N. 241 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 novembre 1991

                                N. 241
  Ordinanza emessa il 20 novembre 1991 dalla Corte dei conti, sezione
               giurisdizionale per la regione siciliana,
   sui ricorsi riuniti proposti da Finocchiaro Maria, ved. Trizzino
            Ubaldo ed altri contro il Ministero di grazia e
                          giustizia ed altri.
 Pensioni - Trattamento pensionistico dei magistrati e categorie
    assimilate - Mancata previsione di un  meccanismo  di  adeguamento
    automatico  periodico  quanto  meno equivalente a quello stabilito
    per i trattamenti di attivita' - Disparita' di trattamento  tra  i
    magistrati  in  servizio  e  quelli in quiescenza - Violazione del
    principio della proporzionalita' ed adeguatezza della retribuzione
    (anche differita) e  dell'assicurazione  di  mezzi  adeguati  alle
    esigenze  di  vita  in  caso di vecchiaia - Elusione del giudicato
    della  Corte  costituzionale  con  riferimento  alla  sentenza  n.
    501/1988 - Riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n.
    501/1988, nonche' all'ordinanza n. 95/1991.
 (Legge 8 agosto 1991, n. 265, art. 2).
 (Cost., artt. 3, 36 e 136).
(GU n.20 del 13-5-1992 )
                          LA CORTE DEI CONTI
    Ha  pronunciato  la seguente ordinanza n. 9/92/ord. sui ricorsi in
 materia di pensione civile, proposti contro il Ministero di grazia  e
 giustizia, da:
      1)   Finocchiaro   Maria,  vedova  del  dott.  Ubaldo  Trizzino,
 residente a Palermo,  via  Costantino  Nigra,  n.  4  (n.  3005/C  di
 registro di segreteria);
      2)  Badagliacca  Clotilde,  vedova  del dott. Andrea Montalbano,
 residente a Palermo,  via  Costantino  Nigra  n.  4  (n.  2804/C  del
 registro di segreteria);
      3)  Furitano  Antonina,  residente  a Savona, via Crocetta 2/13;
 Cerenzia Paola, quale rappresentante del marito Furitano  Gioacchino,
 residente  a  Palermo,  via  Villafranca  n.  22; Furitano Maria Ida,
 residente a Palermo, via Ausonia n. 31; Furitano Clara,  residente  a
 Palermo,  via  Ausonia  n.  31;  quali  eredi di Giandalia Francesca,
 vedova del dott.  Furitano  Salvatore  (n.  3025/C  del  registro  di
 segreteria);
      4)  Gueli  Iole,  vedova del dott. Gueli Giuseppe, elettivamente
 domiciliata a Roma presso lo studio dell'avv. Renato Preziosi che  la
 rappresenta e difende (n. 2811/C del registro di segreteria);
      5)  Mazzu'  Filippo, elettivamente domiciliato a Roma, presso lo
 studio dell'avv. Michelangelo Pascasio che lo rappresenta  e  difende
 (n. 2916/C del registro di segreteria);
      6)  Iannelli Salvatore, elettivamente domiciliato a Roma, presso
 lo studio  dell'avv.  Michelangelo  Pascasio  che  lo  rappresenta  e
 difende (n. 2971/C del registro di segreteria);
      7)  Turiano Sebastiano, elettivamente domiciliato a Roma, presso
 lo studio  dell'avv.  Michelangelo  Pascasio  che  lo  rappresenta  e
 difende (n. 2917/C del registro di segreteria);
      8)  Fischetti  Giacomo, elettivamente domiciliato a Roma, presso
 lo studio  dell'avv.  Michelangelo  Pascasio  che  lo  rappresenta  e
 difende (n. 1144/C del registro di segreteria);
      9)  Natale  Luigi,  elettivamente  domiciliato a Roma, presso lo
 studio dell'avv. Michelangelo Pascasio che lo rappresenta  e  difende
 (n. 2080/C del registro di segreteria);
      10) Valenti Gioacchino, elettivamente domiciliato a Roma, presso
 lo  studio  dell'avv.  Michelangelo  Pascasio  che  lo  rappresenta e
 difende (n. 2572/C del registro di segreteria);
      11) Scalici Maria Teresa, vedova del dott.  Gaetano  Piscitello,
 elettivamente   domiciliata   a  Roma,  presso  lo  studio  dell'avv.
 Michelangelo Pascasio che la rappresenta e  difende  (n.  2810/C  del
 registro di segreteria);
      12)  Puglisi Francesco, elettivamente domiciliato a Roma, presso
 lo studio  dell'avv.  Michelangelo  Pascasio  che  lo  rappresenta  e
 difende (n. 2821/C del registro di segreteria);
      13)  Mangiacasale  Dionigi, elettivamente domiciliato a Palermo,
 presso lo studio dell'avv. Giovanni Natoli,  rappresentato  e  difeso
 dall'avv. Tommaso Palermo del foro di Roma (n. 2901/C del registro di
 segreteria);
      14)  Coltraro  Vincenzo, residente a Catania, via Filocomo n. 40
 (n. 788/C del registro di segreteria);
      15) Militello Francesco,  residente  a  Palermo,  viale  Regione
 siciliana, n. 2464 (n. 2797/C del registro di segreteria);
      16)  Giunta  Salvatore,  residente  a  Palermo,  via Marchese di
 Villabianca n. 54 (n. 2655/C del registro di segreteria);
      17) Busacca Angelo, residente a Catania, via Ingegnere n. 52 (n.
 2633/C del registro di segreteria);
      18) Rindone  Salvatore,  residente  a  Catania,  viale  Vittorio
 Veneto n. 122 (n. 2586/C del registro di segreteria);
      19)  Cultrera  Paolo, residente a Catania, via Firenze n. 36 (n.
 2007/C del registro di segreteria);
    Nonche' i ricorsi, in materia di pensione civile, proposti  contro
 la Presidenza del Consiglio dei Ministri da:
      20)  Picone  Nicolo',  residente  a Palermo, corso dei Mille, n.
 1317 (n. 2585/C del registro di segreteria);
      21) De Fina Silvio, elettivamente domiciliato a Roma, presso  lo
 studio dell'avv. Luigi Mazzei che lo rappresenta e difende (n. 2164/C
 del registro di segreteria);
      22)   Vinci   Teresa,   vedova   del   dott.  Giuseppe  Vaccaro,
 elettivamente domiciliata a Roma, presso lo studio  dell'avv.  Angelo
 Insolia  che  la  rappresenta  e  difende  (n. 2920/C del registro di
 segreteria);
      23) avv. Roberto Noschese, elettivamente domiciliato in Palermo,
 presso lo studio legale Valenti, via Catania n. 15,  rappresentato  e
 difeso  da se' medesimo (n. 3094/C del registro di segreteria); Uditi
 nella pubblica udienza del 20 novembre 1991 i  relatori,  consigliere
 dott.ssa Luciana Savagnone e consigliere dott. Mariano Grillo, l'avv.
 Tommaso   Palermo   e  l'avv.  Giovanni  Tesoriere,  in  sostituzione
 dell'avv. Luigi Mazzei, nonche'  il  p.m.,  nella  persona  del  vice
 procuratore generale dott. Giuseppe Petrocelli; Esaminati gli atti ed
 i documenti di causa;
                               F A T T O
    Con  singoli  gravami,  i  ricorrenti  indicati  in epigrafe hanno
 chiesto il riconoscimento del diritto alla  riliquidazione  del  loro
 trattamento  pensionistico,  diretto  o di reversibilita', sulla base
 della retribuzione spettante ai magistrati, procuratori  ed  avvocati
 dello  Stato in servizio, in applicazione dei principi indicati dalla
 Corte costituzionale nella sentenza n. 501/1988, come  gia'  statuito
 in precedenti numerose decisioni di questa sezione.
    Il procuratore generale nelle conclusioni scritte, considerato che
 la Corte costituzionale con la sentenza sopra menzionata ha affermato
 il    principio    dell'adeguamento    automatico   del   trattamento
 pensionistico dei magistrati in quiescenza a quello  del  trattamento
 economico  dei  magistrati  in  servizio  attivo,  a decorrere dal 1›
 gennaio 1988, ha chiesto che il ricorso  venga  accolto  nei  termini
 indicati dalle sezioni riunite della Corte dei conti con decisione n.
 76/C/1988.
    In  conseguenza  dell'entrata in vigore della legge 8 agosto 1991,
 n. 265, emanata nelle more dei giudizi, l'avv. Michelangelo  Pascasio
 in  difesa dei suoi assistiti, ha presentato memorie illustrative con
 domande integrative.
    Preliminarmente, il difensore afferma che la legge deve applicarsi
 solo per  il  futuro,  mentre  fino  al  23  agosto  1991  andrebbero
 applicate  le disposizioni precedenti. Quanto, poi, alla disposizione
 dell'art. 2 della legge citata,  che  dispone  il  riassorbimento  di
 maggiori  somme  riscosse con riferimento al disposto del sesto comma
 dell'art. 1, della medesima legge, assume trattarsi di una  norma  di
 rinvio  "ricettizio",  nel  senso  che  la stessa sarebbe applicabile
 negli stretti  limiti  in  cui  il  riassorbimento  e'  espressamente
 previsto, e cioe' nei confronti del c.d. "trascinamento".
    La  legge  in esame, comunque, poiche' impedisce che nel futuro si
 possa procedere a riliquidazioni di pensioni secondo i precetti della
 Corte costituzionale,  presenta  vistosi  aspetti  di  illegittimita'
 costituzionale ed in particolare:
      1)   invade   in   danno   di   organi   giurisdizionali  (Corte
 costituzionale e Corte dei conti) la loro sfera di attribuzioni e  li
 priva  del  potere  di  decidere  eliminando  gli  effetti delle loro
 decisioni;
      2) ripristina disparita'  di  trattamento  fra  soggetti  cui  i
 benefici ora soppressi sono stati gia' applicati ed altri che ne sono
 privati,  fra  pensionati  cessati  dal  servizio  in  tempi diversi,
 nonche' nei  confronti  di  altre  categorie  di  pensionati  le  cui
 pensioni sono automaticamente rivalutate;
      3)  contrasta con risoluzioni deliberate in Parlamento intese ad
 eliminare il fenomeno delle c.d. "pensioni d'annata";
      4) elude ogni criterio  perequativo,  disattendendo  i  principi
 espressi  dalla  Corte  costituzionale  con riferimento alla pensione
 quale retribuzione differita;
      5) non vincola l'intero  gettito  delle  "entrate  tesoro"  alle
 pensioni dei pubblici dipendenti.
    In definitiva il difensore chiede l'attribuzione ai suoi assistiti
 di tutti gli aumenti retributivi riconosciuti ai colleghi in servizio
 sino  al  22  agosto 1991; la sospensione dei giudizi per quant'altro
 loro spettante anche in futuro, e la rimessione degli atti alla Corte
 costituzionale per contrasto dell'art. 1, sesto comma, e dell'art.  2
 della  legge  8 agosto 1991, n. 265 con gli artt. 3, 36, 38, 41, 101,
 102  e  103 della Costituzione, nonche' degli artt. 13 della legge 29
 aprile 1976, n. 177, ed 1 del d.-l. 2 marzo 1989, n.  65,  convertito
 nella  legge  26  aprile  1989,  n. 155 per quanto non vincolano alle
 pensioni dei pubblici dipendenti l'intero gettito  delle  entrate  in
 conto tesoro, che hanno tale unica destinazione.
    Anche  l'avv. Tommaso Palermo, per i suoi assistiti, ha depositato
 una memoria integrativa nella quale afferma che la riliquidazione del
 trattamento pensionistico va effettuata senza tener conto della legge
 n. 265/1991, che troverebbe applicazione solo per il futuro.
    Tale normativa, peraltro, sarebbe in contrasto con gli artt.  3  e
 36  della  Costituzione  e  con gli artt. 23 e 25 della dichiarazione
 universale dei diritti dell'uomo.
    All'udienza  dibattimentale,   l'avv.   Giovanni   Tesoriere,   in
 sostituzione   dell'avv.  Mazzei,  e  l'avv.  Tommaso  Palermo  hanno
 insistito per l'accoglimento dei ricorsi. Il procuratore generale  ha
 sollevato   per   tutti   i   ricorsi   eccezione  di  illegittimita'
 costituzionale dell'art. 2, primo comma, legge 8 agosto 1991, n. 265,
 per contrasto con i medesimi  articoli  della  costituzione  ritenuti
 violati nella sentenza n. 501; in subordine ha chiesto il rigetto dei
 ricorsi.
                             D I R I T T O
    Preliminarmente, osserva il Collegio che deve disporsi la riunione
 dei  ricorsi,  ai  sensi  dell'art.  274  del c.p.c., per connessione
 oggettiva e parzialmente soggettiva.
    Prima di  entrare  nel  merito  della  eccezione  di  legittimita'
 costituzionale   che  questa  Corte  ritiene  di  sollevare,  occorre
 riassumere brevemente le  vicende  giurisprudenziali  in  materia  di
 trattamento  pensionistico  dei  magistrati e procuratori ed avvocati
 dello Stato.
    Come e' noto, la Corte costituzionale, con sentenza n. 501  del  5
 maggio  1988,  ha  dichiarato  la illegittimita' costituzionale degli
 artt. 1, 3, primo comma, e 6 della legge  17  aprile  1985,  n.  141,
 nella  parte  in  cui,  in  luogo  degli  aumenti  ivi  previsti, non
 dispongono  a  favore  dei   magistrati   ordinari,   amministrativi,
 contabili e militari, nonche' dei procuratori e avvocati dello Stato,
 collocati   a   riposo   anteriormente   al   1›   luglio   1983,  la
 riliquidazione,  a  cura  delle  amministrazioni  competenti,   della
 pensione    sulla    base   del   trattamento   economico   derivante
 dall'applicazione degli artt. 3 e 4 della legge 6 agosto 1984, n. 425
 con decorrenza dalla data del 1› gennaio 1988.
    Richiamando  la  sua  costante  giurisprudenza,  secondo  cui   la
 pensione va intesa come retribuzione differita e deve essere comunque
 in  ogni  caso  proporzionata  alla  qualita'  e quantita' del lavoro
 prestato durante il servizio attivo,  la  decisione  in  rassegna  ha
 tratto la conseguenza della "esigenza di una costante adeguazione del
 trattamento di quiescenza alla retribuzione del servizio attivo".
    Pertanto   il   legislatore,  invece  di  stabilire  rivalutazioni
 percentuali di pensioni pregresse,  del  tutto  estranee  ai  criteri
 adottati  con  la  legge 6 agosto 1984, n. 425, per la strutturazione
 dei  nuovi  trattamenti  retributivi,  avrebbe  dovuto  perequare  le
 pensioni   dei   magistrati   ordinari,   amministrativi,  contabili,
 militari, nonche' dei procuratori e degli avvocati dello Stato,  alle
 retribuzioni disposte con la suddetta legge n. 425/1984.
    A seguito della precitata sentenza, le sezioni riunite della Corte
 dei  conti,  pronunciando  sulla  questione di massima di particolare
 importanza rimessa  dal  presidente  della  Corte  dei  conti,  hanno
 dichiarato,  con  decisione  n.  76/C  del  14 novembre 1988, che "la
 liquidazione  delle  pensioni  dei  magistrati  e  degli  avvocati  e
 procuratori dello Stato deve essere effettuata, con decorrenza dal 1›
 gennaio   1988,   sulla  base  del  trattamento  economico  derivante
 dall'applicazione delle misure  stipendiali  indicate  nelle  tabelle
 annesse alla legge 19 febbraio 1981, n. 27 e adeguate di diritto, con
 proiezione  nel  futuro,  ai  sensi dell'art. 2 della medesima legge,
 nonche' dei benefici previsti  dall'art.  3  (progressione  economica
 delle   anzianita'   pregresse)  e  4  (valutazione  economica  delle
 anzianita' pregresse) della legge 6 agosto 1984, n. 425".
    In motivazione detta decisione ha osservato che la  riliquidazione
 delle  pensioni,  sulla base delle previsioni della cennata decisione
 della Corte costituzionale, ha per suoi destinatari non  solo  coloro
 che  sono andati a riposo anteriormente alla data del 1› luglio 1983,
 ma  anche  coloro   che   siano   stati   collocati   in   quiescenza
 posteriormente  a quella data. Invero, continua la decisione, "ove le
 riliquidazioni  cui  occorre   provvedere   venissero   ancorate   ai
 trattamenti  economici  vigenti  al 1› luglio 1983, escludendo quindi
 sia i miglioramenti stipendiali successivi che i soggetti cessati dal
 servizio posteriormente a tale data, si creerebbero nuove e rilevanti
 sperequazioni,  con  evidente  vulnus  degli  artt.  3  e  36   della
 Costituzione".
    La  sezione  terza  dalla  Corte  dei  conti  di Roma e le sezioni
 giurisdizionali per la regione siciliana  e  per  la  regione  sarda,
 condividevano il principio di diritto enucleato dalle sezioni riunite
 e,   facendone  concreta  applicazione  in  ordine  ai  casi  decisi,
 riconoscevano:
      1) il diritto dei ricorrenti alla riliquidazione delle pensioni,
 con decorrenza dal  1›  gennaio  1988,  sulla  base  del  trattamento
 economico  derivante dall'applicazione delle misure stipendiali indi-
 cate nelle tabelle annesse alla legge n. 27/1981,  degli  adeguamenti
 previsti  dall'art.  2  della  medesima  legge, calcolati alla stessa
 data, con i benefici previsti dagli  artt.  3  e  4  della  legge  n.
 425/1984;
      2) il diritto dei ricorrenti all'applicazione dell'art. 15 della
 legge  29 novembre 1976, n. 177, nonche' dell'art. 161 della legge 11
 gennaio 1980, n. 312, sempre con decorrenza dal 1› gennaio 1988;
      3)  il  diritto  alla  rivalutazione  monetaria   nonche'   agli
 interessi legali sulle somme dovute;
      4)  il  diritto  che  le pensioni riliquidate siano a loro volta
 soggette  a  successive  riliquidazioni  automatiche  a  cura   delle
 amministrazioni   competenti  sulla  base  delle  variazioni  il  cui
 meccanismo di attuazione e'  previsto  dall'art.  2  della  legge  19
 gennaio 1981, n. 27.
    Successivamente,  pero'  nell'ambito  della sezione terza pensioni
 civili di Roma, sorgevano perplessita' circa la c.d. "proiezione  nel
 futuro"  del  meccanismo  di  adeguamento  delle pensioni, illustrato
 sopra al punto 4), e venivano  cosi'  rimessi  gli  atti  alla  Corte
 costituzionale per la verifica dell'art. 2 della legge n. 27/1981.
    Con  ordinanza 11-16 febbraio 1991, n. 95, la Corte costituzionale
 dichiarava  la  manifesta   inammissibilita'   della   questione   di
 legittimita'  costituzionale, affermando che il controllo della Corte
 "riguardando la compatibilita' delle leggi denunziate con i  principi
 della  Costituzione, non puo' sostanziarsi in una revisione, in grado
 ulteriore, delle interpretazioni offerte dagli organi giurisdizionali
 cui tale attivita' compete"  ed  inoltre  "che  la  Corte  remittente
 richiede una sentenza atta ad innestare nella normativa pensionistica
 un  meccanismo  d'adeguamento periodico concepito per il personale in
 servizio, attivita' questa .. certamente  estranea  al  sindacato  di
 costituzionalita' e viceversa propria del legislatore".
    Intanto,  il  giorno  23 agosto 1991, entrava in vigore la legge 8
 agosto 1991, n. 265 che, all'art. 2, primo comma,  disponeva  che  le
 pensioni spettanti ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili,
 militari, nonche' ai procuratori ed avvocati dello Stato, collocati a
 riposo   anteriormente  al  1›  luglio  1983,  sono  riliquidate  con
 decorrenza dal 1› gennaio 1988 sulla base  delle  misure  stipendiali
 vigenti, in applicazione degli artt. 3 e 4 della legge 6 agosto 1984,
 n.   425,  alla  data  del  1›  luglio  1983,  con  esclusione  degli
 adeguamenti periodici di cui al secondo comma.
    Della medesima disposizione di legge, per richiamo sistematico del
 medesimo art. 2, veniva a costituire parte integrante il sesto  comma
 del  precedente  art.  1, secondo cui, eventuali maggiori trattamenti
 spettanti o in godimento, conseguenti  ad  interpretazioni  difformi,
 sono  conservati  ad  personam  e  sono  riassorbiti  con  la normale
 progressione economica di  carriera  o  con  i  futuri  miglioramenti
 dovuti sul trattamento di quiescenza.
    Il  secondo  comma  del  menzionato art. 2 disponeva, poi, che, in
 ogni caso, gli adeguamenti periodici previsti dall'art. 2 della legge
 19 febbraio 1981, n. 27,  per  il  personale  in  servizio  non  sono
 computati  ai  fini delle riliquidazioni di trattamenti pensionistici
 in godimento.
    Premesso tutto cio', osserva la Corte che gli odierni  ricorrenti,
 magistrati  e  avvocati  dello Stato collocati a riposo sia prima che
 dopo il 1› luglio 1983, chiedono la riliquidazione della pensione  in
 conformita'  a  quanto  statuito  dalla  Corte  costituzionale con la
 sentenza n. 501, secondo l'interpretazione costantemente adottata  da
 questa sezione della Corte dei conti.
    Invero,  prima  dell'entrata in vigore della legge n. 265/1991, la
 sezione aveva sempre riconosciuto ai magistrati ed ai procuratori  ed
 avvocati  dello Stato ricorrenti il diritto alla riliquidazione delle
 pensioni secondo lo schema sopra illustrato. Si ritiene, infatti, che
 esattamente la riliquidazione andava fatta,  secondo  il  dispositivo
 della sentenza della Corte costituzionale, sulla base del trattamento
 economico  derivante  dall'applicazione degli artt. 3 e 4 della legge
 n. 425 del 1984, trattamento che ovviamente si innesta  sulle  misure
 stipendiali  all'epoca  vigenti  le  quali "sono adeguate di diritto,
 ogni  triennio,  nella  misura  percentuale  pari  alla  media  degli
 incrementi  realizzati  nel triennio precedente dalla altre categorie
 dei pubblici dipendenti" (art. 2 della legge n. 27/1981).
    Come hanno affermato le sezioni riunite della Corte dei conti,  il
 meccanismo  stipendiale  sopra  descritto  costituisce un unicum, nel
 senso che la riliquidazione alla  data  del  1›  gennaio  1988  delle
 pensioni  dei  magistrati  non puo' assumere a parametro lo stipendio
 vigente nel 1983, ma quello attuale, cioe' lo stipendio tabellare con
 gli adeguamenti  intervenuti  sino  alla  data  di  decorrenza  della
 riliquidazione.
    La  conformita'  di  tale meccanismo di riliquidazione ai principi
 espressi  nella  sentenza  della  Corte  costituzionale,  e'  emerso,
 altresi',  in  sede  di  esame dei ricorsi proposti da magistrati cui
 l'amministrazione  aveva  riliquidato  il  trattamento  pensionistico
 secondo  un'errata interpretazione della sentenza n. 501, ancorandolo
 allo stipendio del pari qualifica vigente nel 1983, senza considerare
 gli incrementi del  menzionato  art.  2  ed  eliminando  gli  aumenti
 percentuali perequativi nel frattempo conteggiati.
    In  alcune ipotesi, relative soprattutto a qualifiche non elevate,
 la pensione riliquidata risultava addirittura inferiore a  quella  in
 atto  percepita dal pensionato, cui veniva chiesta la restituzione di
 quanto liquidato in piu'.
    Inoltre, cosi'  come  le  riliquidazioni  dovevano  comprendere  i
 miglioramenti  stipendiali  successivi,  dovevano  essere  effettuate
 anche nei confronti dei soggetti cessati dal servizio  posteriormente
 al  1›  luglio 1983, altrimenti si sarebbero create nuove e rilevanti
 sperequazioni con ulteriore violazione  degli  artt.  3  e  36  della
 Costituzione.
    L'esattezza di criteri di applicazione della sentenza n. 501/1988,
 adottata dal questa sezione nei vari giudizi, e' stata indirettamente
 confermata dal comportamento dello stesso legislatore, che mentre con
 il  d.-l. 22 dicembre 1990, n. 409, riguardante "Disposizioni urgenti
 in tema di perequazione  dei  trattamenti  di  pensione  nei  settori
 privato e pubblico", aveva inserito tra le categorie di dipendenti da
 perequare quella dei magistrati, nella legge di conversione n. 59 del
 27 febbraio 1991, non la menziono' ritenendo, quindi, implicitamente,
 che  la  categoria fruisse gia' di un adeguato meccanismo perequativo
 almeno fino al 1994, data di cessazione di efficacia della legge.
    Posto cio', la sezione ritiene che, in conseguenza  dalla  entrata
 in  vigore  della  nuova normativa, le domande attrici non siano piu'
 accoglibili nei termini sopra delineati.
    Anzitutto,  infatti,  sono  individuati  quali   destinatari   del
 beneficio  della  riliquidazione  solo  i  magistrati, procuratori ed
 avvocati dello Stato, collocati a riposo anteriormente al  1›  luglio
 1983,   inoltre  sono  esclusi  gli  adeguamenti  periodici  previsti
 dall'art. 2 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, sia  ai  fini  della
 riliquidazione,  sia  ai  fini della c.d. "proiezione nel futuro" del
 meccanismo di adeguamento delle pensioni.
    In proposito, non puo' ritenersi che la norma  non  abbia  effetto
 retroattivo, come assumono alcuni difensori dei ricorrenti, in quanto
 non  solo  incide  sulle posizioni giuridiche ed economiche di coloro
 che  ancora  attendono  il  provvedimento  di  riliquidazione   della
 pensione  con  decorrenza  1›  gennaio 1988, ma modifica il titolo di
 attribuzione  delle  somme  gia'   liquidate,   anche   in   base   a
 provvedimenti  giudiziari  dotati  della  stabilita'  del  giudicato,
 statuendo al sesto comma dell'art. 1, che come gia' rilevato e' parte
 integrante dell'art. 2, che i maggiori  trattamenti  spettanti  o  in
 godimento sono conservati ad personam e sono riassorbibili.
    In  questo senso si ritiene rilevante la questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 2, primo e secondo  comma,  della  legge  n.
 265/1991,  giacche'  solo l'eliminazione di tale norma da parte della
 Corte costituzionale, consentirebbe il riconoscimento del diritto dei
 ricorrenti alla riliquidazione della pensione conformemente ai  punti
 sopra illustrati.
    Prima di passare all'esame dei motivi di fondatezza dell'eccezione
 di costituzionalita' che questo giudice ritiene di sollevare, occorre
 accertare  la  natura giuridica della nuova legge, di cui si e' posto
 in risalto fino ad ora solo la caratteristica della retroattivita'.
    In proposito, ritiene questa Corte  che  la  legge  n.  265  possa
 qualificarsi  a  carattere  interpretativo,  ma in un senso del tutto
 difforme da quello che caratterizza le norme c.d. di  interpretazione
 autentica.
    Con  queste  ultime,  infatti,  il  legislatore  modifica o limita
 l'indirizzo interpretativo dominante o almeno  maggioritario  di  una
 norma  giuridica, con la conseguenza che alla disposizione vecchia si
 sostituisce sin dall'inizio la nuova norma, che  per  assolvere  alla
 funzione   interpretativa   deve   avere   carattere   vincolante   e
 retroattivo.
    La norma in esame, invece,  ha  natura  interpretativa  in  quanto
 individua  una  diversa  chiave di lettura della sentenza della Corte
 costituzionale, rispetto  a  quella  che  questo  giudice  nelle  sue
 pronunce  ha  ritenuto  corretta. In definitiva, lo scopo della legge
 non e' normativo  bensi'  esclusivamente  correttivo  di  determinati
 provvedimenti     giudiziari    che,    secondo    il    legislatore,
 contrasterebbero con la esatta interpretazione della sentenza n.  501
 della Corte costituzionale.
    Sotto  un  primo  profilo,  quindi,  si ritiene che l'art. 2 della
 legge n. 265/1991 sia incostituzionale per violazione  dell'art.  136
 della  Costituzione,  per  incompetenza  assoluta  del legislatore ad
 incidere sugli effetti  della  sentenza  della  Corte  costituzionale
 attraverso una interpretazione diversa da quella adottata dai giudici
 di merito.
    Invero,   a   seguito   dell'accertamento   della   illegittimita'
 costituzionale di una norma consegue la sua perdita di efficacia:  le
 modificazioni  dell'ordinamento  giuridico  discendono, infatti, ipso
 iure  dalla  norma  costituzionale,  sulla   base   della   decisione
 d'incostituzionalita'.      Spettera'     ai     diversi     soggetti
 dell'ordinamento, i giudici  in  particolare,  applicare  l'art.  136
 della   Costituzione   e,  sulla  base  della  interpretazione  della
 sentenza, rendere concreto l'effetto ivi previsto.
    In  definitiva,  i  destinatari  della   pronuncia   della   Corte
 costituzionale  sono i giudici e non il legislatore, il quale potra',
 invece, nell'ambito delle competenze assegnategli dalla Costituzione,
 mettere in moto il processo politico per sopperire al vuoto normativo
 creatosi. Solo indirettamente talvolta le pronunce costituzionali  si
 rivolgono  al  legislatore,  in particolare quando, attraverso i c.d.
 "motivi", vogliono indicargli la strada  da  battere  per  legiferare
 nella materia.
    Il   sistema  normativo,  improntato  al  rispetto  dell'autonomia
 interpretativa dell'autorita' giudiziaria nella  ricostruzione  della
 disciplina    giuridica    risultante    dalla    dichiarazione    di
 incostituzionalita',  non  consente   nemmeno   alla   stessa   Corte
 costituzionale  di interpretare le proprie decisioni ne' di sindacare
 le scelte interpretative effettuate di volta in volta  dall'autorita'
 giudiziaria:  soltanto  successivamente,  in  sede  di  controllo del
 diritto vivente, la Corte costituzionale  potra'  essere  chiamata  a
 verificare  la conformita' ai precetti costituzionali di un indirizzo
 giurisprudenziale consolidato.
    Anche  sotto  altro  profilo,  ritiene  questa Corte che sia stato
 violato l'art. 136 della Costituzione. Invero,  la  sentenza  con  la
 quale  la  Corte  dichiara  la  incostituzionalita'  della  legge  e'
 definitiva, non essendo ammessa contro di  essa  alcuna  impugnazione
 (art.  137 cpv., della Costituzione); tale definitivita' concerne gli
 effetti tipici di questa decisione, come indicati dall'art. 136 della
 Costituzione. Da  esso  deriva,  inoltre,  l'immodificabilita'  delle
 pronuncie  d'incostituzionalita'  da  parte di qualsiasi potere dello
 Stato: ogni atto che si ponesse contro la decisione  della  Corte  si
 scontrerebbe  con  la  disposizione  costituzionale che determina gli
 effetti delle decisioni di accoglimento.
    Nell'ipotesi in cui sia  il  legislatore  ad  operare  contro  una
 decisione   d'incostituzionalita'  della  Corte  costituzionale  puo'
 accadere  che  la  legge  sia  riproduttiva  di   quella   dichiarata
 incostituzionale,  ma  la  sua  efficacia  sia proiettata solo per il
 futuro. In tal caso non puo' ritenersi  che  vi  sia  violazione  del
 giudicato  costituzionale,  in quanto la decisione della Corte varra'
 solo come precedente, sia  pure  costringente,  nei  confronti  della
 stessa Corte.
    Se  invece  la  legge  nuova  prevedesse  di ripristinare la legge
 dichiarata incostituzionale,  anche  in  relazione  al  periodo  gia'
 trascorso,  novandone  la  fonte di validita' e cosi' mirando a porre
 nel nulla la sentenza di incostituzionalita' allora si  concreterebbe
 la  figura  della  violazione  del  giudicato  costituzionale o della
 generale forza obbligatoria della decisione di incostituzionalita'.
    Con riferimento a tale vizio di costituzionalita'  ritiene  questa
 Corte  che  la legge n. 265/1991 si ponga in contrasto con l'art. 136
 della Costituzione, in quanto  impedisce,  con  effetto  retroattivo,
 l'applicazione  della  sentenza della Corte costituzionale attraverso
 il ripristino di una normativa con cui vengono perseguiti e raggiunti
 esiti  corrispondenti   a   quelli   gia'   ritenuti   lesivi   della
 Costituzione.
    Con la sentenza n. 501, infatti, veniva espressa l'esigenza di una
 costante  adeguazione del trattamento di quiescenza alle retribuzioni
 del servizio attivo, ed appunto a tal  fine,  si  dichiarava  la  non
 conformita' delle norme impugnate ai precetti costituzionali.
    In pratica, l'art. 2, primo e secondo comma, della legge n. 265 ha
 vanificato   il   contenuto   della  suddetta  pronuncia,  escludendo
 qualunque corrispondenza  tra  riqualificazione  del  trattamento  di
 quiescenza   tra  riliquidazione  del  trattamento  di  quiescenza  e
 determinazione  di  quello  di  attivita'.  La   mancata   inclusione
 dell'art.  2  della  legge  19 febbraio 1981, n. 27 nel meccanismo di
 riliquidazione, nonche' la  limitazione  della  sua  applicazione  ai
 dipendenti  collocati  a  riposo prima del 1› luglio 1983, impedisce,
 infatti, ogni raccordo tra evoluzione degli  stipendi  ed  evoluzione
 delle pensioni.
    Occorre,  poi,  rilevare  che,  tutte le volte in cui una norma e'
 incostituzionale  per  violazione  del  giudicato  costituzionale  e'
 altresi'   incostituzionale   per   nuova   violazione   delle  norme
 precedentemente invocate nel giudizio sulle norme riprodotte.
    Deve ritenersi, pertanto, che la nuova legge sia in contrasto  con
 gli artt. 3 e 36 della Costituzione cosi' come era stato riconosciuto
 per  la  normativa  precedente,  gia'  passata  al vaglio della Corte
 costituzionale.
    Invero,  secondo  la  giurisprudenza ormai consolidata dalla Corte
 costituzionale,  il  trattamento  di  quiescenza  dei  lavoratori  in
 pensione  deve  essere  proporzionato  alla  quantita' e qualita' del
 lavoro prestato e deve in ogni caso assicurare al lavoratore ed  alla
 sua  famiglia  mezzi  adeguati  alle  proprie  esigenze  di  vita: la
 proporzionalita' e l'adeguatezza debbono sussistere in ogni  tempo  e
 non soltanto al momento del collocamento in pensione.
    In proposito, si e' gia' rilevato come l'art. 2 della legge n. 265
 violi   il   precetto  costituzionale  indicato  nell'art.  36  della
 Costituzione, secondo  cui  la  pensione  deve  intendersi  come  una
 retribuzione  differita,  e  consenta,  invece,  una  sempre maggiore
 divaricazione tra il trattamento di attivita' e quello di  quiescenza
 mentre   sarebbe   indispensabile   una   corrispondenza  tra  i  due
 trattamenti,  costituendo  la   pensione   un   prolungamento   della
 retribuzione.
    Il   legislatore,  pertanto,  secondo  l'indirizzo  esplicitamente
 indicatogli dal giudice costituzionale, dovrebbe,  nell'ambito  della
 sua  discrezionalita',  operare un bilanciamento di tutti i valori ed
 interessi costituzionali coinvolti nella graduale attuazione di  tali
 principi.
    In  sostanza,  perche'  non  ci  sia violazione dell'art. 36 della
 Costituzione  non  e'  necessario  che  vi  sia  una   corrispondenza
 quantitativa  tra  la  pensione  e la retribuzione, ma occorre che il
 criterio di adeguamento della prima, alla quantita' e a qualita'  del
 lavoro prestato e alle esigenze di vita del pensionato, sia lo stesso
 in base al quale vengono disposti gli incrementi stipendiali.
    Contrariamente a tali principi, la legge in esame, al primo comma,
 blocca  la determinazione dei trattamenti pensionistici agli stipendi
 percepiti nel 1983, al secondo comma esclude l'adeguamento nel  tempo
 di  tali  trattamenti.  Per  il  futuro,  quindi,  manca del tutto un
 sistema perequativo delle pensioni dei magistrati ed assimilati  che,
 come  gia'  rilevato, sono una categoria esclusa anche dalla legge n.
 59 del 1991.
    Sotto altro profilo, la mancata attuazione  dei  principi  che  si
 riconnettono  alla natura della pensione come retribuzione differita,
 determina  una  ulteriore  violazione  della   Costituzione   ed   in
 particolare dell'art. 3.
    Invero,  l'applicazione  dell'art.  2 della legge n. 265, concreta
 una ingiustificata disparita' di trattamento con altre  categorie  di
 pubblici  dipendenti,  che  fruiscono  di  meccanismi  di adeguamento
 automatico  del  trattamento  di  quiescenza  alle  retribuzioni  del
 personale in servizio.
    Inoltre,  ulteriore  disparita'  si verifica fra le pensioni degli
 stessi magistrati, in  relazione  alle  liquidazioni  disposte  dalle
 varie  sezioni  della  Corte  dei  conti in applicazione dei principi
 stabiliti dalla sentenza  della  Corte  costituzionale,  in  tutti  i
 giudizi gia' definiti.
    In  relazione  alle  considerazioni  esposte,  la  sezione ritiene
 rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 2 della legge 8 agosto  1991,  n.  265,  per
 contrasto  con  gli artt. 3, 36 e 136 della Costituzione, restando in
 tale pronuncia assorbite le eccezioni in parte analoghe dedotte dalle
 parti e dal p.m. in udienza.
    Per   quanto   attiene   alla   violazione  degli  altri  precetti
 costituzionali indicati dall'avv. Michelangelo  Pascasio,  nella  sua
 memoria   integrativa,  ritiene  il  collegio  che  le  questioni  di
 costituzionalita' sollevate siano manifestamente infondate, in quanto
 trattasi di  norme  costituzionali  non  pertinenti  con  riferimento
 all'oggetto della legge impugnata.
                               P. Q. M.
    Visti  gli  artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo
 1953, n. 87;
    Ritiene rilevante e non manifestamente infondata la  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge 8 agosto 1991, n.
 265, in relazione agli artt. 3, 36 e 136 della Costituzione;
    Sospende i giudizi ed ordina la trasmissione degli atti alla Corte
 costituzionale;
    Ordina  che,  a  cura  della segreteria della sezione, la presente
 ordinanza sia notificata alle parti in causa, al procuratore generale
 della Corte dei conti ed al Presidente del  Consiglio  dei  Ministri,
 nonche'  comunicata  al  Presidente  della  Camera dei deputati ed al
 Presidente del Senato della Repubblica.
    Cosi' disposto in  Palermo,  nella  Camera  di  consiglio  del  20
 novembre 1991.
                    Il presidente f.f.: CASAMICHELE

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