N. 15 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 24 aprile 1992
N. 15 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 24 aprile 1992 (della regione Veneto) Finanza regionale - Accreditamento alla regione Veneto di somme inferiori a quelle richieste in sede di prelevamento dal conto corrente infruttifero alla stessa intestato per far fronte ad impellenti necessita' di cassa (pagamenti connessi alla gestione finanziaria ordinaria) - Asserita indebita invasione della sfera di autonomia finanziaria della regione - Riferimento alle sentenze della Corte nn. 95/1981, 162/1982, 307/1983, 242/1985 e 742/1988. (Nota Ministro del tesoro in data 8 febbraio 1992). (Cost., artt. 117, 118 e 119).(GU n.20 del 13-5-1992 )
Ricorso della regione Veneto, in persona del presidente pro-tempore della giunta regionale, autorizzato mediante deliberazione della giunta stessa n. 1930 in data 10 aprile 1992, rappresentato e difeso, per mandato a margine del presente atto, dagli avvocati prof. Mario Bertolissi e Luigi Manzi, presso quest'ultimo elettivamente domiciliato in Roma, via F. Confalonieri n. 5, contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio in carica, per regolamento di competenza in relazione alla nota del Ministro del tesoro datata 8 febbraio 1992, pervenuta al presidente della giunta regionale del Veneto il 20 febbraio 1992. F A T T O Le vicende che hanno dato luogo al presente conflitto sono presto dette. Come in passato, la regione Veneto ha provveduto pure di recente ad inoltrare al Ministro del tesoro (direzione generale del tesoro - divisione VI) richieste di prelevamento di somme dal conto infruttifero ad essa intestato per far fronte a impellenti necessita' di cassa (pagamento di mandati connessi alla gestione finanziaria ordinaria). Il tenore delle richieste e' il seguente: "Come previsto dall'art. 26 della legge 26 febbraio 1982, n. 51, e successive modificazioni e integrazioni, si chiede che venga prelevata dal conto corrente n. 22717 ex n. 502 la somma di lire ..". La nota prosegue, quindi, con affermazioni di rito (alle quali corrisponde ovviamente lo stato di fatto), secondo cui "l'importo che costituisce il limite del 3% dell'ammontare delle entrate finali previste dal bilancio di competenza per l'esercizio .. approvato con legge regionale .. e' di lire .."; allo scopo, si dichiara "di non disporre di altri fondi se non quelli risultanti dall'allegata dichiarazione del tesoriere ..". Com'e' di tutta evidenza, quello concretizzato e' uno dei numerosi profili in cui si articola l'istituto della "tesoreria unica", che la legislazione dello Stato ha introdotto al fine di evitare ristagni di liquidita', fonte di oneri a carico della finanza pubblica. Ma - com'e' ancora noto - la "tesoreria unica" non ha mai comportato - anche perche' codesta Corte lo ha sistematicamente escluso - il riconoscimento a favore dello Stato (per l'esattezza: del Ministro del tesoro) del potere di disporre unilateralmente circa l'utilizzo immediato di somme, correlate al normale funzionamento della Regione, che in caso contrario deve ricorrere ad onerose anticipazioni del tesoriere per fronteggiare spese impegnate, liquidate e il cui pagamento e' stato ordinato. Senonche', in tempi recenti e' accaduto che, a fronte delle domande inoltrare, la regione si e' vista accreditare somme di gran lunga minori, senza motivazione alcuna: si vedano, infatti, le note 29 ottobre 1991, prot. n. 3131 (richiesti 73 miliardi, accordati 40: all. n. 1); 7 novembre 1991, prot. n. 3192 (richiesti 80 miliardi, accordati 40: all. n. 2); 14 novembre 1991, prot. n. 3231 (richiesti 55 miliardi, accordati 35: all. n. 3); 22 novembre 1991, prot. n. 3276 (richiesti 75 miliardi, accordati 50: all. n. 4); 5 dicembre 1991, prot. n. 3369 (richiesti 73 miliardi, accordati 50: all. n. 5); 10 dicembre 1991, prot. n. 3410 (richiesti 57, accordati 30: all. n. 6); 18 dicembre 1991, prot. n. 3477 (richiesti 82, accordati nessuno: all. n. 7). (Al riguardo, se la documentazione esibita in allegato non fosse di per se' eloquente, la Corte potra' in ogni caso avvalersi dei suoi poteri istruttori richiedendo il necessario alla regione e al Ministero del tesoro). La situazione creatasi e' descritta in tutta la sua negativita' - fornendo oltretutto una prova incontestabile dei fatti - fra l'altro in due relazioni predisposte dal ragioniere regionale relativamente alla situazione di cassa all'11 novembre e al 12 dicembre 1991. Nella prima si da' conto di alcune richieste solo parzialmente soddisfatte dal Tesoro e si precisa, con l'occasione, che "la situazione complessiva porta ad una necessita' di fondi da richiedere al Ministero del tesoro di circa 244 miliardi. - Non si puo' quindi considerare il notevole numero di liquidazioni pervenute dai vari dipartimenti e le altre che arriveranno a ritmo sostenuto in specie in questa fase finale dell'anno. - A questo punto a meno di notizie piu' incoraggianti si deve obbligatoriamente sospendere ogni ulteriore emissione di mandati di pagamento sul corrente esercizio rinviando la loro emissione al prossimo mese di gennaio" (all. n. 8). Nella seconda - successiva alla situazione di cassa del 22 novembre 1991, (all. n. 9) - si chiarisce che "le decurtazioni hanno causato .. la sospensione di qualsiasi emissione di mandato nell'esercizio corrente" e si invoca "un autorevole intervento preso il Ministero del tesoro" (all. n. 10). Con nota datata 14 gennaio 1992, il presidente della giunta regionale prospetta al ministro del tesoro - documentandoli in fatto - gli aspetti fortemente negativi della situazione che si e' venuta a creare ed osserva che cosi' facendo "si innesca un artificioso quanto inopportuno meccanismo di accentuazione dell'esposizione capitale, la cui successiva copertura impone un aggravio direttamente incidente sulle esigenze primarie della collettivita', con conseguente penalizzazione delle relative aspettative". Oltretutto - aggiunge - "si tratta .. di una scelta che meditativamente non puo' essere assunta se non per costrizione o per forza maggiore, e comunque i cui esiti giuridici e riflessi economici oltre che politici, non possono essere ascrivibili alla responsabilita' ne' soggettiva ne' oggettiva dell'esecutivo regionale" (all. n. 11). In data 8 febbraio 1992, il Ministro del tesoro risponde cosi' (dando atto implicitamente e provando conseguentemente l'entita' delle richieste regionali insoddisfatte): "Con nota 14 gennaio u.s. codesta presidenza ha manifestato preoccupazione in ordine alla rimessa di fondi a favore della regione Veneto, in considerazione delle improcrastinabili necessita' di intervento che si quantificano in lire 244 miliardi. Al riguardo, giusta quanto comunicatomi dal competente ufficio, faccio presente che, nel corrente mese di gennaio, la regione Veneto ha inoltrato due richieste di prelevamento fondi rispettivamente per lire 97 miliardi con nota del 3 gennaio 1992 e per lire 81 miliardi con nota del 15 gennaio 1992, entrambe evase per l'intero importo in data 9 gennaio e in data 20 gennaio del c.a." (all. n. 12) Ebbene, e' fin troppo agevole rilevare che il Ministro del tesoro non ha tenuto in alcun conto la garbata contestazione regionale omettendo, per un verso, di considerare le drastiche riduzioni di accredito relative al periodo ottobre-dicembre 1991 ed enfatizzando, per altro verso, il comportamento corretto tenuto relativamente alle richieste del 3 gennaio 1992, prot. n. 12 (all. n. 13), e del 15 gennaio 1992, prot. n. 72 (all. n. 14), nella circostanza appunto ottemperato. Ma e' chiaro che ragionando semplicemente "a contrario" ne viene che le precedenti censurate determinazioni ministeriali sono illegittime perche' configurano la piu' classica delle invasioni di una competenza che e' legislativamente e costituzionalmente garantita alla Regione: quella di disporre prontamente delle proprie risorse finanziarie quando esistono necessita' di cassa (v., invece, i dati riassuntivi e dimostrativi della situazione finanziaria di cassa al 2 aprile 1992: all. n. 15). In breve, dunque, sono da reputarsi non conformi al sistema costituzionale di riparto delle attribuzioni inerenti la potesta' finanziaria le note di accredito di somme disposte dal Ministro del tesoro in misura inferiore a quanto richiesto dalla regione Veneto e, in specie, illegittima (perche' non spettante sul piano dei contenuti) la nota ministeriale 8 febbraio 1992, indicata in epigrafe (all. n. 12), dal momento che il silenzio serbato sulla contestazione del presidente della giunta regionale del 14 gennaio 1992) (all. n. 11) e' configurabile come manifestazione non equivoca di un potere di disporre "ad libitum" in sede di accreditamento per necessita' di cassa, di risorse regionali proprie. E' appena il caso di sottilineare come tutto cio' abbia prodotto, concretamente, alla regione un danno economico-finanziario ed un danno rilevante sul piano politico-costituzionale, avendo causato appunto inefficienze nell'attivita' ed inadempimenti di obbligazioni precedentemente assunte e riconosciute. D I R I T T O Nonostante il legislatore sia a piu' riprese intervenuto in materia e codesto collegio si sia ripetutamente pronunciato sul punto, e' in ogni caso opportuno richiamare - soprattutto alla luce del contenzioso formatosi - i termini generali della questione, nell'ambito della quale si colloca la presente vicenda, interessante - come si e' accennato - la "tesoreria unica". 1. - Com'e' noto, dunque, la prima occasione di contrasto fra Stato e regione e' stata originata da un invito, formulato dal Ministro del tesoro e dal Ministro del bilancio, a richiedere l'apertura di un conto corrente fruttifero presso la tesoreria centrale, in cui far affluire i versamenti effettuati dallo Stato a favore della regione stessa. Il conflitto di attribuzioni allora prospettato e dichiarato inammissibile per il carattere non lesivo dell'atto impugnato, ha consentito a codesta Corte di fissare alcune importanti coordinate di quello che sarebbe stato quindi il sistema normativamente dato della "tesoreria unica". Infatti, nella sent. 22 dicembre 1977, n. 155, se si esclude da un lato che i "vistosi ritardi nei versamenti dovuti all'amministrazione regionale" siano ascrivibili all'atto di invito suddetto, si precisa d'altro lato che "non e' pensabile che i conti correnti fruttiferi presso la tesoreria centrale .. possano legittimamente trasformarsi in un anomalo strumento di controllo sulla gestione finanziaria regionale: che si presti a venire manovrato in modo da precludere od ostacolare la disponibilita' delle somme occorrenti alle regioni stesse per l'adempimento dei loro compiti istituzionali, nelle forme, nelle misure e nei tempi variamente indicati dalla legislazione statale sulla finanza regionale, in attuazione dell'art. 119 della Costituzione". Si noti - e' questione senz'altro di rilievo - che nelle proprie difese l'avvocatura dello Stato aveva chiesto fra l'altro la dichiarazione di "infondatezza del ricorso, adducendo che da parte statale non vi sarebbe stata l'intenzione di esercitare un controllo contabile sulle somme versate alla regione, ne' di ritardare i relativi versamenti". 2. - Con la successiva sent. 8 giugno 1981, n. 94, la Corte ha bensi' dichiarato la non fondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 31 e 36 della legge 3 agosto 1978, n. 468, sollevate dalla regione Veneto, la' dove dette disposizioni stabiliscono l'obbligo di tenere presso conti correnti vincolati con il tesoro le disponibilita' liquide costituite da assegnazioni, contributi e quanto altro proveniente dal bilancio dello Stato, ma ha definito altresi' - sotto un profilo che qui di certo rileva - i limiti di carattere generale che circoscrivono l'attivazione da parte dello Stato di simili meccanismi. Infatti - si legge nella citata decisione - "l'art. 119 della Costituzione, pur affermando l'autonomia finanziaria regionale, non impone affatto che le somme spettanti alle regioni e defluenti dal bilancio dello Stato debbano essere integralmente ed immediatamente accreditate alle competenti tesorerie regionali, pur quando le Regioni stesse dimostrino di doversene servire per l'esercizio delle loro attribuzioni"; ma impone senz'altro che i meccanismi suddetti non abbiano "di mira le singole misure regionali di spesa, limitandosi a regolare i ritmi di accreditamento dei fondi innanzi detti dalla tesoreria dello Stato alle tesorerie delle regioni: per di piu' precisando che cio' deve svolgersi sulla base ed in conformita' alle previste esigenze ed alle accertate disponibilita' di cassa delle regioni" (la massima e' implicitamente ribadita nella sent. 8 giugno 1981, n. 95). 3. - A breve distanza di tempo e' stata resa dal giudice delle leggi la pronuncia riguardante fra l'altro la legittimita' costituzionale dell'art. 35 della legge 30 marzo 1981, n. 119, contenente una serie di prescrizioni con le quali si disciplinano i modi con cui vengono finanziate le unita' sanitarie locali, le modalita' attraverso le quali esse possono usufruire del finanziamento loro accordato e l'organizzazione del relativo servizio di tesoreria: si allude alla sent. 22 ottobre 1982, n. 162. Con notazioni che riprendono senz'altro la precedente sentenza n. 155/1977 (in coerenza con le eccezioni prospettate dalle regioni ricorrenti), la Corte puntualizza innanzi tutto, sul piano delle relazioni costituzionali, il fondamento del modello organizzativo prefigurato dalla legge, che risiede nel "coordinare la finanza regionale con quella statale" in funzione di evidenti quanto indispensabili economie di spesa. Del resto, "l'aver il legislatore creato un piu' stretto coordinamento temporale fra il momento del prelievo dalla tesoreria centale e il momento della spesa effettuata dagli organi erogatori del servizio sanitairo risponde alla esigenza obiettiva, nell'interesse dell'intera comunita' nazionale, di un opportuno coordinamento del flusso dell spesa sanitaria con quello delle entrate destinate a fronteggiarla. Tale coordinamento infatti si risolve in definitiva in un minor costo per la finanza statale senza per altro apportare alcun danno al funzionamento del servizio sanitario nazionale". Quanto alle regioni, la "potesta' gi gestione .. e' pienamente rispettata quando ne viene assicurata loro la piena disponibilita', ne senso di poterne effettuare l'adutonoma utilizzazione quali che siano le modalita' del relativo deposito". 4. - Orbene, non v'e' dubbio che gia' a questo punto sarebbe possibile formulare alcune considerazioni di principio, dal momento che codesta Corte non ha mai dubitato del fatto che - ferma restando l'esigenza di coordinare la spesa dei differenti livelli di governo ex art. 119, primo comma, della Costituzione - in ogni caso la regione non puo' subire aggravi nell'esercizio delle proprie funzioni attraverso l'utilizzo di strumenti di condizionamento che incidono, ledendola, sull'autonomia finanziaria e, di riflesso, pure su quella legislativa ed amministrativa. Senonche', il punto lo ha delineato la stessa Corte nella sent. 11 ottobre 1983, n. 307, nella quale - nell'esordio della parte in diritto - ha richiamato le precedenti menzionate pronunce e, in specie, la sent. n. 162/1982 la' dove questa - giudicando della legittimita' dell'art 40, primo comma, della legge 30 marzo 1981, n. 119, secondo cui e' fatto divieto alla regione di mantenere presso aziende di credito disponibilita' depositate a qualunque titolo "per un importo superiore al 12% dell'ammontare delle entrate previste dal bilancio di competenza" - ha sottolineato la circostanza che simile "tetto" "non preclude alle regioni la facolta' di disporre delle proprie risorse, nel senso di valutarne discrezionalmente la congruita' rispetto alle necessita' concrete e di indirizzarle verso gli obiettivi rispondenti alle finalita' istituzionali, ma si limita a consentire il controllo del flusso delle disponibilita' di cassa". Ma con la sent. n. 307/1983 sono state affrontate ulteriori questioni - poste in particolare dall'art. 26 del d.-l. n. 786/1981 (convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 1982, n. 51) e dell'art. 4, quinto e sesto comma, della legge 26 aprile 1983, n. 130, rispettivamente per gli esercizii 1982 e 1983 - di indubbio rilievo perche' riguardanti non gia' il "tetto" delle disponibilita' suscettibili di essere conservate presso le aziende di credito, bensi' il "tetto" annuale per il complesso dei prelevamenti, stabilito con riguardo ai fondi regionali propri indipendentemente dalle effettive esigenze di cassa. Ebbene, per la differente (rispetto a quella decisa con la sent. n. 162/1982) fattispecie codesta Corte ha ritenuto che cio' configurasse una "sicura lesione degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione", oltretutto perche' il "tetto" imposto ai prelevamenti "fa riferimento a parametri .. che prescindono da qualsiasi concreto rapporto con la struttura e con la gestione del bilancio regionale di competenza per l'anno in corso, con la dimensione delle estratte e delle spese ivi previste, con l'entita' dei residui attivi e passivi" - Ne' - ha obiettato il giudice - e' legittima la configurazione di un potere ministeriale di "variare le scelte legislative, senza prestabilire alcun limite e alcun criterio" (lo aveva gia' precisato nella sent. n. 162/1982), ne' lo e' l'esigenza di ridurre le spese, visto che "il richiamo ad una finalita' di interesse generale, pur di cosi' precipuo e stingente rilievo, non puo' di per se' legittimare il ricorso, per il suo conseguimento, a misure di contenimento della spesa pubblica che incidano e vulnerino competenze ed interessi costituzionalmentegarantiti", mentre nessuna lesione dell'autonomia finanziaria regionale discende dal carattere infruttifero dei conti correnti, liberi o vincolati. 5. - Ma non basta. Con le successive sent. 29 ottobre 1985, nn. 242, 243 e 244, si e' ribadito quanto segue: a) codesta Corte ha innanzi tutto confermate le massime di cui alle sent. n. 95/1981 e n. 162/1982 (cosi' nella sent. n. 242/1985); b) in sede di impugnazione di talune previsioni della legge 29 ottobre 1984, n. 720 (recante "Istituzione del sistema di tesoreria unica per enti ed organismi pubblici"), il giudice di costituzionalita' ha rigettato ancora una volta le eccezioni presentate nei confronti di altro ma analogo dettato normativo (v. i precedenti paragrafi) nel presupposto comunque - qui pure dichiarato expressis verbis - che sia escluso a danno delle Regioni "il pericolo di improvvisi vuoti di cassa, che pregiudicherebbero il buon andamento dell'amministrazione e paradossalmente frustrerebbero gli intenti cui mira la legge n. 720, imponendo alle regioni di ricorrere ad onerose anticipazioni per fronteggiare le spese indilazionabili". Ma, rigettata l'illegittimita' della legge n. 720/1984 nel presupposto che "non si puo' affermare che il cosidetto 'sistema di tesoreria unica' sia di per se stesso produttivo di consenguenze siffatte, compromettendo l'indispensabile speditezza delle erogazioni", si e' precisato che le regioni potranno sollevare nei confronti della prassi applicativa "conflitti di attribuzione" (cosi' nella sent. n. 243/1985): conflitti che tendono ad evidenziare, quindi, il contrasto fra atti e comportamenti statali e "il principale fondamento giustificativo della legge n. 720", che "e' rappresentato dal coordinamento finanziario" (ivi) (sent. n. 243/1985); c) in sede di risoluzione dei conflitti di attribuzione proprosti nei riguardi delle disposizioni attuative della "tesoreria unica", che "spetta alle regioni .. la piena ed immediata disponibilita', in ogni momento, delle somme di loro spettanza giacenti presso le rispettive sezioni di tesoreria provinciale dello Stato", cio' in quanto il differente meccanismo contemplato dalla normativa ministeriale "e' tale da potersi ripercuotere in danno dell'autonomia regionale di spesa". Infatti - ha rilevato codesto Collegio - "per non intralciare il ritmo delle spese regionali, compromettendo l'indispensabile velocita' di erogazione e costringendo le regioni a far ricorso - in via alternativa - ad indebitamenti sia pure di breve periodo, occorre pero' che la reintegrazione delle quote dei proventi regionali depositabili presso le aziende di credito sia resa possibile continuamente e nei modi piu' solleciti, affinche' si possa fare fronte ai pagamenti imprevisti senza intaccare gravemente od esaurire del tutto le disponibilita' in questione. Viceversa, le citate prescizioni ministeriali non tengono adeguato conto di simili necessita', ne' offrono rimedi sufficienti pur quando permettono, 'nel corso del mese, un ulteriore prelevamento'; tanto piu' che tale operazione veniva consentita nel solo 'caso di esaurimento di tutte le disponibilita' comunque detenute' .. e non e' ammessa tuttora al di guori del 'caso in cui ricorrano indifferibili esigenze di spesa' .., giudici delle quali finiscono per essere lo stesso Ministro del tesoro oppure la Banca d'Italia. - Le disposizioni impugnate violano pertanto, nel medesimo tempo, l'autonomia finanziaria regionale considerata sul versante delle uscite ed il principio informatore dell'intera legge n. 720 - gia' messo in evidenza dalla decisione n. 243 del presente anno - per cui la piena ed immediata disponibilita' delle somme di loro spettanza, giacenti nelle relative contabilita' speciali, dev'esser garantita anche agli enti ed organismi inclusi nell'annessa tabella B, quali sono appunto le regioni a Statuto ordinario e speciale". Affermazioni di tal genere non sono state finora smentite: anzi, sono state confermate implicitamente dalle sent. 2 marzo 1987, n. 61 e n. 62 (che hanno sottratto al regime di "tesoreria unica" le entrate regionali proprie rispettivamente della regione Sicilia e della regione Trentino-Alto Adige), ed esplicitamente dalle sent. 30 giugno 1988, n. 742, la quale ha ulteriormente affermato il principio per cui vanno assicurate "le esigenze e le garanzie inderogabili dell'autonomia", escludendo "anomali strumenti di controllo sulla gestione finanziaria regionale" ed eliminando gli "ostacoli alla effettiva e pronta utilizzazione delle risorse a disposizione della regione" (in tal senso, di riflesso, v. pure ord. 30 giugno 1988, n. 759). 6. - Fatte salve le perplessita' essenzialmente di principio riguardanti non tanto il sistema di "tesoreria unica" quanto le concezioni di fondo sottese al sistema di "finanza derivata" che reggono il primo, pare indubitabile che codesto collegio abbia considerato le differenti fattispecie sottoposte al suo giudizio (fra l'altro, l'obbligo per le regioni di tenere le somme loro trasferite dallo Stato sui conti correnti presso il Tesoro; l'imposizione di un limite quantitativo alle disponibilita' che le regioni possono tenere presso i propri tesorieri; l'imposizione di vincoli alla entita' delle somme prelevabili dalle regioni da conti correnti, in assoluto e non piu' in correlazione col fabbisogno ne' con l'entita' delle giacenze presso il sistema bancario) ricercando un bilanciamento fra istanze statali e regionali, definito nei termini seguenti: a) il "sistema di tesoreria unica" e' espressione della potesta' di coordinamento finanziario riservata dall'art. 119, primo comma, della Costituzione allo Stato; in specie, esso mira ad impedire un ristagno di liquidita' presso le regioni, causa di oneri ulteriori per la finanza pubblica, disciplinando i "ritmi di accreditamento" delle risorse regionali (v., fra l'altro, sent. n. 94/1981 e n. 162/1982); b) il "sistema di tesoreria unica" non deve "trasformarsi in un anomalo strumento di controllo sulla gestione finanziaria regionale" (sent. n. 155/1977, sistematicamente ripresa dalla giurisprudenza successiva); c) in ogni caso, alla regione deve essere assicurata la "pronta disponibilita'" delle proprie risorse collocate presso la tesoreria dello Stato (sent. n. 162/1982, n. 243 e n. 244/1985), allo scopo di evitare (proprio quel che e' accaduto nel caso in esame) "il pericolo di improvvisi vuoti di cassa, che pregiudicherebbero il buon andamento dell'amministrazione e paradossalmente frustrerebbero gli intenti cui mira la legge n. 720, imponendo alle regioni di ricorrere ad onerose anticipazioni per fronteggiare le spese indilazionabili" (sent. n. 243/1985); d) un simile esito non lo si puo' giustificare neppure con "il richiamo ad una finalita' d'interesse generale", anche di "precipuo e stringente rilievo", quando si "incidano e vulnerino competenze ed interessi costituzionalmente garantiti" (sent. n. 307/1983); e) se cio' accade, si ha una "sicura lesione degli artt. 117, 118 e 119 della Cost." (sent. n. 307/1983). L'esposizione diffusa e ragionata delle massime piu' significative delineate da codesta Corte dimostra con rara linearita' la sussistenza dell'invasione di competenza realizzata dal Ministro del tesoro quando ha accreditato somme in misura ridotta rispetto alle richieste e quando ha evidentemente eluso le rimostranze prospettate dalla regione: determinando con cio' una violazione, oltre che delle disposizioni regolatrici del "sistema di tesoreria unica" (della legge 29 ottobre 1984, n. 720, e successive modificazioni e integrazioni, e delle leggi da questa richiamate, esplicitamente o implicitamente), dell'art. 119 della Costituzione, che ne e' il fondamento, e di riflesso degli artt. 117 e 118 della Costituzione, dal momento che le menomazioni finanziarie reagiscono - data la loro strumentalita' - sull'esercizio delle funzioni legislative e amministrative, condizionandone gli esiti: il che ha importato altresi' la lesione dell'art. 97 della Carta costituzionale.
P. Q. M. Si chiede che la Corte costituzionale dichiari - relativamente al conflitto evidenziato dalla nota del Ministro del tesoro 8 febbraio 1992 - che spetta alla regione Veneto la piena ed immediata disponibilita', in ogni momento, delle somme proprie giacenti presso la tesoreria dello Stato, e non spetta di contro allo Stato (e per esso al Ministro del tesoro) determinare l'entita' delle rimesse periodicamente richieste dalla Regione per fronteggiare il fabbisogno di cassa. Padova-Roma, addi' 10 aprile 1992 Avv. prof. Mario BERTOLISSI - Avv. Luigi MANZI 92C0519