N. 270 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 marzo 1992
N. 270 Ordinanza emessa il 19 marzo 1992 dalla pretura di Napoli, sezione distaccata di Portici, nel procedimento penale a carico di Montella Carmela Edilizia ed urbanistica - Reati edilizi - Esecuzione di opere abusive in zone sottoposte a vincoli paesistici - Pena edittale - Misura - Eccessiva afflittivita' dei minimi edittali previsti (trenta milioni di ammenda) - Conseguente impossibilita' di concedere la sospensione condizionale della pena - Possibilita' di concederla solo nell'ipotesi in cui tale reato (di natura contravvenzionale) concorra con altro (delitto), oggettivamente piu' grave ma sanzionato in misura minore - Ingiustificata disparita' di trattamento con incidenza sulla funzione rieducativa della pena. (Legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 20, lett. c), u.p.). (Cost., artt. 3 e 27).(GU n.21 del 20-5-1992 )
IL VICE PRETORE All'udienza dibattimentale del 19 marzo 1992, nel procedimento penale nn. 151/AP/18/1992 e 36966/1990 not. Reato, a carico di: Montella Carmela nato a Portici 14 settembre 1942 e res. Ercolano via Marconi, 77 Imputato: a) del reato p. e p. della lett. c) dell'artt. 20 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e 81 del c.p. per aver iniziato continuato ed eseguito, in assenza della concessione edilizia, in zona sottoposta a vincolo ( ex legge n. 1497/1939 d.m. l. n. 431/1985, d.m. 28 marzo 1985): muratura perimetrale con blocchi in lapilcemento e solaio di copertura con travetti in ferro e laterizzi che occupa una superficie di 15 mq. b) contravv. agli artt. 2, 13, 4, 14 della legge 5 novembre 1971, n. 1086, 81 del c.p. perche' in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, realizzava le strutture in cemento armato non in base a progetto esecutivo, senza previa denuncia dei lavori al genio civile e senza la direzione dei lavori da parte di un tecnico competente; c) agli artt. 1, 2, 20 della legge 2 febbraio 1974, n. 64 e 2 della legge reg. 7 gennaio 1983, n. 9 per aver eseguito i lavori relativi alle opere di cui al capo a) in zona sismica omettendo di depositare, prima dell'inizio dei lavori, gli atti progettuali presso l'ufficio del genio civile competente; d) del reato p. e p. dell'art. 20 lett. c) della legge n. 47/1985 in relazione all'art. 1-sexies della legge n. 431/1985 per avere eseguito le opere di cui al capo a) in area sottoposta a vincolo di inedificabilita', imposto con la misura di salvaguardia prevista dall'art. 1-quinquies della citata ultima legge o comunque in assenza del prescritto nulla-osta rilasciato da parte dell'autorita' preposta alla tutela del vincolo; e) del reato p. e p. di cui all'art. 734 del c.p. per avere, mediante le opere di cui al capo a), distrutto o alterato le bellezze naturale dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell'autorita' ex r.-d. n. 1497/1939. Reati accertati in Ercolano il 29 marzo 1989. Ha pronunciato la seguente ordinanza della quale ha dato lettura in dibattimento. Rilevato che la seconda parte della lettera c) dell'art. 20 legge 28 febbraio 1985, n. 47, prevede un'ipotesi autonoma di reato, e non gia' una mera circostanza aggravante, sanzionata con l'arresto fino a due anni e l'ammenda da lire 30 milioni a lire 100 milioni, e che il giudice nel comminare la pena pur nel minimo massimo consentito non puo' sospendere la pena ai sensi dell'art. 163, c.p., perche' nell'operare il ragguaglio con la pena pecuniaria si arriva ad una determinazione della pena detentiva oltre i limiti che consentono ex lege la concessione del beneficio; Considerato che tale previsione normativa - che apparentemente potrebbe sembrare una precisa scelta legislativa - che persegue una finalita' generalpreventiva della pena per una situazione di abusivismo specializzato dall'intervento edilizio senza concessione in zone sottoposte a vincoli - in realta' si traduce in una sorte di terrorismo sanzionatorio che pregiudica il conseguimento di risocializzazione del condannato, data la irragionevolezza della previsione sanzionatoria, agevolmente superabile del resto - paradossalmente - soltanto dalla possibilita' del concorso della norma incriminatrice in parola con altra piu' grave che, nel caso della unificazione sotto il vincolo della continuazione ex art. 81, cpv, c.p., consentirebbe in astratto - se il minimo edittale lo consente, come nella maggior parte dei casi ipotizzabili - di concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena. E' il caso ricorrente nella prassi giudiziaria della violazione dell'art. 20, lettera c), legge n. 47/1985, a cui concorre il delitto della violazione dei sigilli per la prosecuzione dei lavori vietati: in questo caso, infatti, dato per certo che la violazione piu' grave e' quella prevista dalla fattispecie astratta dell'art. 349, c.p., che prevede un'ipotesi delittuosa rispetto a quella concorrente di natura contravvenzionale, il giudice nell'applicare gli effetti della continuazione ha l'astratta possibilita' di sospendere la pena, diversamente dal caso - come detto - della sola violazione della lett. c), art. 20, legge n. 47/1985. Questa disfunsione del sistema sanzionatorio non appare certamente superabile - come talora afferma il s.c. - con l'argomentazione artificiosa che in questi casi il giudice deve tenere conto della violazione che risulta piu' grave in concreto: il che significa che nel caso esaminato il reato di natura contravvenzionale si sovrappone a quello di natura delittuosa. Ed invero, il valore della distinzione dei reati in delitti e contravvenzioni e' dato dalla legge proprio per sottolineare la diversa gravita' degli stessi, ed in nessun caso il giudice puo' prescindere da tale dato legislativamente predeterminato per esercitare una discrezionalita' mirata a garantire una giustizia suppletiva di adeguamento, espressione di una qualsivoglia politica criminale (basti pensare che in un decreto d'amnistia del 1911, il legislatore uso' il termine "delitti" in luogo di "reati", di guisa che rimasero escluse involontariamente dall'amnistia le "contravvenzioni": V. Atti parl., Camera dei deputati, 12 maggio 1911). La considerazione degli effetti penali della condanna, della punibilita' dei reati commessi all'estero, della possibilita' dell'estradizione, dell'oblazione, dell'imputabilita', del tentativo della pena, ecc .., toglie ogni ragionevole dubbio che la distinzione operata dal legislatore ha la significazione fattuale di ritenere il delitto comunque piu' grave della contravvenzione. Se dunque cosi' stanno le cose, appare chiaro allora che l'art. 20, lett. c), legge n. 47/1985, si pone in netto contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione, nella parte in cui non prevede - per la entita' della pena minima edittale prevista - la possibilita' in astratto per il giudicante di sospendere la pena. Sotto il profilo del principio di eguaglianza espresso dall'art. 3 della Costituzione, l'incostituzionalita' della norma in parola si coglie immediatamente per la ingiustizia manifesta ch'essa determina per l'effetto sanzionatorio posto a carico di chi commette un'unica violazione, rispetto a chi viola la stessa norma commettendo, nell'esecuzione del medesimo disegno criminoso, anche un delitto, con la possibilita' per quest'ultimo caso offerta dalla sistematica codicistica, di beneficiare della sospensione condizionale della pena. Se l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge si esprime con la parita' di trattamento di quelli che si trovano nelle medesime condizioni, cio' vuol dire per converso che tale eguaglianza non e' tutelata anche quando una norma di rango inferiore opera espressamente o consente soltanto, sia pure sul piano degli effetti, una iragionevole disparita' di trattamento in peius rispetto a situazioni diverse che risultano obiettivamente piu' gravose. L'istituto della sospensione condizionale della pena, se da una parte concreta pienamente lo scopo repressivo, in quanto presuppone la dichiarazione di colpevolezza e l'irrogazione della pena, dall'altra esplica un "fine eminentemente preventivo" poiche' evitando gli effeti funesti dell'esecuzione della condanna e dimostrando al condannato una comprensione umanitaria, esplica indubbiamente un efficace ritegno a commettere nuovi reati. Sotto questo aspetto l'istituto si lega al precetto costituzionale (certamente non di natura programmabile) espresso dall'art. 27, terzo comma, che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato. Se tale tendenza deve esprimersi anche come processo volto a mettere il soggetto in condizione di rispettare le regole di una ordinata convivenza, appare chiaro che l'irragionevolezza degli effetti della sistematica normtiva nelle situazioni innanzi prospettate si traduce in una manifesta ingiustizia che vanifica il precetto costituzionale.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara d'ufficio non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 20l lett. c), ultima parte, legge 28 febbraio 1985, n. 47, per contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, della costituzione della Repubblica; Sospende gli atti del giudizio ed ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che, a cura della cancellaria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Portici, addi' 19 marzo 1992 Il pretore: RUSSO 92C0585