dizione normativa
 novellata si limita a richiamare i benefici di cui al precedente art.
 4- bis o.p., con  cio'  introducendo  elementi  di  maggiore  armomia
 sistematica  ed  eliminando, al contempo, pericoli di distorsioni ap-
 plicative e di snaturamenti giuridici. Doveva, infatti, considerarsi,
 nella  ricostruzione  esegetica  fornita  da  questo collegio, che il
 richiamo operato nell'ambito del decreto legge 13 marzo 1991,  n.  76
 ("  ..non  sono  ammessi  ad  alcuno  dei  benefici  ..") determinava
 l'esclusione dalla fruizione della riduzione di pena per  liberazione
 anticipata,   senza  dubbio  alcuno  sussumibile  nella  formulazione
 all'epoca  adoperata  dal  legislatore,   dei   condannati   per   le
 particolari  fattispecie  delittuose  considerate  dal  quarto  comma
 dell'art. 58-quater o.p. sino all'espiazione effettiva dei due  terzi
 della  pena  inflitta ovvero, trattandosi di ergastolani, di ventisei
 anni  di  pena  detentiva.  Tali  tetti  di   ammissibilita'   erano,
 singolarmente,  coincidenti  con  quello  stabilito dal secondo comma
 dell'art. 2 del d.-l. n. 76/1991 in materia di  concedibilita'  della
 liberazione  condizionale ai condannati per i delitti di cui al primo
 comma dell'art. 4- bis o.p.: orbene, il limite dei  due  terzi  della
 pena  detentiva  temporanea,  statuito, in materia di ammissione alla
 liberazione condizionale, dalla prefata  normativa  in  relazione  ai
 condannati  per  le  particolari fattispecie contemplate dall'art. 4-
 bis, primo comma, o.p. risultava,  senza  alcun  dubbio,  applicabile
 anche  ai  soggetti  condannati  per  i  reati di cui al quarto comma
 dell'art. 58- quater o.p., costituendo questi un cerchio  concentrico
 di minori dimensioni rispetto ai primi. Si doveva, pertanto, ritenere
 introdotto  per  tale  via  un  elemento  di  confusione  sistematica
 (davvero di non poco momento): la riduzione di pena  per  liberazione
 anticipata,  infatti, veniva trasformata, per effetto della normativa
 prefata, in istituto il cui momento  di  fruibilita'  veniva,  per  i
 condannati   in   ordine  alle  fattispecie  criminose  espressamente
 previste dal quarto comma dell'art. 58-quater o.p.,  astrattamente  a
 coincidere  con  quello  di ammissibilita' di un'eventuale istanza di
 liberazione  condizionale,   con   conseguente   annullamento   della
 necessaria  progressione trattamentale: si sarebbe, in teoria, potuta
 verificare  l'eventualita'  di  ammissione  di  un   condannato,   in
 espiazione  di  pene detentive inflitte in relazione a fattispecie di
 rilevante  disvalore  sociale,  al  "beneficio"  maggiore,  senza  la
 preventiva,   propedeutica   fruizione   dei  passaggi  trattamentali
 intermedi, di portata ed efficacia necessariamente  minore  (permessi
 premiali,    ammissione    al    lavoro   extramurario,   ma   anche,
 necessariamente, riduzione di pena per  liberazione  anticipata).  La
 distonia    di    tali    conseguenze   con   un'interpretazione   ed
 un'applicazione corrette del  sistema  della  riforma  penitenziaria,
 nella  parte inerente ai principi del trattamento rieducativo, appare
 in tutta evidenza, siccome  anche  la  paradossalita'  delle  stesse:
 l'istituto  della liberazione anticipata sarebbe venuto, per tal via,
 ad essere appiattito, quanto meno in  relazione  ad  una  determinata
 fascia  di  condannati,  su  quello  della  liberazione condizionale,
 contrariamente a quanto  sostenuto  dalla  stessa  giurisprudenza  di
 legittimita'  (v.  Cassazione,  sezione  prima,  7 luglio 1989, pres.
 Molinari, rel. Lapenna, cond. De Risi, in Cass. pen. 1990, pag. 1991,
 m. 1618; in senso sostanzialmente conforme,  v.  Cassazione,  sezione
 prima,  2  ottobre  1989, pres. Carnevale, rel. Del Vecchio, cond. De
 Gregori, in Cassazione penale 1990, pag. 2196, m. 1769).  Oltretutto,
 l'impossibilita'  di  concedere  riduzioni  di  pena  per liberazione
 anticipata se non dopo l'espiazione effettiva di due terzi della pena
 detentiva temporanea ovvero di ventisei anni,  per  gli  ergastolani,
 sarebbe  risultato  confliggente  con  i  canoni pedagogici che hanno
 recentemente  imposto,  quale  corretta  metodica  trattamentale,  la
 frazionabilita' dei periodi detentivi valutandi ai fini de quibus: la
 fruibilita'  di  riduzioni di pena se non dopo l'espiazione effettiva
 di due terzi della  pena  detentiva  temporanea  inflitta  ovvero  di
 ventisei  anni,  in  caso di irrogazione dell'ergastolo, allontanando
 nel tempo la prospettiva di un concreto riconoscimento  degli  sforzi
 adattativi   del   detenuto   avrebbe   costituito   fonte  di  reale
 disincentivazione  dello  stesso  al  mantenimento  di  una  condotta
 sostanzialmente  adesiva ai parametri di condivisione delle metodiche
 e delle finalita' trattamentali, secondo quanto  statuito,  in  epoca
 recenziore   dalla   stessa   giurisprudenza   di   legittimita'  (v.
 Cassazione, sezione prima, 15 marzo 1989,  gia'  citata;  Cassazione,
 sezione  prima,  19 aprile 1989, pres. Carnevale, rel. Pirozzi, cond.
 Ferro, in Cassazione penale 1990, pag.  1800,  m.  1473;  Cassazione,
 sezione  prima,  29  maggio  1989,  Ognibene,  in Mass. uff. 1989, m.
 181516; Cassazione, sezione prima, 16 maggio 1989, Borsone, ivi 1989,
 m. 181914; Cassazione, sezione prima,  27  dicembre  1989,  n.  2914,
 pres.  Aiello, rel. Buogo, cond. Bassi; Cassazione, sezione prima, 18
 gennaio 1990, n. 3192, pres. Carnevale, rel. Serianni, cond. Ierardi;
 Cassazione, sezione prima, 13 aprile 1990, n.  758,  pres.  Molinari,
 rel. Pompa, cond. Carbone).  Viceversa, il testo novellato del quarto
 comma dell'art. 58-quater o.p., operante un mero richiamo ai benefici
 menzionati   nel   primo  comma  dell'art.  4-  bis  o.p.,  anch'esso
 novellato, avrebbe eliminato le predette conseguenze,  esclusivamente
 laddove  il  prefato  primo  comma  dell'art. 4- bis o.p. fosse stato
 interpretato nel senso di escludere dalla sua sfera  di  operativita'
 l'istituto  di  cui  all'art.    54 o.p., siccome sostenuto da questo
 collegio. L'orientamento esegetico propugnato, infatti, ove intendeva
 il richiamo operato dal primo comma dell'art. 4- bis o.p.  effettuato
 alle   misure   alternative   alla   detenzione  stricto  sensu,  con
 conseguente  eccezione  della  riduzione  di  pena  per   liberazione
 anticipata,   consentiva   di   evitare   la  produzione  di  effetti
 confliggenti con i primcipi del trattamento rieducativo e  della  sua
 progressione,  siccome  poc'anzi  delineati,  i  quali,  peraltro, si
 sarebbero ineludibilmente riprodotti alla stregua di  un'esegesi  che
 avesse  avuto  il  fine  ultimo ed il risultato di includere anche la
 riduzione di pena per liberazione anticipata tra le "misure  alterna-
 tive  alla  detenzione  previste  dal  capo VI", menzionate dal primo
 comma dell'art. 4- bis o.p.  La tesi interpretativa osteggiata, oltre
 tutto, avrebbe prodotto  l'ulteriore  conseguenza  di  precludere  in
 maniera  assai  drastica,  per  un  rilevantissimo  periodo  di tempo
 dell'esecuzione (due terzi della  pena  detentiva  temporanea  ovvero
 ventisei anni per gli ergastolani) la fruizione dei piu' qualificanti
 strumenti  trattamentali  (tra cui anche, e soprattutto, la riduzione
 di pena per liberazione anticipata) ad una fascia di condannati,  che
 sarebbero  stati  ulteriormente  scriminati rispetto agli altri: tale
 effetto appariva in contrasto tanto  con  il  parametro  fornito  dal
 terzo  comma dell'art.  27 della Costituzione, inerente alla tensione
 della pena verso il fine della rieducazione del condannato, che,  per
 tale  via,  sarebbe  stato compresso in maniera tale da restare quasi
 completamente conculcato, quanto con il parametro di cui  al  secondo
 comma  dell'art.    3  della  Costituzione,  poiche' la disparita' di
 trattamento tra condannati sarebbe sembrata di tale  portata  da  non
 poter  essere  giustificata,  se  non  con  estrema difficolta', alla
 stregua del disvalore sociale delle fattispecie criminose sanzionate.
 Il fondamentale criterio  esegetico  che  impone  all'interprete  del
 diritto   di   salvaguardare,   tra  diversi  possibili  orientamenti
 ricostruttivi della voluntas legis, quello  maggiormente  consentaneo
 ai   valori  costituzionalmente  tutelati  imponeva,  pertanto,  alla
 stregua della gia' piu' volte richiamata ricostruzione, di  mantenere
 ferma,  anche  nella  vigenza  della legge 12 luglio 1991, n. 203, la
 tesi gia' precedentemente adottata da questo collegio, siccome  sopra
 esposta,  secondo cui la riduzione di pena per liberazione anticipata
 non  doveva  essere  annoverata  tra  le  "misure  alternative   alla
 detenzione   previste   dal   capo  sesto"  della  legge  di  riforma
 dell'ordinamento penitenziario, menzionate dal primo comma  dell'art.
 4-  bis  o.p., interpolato dal primo comma dell'art. 1 della legge n.
 203/1991, si' che, onde far luogo alla concessione della stessa,  non
 appariva  necessario  adire  il  competente  comitato provinciale per
 l'ordine e la sicurezza pubblica, al fine di acquisirne  elementi  di
 giudizio  inerenti all'attualita' di collegamenti con la criminalita'
 organizzativa od eversiva.
    Sin qui questo tribunale di sorveglianza in  precedenti  pronunzie
 sull'argomento.
    L'orientamento   esegetico   sopra   doviziosamente   esposto  ha,
 peraltro, trovato smentita nella giurisprudenza di  legittimita',  la
 quale,  in  epoca ancora recente, seppure in maniera gia' tralatizia,
 ha statuito piu' volte che il disposto del primo comma  dell'art.  4-
 bis  della  legge  26  luglio  1975,  n.  354 e successive modifiche,
 siccome interpolato nel corpus  originario  della  legge  di  riforma
 del'ordinamento  penitenziario  dal primo comma dell'art. 1 del d.-l.
 13 maggio 1991, n. 152, deve essere  interpretato  secondo  parametri
 esclusivamente  letterali,  si' che l'espressione " ..misure alterna-
 tive  alla  detenzione  previste  dal  capo  sesto  .."  deve  essere
 rettamente  intesa,  ai fini de quibus agitur, come comprensiva anche
 della riduzione di pena per liberazione  anticipata  (v.  Cassazione,
 sezione  prima, 21 novembre 1991, n. 4409, pres. Vitale, rel. Gioggi,
 Tortora; Cassazione, sezione prima, 27 novembre 1991, n. 4516,  pres.
 Vitale, rel. Tricomi, Spenuso; Cassazione, sezione prima, 12 dicembre
 1991,  n.  4845,  pres.  Sibilia,  rel. Pirozzi, Topazio; Cassazione,
 sezione prima,  12  dicembre  1991,  n.  4848,  pres.  Sibilia,  rel.
 Pirozzi,  Del  Vivo;  Cassazione, sezione prima, 18 dicembre 1991, n.
 4971, pres.  Carnevale, rel. Tricomi, De Sanctis; Cassazione, sezione
 prima,  13  gennaio  1992,  n.  60,  pres.  Carnevale,  rel.  Pintus,
 Branciforte;  tutte  inedite).  Secondo  la  Corte  di  cassazione il
 riferimento alle misure  alternative  previste  nel  capo  sesto  del
 titolo  primo  della legge n.   354/1975 appare chiaro nel richiamare
 tutti i benefici disciplinati nell'ambito  della  prefata  partizione
 legislativa    ed   individuati   come   tali   (misure   alernative)
 dall'intitolazione del capo: poiche' lo  stesso  e',  per  l'appunto,
 intitolato alle misure alternative alla detenzione ed alla remissione
 del debito e poiche' tra le misure nell'ambito dello stesso prevedute
 e'  inclusa  anche  la  riduzione  di pena per liberazione anticipata
 appare di tutta evidenza che tale beneficio debba essere  ricompreso,
 ai  fini  de quibus agitur, nella dizione " ..misure alternative alla
 detenzione previste  dal  capo  sesto  .."  di  cui  al  primo  comma
 dell'art.   4-   bis   o.p.:   tale   normativa   dovrebbe,   secondo
 l'orientamento    esegetico   predicato   dalla   giurisprudenza   di
 legittimita', essere interpretata  secondo  i  canoni  di  un'esegesi
 strettamente ancorata al dato testuale, senza possibilita' alcuna per
 il  ricorso  ad  altri  parametri  ermeneutici  (quali quello logico-
 sistematico  ovvero  quello  storico,  utilizzati  nell'ambito  della
 ricostruzione  fornita  da  questo  collegio, siccome sopra esposto),
 poiche' il ricorso agli stessi sarebbe stato impedito dall'assenza di
 qualsivoglia risvolto di ambiguita' del testo normativo interpretando
 (primo comma dell'art. 4- bis o.p.).  Laddove alcune tra le  sentenze
 sopra  richiamate  operano  un esclusivo ed assorbente riferimento al
 criterio di  interpretazione  letterale,  siccome  poc'anzi  esposto,
 considerando  inconferente  ogni  considerazione inerente alla natura
 giuridica del beneficio di disamina (v. Cassazione, sezione prima, 18
 dicembre 1991, n. 4971, gia' citata),  altri  provvedimenti  giungono
 sino  ad  assimilare  la riduzione di pena per liberazione anticipata
 alle vere e proprie misure alternative alla stregua della riflessione
 che " ..per effetto della concessione del beneficio, puo' verificarsi
 l'immediata liberazione del condannato in tutti i  casi  in  cui  gli
 abbuoni  di  pena  siano  relativi agli ultimi periodi di pena che il
 soggetto avrebbe dovuto espiare, e, quindi, si avrebbe una  immediata
 alternativita' alla detenzione"; a cio' si aggiunge la considerazione
 che  " ..il richiamo esplicito, nella intestazione dell'art. 54 della
 legge  n.    354/1975,  al  beneficio  de  quo,  quale   "liberazione
 anticipata" contiene in se' il riferimento ad una pena che, in parte,
 non  viene  espiata  in  stato di detenzione, ma in stato di liberta'
 ..";  per  tale  via,  ed  alla  stregua  di  ulteriori  osservazioni
 concernenti  gli aspetti di premialita' insiti nella regolamentazione
 dei rimanenti "benefici",  la  Cassazione  giunge  ad  assimilare  la
 riduzione  di  pena  per liberazione anticipata alle rimanenti misure
 alternative alla detenzione disciplinate nel capo  sesto  del  titolo
 primo  della legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni,
 includendo tra le stesse anche le licenze premiali per  i  semiliberi
 (v.  Cassazione,  sezione  prima,  21  novembre  1991,  n. 4409, gia'
 menzionata).  La  conclusione  conseguenziale  a  siffatto  ragionare
 comporta  l'astensione  dell'onere  di acquisizione delle informative
 relative all'attualita' di contatti con la  criminalita'  organizzata
 od  eversiva,  per il tramite del comitato provinciale per l'ordine e
 la sicurezza pubblica, anche alle istanze intese all'ottenimento  del
 riconoscimento  giudiziale  del  diritto  a  riduzioni  di  pena  per
 liberazione anticipata. Cio' stante, anche in relazione alle  istanze
 intese   all'ottenimento   di   riduzioni  di  pena  per  liberazione
 anticipata, presentate dai condannati per le  fattispecie  delittuose
 individuate  dal  primo  comma dell'art. 4- bis della legge 26 luglio
 1975, n. 354 e successive modificazioni, sussiste  l'obbligo  per  la
 magistratura   di   sorveglianza  di  procedere  all'acquisizione  di
 informazioni  sulla   sussistenza   di   collegamenti   attuali   del
 richiedente  con la criminalita' organizzata od eversiva, fornite per
 il tramite dei competenti comitati  provinciali  per  l'ordine  e  la
 sicurezza  pubblica,  ed alla conseguente valutazione delle stesse in
 ambito di definizione delle istanze predette.  Orbene, i  profili  di
 illegittimita'   costituzionale  della  normativa  in  disamina  sono
 rilevabili proprio  in  relazione  ai  canoni  di  valutazione  delle
 suddette  informazioni  che il legislatore ha prospettato nell'ambito
 della disciplina di cui al prefato art.  4-  bis  o.p.  Si  rammenti,
 infatti,  che  la norma richiamata individua due diverse categorie di
 detenuti: la prima e' costituita dai condannati per delitti  commessi
 per   finalita'   di   terrorismo  o  di  eversione  dell'ordinamento
 costituzionale, per delitti  commessi  avvalendosi  delle  condizioni
 previste  dall'articolo  416- bis del codice penale ovvero al fine di
 agevolare  l'attivita'  delle  associazioni  previste  dallo   stesso
 articolo,  nonche' per i delitti di cui agli artt. 416- bis e 630 del
 codice penale e dell'art. 74 del testo unico delle leggi  in  materia
 di   disciplina  degli  stupefacenti  e  delle  sostanze  psicotrope,
 prevenzione,  cura   e   riabilitazione   dei   relativi   stati   di
 tossicodipendenza,  approvato  con  d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, la
 seconda dai condannati per i delitti di  cui  agli  artt.  575,  628,
 terzo  comma,  629,  secondo  comma, del codice penale e all'art. 73,
 limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'art.  80,  secondo
 comma,  del  predetto  testo unico, approvato con d.P.R. n. 309/1990.
 Nei confronti dei condannati rientranti nel novero della prima  delle
 suindicate  categorie  il  legislatore  statuisce  che le particolari
 misure trattamentali individuate dallo stesso primo  comma  dell'art.
 4-  bis  o.p.  sono  concedibili  "  ..solo  se  sono stati acquisiti
 elementi tali  da  escludere  l'attualita'  di  collegamenti  con  la
 criminalita'   organizzata   o   eversiva".   Viceversa,  gli  stessi
 "benefici" possono essere concessi ai condannati di cui alla  seconda
 delle suenunziate categorie: " ..solo se non vi sono elementi tali da
 far  ritenere  la  sussistenza  di  collegamenti  con la criminalita'
 organizzata o eversiva". Orbene, dall'esposizione  della  materia  e'
 dato arguire che in capo ai condannati della prima categoria, siccome
 sopra  individuata,  il  legislatore  ha  posto  una  vera  e propria
 presunzione  di  pericolosita'  sociale  qualificata   (rectius:   di
 attualita'   di  collegamenti  con  la  criminalita'  organizzata  od
 eversiva), la quale puo' essere  superata,  ai  fini  dell'ammissione
 alla  fruizione  dei particolari strumenti trattamentali indicati dal
 primo comma dell'art. 4- bis o.p., soltanto mediante  il  reperimento
 di  concreti  elementi  di  giudizio  che consentano di comprovare in
 termini positivi l'assenza dei prefati collegamenti.  Diversa  appare
 la   situazione   dei   condannati  rientranti  nella  seconda  delle
 surrichiamate categorie, nei cui confronti il legislatore, al di  la'
 della   statuizione   di   qualsivoglia   presunzione,   sembra  aver
 semplicemente indicato un ulteriore thema probandi alla  magistratura
 di    sorveglianza:    quest'ultima,   infatti,   nel   vagliare   la
 partecipazione all'opera di rieducazione, i progressi intervenuti nel
 corso della stessa, la regolare condotta intramuraria del  condannato
 dovra'  attendere ad una valutazione intesa a verificare l'assenza di
 strumentalita'  dei  suddetti  requisiti,  siccome  desumibile  dalla
 presenza  di dissimulati collegamenti con la criminalita' organizzata
 od eversiva. La  disciplina  prospettata  dal  legislatore  opera  un
 rilevante  discrimine  tra  le  due  categorie  sopra  enunziate:  la
 semplice  mancanza  di  elementi  di  riscontro  circa  l'ipotesi  di
 presenza  di  collegamenti  attuali  con la criminalita' organizzata,
 infatti, potrebbe  in  teoria,  in  presenza,  id  est,  degli  altri
 presupposti   e   requisiti   individuati   dalla  legge  di  riforma
 dell'ordinamento penitenziario, essere  sufficiente  all'accoglimento
 delle  istanze  presentate  dai  condannati di cui alla seconda delle
 suddette  categorie,  mentre  altrettanto  non  puo'  dirsi   per   i
 condannati  di  cui  alla  prima  categoria,  nei  cui  confronti, si
 rammenti,  sussiste  l'obbligo  di  acquisizione di positivi elementi
 atti a comprovare l'assenza dei  collegamenti  sopra  richiamati.  La
 particolare  difficolta'  di  acquisizione  dei  prefati  elementi di
 riscontro  (prova  positiva  dell'assenza  di  collegamenti  con   la
 criminalita'  organizzata),  di  cui si e' fatto cenno in altra parte
 del presente provvedimento, tale da configurare una  vera  e  propria
 probatio   diabolica,  produce  un  effetto,  a  giudizio  di  questo
 collegio,  di  depotenziamento  della  sfera  di  operativita'  delle
 opportunita'  risocializzatrici  offerte  a  tutti i condannati dalla
 legge di riforma  dell'ordinamento  penitenziario,  tale  da  indurre
 all'apprezzamento  di  un  profilo  di  contrasto  delle normativa in
 disamina con il precetto posto dal terzo  comma  dell'art.  27  della
 Costituzione,  secondo  cui  la  pena  deve  tendere al reinserimento
 sociale del reo. Si ponga, infatti, mente alla considerazione che  il
 primo  comma  dell'art.  4- bis o.p.   preclude, nell'eventualita' di
 mancanza di elementi di riscontro atti a provare in termini  positivi
 l'assenza  di collegamenti con la criminalita' organizzata, l'accesso
 a tutti i piu' pregnanti strumenti di  trattamento  penitenziario,  i
 quali  implichino  contatti  con  l'ambito  extrapenitenziario ovvero
 diminuzioni del quantum di pena da espiare (permessi premiali, lavoro
 all'esterno,  misure   alternative   alla   detenzione,   liberazione
 condizionale, art. 2 del d.-l. n. 152/1991), limitando, nei confronti
 dei  soggetti  individuati  dalla  prima  parte  del  primo comma del
 prefato art. 4-  bis  o.p.,  il  trattamento  rieducativo  alla  sola
 offerta degli strumenti e delle opportunita' intramurarie, la cui re-
 ale  efficacia  a  fini  rieducativi (o, quanto meno, di contenimento
 degli  effetti  desocializzanti  della  pena  detentiva)  ha  destato
 perplessita'  nella dottrina penalistica e criminologica sin da tempi
 risalenti  (quanto  meno  dall'epoca  di  insorgenza   del   problema
 dell'individuazione  di  sanzioni  alternative  alla  pena  detentiva
 tradizionale). Si rammenti che  autorevolissima  dottrina,  in  epoca
 coeva  all'entrata  in vigore della legge di riforma dell'ordinamento
 penitenziario, asseriva che " ..chi avesse pensato  originalmente  ed
 essenzialmente  la pena in funzione puramente rieducativa non avrebbe
 mai fatto assurgere a  pena  fondamentale  dell'ordinamento  la  pena
 carceraria".
    L'esperienza  quotidiana dei tribunali di sorveglianza insegna che
 nella stragrande maggioranza dei casi la  richiesta  di  informazioni
 circa  l'attualita'  di  collegamenti con la criminalita' organizzata
 sortisce l'acquisizione di risposte  attestanti  l'impossibilita'  di
 reperimento di elementi atti a consustanziare l'ipotesi di assenza di
 tali  collegamenti  (del  tipo:  "allo  stato  attuale  non  si hanno
 elementi per  escludere  che  il  condannato  sia  collegato  con  la
 criminalita'  organizzata")  ovvero,  nella  migliore  delle ipotesi,
 asserenti in maniera apodittica, id  est  priva  dell'indicazione  di
 concreti    riscontri,    il   collegamento   con   ben   determinate
 organizzazioni criminali: ai fini che ne occupano, per vero,  inform-
 ative  del  primo tipo risultano sufficienti ad indurre ad un rigetto
 delle istanze, proposte dai condannati individuati dalla prima  parte
 del  primo  comma  dell'art.  4-  bis  o.p.,  intese all'accesso agli
 strumenti trattamentali sopra richiamati. Appare  in  tutta  evidenza
 l'effetto   di   disincentivazione   alla  cooperazione  al  semplice
 trattamento intramurario, la cui efficacia  risocializzatrice  viene,
 per  tal  via, ad essere compromessa in maniera pressoche' totale: si
 ponga,  ancora,  mente  alla  natura  di  stimolo  incentivante  alla
 condivisione  di  metodiche   e   tematiche   trattamentali   proprie
 dell'istituto  della  riduzione  di  pena per liberazione anticipata,
 gia' menzionata in  altra  parte  del  presente  provvedimento.  Alle
 osservazioni  che  precedono  potra'  obiettarsi  che il legislatore,
 nell'ambito della propria discrezionalita', e' libero  di  introdurre
 normative   che   abbiano   lo   scopo   di   rinsaldare   la  natura
 generalpreventiva della sanzione  penale  e  la  funzione  di  difesa
 sociale    della    pena   detentiva:   cio'   appare   di   indubbia
 incontrovertibilita', ma si rivela, altresi', necessario spingere  il
 vaglio   della  normativa  ordinaria  sino  al  punto  di  constatare
 l'eventualita'  di  obliterazione,  da  parte  della  stessa,   della
 funzione  rieducativa  della  pena, che' il completo sacrificio della
 stessa, a vantaggio delle altre funzioni sopra ricordate,  appare  in
 conflitto   con   il   disposto  dell'art.  27,  terzo  comma,  della
 Costituzione. Vero e' che, secondo le statuizioni della Consulta,  la
 pena  detentiva  appare rivestire una natura polifunzionale (v. Corte
 costituzionale 2-4 aprile  1985,  n.  102,  pres.  Elia,  rel.  Saja,
 Marzucchi, Roberti, Cristelli, in Cassazione penale 1985, pag. 1322 e
 segg.;   Corte  costituzionale,  8-25  maggio  1985,  n.  169,  pres.
 Roherssen, rel. Paladin, Branchesi, in Cassazione penale  1985,  pag.
 1779  e  segg.),  ma  la  corrente  esegetica  che,  in ossequio alla
 finalita' plurisatisfattiva  della  sanzione  penale,  interpreta  il
 precetto  costituzionale  in  maniera  tale  da limitarne l'ambito di
 operativita' alla sola sfera  del  trattamento  penitenziario  appare
 smentita  da  recente  pronunzia  della  Corte  costituzionale (Corte
 costituzionale, sent. 26 giugno-2 luglio 1990, n.  313,  pres.  Saja,
 rel. Gallo, Milano, Voraldo, Quartarone, in Gazzetta Ufficiale, prima
 serie  speciale,  4 luglio 1990, n. 27, pag. 9 e segg.), secondo cui:
 " ..incidendo la pena sui diritti di chi vi e' sottoposto,  non  puo'
 negarsi  che,  indipendentemente  da  una considerazione retributiva,
 essa  abbia  necessariamente  anche  caratteri  in   qualche   misura
 afflittivi.  Cosi'  come  e'  vero  che  alla  sua  natura ineriscano
 caratteri di difesa sociale, e  anche  di  prevenzione  generale  per
 quella certa intimidazione che esercita sul calcolo utilitaristico di
 colui    che    delinque.   Ma,   per   una   parte   (afflittivita',
 retributivita'),  si  tratta  di  profili   che   riflettono   quelle
 condizioni  minime, senza le quali la pena cesserebbe di essere tale.
 Per altra parte, poi (reintegrazione, intimidazione, difesa sociale),
 si tratta bensi' di valori che hanno un fondamento costituzionale, ma
 non tale da autorizzare il pregiudizio  della  finalita'  rieducativa
 espressamente    consacrata    dalla    Costituzione   nel   contesto
 dell'istituto della pena.  Se  la  finalizzazione  venisse  orientata
 verso  quei  diversi caratteri, anziche' al principio rieducativo, si
 correrebbe  il  rischio  di  strumentalizzare  l'individuo  per  fini
 generali   di   politica   criminale   (prevenzione  generale)  o  di
 privilegiare la soddisfazione di bisogni collettivi di  stabilita'  e
 sicurezza   (difesa  sociale),  sacrificando  il  singolo  attraverso
 l'esemplarita' della sanzione.  E'  per  questo  che,  in  uno  Stato
 evoluto,  la  finalita' rieducativa non puo' essere ritenuta estranea
 alla legittimazione e alla funzione stessa della pena.   L'esperienza
 successiva  ha,  infatti, dimostrato che la necessita' costituzionale
 che la pena debba "tendere" a rieducare, lungi dal rappresentare  una
 mera  generica  tendenza  riferita al solo trattamento, indica invece
 proprio  una  delle qualita' essenziali e generali che caratterizzano
 la pena nel suo contenuto  ontologico,  e  l'accompagnano  da  quando
 nasce,  nell'astratta previsione normativa, fino a quando in concreto
 si estingue.  Cio'  che  il  verbo  "tendere"  vuole  significare  e'
 soltanto  la  presa  d'atto della divaricazione che nella prassi puo'
 verificarsi  tra  quella  finalita'  e  l'adesione   di   fatto   del
 destinatario   al   processo   di   rieducazione;  com'e'  dimostrato
 dall'istituto che fa corrispondere  benefici  di  decurtazione  della
 pena  ogniqualvolta,  e  nei  limiti temporali, in cui quell'adesione
 concretamente si manifesti (liberazione anticipata). Se la  finalita'
 rieducativa  venisse  limitata alla sola fase esecutiva, rischierebbe
 grave compromissione ogniqualvolta specie e durata della sanzione non
 fossero  state  calibrate  (ne'  in  sede  normativa  ne  in   quella
 applicativa)  alle  necessita'  rieducative del soggetto".   La lunga
 citazione e' apparsa necessaria  non  quale  sfoggio  di  pedanteria,
 bensi'   onde  opeare  un  richiamo  alla  forte  ed  autorevolissima
 sottolineatura  della  funzione  della  sanzione   penale,   vieppiu'
 necessaria  in  un'epoca,  come  quella  presente,  caratterizzata da
 appannamento e da confusione circa la riflessione sugli  scopi  della
 pena  detentiva  e  da  prese  di  posizione  dettate  non  da rigore
 scientifico, ma, apparentemente, dalla necessita' di  operare  scelte
 di  politica  criminale  dettate  dall'esigenza  del momento. Orbene,
 quanto statuito dalla consulta  appare  sufficiente  a  far  dubitare
 della legittimita' della disciplina di cui alla prima parte del primo
 comma  dell'art.  4- bis o.p. per contrasto con il precetto del terzo
 comma  dell'art.  27  della  Costituzione:  la  subordinazione  della
 concessione di un istituto quale la riduzione di pena per liberazione
 anticipata   all'acquisizione   di  prove  positive  dell'assenza  di
 collegamenti attuali con la criminalita' organizzata, la creazione in
 capo ai soggetti indicati dalla prima parte del primo comma dell'art.
 4- bis o.p. di una presunzione di attualita' dei prefati collegamenti
 si risolvono in una presunzione di  impraticabilita',  nei  confronti
 dei  predetti soggetti, di uno tra i piu' pregnanti tra gli strumenti
 del trattamento penitenziario,  la  cui  concessione,  peraltro,  non
 appare  piu',  alla  stregua  della  novella di cui all'art. 18 della
 legge 10 ottobre 1986, n. 663, discrezionale, sibbene doverosa (fatta
 sempre salva la necessita' di accertare giudizialmente la sussistenza
 dei presupposti di legge)  (v.  Corte  costituzionale,  23-31  maggio
 1990,  n. 276, pres. Saja, rel. Gallo, Calore ed altro, in Cassazione
 penale 1991, m.  2,  pag.  4  e  segg.).  Siffattamente  operando  si
 perviene  ad  una svalutazione della finalita' rieducativa della pena
 proprio nel momento rispetto al quale la stessa appare, anche secondo
 i sostenitori della teoria che si  potrebbe  definire  "minimalista",
 maggiormente   connaturata,  id  est  quello  dell'esecuzione  e  del
 trattamento penitenziario. Non si nasconde questo collegio la  trista
 realta'  della  sussistenza di condannati che, strumentalmente agendo
 al fine di  conseguire  alleggerimenti  della  posizione  espiatoria,
 simulano   una  condotta  osservante  dei  canoni  di  partecipazione
 all'attivita' trattamentale, dissimulando, viceversa, connessioni con
 pericolose organizzazioni criminali: allo scopo, peraltro, di evitare
 che siffatti  soggetti  beneficino  dell'ammissione  agli  astrumenti
 trattamentali   ed   alle  misure  alternative  appare  adeguata  una
 disciplina tal quale quella predisposta dal legislatore del 1991  nei
 confronti  della  seconda  delle  due  categorie  di  detenuti  sopra
 richiamate  ed  individuata  dalla  seconda  parte  del  primo  comma
 dell'art. 4-bis o.p., della cui legittimita'  costituzionale  non  si
 dubita:  sembra  cioe',  sufficiente  indicare  un  particolare  iter
 istruttorio  alla  magistratura  di  sorveglianza,   svincolando   il
 giudizio  della stessa da rigidi automatismi e permettendo la ricerca
 e la valutazione di concreti elementi di riscontro atti a  comprovare
 in  positivo la presenza di legami con la criminalita' organizzata od
 eversiva.  Viceversa, la statuizione di una  presunzione  qualificata
 di  attualita'  dei predetti collegamenti (quasi che per i condannati
 per alcuni particolari titoli delittuosi la  permanenza  del  vincolo
 associativo  fosse  in  re  ipsa),  superabile  soltanto  mediante la
 acquisizione, peraltro di quasi  impossibile  verificazione  pratica,
 siccome  sopra  ricordato, di positivi elementi dell'assenza dei gia'
 piu' volte menzionati collegamenti con  la  criminalita'  organizzata
 appare  escogitazione  legislativa  tale  da  svilire  il trattamento
 penitenziario  dei  soggetti  sopra  individuati  sino  al  punto  di
 obliterare  la  funzione  rieducativa  dello  stesso,  la cui massima
 esplicazione, secondo quanto asserito dalla stessa consulta (v. Corte
 costituzionale, sentenza  26  giugno-2  luglio  1990,  n.  313,  gia'
 citata),  si  manifesta nell'istituto disciplinato dall'art. 54 della
 legge 26 luglio 1975, n. 354 e succ. mod. Appare opportuno ricordare,
 a tal proposito, che, nella vigenza dell'originaria legge di  riforma
 dell'ordinamento  penitenziario,  in  epoca,  cioe', antecedente alle
 modifiche  apportate  dalla  legge  10  ottobre  1986,  n.  663,   la
 sussistenza  di  preclusioni  alla  fruibilita' di misure alternative
 quali l'affidamento in prova al servizio sociale  e  la  semiliberta'
 (derivanti  dalla  presenza di dichiarazioni di recidiva ovvero dalla
 commissione di particolari delitti) venne giudicata non completamente
 confliggente con il precetto di cui al terzo comma dell'art. 27 della
 Costituzione proprio in virtu'  della  possibilita'  di  adizione  di
 altri  strumenti  del  trattamento  penitenziario: si rammenti che la
 possibilita' di ammissione alla prestazione  di  mansioni  lavorative
 all'esterno  dell'istituto  di  pena  non  ha  mai preveduto, sino al
 gennaio 1991, la sussistenza di titoli di reato ostativi alla  stessa
 e   che  la  previsione  normativa  che  stabiliva  che  il  detenuto
 condannato per determinate fattispecie delittuose non  potesse  adire
 l'istituto  della  riduzione di pena per liberazione anticipata venne
 abrogata mediante la legge 12 gennaio 1977, n. 1, la quale, peraltro,
 introdusse rilevanti restrizioni ad  altri  istituti  dell'originaria
 legge   di  riforma  dell'ordinamento  penitenziario,  essendo  stata
 promulgata  in  un  momento  storico  caratterizzato  da  particolare
 disfavore  nei  confronti degli istituti del trattamento rieducativo.
 Orbene, la prima parte del primo comma dell'art. 4- bis  della  legge
 26  luglio  1975,  n. 354 e succ. mod., mediante la prefigurazione in
 capo ai soggetti in essa individuati (condannati per delitti commessi
 per  finalita'  di  terrorismo  o   di   eversione   dell'ordinamento
 costituzionale,  per  delitti  commessi  avvalendosi delle condizioni
 previste dall'art. 416- bis del  codice  penale  ovvero  al  fine  di
 agevolare   l'attivita'  delle  associazioni  previste  dallo  stesso
 articolo, nonche' per i delitti di cui agli articoli 416- bis  e  630
 del  codice  penale  e  all'art.  74  del  testo unico delle leggi in
 materia di disciplina degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope,
 prevenzione,  cura   e   riabilitazione   dei   relativi   stati   di
 tossicodipendenza, approvato con d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309) di una
 presunzione   qualificata   di  attualita'  di  collegamenti  con  la
 criminalita' organizzata, superabile  soltanto  attraverso  la  prova
 positiva  di  assenza  dei  collegamenti  stessi,  peraltro  di assai
 difficile (ove non impossibile) acquisizione, pone un  ostacolo  alla
 fruizione  di  uno  tra  i  piu'  pregnanti strumenti del trattamento
 penitenziario, quale la riduzione di pena per liberazione anticipata,
 si' da svilire la finalita' rieducativa della  sanzione  penale,  sin
 quasi  ad  una  totale  obliterazione  della  stessa,  in  un momento
 particolarmente  connesso  alla  finalita'  suddetta,   come   quello
 dell'esecuzione  e  del  trattamento:  da cio' desumesi un vulnus del
 procetto statuito dal terzo comma dell'art.  27  della  Costituzione,
 tale  da  indurre  questo  collegio  ad  apprezzare  la necessita' di
 procedere ad una rimessione degli atti alla Corte costituzionale.
    Ancora, aggiungasi che la disciplina predisposta dall'art. 4-  bis
 della  legge  26  luglio 1975, n. 354 e succ. mod. appare confliggere
 anche con il  principio  di  eguaglianza  di  cui  all'art.  3  della
 Costituzione:    invero,   non   si   rinviene   alcuna   ragionevole
 giustificazione della disparita' trattamentale riservata ai  soggetti
 indicati  dalla  prima  parte  del  primo comma dell'art. 4- bis o.p.
 rispetto a quelli individuati dalla seconda parte del medesimo comma,
 i quali potrebbero risultare penalmente responsabili  di  delitti  di
 non  minore efferatezza e disvalore sociale (si pensi alla situazione
 dell'autore  di  un  omicidio   premeditato,   magari   plurimo,   in
 comparazione  a  quella del correo di sequestro di persona a scopo di
 estorsione,  che  abbia   svolto,   nell'ambito   dell'organizzazione
 criminosa,  mansioni di secondaria importanza) e, comunque, fruire di
 un trattamento piu' favorevole, poiche' nei loro confronti si  rende,
 allo  stato,  necessaria l'acquisizione della prova della presenza di
 collegamenti attuali con  la  criminalita'  organizzata,  tramite  il
 reperimento  di  elementi  di  riscontro dettagliati (v. art. 4- bis,
 seconda parte del primo comma, o.p.), si' che la mera  assenza  degli
 stessi  non varrebbe, come per i soggetti di cui alla prima parte del
 primo comma dell'art. 4- bis o.p., a consustanziare una pronunzia  di
 reiezione  delle  istanze intese all'ottenimento dei "benefici" della
 legge di riforma  dell'ordinamento  penitenziario.    Cio'  detto  in
 relazione   alla   non  manifesta  infondatezza  della  questione  di
 legittimita'  costituzionale,  occorre  sottolineare   gli   elementi
 sottesi  al  giudizio  di  rilevanza  della  stessa  nella  procedura
 presente:  basti,  a  tale  scopo,  riflettere  che  le  informazioni
 acquisite  per  il tramite del comitato provinciale per l'ordine e la
 sicurezza pubblica di Ascoli Piceno (v. nota n.  1307/9B-1 redatta in
 data 10 gennaio 1992 dalla prefettura  di  Ascoli  Piceno,  in  atti)
 asseriscono   l'insussistenza   di   elementi   idonei  a  comprovare
 l'attualita'  di  collegamenti  del  Pagano   con   la   criminalita'
 organizzata  (non  la  presenza,  si  badi,  di  positivi elementi di
 riscontro atti a comprovare l'assenza di collegamenti attuali  ovvero
 l'intervenuta   recisione   di   collegamenti  passati),  aggiungendo
 ulteriori  emergenze  (la  menzione   dei   precedenti   penali   del
 condannato,  l'asserzione  di  pregressi  legami con l'organizzazione
 camorristica capeggiata da tale Francesco  Tessitore,  orbitante  nel
 piu'    vasto   sodalizio   criminoso   denominato   "nuova   camorra
 organizzata", la presenza dei collegamenti  attuali  con  il  prefato
 clan  malavitoso per il tramite di familiari e conoscenti), le quali,
 invero,  acquisite  per  il  tramite  della  prefettura  di  Caserta,
 competente  in  ordine  al  luogo  di  residenza abituale del Pagano,
 risultano apodittiche in quanto sfornite di dettagliati  elementi  di
 riscontro  che non siano i pregressi criminosi del Pagano, si' da non
 integrare il  requisito  dell'attualita',  secondo  i  dettami  della
 stessa  Corte  di cassazione (v. Cassazione, sezione prima, 15 maggio
 1989, presidente Carnevale,  relatore  Dell'Anno,  cond.  Todice,  in
 Cassazione  penale  1990, pagg. 1990 e seg., m. 1617; v. anche, circa
 l'obbligo di dettagliatezza dri  riscontri  informativi,  Cassazione,
 sezione prima, 27 novembre 1991, n. 4516, presidente Vitale, relatore
 Tricomi,   Spenuso,   inedita)   e,   pertanto,  non  particolarmente
 significative, ai fini che ne  occupano.  Stante  la  presunzione  di
 attualita'  di  collegamenti con la criminalita' organizzata gravante
 in capo ai soggetti sopra individuati (quindi anche in capo al Pagano
 Guido, condannato, si rammenti, per  concorso  in  partecipazione  ad
 associazione  per  delinquere  di  tipo  mafioso a pena detentiva ora
 intieramente espiata, ma ancora in corso di esecuzione  all'epoca  di
 presentazione  della  istanza  oggi  in disamina e, pertanto, tale da
 influire, ai fini che ne occupano, sui  criteri  di  decisione  della
 stessa,  stante  il  principio di unicita' delle pene concorrenti, di
 cui al combinato disposto degli artt.  76,  primo  comma,  e  80  del
 codice  penale)  l'informativa predetta appare sufficiente allo scopo
 di consustanziare una  pronunzia  di  reiezione  dell'istanza  intesa
 all'ottenimento  di una riduzione di pena per liberazione anticipata,
 senza,  invero,  rendere  necessari  ulteriori,   piu'   approfonditi
 accertamenti    circa    l'effettiva   sussistenza   dei   denunziati
 collegamenti (la quale, va da se',  escluderebbe  l'apprezzamento  di
 un'adesione   alle   tematiche   trattamentali),   siccome   sarebbe,
 viceversa, opportuno laddove la disciplina legislativa fosse  analoga
 a  quella prevista per i soggetti individuati nella seconda parte del
 primo comma dell'art. 4- bis o.p.
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  4-  bis,  primo comma, prima
 parte, della legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni,
 siccome interpolato nel  corpo  originario  della  legge  di  riforma
 dell'ordinamento  penitenziario dal primo comma dell'art. 1 del d.-l.
 13 maggio 1991, n. 152, convertito con legge 12 luglio 1991, n.  203,
 per  violazione  degli  artt. 3, 27, terzo comma, della Costituzione,
 nei sensi di cui in motivazione;
    Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale  e  la
 sospensione del giudizio in corso;
    Dispone  che,  a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
 notificata a Pagano Guido, meglio qualificato  in  epigrafe,  al  suo
 difensore di fiducia, al procuratore generale della Repubblica presso
 la  Corte  di  appello  di  Ancona,  al  Presidente del Consiglio dei
 Ministri e sia comunicata al Presidente della Camera dei Deputati  ed
 al Presidente del Senato.
    Cosi' deciso in Ancona, il giorno 27 febbraio 1992.
                        Il presidente: GALASSI
                          Il magistrato di sorveglianza est.: SEMERARO
    Depositato in Cancelleria il 2 marzo 1992.
               Il collaboratore di cancelleria: MARCONI

 92C0514